11-Dio e la sua natura trinitaria

Prima che il suo "fiat" creatore percorresse le atemporali ed interminabili regioni del nulla, lasciando sulla sua scia le stupende edificazioni dell'infinito universo della materia e del tempo; prima ancora che lo stesso "fiat" decidesse di splendere e di creare in quelle regioni metafisiche cosparse della sua divina luce, dandovi origine all'immateriale e sopratemporale regno degli Angeli, l'Onnipotente era il solo essere esistente. Egli era sempre esistito, come esisteva tuttora e sarebbe esistito per sempre, in virtù della sua infinita perfezione. Il suo nome era Xurbiz e significava appunto l'Essere esistente da sé, il quale, per esistere, non necessitava di nessun altro essere che fosse superiore a lui.

L'Ente Supremo, quindi, da tempo senza origine e senza fine, risultava il solo sostegno della realtà fisica e metafisica, fatta eccezione di quella che lo riguardava. Egli, infatti, poteva distruggere ogni realtà da lui derivata, come poteva crearne infinite altre; in nessun caso, però, avrebbe potuto subordinare a sé la propria realtà, non essendo essa derivata da lui, in quanto coeterna alla sua essenza. Volendo essere più comprensibile, Xurbiz era impossibilitato ad ordinare alla realtà di cui faceva parte di cessare di esistere, cioè di non essere più. Per poterlo fare, Egli doveva anche comandare a sé stesso di smettere di esistere. Invece all'Ente Supremo era vietato di mettere in atto un tale proposito, siccome non c'era stato nessuno a crearlo e neppure si era autocreato. Per la quale ragione, il Superessere per eccellenza si presentava impotente ad autodistruggersi e, di conseguenza, gli era negato di rinunciare alla propria divinità, nel caso che lo avesse voluto. Ma tale sua impotenza, lungi dall'essere vista come una sua limitatezza, al contrario andava considerata in lui soltanto una qualità preminentemente positiva, siccome essa integrava la sua somma perfezione. Difatti quest'ultima, volendo essere obiettivi, si consolidava appunto in una sua esistenza eterna, senza il pericolo che potesse venirgli a mancare per un motivo qualsiasi. Insomma, neppure un atto volontario di colui che ne era investito, il quale veniva indicato con il termine di Dio, sarebbe stato in grado di farla venir meno.

A rigore di logica, ammettendosi per ipotesi che l'Ente Supremo avesse la possibilità di autodistruggersi, di conseguenza la sua esistenza andrebbe considerata non più eterna. In tal caso, quindi, ci sarebbe la probabilità che, in un futuro prossimo o remoto, Egli, per sua libera iniziativa, potrebbe desiderare e anche attuare la propria distruzione. Ma una eventualità del genere verrebbe a ledere la sua infinita perfezione, poiché la renderebbe limitata e non più assoluta. Non bastando ciò, essa farebbe sorgere perfino un dubbio sull'affermazione fatta su di lui "era sempre esistito", inducendoci giustamente ad ipotizzare un suo probabile principio. Dio, invece, essendo per sua natura impotente a volere e ad attuare la propria distruzione, risultava indiscutibilmente eterno, per cui era da considerarsi il Perfetto in assoluto. L'eternità, dunque, la quale era uno dei presupposti cardini della perfezione divina e si identificava con essa al pari degli altri attributi, implicava la non-fine di Dio, precludendogli ogni possibilità di autodistruzione. In pari tempo, la medesima sottintendeva anche il suo logico non-principio, il quale faceva escludere a priori qualunque suo atto autocreativo e qualsiasi sua derivazione da un altro essere differente da sé.

La perfezione divina, ad ogni modo, esisteva anch'essa per sé stessa, cioè senza che il Sommo Creatore l'avesse creata in Sé. Insomma, essa era eterna al pari di Colui nel quale si presentava esistente. Per esattezza, se in Lui la perfezione non ci fosse stata sempre, come avrebbe fatto lo stesso Dio, in qualità di essere imperfetto, a concepirla e a crearla in sé? Perciò erano evidenti sia la coeternità di Dio, della sua perfezione e della sua realtà, sia l'indipendenza delle ultime due dal primo. Al contrario, esse, non essendo state create da Lui e non potendo subire il suo controllo oppure la sua sopraffazione, lo mettevano nell'assoluta impossibilità di procurarsi, volontariamente o per errore, l'imperfezione e l'autodistruzione. A conclusione di tale argomento, Dio, il quale esprimeva la sua infinita realtà e la sua illimitata perfezione, in qualità di Essere Perfetto, non poteva né volere né provocare la soppressione della loro esistenza e di quella propria, per le logiche considerazioni fatte in precedenza a tale proposito.

Da quanto appreso sull'essenza divina con quel mio approccio iniziale, mi proveniva la prima idea chiarificatrice su Dio. Nonostante Egli fosse l'Essere che aveva la preminenza a condizionare ogni cosa, era retto da una condizione da considerarsi eterna quanto lui, ossia quella di non potersi condizionare in ciò che concerneva la sua natura intrinseca. Mentre, per quanto riguardava la sua natura estrinseca, non venivano imposte restrizioni di sorta né alla sua attività creativa né al campo di azione in cui essa si esprimeva.

A questo punto, potevo apprendere qualcosa sulla natura dell'essenza divina? In Dio, in verità, si riscontravano tre nature e non una sola, le quali erano le seguenti: quella intrinseca, quella estrinseca e quella implicante il rapporto esistente fra loro due. Al riguardo, bisognava tener presente che in lui non si verificava una tripartizione dell'elemento soprannaturale che lo costituiva, poiché esso si presentava unico ed indivisibile. Invece si aveva una tripartizione del solo suo modo di essere, cioè della sua espressione esistenziale. Allora mi incaricai di rendermi conto del mistero che Egli rappresentava, pervenendo ad una sua conoscenza più approfondita.

Dio, considerato nella sua natura intrinseca, la quale corrispondeva al suo atto di esistenza, era l'Essere dell'assoluto, per cui viveva sé stesso, indipendentemente da sé. Considerato invece nella sua natura estrinseca, Egli era l'Essere dell'atto creativo, per cui viveva sé stesso, restando dipendente da sé. Infine, considerato nel suo rapporto esistenza-esplicazione, la quale corrispondeva alla normativa di collegamento e di controllo fra le altre sue due nature, Egli era l'Essere dell'amore e della giustizia, vivente sé medesimo, rimanendo alla propria dipendenza. Dunque, Dio si autocondizionava e condizionava soltanto nell'atto di esplicarsi, in quello di prestarsi alle sue creazioni e in quello del loro controllo. Ma mentre risultava uno nella sua costituzione, facendo essa parte di sé allo stesso modo; nel suo manifestarsi, Egli risultava trino, essendo Colui che era, Colui che creava e Colui che controllava ed amava le sue creature.

Nella sua quiddità intrinseca, Xurbiz era un pensiero purissimo, il quale si autocontemplava in eterno. Naturalmente, la sua autocontemplazione si presentava inattiva, in quanto Egli, rappresentando la massima perfezione, non aveva nient'altro da accrescere in sé. Essa, però, non poteva ritenersi nemmeno passiva, siccome in tale sua non-attività era insita la compiutezza assoluta ed infinita di ogni qualità. Per cui permetteva al pensiero di Xurbiz di divenire eminentemente creativo fuor di sé. Quindi, nessuna sostanza specifica, fosse essa spirituale o materiale, costituiva il pensiero onnipotente di Dio, poiché esso rappresentava la sola fonte inesauribile di ogni creazione che non facesse parte della sua natura divina.

Nella sua quiddità estrinseca, Xurbiz era un composto costituito da una luce purissima e da una illimitata energia creatrice: entrambe agivano mediante un'azione cosciente ed istantanea. La luce era l'idea di Dio; mentre l'energia costituiva la corrispondente e simultanea realizzazione in concreto di tale idea, ogniqualvolta essa desiderava essere attuata. Perciò Dio, nel non essere sé stesso, ossia nella sua esplicazione, o meglio, nella sua fuoriuscita dal suo pensiero autocontemplativo, era luce purissima. In pari tempo, Egli risultava un fermento attivissimo di infinite energie creatrici, le quali erano sempre pronte a concretizzare ogni suo desiderio.

Nella sua quiddità di rapporto fra la propria natura intrinseca e quella estrinseca, Xurbiz non era altro che idea volitiva cosciente e compiacimento amorevole. Nello stesso tempo, rappresentava anche la norma e il controllo per tutto quanto sgorgava dal suo atto desiderativo. Da una parte, senza accusare alcuna modificazione della sua natura intrinseca, egli fuoriusciva dalla sua intrinsecità con un atto appetitivo, il quale non intendeva significare assolutamente una esigenza; ma voleva solo essere una mera spontaneità. Dall'altra, mediante un atto d'amore che si accompagnava al suo stesso desiderio, Egli penetrava coscientemente nella sua estrinsecità, allo scopo di darvi luogo alla creazione, compiacersene, dettare ad essa la propria legge e controllarla in merito. Ad ogni modo, se differenti apparivano i suoi modi di essere, l'altissimo Xurbiz riusciva a viverli tutti contemporaneamente, dal momento che la sua infinita perfezione gli rendeva possibile ogni atto ed ogni cosa.

A quel punto, prima di conoscere in che modo funzionavano realmente i tre suindicati momenti dell'esistenza di Dio, appunto per approfondire meglio quel delicato argomento, era indispensabile che io avessi l'esatta cognizione della realtà divina, rispetto alla quale, Egli risultava simultaneamente sia immanente che trascendente. Per la precisione, la sua realtà era in Dio, quando essa veniva considerata come contenuto del suo pensiero; ne rimaneva invece all'esterno, quando la stessa veniva intesa come campo di azione dei suoi atti creativi e di quelli del suo controllo.

Xurbiz, come già avevo appreso, possedeva una sua realtà, quella che era eterna non meno della sua esistenza, nella quale Egli risultava il Sommo Essere di diritto, il Potenziatore della sua stessa esplicazione e il Supremo Giudice di tutte le sue creature. Ma che tipo di realtà era quella di Xurbiz? Come la si poteva definire? Per il momento, era quanto mi premeva apprendere ad ogni costo. In verità, la sua realtà era lo stesso Xurbiz, che si autopropagava intorno a sé sotto forma di sfere concentriche. Queste, autoriflettendosi, guizzavano ininterrottamente dal suo pensiero puro e scorrevano l'una dietro l'altra, seguendo i sentieri dell'infinità divina. Esse si autoformavano in seguito a delle strane pulsazioni, le quali si avvertivano in seno al pensiero autocontemplativo di Dio e si esternavano sotto forma di continui lampeggiamenti. Questi, da parte loro, assumendo la forma di sfere trasparenti, si diradavano tutt'intorno concentricamente e all'infinito. Ma le pulsazioni da dove traevano origine? Senza dubbio, esse derivavano dagli inesplicabili momenti dell'autocontemplazione di Xurbiz. Perciò erano da considerarsi eterne quanto la sua stessa autocontemplazione, nella quale esse erano presenti come delle essenziali e imprescindibili situazioni di tutta la complessa realtà divina. Comunque, la funzione precipua di tale realtà era quella di appagare Dio stesso nel proprio autosoddisfacimento intrinseco ed estrinseco.

Stando così le cose, mi convincevo che la realtà divina era una sorta di campo operativo dell'espressione dello stesso Dio, nei suoi atti divini di esistenza, di creazione, di amore e di controllo. Perciò essa poteva essere definita come parte efficiente ed integrante di Xurbiz, che ne diveniva a sua volta l'indispensabile sostegno, anche se non per volontà e per opera sua. La sua realtà, infatti, si sganciava da Dio per consentirgli appunto l'esistenza. Ciò era sempre stato, al pari tanto di Dio, quanto della sua perfezione e della sua coesistente realtà. In ultima analisi, la sua realtà, considerata nel suo unico e autentico significato, nei confronti di Dio, se non proprio di equivalenza di natura, acquistava un valore senz'altro di specificazione e di dimostrazione. Per questo Dio si autodefiniva e dimostrava a sé stesso di essere, unicamente in virtù della sua realtà. Questa, da parte sua, risultava lo specchio che si dava a riflettere in eterno la totale sapienza divina, la quale vi spaziava all'infinito con atti riflessivi e creativi, senza venirne condizionato in alcun modo.

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