14-I relativismi assoluti di perfezione

Così ero venuto in possesso dell’integrale conoscenza di Dio, poiché lo avevo studiato nella sua costituzione e nelle sue manifestazioni sia esistenziali che creative. Naturalmente, mi era stato facile penetrare e studiare la sua divina essenza, soltanto grazie al suo provvidenziale intervento. Di conseguenza, il suo essere, la sua esplicazione e il risultato di quest’ultima mi apparvero di una razionalità e di una logicità incredibili. Ma, al termine del mio meticoloso studio, da cui mi erano provenute tante preziosissime conoscenze di natura teologica, non potevo affermare che ne ero uscito completamente indenne da dubbi, siccome in me ce ne era rimasto ancora qualcuno, il quale continuava a tormentarmi come un assillo. Al termine del mio interessamento ad esso, in me era rimasta una perplessità, che insidiava e turbava l'intera soddisfazione provata in tanto mio studio fecondo. Anche se marginalmente, essa veniva ad intaccare la mia radicata convinzione, secondo la quale la perfezione dell’onnipotente Xurbiz era indiscussa, poiché risultava somma e indefettibile. Per l’esattezza, la mia riserva concerneva un aspetto del suo essere e divenire. Analizzando il Creatore nella sua Trinità Personale, ero venuto a conoscenza che Egli solo di rado fuoriusciva dal suo pensiero autocontemplativo, cioè quando diveniva Trinità, poiché era allora che Xurbiz decideva di creare. Inoltre, operava la sua fuoriuscita, quando voleva controllare che le sue creazioni procedessero conformemente alle sue leggi e ai suoi disegni. Adesso era appunto quel controllo di Dio sulle sue creazioni che mi rendeva dubbioso, se non proprio perplesso, siccome esso mi faceva supporre l’assenza dell’assoluta perfezione nelle opere divine. Tale mia supposizione non era affatto priva di logica perché, se l’assoluta perfezione fosse stata presente nelle sue opere, il loro controllo da parte di Colui che le aveva create non avrebbe avuto ragion d’esserci.

Ma poteva essere possibile che, dalla somma perfezione di Xurbiz, potessero scaturire opere non del tutto perfette e tali, da spingere il loro stesso divino Autore a controllarle nel tempo? Che cosa, se non il sospetto, o addirittura la convinzione, che fosse la loro deperibilità a sollecitarne il controllo da parte del loro Creatore? Il loro controllo, quindi, non mi persuadeva per niente e mi incitava ad approfondire ulteriormente la scottante questione. Anzi, se fosse stato proprio necessario, sarei stato disposto a riesaminare, mediante un ulteriore approfondimento, l’essenza divina e l’atto creativo che ne scaturiva. In principio, l’evidente originarsi di opere imperfette da un Essere assolutamente perfetto mi apparve quasi un paradosso. Fui perfino tentato di credere che la fonte di imperfezione fosse in Dio stesso, dal momento che proprio da Lui provenivano tali creazioni imperfette. In seguito, invece, approfondendo ed analizzando l’argomento da una giusta angolazione, il problema della perfezione divina mi si rivelò alla fine in un quadro molto limpido ed estremamente logico.

Ebbene, la somma ed assoluta perfezione poteva esserci soltanto in Dio. Essa, che esisteva allo scopo di permettergli di esistere, non era mai stata creata; ma era sempre esistita al pari di Lui, cioè era eterna nella stessa misura dell’Essere che la esprimeva. Per questo motivo, la perfezione divina risultava increabile, inderivabile ed intrasferibile. Inoltre, essa consentiva a Dio di creare qualunque altra cosa, fosse essa di natura spirituale oppure materiale, ma non un'altra sé stessa. La qual cosa voleva dire che Egli era impotente a creare un’altra perfezione identica ed equivalente alla propria. In base a tale rigorosa logica, per l’Onnipotente poterla creare in altri esseri era lo stesso che creare altri esseri identici a sé, con le medesime caratteristiche. Ma essere in grado di creare altri esseri uguali a sé, per lo stesso Xurbiz, significava perdere l’unicità e la supremazia sugli altri; significava, cioè, cessare di essere l’unico Dio eternamente esistente. Infatti, come era possibile che Egli, nel caso che lo avesse voluto, avrebbe potuto creare altri esseri uguali a sé? Di loro, proprio per essere stati creati da Lui, giammai si sarebbe potuto dire di essere stati sempre, ossia di essere eterni. Egli, invece, diversamente da loro, risultava eterno e giammai creato da nessuno. Perciò ci sarebbe stata già una prima rilevante anomalia di perfezione tra Lui, che era fornito di eternità, e gli altri esseri da Lui creati, i quali ne risultavano sprovvisti.

Ammettendo pure per ipotesi che Dio fosse in grado di creare altri esseri equivalenti a sé, a quale conclusione mi avrebbe condotto l’esistenza di simili creature divine create da Lui? Ovviamente, a quella che mi conduceva a supporre che Dio non fosse stato sempre, al pari di loro. La quale mia supposizione non poteva essere considerata campata in aria, per un semplice motivo. Come quegli esseri, ritenuti per ipotesi identici a Lui, non si sarebbero potuti vantare di essere stati sempre; così anch’egli, essendo uguale a loro, poteva non essere stato sempre. Nel qual caso, non si sarebbe potuto dire che la perfezione assoluta era in Dio, in quanto ci sarebbe potuta essere per Lui la fine, come c’era potuto essere il principio. Se le cose si fossero presentate in questo modo, allora Xurbiz non sarebbe stato più l’Ente Supremo per eccellenza e il Sommo Creatore indefettibile, poiché Egli sarebbe venuto a difettare di una di quelle attribuzioni che lo rendevano quello che era. Difatti, soltanto se erano presenti in Lui nella loro totalità, esse erano in grado di procurargli la perfezione assoluta. Tutto questo, in base al principio della totalità che vigeva in Dio, secondo il quale la mancanza in Lui anche di una sola delle prerogative che gli garantivano la perfezione assoluta finiva per privarlo di essa e, contestualmente, della sua divinità.

Tali prerogative, come mi andavo rendendo conto, formavano un insieme indivisibile e indissolubile. Il quale si presentava in grado di esistere, solo se tutte erano presenti e all’unisono contribuivano a specificare la divinità, attraverso l'estrinsecazione dei suoi atti creativi. Per questa ragione, bastava la mancanza di una sola prerogativa, perché diventassero inefficaci anche le restanti. Pertanto se ne deduceva che Dio, una volta rimasto privo della sua eternità, non avrebbe più posseduto neanche gli altri attributi della sua somma perfezione, i quali erano appunto alla base di essa. Così Egli non sarebbe più esistito e, con la sua sparizione, sarebbe svanita anche la sua realtà; anzi, ovunque avrebbe imperato l’oblio più assoluto, perfino del nulla. Dio, invece, si serviva della sua assoluta perfezione non per produrne altra equivalente, come c’era bisogno del seme per dare origine alla pianta. Invece ricorreva ad essa esclusivamente per dare origine a creazioni dotate di una perfezione, la quale non poteva neanche lontanamente essere paragonata alla sua. Alcune di esse, poi, qualitativamente e quantitativamente, erano derivabili da sé stesse, senza che ci fosse più bisogno dell’intervento divino. Mentre altre, combinandosi tra di loro in varia misura e secondo determinate percentuali, potevano dare origine ad altre ancora, con caratteristiche differenti da quelle da cui avevano avuto origine.

Comunque, prima di procedere nello studio della perfezione, non potevo non rilevare una seconda impotenza di Dio, la quale, allo stesso modo della sua impossibilità ad autodistruggersi, ne integrava ulteriormente la perfezione. La nuova impotenza di Xurbiz consisteva nel fatto che egli era impossibilitato a creare altri sé stessi, per cui ancora una volta la sua eternità restava priva di ogni possibilità tendente a metterla in forse. Chiarita la qual cosa, potevo immettermi di nuovo nello studio che avevo appena intrapreso.


Come constatavo, le creazioni divine ricevevano dal loro Creatore una perfezione limitata; ma che era da ritenersi relativamente perfetta. Essa, cioè, risultava imperfetta, solo se veniva paragonata ad un modello di perfezione di grado superiore, oppure a quella assoluta di Dio. Invece, considerata nelle creazioni nelle quali veniva infusa, tale perfezione poteva ben considerarsi assoluta. Ciò, nonostante i capricci del tempo e della materia si dimostrassero a volte inclementi nei suoi riguardi e si adoperassero per minarne l’integrità originaria. Da quanto avevo appreso, quindi, si evinceva che le molteplici creazioni divine non potevano avere tutte l’uguale grado di perfezione relativa. Infatti, da Dio, per forza maggiore, derivavano creazioni più perfette o meno perfette, a seconda della collocazione e della natura che Egli assegnava a ciascuna di loro. La maggiore o minore perfezione rilevabile nelle creazioni divine dipendeva dal luogo in cui esse venivano attuate, oltre che dal loro fine ultimo.

I luoghi, nei quali Dio esprimeva in concreto i suoi impulsi creativi, erano due: 1) la sua realtà, detta Etèrnon, cioè il regno dell’immutabile e dell’eterno; 2) la parte non appartenente a tale realtà, detta Cadùcon, ossia il regno del mutevole e del caduco. Ma, mentre le creazioni dell’Eternon risultavano tutte di uguale grado di perfezione, la quale corrispondeva alla massima delle perfezioni relative; le creazioni del Caducon avevano differenti gradi di perfezione limitata. Quanto alle loro caratteristiche, le creazioni dell’Eternon erano soprasensibili e atemporali, siccome esse venivano attuate in un regno spirituale e sopratemporale, qual era appunto quello della realtà di Dio. Le creazioni del Caducon, invece, risultavano sensibili e temporali, dal momento che venivano realizzate in un regno in cui imperavano la materia e il tempo, qual era appunto la parte esterna della medesima realtà che corrispondeva alla sua non-realtà.

L’Eternon, invece, in quanto realtà di Dio, poteva ospitare esclusivamente creazioni divine di prima categoria, ossia quelle fornite della massima delle perfezioni relative. Dalla quale gli provenivano le seguenti importanti caratteristiche: l'indistruttibilità, l'immutabilità, una intelligenza illimitata e una bellezza insuperabile. Il Caducon, al contrario, in quanto non-realtà di Dio, poteva contenere unicamente creazioni materiali e transitorie, cioè derivabili e risolvibili in seno all’inevitabile rapporto materia-tempo. Dal quale provenivano ad esse le seguenti caratteristiche: la deperibilità, la mutevolezza, una intelligenza limitata e una perfettibilità all’infinito. A ogni modo, la perfettibilità all’infinito era da ritenersi prerogativa esclusiva della sola natura umana. La quale corrispondeva alla più perfetta delle creazioni caduconiane e poteva essere considerata il ponte ideale tra i due regni destinati ad accogliere le creazioni divine. L’uomo, se sostanzialmente era una creatura vivente nel Caducon, a differenza delle altre esistenti nello stesso regno, era stato concepito nell’Eternon. Per tale motivo, egli risultava un autentico connubio di spiritualità e di materialità, di immortalità e di caducità. Al riguardo, procedendo nel mio studio, ne avrei conosciuto le ragioni.

Dunque, si avevano delle perfezioni differenti, cioè in relazione alle varie categorie di creazioni divine, nelle quali esse, ciascuna nel rispettivo risultato creativo, potevano considerarsi efficienti al massimo. Ogni perfezione, insomma, risultava assoluta, solo se considerata nella creazione divina nella quale esisteva e si attuava. Invece, se essa veniva paragonata con le creazioni divine di categoria superiore, risultava tanto più imperfetta, quanto maggiore era il grado di perfezione della categoria superiore con cui essa veniva confrontata. Perciò le diverse categorie di creazione obbligatoriamente davano luogo a dei relativismi assoluti di perfezione, al culmine della scala dei quali non era assolutamente immaginabile sistemarvi l’assoluta perfezione divina. Il motivo? Ad essa tali relativismi dovevano tutti il principio, nonché la ragione del loro essere e del loro divenire. Infatti, era razionalmente errato pensare ad una gerarchia di varie perfezioni relativamente assolute e porre al loro vertice la perfezione divina, poiché quest’ultima non era una perfezione relativamente assoluta. Al contrario, essa era da reputarsi l’unica perfezione assoluta, considerato che risultava non solo increata, bensì anche creatrice di tutte le perfezioni relative. Considerata in questi termini, la perfezione divina non era paragonabile con nessun’altra perfezione, se non con sé stessa. Perciò era giusto assegnare il primo posto, in tale gerarchia di perfezioni create, alla perfezione di cui godevano le creazioni eternoniane, essendo essa di gran lunga superiore a tutte le altre sotto parecchi aspetti, specialmente sotto l’aspetto qualitativo e quello esistenziale.

Così, mentre nell’Eternon si trovavano creazioni che avevano un unico tipo di perfezione relativa; nel Caducon si avevano creazioni di ben sei tipi di perfezione relativa, dei quali quello dell'uomo era senza dubbio superiore a tutti gli altri. Alla perfezione umana seguivano poi, in ordine di importanza, la perfezione animale, la perfezione vegetale, la perfezione cosmica e la perfezione delle cose inanimate, ossia della materia in particolare. Volendo essere obiettivo, una perfezione a sé stante, da considerarsi al di fuori di ogni gerarchia, era quella di rapporto esistente tra le differenti creazioni caduconiane. Essa esisteva esclusivamente per tutelare l’armonia fra le stesse e non aveva bisogno di uno studio particolare, essendo evidenti la sua esistenza e gli obiettivi che tendeva a perseguire nell’ambito del Caducon.

Quindi, com’ero venuto a conoscenza nel mio studio, Xurbiz aveva creato sia in seno alla sua realtà che all’esterno di essa, per cui ne erano originati due generi di creazione diametralmente opposti. Per logica, l’atto creativo, promosso e fatto dilagare nella propria medesima realtà, non poteva essere della stessa specie di quello fatto proiettare fuori di essa. Mi riferisco al luogo, dove il nulla era stato il dominatore incontrastato e sovrano, quando non vi si erano ancora trasferite tutte le creazioni divine di natura effimera e transeunte.

Il primo genere, in quanto espresso e soddisfatto nelle purissime regioni metafisiche della realtà divina, non poteva non appartenere ad essa. Ma far parte della realtà divina, se proprio non voleva dire essere pari ad essa ed uguagliarla, significava sicuramente viverla e beneficiare in larghissima parte di tutti quei vantaggi che derivavano da essa. Il secondo, invece, essendo stato voluto in ciò che non era mai stato, per cominciare ad esistere, non aveva potuto esimersi dall’obbligo di fare propri il tempo e la materia, per cui l'uno e l'altra avrebbero rappresentato per sempre le sue due essenziali componenti. Per questo gli erano derivate ipso facto dal tempo e dalla materia la mutevolezza e la deteriorabilità, difetti appunto che facevano capo rispettivamente all'uno e all'altra. In particolar modo, ciò che rendeva più marcata la differenziazione tra i due tipi di creazione, rendendoli antitetici al massimo tra di loro, era soprattutto il presupposto su cui si fondava la loro esistenza. Esso, nelle creature eternoniane, si identificava con l’immortalità; mentre, nelle creature caduconiane, comportava la loro rigorosa preclusione ad essa. In concreto, quest'ultima era perseguita attraverso un suo continuo adoperarsi perché venissero tarpate le ali ad ogni loro speranza di pervenire all'immortalità.

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