98-L'ARRIVO DEL FRATELLO RACO SALVA LERINDA DAL SUICIDIO
Era trascorsa da poco anche la diciannovesima nottata, che era stata anch'essa caratterizzata dal solito sogno, quando la sua nutrice si condusse nella camera di Lerinda. La quale se ne restava ancora assopita nel suo tiepido letto. Oramai ella non era più la stessa, poiché veniva costretta a dibattersi tra due esistenze antitetiche, cioè tra quella gioiosa della notte e quella penosa del giorno. Perciò ogni mattina la poveretta si svegliava con un raggiante sorriso sul volto, ma poi la riflessione subito la ricacciava nella sua tetra disperazione. Allora si abbandonava di nuovo alla sua sofferenza e al suo dolore degli altri giorni, per cui preferiva restarsene sempre reclusa nella sua camera. In quel luogo, i soliti angustianti pensieri di una realtà spietata si davano a tormentarla e se la divoravano senza alcuna pietà, frastornandole perfino il cervello. Anche il suo appetito, poco alla volta, era andato diminuendo; anzi, esso si era ridotto a tal punto, che la ragazza adesso mangiava meno di un pulcino. Per tale ragione, il suo peso, giorno dopo giorno, era andato calando a vista d'occhio, facendola apparire una larva.
Fino al giorno prima, l'emaciato aspetto e la cattiva cera della principessa avevano allarmato in modo preoccupante la sua nutrice, la quale avrebbe voluto anche parlarne con qualcuno. Ma con chi, se il sovrano di Dorinda si trovava a Casunna? In verità, più che quella del re Cotuldo, ci sarebbe voluta invece la presenza del viceré Raco! La donna aveva perfino pensato di rivolgersi al medico di corte, ma Lerinda glielo aveva proibito in modo categorico. La ragazza aveva preteso che nessuno venisse a conoscenza del suo precario stato di salute, non volendo essere obbligata a riferirne l'esatto motivo a chicchessia. I giorni precedenti erano trascorsi velocemente; ma ciascuno di essi aveva arrecato alla preoccupata Telda una sofferenza inesprimibile. Ciò, perché ella non sapeva cosa fare di più per la sua cara principessa e in che modo potere esserle utile e trarla dalla sofferenza che la stava torchiando.
Una volta nella camera di Lerinda, la nutrice non perse tempo a destarla, con l'intenzione di salutarla e di darle il buongiorno, com'era abituata a fare ogni mattina. Ma quando la giovane mise i piedi fuori dal letto, ella fu presa da un sussulto di spavento. Perciò non poté fare a meno di rimproverarla con le seguenti parole:
«Ahimè, ragazza mia, come ti sei dimagrita! Ti sei ridotta quasi ad uno spettro! Quindi, è inutile dirti che mi fai sul serio una gran pena! Possibile che tu non riesca a reagire e a scuoterti di dosso questa desolazione, che ti opprime? Essa, dopo averti fatta diventare anoressica, ti sta uccidendo fisicamente e spiritualmente! Da una parte, vieni sottoposta agli estenuanti sforzi fisici notturni, i quali ti provengono dai numerosi rapporti sessuali che sei forzata ad avere nei sogni con il tuo partner. Dall'altra, non ti rifocilli in modo adeguato, ossia con pasti abbondanti e sostanziosi, i quali potrebbero permetterti di recuperare le energie consumate durante le ore della notte. Se vuoi che te lo rinfacci, Lerinda, ebbene, tu mangi meno di un passerotto! Quando ti porto le succulente pietanze che preparo appositamente per te, tu le spilluzzichi appena! Dimmi: Hai forse deciso di morire di fame e di lasciarci tutti, comprese le persone che ti sono più care? Se è questo che preferisci, Lerinda, hai scelto proprio la strada giusta! Ma non te lo consiglio; anzi, ti ammonisco a recedere da questo tuo brutto proposito!»
«Può darsi, Telda, che io voglia morire e spegnere dentro di me ciò che mi rovina l'esistenza, dal momento che riesco a gustare la vita soltanto nei miei sogni. Al di fuori delle mie visioni oniriche, essa perde la sua fragranza e la sua bellezza. Insomma, va ad estinguersi nel vuoto, nel buio, nel nulla! Perciò non meravigliarti, se ti affermo che, a questo punto, posso fare a meno della mia vita, posso sbarazzarmene senza esitazione e senza rincrescimento. Anzi, posso metterci una pietra sopra e farla finita con essa una volta per sempre! Stando così le cose, perciò, non ti serve più soffrire, a causa del mio stato di salute, che mi rende il corpo smunto e privo di energie. Oramai la vita ha smesso di avere un senso per me e la morte può anche accomodarsi per portarmi via!»
«Le tue parole mi spaventano a non dirsi, mia diletta principessa! Ti proibisco di parlare come hai fatto poco fa. Ti prego di non farlo mai più, per favore! Ma hai cessato di pensare al tuo Iveonte? Lo sai che il suo dolore sarebbe immane, se egli non potesse più ritrovarsi fra le tue braccia ed assaporare i tuoi dolci baci? A questa evenienza hai pensato oppure no, Lerinda mia cara? Dimmi: Hai forse smesso di amarlo, per volere privarlo della tua compagnia per un tempo infinito?»
«Ma è proprio al mio ragazzo che penso, quando mi assalgono questi pensieri di morte, mia affezionata Telda! Non sai cosa darei, pur di risparmiargli la terribile delusione che presto egli proverà, non appena avrà conosciuto l'intera verità sul mio conto. Invece la mia morte aggiusterebbe ogni cosa, seppellirebbe con me tutti i miei sogni. Soprattutto essa terrebbe nascosti al mio eroico e retto Iveonte lo scorno e il disonore, dai quali sono rimasta incomprensibilmente lordata da qualcuno!»
«Vedo che non sai quello che dici, Lerinda. Tu vaneggi, farnetichi! Oh, quanto mi pento di averti consigliata di non parlare con il tuo Iveonte dei vostri sogni! Forse egli ti avrebbe aiutata a superare questo tuo difficile momento, sarebbe riuscito lì dove io ho fallito. Maledetto quel giorno che non assecondai il tuo proposito di aprirti al tuo ragazzo e ti sconsigliai dal farlo! Oggi, con molte probabilità, le cose ti andrebbero diversamente. In senso positivo, si intende! Sono sicura che non ti vedrei languire nel cagionevole stato di salute in cui versi attualmente. Invece ti scorgerei esprimere la massima felicità tra le braccia del tuo amato fidanzato! Quel giorno entrambe dimenticammo che tu eri venuta a vivere a Dorinda, poiché qui si sarebbe compiuto il tuo destino glorioso accanto al tuo insuperabile eroe, il quale ti ha anche salvata dal mostruoso Talpok. Ma, da due sciocche, non tenemmo conto della sua nobiltà d'animo; credemmo, perciò, che il sogno ti avrebbe messo contro di lui in modo irreparabile e lo avrebbe incattivito immensamente nei tuoi confronti! Allora sbagliammo di grosso, ragionando in quel modo!»
La conversazione fra le due donne terminò con l'autocritica di Telda, poiché la ragazza decise di non controbattere più le sue osservazioni, giuste od errate che fossero. Desiderò invece soffocare il suo sguardo in una ragnatela di lugubri pensieri di morte. Essi già iniziavano ad esternarsi, rendendosi manifesti sul suo volto e terrorizzando la sua disperata ed afflitta nutrice! La quale, dopo aver rassettato per bene la camera della principessa ed avervi ultimato pure le pulizie, le baciò una guancia, la salutò e se ne andò via. Altrove l'attendevano altri lavori domestici, i quali dovevano essere terminati, prima che giungesse mezzogiorno.
Così la ragazza rimase sola a tormentarsi. Oramai le facevano compagnia soltanto i suoi terribili pensieri, uno dei quali in continuazione la spingeva senza scampo direttamente sull'orlo del suicidio. Una volta immersa nella solitudine della sua camera, Lerinda si andò convincendo sempre di più che bisognava farla finita con la sua vita da inferno. Sì, dal momento che il sogno non poteva continuare anche nelle ore diurne, per risparmiarle i tormenti e le afflizioni che le provenivano da esse, allora era meglio porre termine alla sua dibattuta esistenza, annullandola definitivamente dentro e fuori di sé. Ma come giungere a quell'atto conclusivo del suo esistere sofferente, senza che provasse alcun dolore? Dopo averci riflettuto lungamente, ella stabilì di svenarsi, poiché, secondo lei, quell'atto risultava un modo di suicidarsi più semplice e anche indolore. Infatti, era sua convinzione che con lo svenamento la vita l'avrebbe abbandonata un poco alla volta, senza che neppure se ne accorgesse. Perciò, non appena si fu impossessata di un pugnale che aveva trovato nella sua camera, la ragazza non esitò ad avvicinare il filo dell'arma alle vene del suo polso sinistro, avendo deciso di reciderle con un taglio trasversale netto, servendosi dalla sua mano destra.
Quindi, ella era già sul punto di mettere in pratica quanto aveva stabilito, tenendo gli occhi ben serrati, allorché le giunsero dall'esterno le gioiose grida della sua nutrice. La donna si era data ad annunciarle ad alta voce e in preda alla gioia: "Lerinda, qui fuori ci sta il viceré Raco! Egli è giunto da poco con il re Cotuldo e non vede l'ora di riabbracciarti! Tra poco ti raggiungeremo nella tua camera, poiché stiamo arrivando!"
Un attimo dopo, la ragazza la vide anche irrompere nella sua stanza privata festosa e giubilante con il fratello prediletto, il quale la seguiva ad un passo. Scorgendo poi il pugnale nella sua mano destra, la donna, spaventatissima, si diede ad urlarle a gran voce:
«Cosa volevi fare, principessa mia!? Possibile che il tuo caro fratello Raco ed io non contiamo più niente per te? Vuoi proprio abbandonarci per sempre, lasciando nel nostro cuore un vuoto incolmabile? Assolutamente tu non puoi comportarti, come stai facendo! Devi invece reagire a quanto ti sta accadendo e ti sta tormentando. Inoltre, devi cercare di rimetterti in sesto e di ricominciare ad amare la vita, per dedicarti a noi due, che ti amiamo tanto e, per il tuo bene, faremmo chissà che cosa!»
Il principe Raco, che era alle costole della donna, essendosi reso conto anche lui di ciò che la carissima sorella stava per attuare, si affrettò a raggiungerla e a stringersela al petto. Poco dopo, venendo colto da una grande disperazione e mostrando anche degli occhi pieni di lacrime, incominciò a rivolgersi a lei con accenti pietosi:
«Lerinda mia cara, come hai potuto programmare la tua morte a mia insaputa? Come ti sei permessa di non farmi partecipe delle tue disgrazie e della tua sofferenza? Avevi dimenticato che hai sempre trovato in me il migliore amico, il consigliere fidato, nonché colui che ha sempre appagato ogni tuo capriccio? Oh, come ti sei ridotta malissimo, sorella mia! Ma che cosa o chi è stato la causa di tanta tua pena, la quale ti ha perfino spinta sul baratro del suicidio? Se vengo a sapere che è stata qualche persona a maltrattarti a tal punto, da spingerti ad odiare perfino la tua esistenza, ti giuro che non esiterò ad ucciderla. Dovesse trattarsi anche di nostro fratello Cotuldo! Allora, per favore, vuoi raccontarmi ogni cosa che ti riguarda, mia afflitta sorella?»
Vedendo poi che la stretta consanguinea non rispondeva affatto alle sue domande, ma badava soltanto a versare numerose lacrime di sconforto sulla sua casacca, il viceré Raco smise di fargliene altre. Invece pensò di rivolgersi alla sua nutrice. Per questo, mostrandosi ancora più preoccupato di lei, le domandò alquanto corrucciato:
«Dal momento che Lerinda si rifiuta di rispondermi, vuoi dirmi tu, Telda, che cosa sta succedendo alla mia povera sorella? Non l'ho mai vista ridotta in questo stato pauroso! Io debbo saperlo a ogni costo! Non posso restarmene con le mani in mano, se c'è qualcosa che posso fare per lei o se posso aiutarla in qualche maniera qualsiasi. Su, parla, per favore, e riferiscimi tutto quello che sai di lei, senza temere alcunché!»
«Anche se te lo dico, principe, lo stesso non potrai fare niente per lei, al fine di aiutarla. Come pure ti verrà negato di risollevarla e di farle recuperare la felicità perduta. Nessuno può fare qualcosa contro la sua afflizione, siccome essa non può essere rimossa dal suo animo in alcun modo. Per il quale motivo, te ne dovrai fare una ragione!»
«Perché non potrei essere utile alla mia cara sorellina, Telda!? Il medico le ha forse diagnosticato un morbo incurabile? Se questa è la causa del suo male, perché allora non ne sono stato informato da mio fratello Cotuldo, quando mi ha raggiunto a Casunna? Anzi, neppure dopo me ne ha parlato! Vuoi chiarirmi questo particolare, per favore?»
«Invece non si tratta di nessuna malattia, principe Raco. Da venti giorni, ogni notte, la principessa è succube sempre dello stesso sogno misterioso, il quale dopo non le dà pace durante l'intera giornata. Ma la sua sofferenza non gliela cagiona il suo contenuto, poiché esso le risulta gradito. Ciò che la ossessiona e non le dà tregua, è molto più complesso; possiamo dire che si presenta del tutto arcano ed insopprimibile!»
«Ti prego di spiegarti meglio, Telda! Voglio che tu mi dica con chiarezza quanto devo sapere su mia sorella e sul suo misterioso sogno notturno. Almeno così mi renderò conto in che modo potrò aiutarla a riacquistare la serenità che ha perso, quella che ho sempre scorto sul suo volto raggiante di vitalità! Mi hai inteso, una volta per tutte?»
Fu così che la nutrice di Lerinda si affrettò ad accontentarlo. Ella si diede a raccontare per filo e per segno al viceré Raco lo strano fenomeno che, da venti giorni a quella parte, puntualmente stava accadendo alla sorella, rendendola una sua vittima perseguitata. Terminata di riferirgli ogni cosa con molta chiarezza sulla travagliosa vicenda della principessa, la donna alla fine concluse, asserendogli:
«Principe Raco, ciò che sconvolge tua sorella non è il reale sogno in sé, che le risulta piacevole. Ma è il timore di venire a sapere che non è il suo ragazzo l'uomo che amoreggia con lei realmente durante la sua visione onirica. Teme invece che si tratti di un essere demoniaco e che questi prenda le sue sembianze, allo scopo di possederla con il suo beneplacito! È tutto qui il suo grande dramma, fratello di Lerinda!»
Il dettagliato racconto della nutrice fece raccapricciare non poco il viceré Raco. Lì per lì, egli restò come paralizzato, poiché non riusciva a trovare il modo per venire in soccorso della sorella. Non sapeva neppure prospettarle una via di uscita, al fine di tirarla fuori dalla sua enigmatica esistenza! Insomma, si trovò a gestire una situazione impossibile, la quale, a un tratto, era venuta a rendere la sua esistenza caotica e farraginosa, ma soprattutto immensamente spasmodica. Infine, dopo che ebbe fatto seguire una pausa di riflessione, il viceré chiese alla donna:
«Ma Lerinda si è mai sincerata se il suo ragazzo è coinvolto anche lui nei suoi sogni? Oppure, volontariamente, ha omesso di farlo? Da quanto mi hai raccontato, Telda, presumo che mia sorella a bella posta non glielo abbia mai voluto chiedere! Mi vuoi giustificare perché si è astenuta dal farlo, quando invece era suo dovere dirglielo fin dal primo giorno? Adesso che ci penso, come mai mio fratello Cotuldo non mi ha mai riferito che Lerinda aveva un fidanzato? Ciò mi stupisce enormemente!»
«Come hai supposto, illustre principe, ella deliberatamente non lo fece. In verità, fui io a sconsigliarla dal farglielo sapere. Adesso, per come si sono messe le cose, mi pento di averla dissuasa dal parlargliene, dopo aver fatto il suo primo sogno! Per giunta, non si è mai data al giovane l'opportunità di incontrarla. Gli facemmo perfino credere che Lerinda era venuta a trovarti a Casunna, siccome tu non stavi bene, e che vi sarebbe rimasta una ventina di giorni. Comunque, il suo ragazzo venne a trovarla quella mattina stessa, forse per domandarle appunto se anch'ella avesse sognato. Invece noi non gli demmo una simile opportunità, la quale probabilmente sarebbe risultata molto preziosa per la principessa tua sorella! Riguardo al fatto che il re tuo fratello ha omesso di parlarti del fidanzato di Lerinda, devi chiederlo a lui, che è la persona più indicata a darti la giusta risposta.»
«Non c'è dubbio, nutrice di mia sorella, che quel giorno tu e mia sorella commetteste un grave errore a non metterlo al corrente di tutto! Se egli ne fosse venuto a conoscenza, le cose si sarebbero messe diversamente! Quanto a mio fratello, mi stupisce il fatto che egli non mi abbia mai detto che Lerinda avesse un fidanzato! Scusami, se ho chiesto a te il motivo di tale sua omissione, siccome è a lui che dovrò domandare perché mai si è astenuto dal farlo, tenendomelo nascosto! Di ciò, quindi, egli dovrà rendermi conto, sebbene egli sia anche il mio sovrano! Ora, Telda, ti dispiace riferirmi il nome di questo giovane, il quale mi è del tutto sconosciuto? Mi farebbe molto piacere apprenderlo da te!»
Ma prima ancora che la sua nutrice aprisse bocca e pronunciasse il nome del suo fidanzato, Lerinda si preoccupò lei stessa di farlo sapere al fratello, il quale era in attesa di conoscerlo. Perciò, rimettendosi un po' in sesto, ella si affrettò a rispondergli:
«Raco, il mio ragazzo si chiama Iveonte! Egli è il mio tesoro e non c'è nessuno al mondo che possa uguagliarlo in tutti i sensi! Te lo garantisco, caro fratello mio! Perfino nostro fratello Cotuldo ne è al corrente.»
«Hai detto proprio Iveonte, sorella?!» interdetto, le chiese il viceré di Casunna. Egli non avrebbe mai voluto udire quel nome da lei, per una ragione soltanto a lui nota.
«Certo che è questo il suo nome, Raco! Oggi stesso o domani al massimo, egli verrà di sicuro ad informarsi se sono ancora tornata da Casunna. Allora lo conoscerai di persona. Io, però, mi vergogno di farmi trovare in questo stato commiserevole. Non vedi, fratello mio prediletto, che mi sono ridotta ad un filo? Come puoi renderti conto, il solo pensiero di avergli fatto del torto è bastato a farmi ridurre in queste condizioni! Figuriamoci poi se il mio Iveonte dovesse venire a mancarmi! Stanne certo, Raco, che ne morirei di dolore un attimo dopo, poiché non potrebbe essere altrimenti!»
«Non preoccuparti, Lerinda, per il tuo aspetto odierno. Se il suo amore per te è solo la metà di quello che tu provi per lui, non potranno esserci problemi. Al massimo, ti farà una bella ramanzina, per esserti trascurata abbastanza nel mangiare; nonché ti rimprovererà, per averlo tenuto fuori dalle tue disavventure e dalle tue angosce. È in questo modo che si comportano i veri innamorati! Perciò smetti di fare lo sciopero della fame e cerca di recuperare almeno in parte il tuo peso perduto, senza però divenire vittima della bulimia! Devi riacquistare pure un po' di colorito, se non vuoi che egli si spaventi, quando ti sarà di nuovo davanti! Comunque, a ciò penserà la tua brava cuoca Telda.»
«Grazie, fratello mio, per la comprensione che hai avuto verso di me! Non puoi immaginare quanto mi rallegrino le due cose, cioè l'averti vicino e il sapere che il tuo bene per me è rimasto immutato, ossia quello di sempre. Quando farai la conoscenza del mio Iveonte, vedrai che egli ti farà un'ottima impressione, non potendo essere altrimenti! Egli è un giovane fenomenale, ma anche molto buono!»
«Sì sì, sarà senza meno, come dici tu, Lerinda, se Cotuldo gli ha dato il permesso di frequentarti senza fare obiezione! Lo sappiamo entrambi come è fatto il nostro cervellotico fratello e come egli sa reagire a certe cose, quando non gli garbano!»
Poco dopo, scuotendo il capo, Raco aggiunse: "Ma..." Egli stava per dirle qualcos'altro; però si arrestò di botto, non volendo spaventare di più la cara germana e pregiudicare ulteriormente le sue già precarie condizioni di salute. A dire il vero, il fratello stava per palesarle che al suo caro Iveonte, da un momento all'altro, poteva succedere qualcosa di terribile e che perciò la sua vita era appesa ad un filo. Praticamente, essa stava per essere troncata da un evento inatteso. Purtroppo, ne era lui stesso il colpevole! Anche se era vero che la responsabilità maggiore di quella situazione era da imputarsi al fratello re. Costui, pur essendo al corrente che Iveonte era il fidanzato della sorella, non aveva esitato a metterlo in un bel pasticcio! Ma poi perché lo aveva fatto?
A Lerinda non piacque la brusca interruzione del fratello e lo obbligò a finire la frase che aveva iniziato, domandandogli:
«Che cosa intendevi dire, Raco, con quel tuo "Ma…", a proposito del mio fidanzato? Volevi forse aggiungere sul suo conto qualcos'altro, che non mi è apparso affatto tranquillizzante? Su, chiarisciti meglio con me, fratello! Dimmi tutto ciò che hai saputo oppure conosci su di lui! Anch'io ho il diritto di esserne messa al corrente, se ti riferivi a qualcosa che riguarda personalmente il mio Iveonte!»
«Sorella mia cara, non so come spiegartelo; ma il tuo fidanzato si trova in grave pericolo. Nostro fratello Cotuldo lo ha messo in un brutto guaio, se lo vuoi sapere, senza che egli ne sappia niente. Anzi, possiamo affermare in un guaio molto serio! Mi riesce difficile perfino a parlartene, così rischiosa è la vicenda, la quale tra poco lo riguarderà!»
«Vuoi dirmi, Raco, di che tipo di guaio si tratta, senza indugiare oltre?! Su, voglio conoscere la verità su quanto hai affermato! Visto che hai accennato ad esso, continua fino in fondo il tuo discorso, poiché a questo punto non puoi più tirarti indietro! Ma ti posso assicurare che nessuno può mettere il mio Iveonte in una situazione senza sbocco. Come pure nessuna circostanza potrebbe farlo ritrovare in qualche ostacolo insormontabile: tienilo bene a mente!»
«Se la tua fiducia nel tuo ragazzo è illimitata, come dimostri, Lerinda, staremo a vedere se essa rimarrà tale, anche dopo che ti avrò raccontato alcuni fatti, ai quali ho assistito di persona a Casunna! Comunque, sorella, dubito nel modo più assoluto che tu dopo possa pensarla identicamente a come stai facendo in questo istante!»
Così il viceré Raco si mise a narrare alla sorella dei fatti incredibili che erano accaduti a Casunna, ai quali aveva assistito insieme con il fratello Cotuldo e il suo consigliere Croscione. Ma essi, secondo lui, non sarebbero stati appresi da lei con gioia.
Una quindicina di giorni prima, era capitato a Casunna Korup, un guerriero invincibile, il quale era sempre rimasto imbattuto in tutti i suoi scontri, pur avendo avuto di fronte avversari temibilissimi. Infatti, il suo passatempo preferito era quello di peregrinare da una città all'altra, in cerca di coloro che si consideravano dei veri campioni nelle armi e nelle arti marziali. Anche se non erano loro a dichiararsi tali, ma erano gli altri a farlo al posto loro, per lui non cambiava nulla. Così, dopo averli cercati e scovati, egli li sfidava e li affrontava anche contro la loro volontà, uccidendoli senza pietà. Per questa ragione, Korup preferiva farsi chiamare "Ammazzacampioni", un nomignolo che aveva voluto affibbiarsi da sé stesso, ma che gli calzava a meraviglia. Stando alle sue parole, erano stati già settecentosettantasei i campioni finora da lui affrontati e massacrati. Gli ultimi dieci avevano fatto parte della guardia del corpo del viceré Raco ed egli li aveva voluti affrontare tutti insieme. Muovendo contro di loro degli attacchi fulminei e spietatamente feroci, li avevi trucidati l'uno dopo l'altro. Avevano assistito al loro eccidio pure il re Cotuldo e il suo braccio destro, lo spaccone Croscione. Ma quest'ultimo si era ben guardato dal proporsi come suo rivale e dallo sfidarlo! In quel combattimento, la furia di Korup si era rivelata simile ad un ciclone, il quale senza difficoltà riusciva a sconquassare e ad abbattere ogni cosa con la sua turbolenta spirale d'aria. Mentre combatteva contro i suoi uomini, a un certo momento, tutti e tre avevano avuto l'impressione che egli fosse invulnerabile. Infatti, una sua ferita, dopo essergli stata inferta da uno dei suoi campioni, era stata vista rimarginarsi all'istante.
Allora, essendo rimasto ammirato a causa delle sue straordinarie doti di invincibile guerriero, dopo che egli aveva fatto fuori l'intera sua guardia del corpo, il principe Raco aveva voluto ospitarlo nel suo palazzo per l'intero suo soggiorno in città. Esso era durato per l'intera permanenza a Casunna del re suo fratello. Era stato in quella circostanza che i due autorevoli germani erano stati spinti a combinare il grande pasticcio, a causa del quale adesso si stava facendo camminare Iveonte sul filo del rasoio. Insomma, per non tirarla troppo per le lunghe, il principe Raco e suo fratello avevano deciso di giocarsi le loro scuderie, organizzando uno scontro tra Korup e il fidanzato della sorella, nel quale ella riponeva la massima fiducia. Quanto ai loro patti, essi erano stati i seguenti: se avesse vinto l'Ammazzacampioni, della cui vittoria il viceré era più che certo, egli sarebbe entrato in possesso della scuderia di suo fratello. Se invece Iveonte avesse sconfitto Korup, Cotuldo sarebbe divenuto proprietario di quella sua.
Dopo aver raccontato ogni cosa alla nobile consanguinea, il viceré Raco si diede a parlarle in questo modo:
«Adesso ti sei resa conto, sorella cara, di come stanno realmente le cose e quale rischio sta correndo a sua insaputa il tuo fidanzato? Solamente una persona dissennata potrebbe non comprenderlo!»
Ma poi con l'intenzione di scusarsi con la sorella, egli aggiunse:
«Voglio chiarirti un particolare, Lerinda. Quando io ho proposto la scommessa a Cotuldo, ero all'oscuro del fatto che Iveonte fosse il tuo ragazzo, poiché mio fratello non me lo aveva fatto presente. Altrimenti, neanche per tutto l'oro del mondo, avrei organizzato una scommessa del genere, visto che essa avrebbe potuto gettare la mia sorellina nell'angoscia più disperata! Non capisco, però, come mai nostro fratello abbia acconsentito alla mia proposta, pur avendo visto Korup in azione! Comincio proprio a credere che egli, quando l'ha accettata, mirasse proprio a disfarsi del tuo innamorato, anche a costo di rimetterci la sua magnifica scuderia! Lo stesso fatto di non avermi mai parlato di voi due me lo fa credere con convinzione. Perciò, non appena mi incontrerò con lui, sarà la prima cosa che gli rimprovererò e farò tutto il possibile per disdire lo scontro!»
Quando il viceré Raco ebbe terminato di parlare, Lerinda, senza mostrarsi minimamente atterrita, volle rifarsi alla sua ultima osservazione, ossia quella che aveva riguardato il loro fratello Cotuldo. Perciò, oltre a dargli ad intendere che la condivideva appieno, si preoccupò anche di aggiungere qualcos'altro in merito alla sfida, chiarendogli:
«Può darsi, Raco, che tu abbia perfettamente ragione! Oramai conosciamo benissimo nostro fratello e sappiamo quale follia si annida nel suo cervello! Ma debbo darti una brutta notizia: presto egli verrà in possesso della tua scuderia! Cotuldo, purtroppo per te, sta giocando la sua partita vincente! Se adesso egli mi stesse ascoltando, mi direbbe che sarebbe la prima volta che sono contro di te, essendomi schierato dalla sua parte. Comunque, stando le cose come me le hai raccontate, comincio a capacitarmi che egli preferirebbe più perdere la scommessa anziché vincerla! Te ne do atto!»
«Volesse il cielo, Lerinda, che la tua fiducia nel tuo ragazzo corrispondesse al vero! Per la tua felicità, non so che cosa darei! Sarei disposto a perdere anche cento scuderie! Ma non riesco a convincermi che ci possa essere un guerriero più forte dell'invincibile Korup. Egli impersona la forza del male e lo stesso suo volto atterrisce chiunque si trovi al suo cospetto. Perciò devo cercare di scongiurare ad ogni costo questo scontro tra lui e il tuo Iveonte. Dirò a Cotuldo che intendo ritirarmi dalla scommessa e che, se vuole, potrà prendersi ugualmente la mia scuderia, anche senza che lo scontro abbia luogo. Ho timore, però, che, se nostro fratello accetterà la mia proposta per non apparire colpevole agli occhi di noi due, sarà invece Korup a non volere rinunciare al combattimento. Egli ha appreso da Cotuldo che il tuo Iveonte è un campione e perciò farà il diavolo a quattro per sfidarlo ed ucciderlo, pur contro la sua volontà! Quindi, sorella, dovrai rassegnarti alla sua morte!»
«Fratello Raco, non sono d'accordo con te. Perciò desidero che il mio Iveonte affronti questo Korup, essendo certa della sua vittoria. Inoltre, egli non è la persona disposta a sfuggirgli, una volta che verrà messo al corrente della sua malvagità. Sarà lui stesso a cercarlo e ad abbatterlo. Sappi che, se Korup impersona la Forza del Male, il mio Iveonte impersona la Forza del Bene. E tutti sappiamo che quest'ultima ha finito sempre per stravincere e prevalere sulla prima. Vedrai che il mio ragazzo libererà il mondo dalla pestifera presenza di un simile mostro e spezzerà la sua lunga catena di efferati delitti perpetrati nel male. Inoltre, devi sapere che Iveonte ha già messo in fuga il Talpok. Si tratta del mostro più spaventoso e più temibile che ci possa essere sulla terra! Egli non ha esitato ad affrontare quell'essere terribile per liberarmi da esso. Dopo avermi rapita, il Talpok mi stava portando via sottoterra, dove si trova la sua dimora tenebrosa. Ma Iveonte, affrontandolo e salvandomi, non glielo ha consentito!»
«Lerinda, ho l'impressione che tu sragioni in questo momento e non sappia ciò che dici. Sarà il tuo infimo indebolimento a privarti del lume della ragione. Per questo non intendo darti ascolto e farò il possibile perché non accadano delle cose, le quali poi potrebbero trafiggerti il cuore e troncarti l'esistenza. Adesso, quindi, corro immediatamente da nostro fratello Cotuldo e gli farò presente che ho deciso di ritirarmi dalla scommessa, che ho fatta con lui a Casunna. Inoltre, gli rinfaccerò che non avrebbe mai dovuto mettere a repentaglio la vita del nostro futuro cognato, avendo dimostrato con tale sua azione iniqua di non tenerci per niente a te. Nel frattempo, tu vèstiti, riòrdinati e rifocìllati a più non posso. Se non vuoi deluderlo troppo, soprattutto pensa a farti un pochino più guardabile, prima che arrivi il tuo adorato fidanzato!»
Così dicendo, il principe Raco si congedò dalle due donne per andare a parlare con il fratello. Ma prima aveva raccomandato alla nutrice Telda di aiutare la diletta sorella a curare il suo look; nonché di preparare qualcosa di appetitoso da farle mettere sotto i denti. Il viceré di Casunna non voleva che il suo futuro cognato trovasse la sorella nelle condizioni in cui versava in quel momento, siccome esse la rendevano fisicamente tutt'altro che bella. Perciò, a suo parere, al più presto occorreva renderle il macilento corpo e lo scarno aspetto almeno un tantino presentabili!