96°-LA NUOVA FAMIGLIA DI IVEONTE

Ben presto i primi chiarori dell'alba stemperarono il denso delle tenebre e resero appena visibile l'ultimo persistente baluginio di alcune stelle solitarie. Esse tardavano a morire, poiché si mostravano riottose a lasciare la volta celeste. Subito dopo, però, l'aurora, simbolo del candore, fu infranta dai primi raggi dorati del disco solare, i quali si affrettarono ad attraversarla e ad incendiarla con il loro fulgore superbo e dilagante. Fu allora che il radioso sole si scorse, mentre si alzava gradatamente all'orizzonte, quasi stesse emergendo da un profondo abisso. Allora esso dapprima indorò le superbe cime dei monti e poi irradiò profusamente le valli assonnate, penetrando nei loro angoli più riposti. Quando infine si adagiò sulla boscaglia, iniziò ad addentrarsi pure tra i rami degli alberi, riuscendo ad illuminare parzialmente il sottobosco.

A quel punto, la natura si ravvivò, diventò nitida dappertutto, si liberò definitivamente di ogni residuo torpore notturno e si arricchì di una gaia vitalità. Perciò la foresta fu vista ridestarsi e ritornare alla sua intensa attività diurna. Infatti, si ridiedero a riecheggiarvi gli ululati, i ruggiti, i bramiti ed altre strane voci, i quali avevano smesso di esistere la sera precedente ma che ora ritornavano all’esistenza con prorompente vigore. Nella foresta adesso si muovevano miriadi e miriadi di esseri dalle dimensioni e forme diverse, i quali incominciarono ad apportare ad essa quella vita che fino ad alcuni attimi prima risultava ancora spenta. In tale ambiente, però, il clamore più chiassoso veniva prodotto dalle vivaci catarrine. Esse felicissime avevano ripreso a ruzzare sui rami degli alberi, senza alcuna sosta e con lena infaticabile. Da parte sua, avendo recuperato le varie idee che aveva accantonato la sera precedente nel dimenticatoio della notte, pure l’uomo si decise a riassettarle alla meglio. Ottenuto il loro riassetto, in breve tempo, egli riprese il suo deposto affanno quotidiano per mantenere gli impegni presi il giorno prima, dai quali non si era ancora liberato in modo permanente.

Dimorava nella foresta un uomo, la cui età sfiorava la cinquantina d'anni. Un ragazzo di sette anni, che egli aveva salvato sette anni addietro dalle fauci di una tigre, gli faceva compagnia. Entrambi abitavano in una casetta accogliente, costruita dalla persona adulta in mezzo ad un'ampia radura con tronchi d'alberi. Durante il giorno, mentre l'uomo accudiva alle faccende di casa e si dava a procacciare la selvaggina da cucinare, il ragazzo portava a pascolare nelle vicinanze il loro piccolo gregge. Il quale era composto da pochi capi, che erano i seguenti: trenta pecore, due arieti e otto agnellini. Alla prima comparsa dei tiepidi raggi del sole nascente, l'uomo si svegliò. Così non perse tempo a lavarsi, a rivestirsi e a fare colazione. Dopo, preso con sé l'arco e il turcasso con le frecce, si condusse fuori dell'abitazione. Prima di richiudere la porta, egli non dimenticò di rivolgersi al ragazzo e di esclamargli:

«Svégliati, Francide, perché fuori è già mattino e il sole illumina ogni cosa! Dopo che ti sarai alzato ed avrai consumato la colazione, conduci il gregge al pascolo prima possibile. Non occorre ricordarti che le pecore prediligono l'erba, quando è ancora ricoperta di rugiada. Perciò, ragazzo mio, cerca di non attardarti a letto ed evita di fare il solito dormiglione!»

Il fanciullo, che non dormiva ma era intento a fantasticare con la sua vivida mente su tanti progetti fantasiosi, immediatamente gli rispose:

«Non preoccuparti, Babbomeo! Vai pure tranquillo a caccia, poiché so benissimo ciò che devo fare! Inoltre, tengo a precisarti che non sono un dormiglione, come poco fa mi hai dipinto! Vedrai che sarò sollecito ad alzarmi! Tra meno di qualche minuto, sarò anch'io all’esterno della nostra casa! Spero solo che ti sarai ricordato che stamattina ho intenzione di non prendere il latte, ma mangerò pane e formaggio. Ti rammento che ieri, poiché te ne sei scordato, mi hai costretto a digiunare!»

«Stai tranquillo, Francide, perché oggi, al contrario, me ne sono ricordato! Esso ti sta già aspettando sul tavolo bell'e affettato, accanto alla pagnotta di pane, la quale è fresca di ieri. Ti raccomando di mangiare ogni cosa, senza lasciare neppure una briciola sul tavolo. Altrimenti ti sarà difficile diventare grande quanto me, come tanto desideri! Inoltre, non darti pensiero, se prima ti ho affibbiato il nomignolo di dormiglione, visto che stavo solamente scherzando!»

Il nome, che il fanciullo dava al suo convivente adulto, era stato inventato da lui di sana pianta. Ecco perché l'uomo, ossia Babbomeo, ogni volta che si sentiva chiamare con quell’appellativo simpatico, se ne rallegrava moltissimo, perché esso aveva un’assonanza con "babbo mio".

La matura persona, dopo avere attraversato la radura, scomparve in poco tempo nell'interno della vicina boscaglia. Francide, da parte sua, per non venir meno alla parola data a chi si prendeva cura di lui, all'istante si alzò dal suo giaciglio. Dopo, sebbene avesse gli occhi ancora assonnati, si rifocillò velocemente ed uscì dall'abitazione. Una volta all'esterno di essa, intanto che se la sbadigliava e faceva sgranchire le varie membra del suo corpo, egli si diede a respirare la frizzante aria mattutina con avidi bocconi. Eseguiti infine tali movimenti istintivi, il ragazzo si diresse verso l'ovile, il quale era situato all'ombra di un albero dalla chioma diradata. Quando lo ebbe raggiunto, egli sollevò la sbarra che permetteva al cancelletto del recinto di aprirsi e consentì alle simpatiche bestie di uscirne senza difficoltà. Allora esse, ritornate ad essere libere, smisero di belare e si sparpagliarono tra l'erba intrisa di guazza. Il loro piccolo pastore, invece, giulivo come sempre, reggendo un bastoncino con una mano, le seguiva canterellando e facendo molte capriole.

Non si sa perché, ma quella mattina egli si sentiva particolarmente felice: quasi andasse incontro da una gradita sorpresa! Difatti Francide aveva appena percorso circa duecento metri, allorché ricevette la visita di un grazioso cerbiatto. Quando però tentò di avvicinarlo per acchiapparlo, esso fu preso dal timore e scappò via di corsa. Ma il ragazzo, avendo designato la bestiola come il compagno ideale delle sue tediose ore di pascolo, non si diede per vinto. Perciò si mise ad inseguire il piccolo cervo con una singolare pertinacia. Nel lungo inseguimento, però, egli non si accorse neppure di avere oltrepassato la radura e di essersi addentrato nel folto della foresta. Invece Babbomeo gli aveva sempre vietato in modo tassativo di prendersi una libertà del genere. Quel divieto gli era stato imposto dall'uomo, poiché temeva che Francide potesse imbattersi in qualche belva affamata. Essa senza dubbio non si sarebbe fatta scrupolo di ricavare dal suo corpo un pasto sostanzioso.

Com'era da prevedersi, la rincorsa del ragazzo non poteva che risultare vana, siccome la bestiola aveva il doppio delle gambe e, per giunta, le aveva anche più veloci delle sue. Anzi, non si accorgeva neppure che lo spaventato animale lo stava distanziando sempre maggiormente. Ma ciò nonostante, senza curarsi del suo respiro affannoso, Francide continuava a correre pazzescamente tra i numerosi filamenti erbacei ed arbustivi. Questi, oltretutto, facendolo incespicare e ruzzolare per terra parecchie volte, gli ostacolavano una corsa che potesse definirsi almeno soddisfacente. Alla fine, intanto che si dava a correre a perdifiato, Francide si trovò all'improvviso presso il corpo di un suo coetaneo. Il quale, giacendo supino sul manto erboso, se la dormiva beatamente.

A quell'apparizione, egli smise di badare al cerbiatto, che stava rincorrendo da molto tempo; anzi, lo dimenticò del tutto. Invece rimase incantato ai piedi del biondo fanciullo dormiente. Nel frattempo, vagava con la mente chissà dove. Stando poi presso di lui, Francide si rallegrava tantissimo per aver trovato finalmente un vero amico di gioco, trattandosi di un bambino uguale a lui. Quando poi lo ebbe squadrato da capo a piedi, egli decise di raggiungere alla svelta il suo Babbomeo. Così lo avrebbe pregato di andare a raccogliere il fanciullo dai capelli fulvi e ricciuti, il quale gli stava davanti ed era immerso in un sonno profondo. Comunque, il ragazzo sperava tanto che il suo amico adulto accettasse di ospitarlo nella loro accogliente abitazione. Una volta raggiunta la sua dimora, Francide la trovò vuota, poiché Babbomeo non era ancora tornato dalla caccia. Allora, in attesa che l'uomo si rifacesse vivo, si sedette sopra un ceppo, dove si diede ad attenderlo con impazienza.

Era trascorso appena una mezzoretta che lo aspettava, allorquando Francide scorse da lontano Babbomeo, il quale, come al solito, ritornava dalla caccia carico di parecchia selvaggina. Egli avanzava verso la loro abitazione fischiettando e barcollando. Era facile intuire che l'uomo fosse di buonumore, per essere riuscito a procurarsi quel giorno una cacciagione abbondante. Per questo, nel rincasare, egli non vedeva l'ora di cuocerne una parte allo spiedo e di essiccare quella che non sarebbe stata consumata in giornata.

L’uomo, appena scorse il ragazzo seduto presso la loro abitazione, si stupì abbastanza ed esclamò fra sé e sé: "È mai possibile che Francide non ha ancora condotto le pecore al pascolo?" Allora si imbronciò e stabilì di fargli una ramanzina coi fiocchi. Quando poi lo vide andargli incontro correndo, in preda ad un giubilo fuori del comune, egli fu indotto a figurarsi che gli fosse successo qualcosa di bello. Ma cosa? Magari gli era capitato tra le mani un oggetto mai da lui visto, non sapendo spiegarsi la gioia del ragazzo in un modo diverso. Poco dopo, addirittura egli sentì il ragazzo gridare ansante e gioioso, intanto che continuava ad andargli incontro correndo come una freccia:

«Babbomeo, là sull’erba ho visto… Sì, l'ho proprio visto con questi miei occhi… Egli adesso è ancora lì che dorme… Insomma, bisogna far presto a raggiungerlo e a farlo venire nella nostra casa!»

L'immensa gioia, però, bloccandolo psicologicamente, continuava ad impedirgli di terminare ogni volta la frase appena iniziata, rendendogliela perciò smozzicata. Per il qual motivo, non gli lasciava dire che cosa volesse oppure cosa avesse visto realmente sull'erba.

«Ti decidi a dirmi, una volta per tutte, ciò che hai visto, ragazzo benedetto?» lo aiutò a dire l'uomo, curioso e fremendo di apprenderlo «Ti chiedo cosa mai tu abbia potuto vedere da queste parti di così interessante, da produrre in te tanta emozione. Allora mi fai il favore di esprimerti chiaramente e di farmi cessare di stare in ansia?»

«Nella foresta ho visto un fanciullo della mia stessa età. Egli è disteso supino sull’erba e se la dorme!»

«Tu farnetichi, ragazzo mio!» lo contraddisse Babbomeo «Sì, senz'altro starai sognando, poiché sono convinto che non è possibile una cosa del genere! Da quando in qua i tuoi coetanei hanno iniziato a trasferirsi nella foresta, allo scopo di farsi una bella dormita? Forse essi non fanno ancora in tempo a nascere e già si sentono dei temerari? Neanche per immaginazione posso credere ad una cosa simile! Per questo, caro Francide, ci tengo a ripeterti che stavi sognando ad occhi aperti, quando hai creduto di esserti imbattuto in lui!»

«Invece, Babbomeo, l'ho veduto davvero con i miei occhi senza sognare!» insistette il minore, quasi incaponito «Mentre parliamo, egli si trova sicuramente ancora là, quasi ad un migliaio di passi dalla radura! Speriamo che nel frattempo egli non si sia svegliato e non se ne sia andato per i fatti suoi! Tu devi venire subito con me a prenderlo e a condurlo nella nostra abitazione! Se non lo sai, tengo a farti presente che l'ho già scelto quale mio compagno di gioco!»

«A proposito, Francide, se ti avevo proibito di inoltrarti nella foresta, mi dici come hai fatto a scorgerlo dalla radura? A quanto pare, stamattina hai voluto fare di testa tua, disubbidendomi e addentrandoti nel folto della foresta! Avanti, cos'hai da rispondermi, a questo proposito? Mi vuoi spiegare perché ti sei allontanato? Attendo la tua risposta!»

«Invece, Babbomeo, sono io a chiederti che discorsi sono questi! Io vengo ad annunciarti che nella foresta, a pochi passi dalla nostra casa, c'è un bambino grande quanto me che dorme; mentre tu, anziché farti prendere dalla gioia e precipitarti da lui per raccoglierlo da terra e soccorrerlo, portandolo anche nella nostra casa, ti metti a rinfacciarmi che ho trasgredito il tuo ordine! Ti sembra normale, da parte tua, assumere un atteggiamento del genere? Anzi, è stata una fortuna, se per una volta non ti ho ubbidito! Altrimenti, mi sai dire come avrei fatto ad incontrare il solitario ragazzo, il quale presto diverrà mio amico? Perciò dovresti anche scusarti con me e ringraziarmi, per aver trovato nella foresta un ragazzo, il quale è intento a dormire tutto solo sull'erba!»

«Hai proprio ragione, Francide! Quindi, ti prego di perdonare la mia brusca reazione. Pensa un poco se fosse stato vero quanto mi hai riferito! Mio dovere sarebbe stato esclusivamente quello di badare a trarre dai guai il malcapitato, senza mettermi a tirare in ballo cose che, a paragone, risultano alla fine delle vere bazzecole. Comunque, ti prometto che ciò non mi capiterà una seconda volta!»

«Ti ringrazio per il tuo ravvedimento, Babbomeo. Resta il fatto, però, che il bambino da me trovato sta davvero nel luogo dove ti ho specificato e non è affatto il frutto di una mia fantasticheria! Ecco perché, siccome egli sta aspettando che andiamo a prenderlo e a condurlo nella nostra abitazione, non comprendo perché indugiamo ancora a farlo!»

Alla fine Francide tanto fece e tanto insistette, che obbligò Babbomeo a dargli retta e a seguirlo; ma solo per quieto vivere, poiché non voleva metterselo contro. A dire il vero, l'uomo, continuando a restare della convinzione che il ragazzo aveva avuto le traveggole, intendeva dimostrargli di aver preso lucciole per lanterne. Ma ben presto sarebbe stata la sua incredulità a trasformarsi in una grande stupefazione, oltre che in un forte sdegno. Anzi, finì per incavolarsi in modo incredibile.

Quando essi giunsero sul posto, per fortuna il bambino era ancora lì che se la dormiva placidamente. Allora l'uomo si meravigliò a non dirsi, per cui gli toccò fare le seguenti considerazioni: "Accidempoli! Il ragazzo qui c'è sul serio e dorme tranquillo sull'erba! È mai possibile? Sogno forse anch'io? Posso avere ancora dei dubbi su di lui, dopo che l'ho visto con i miei stessi occhi? No, certamente, se non voglio considerare anche me un autentico sognatore!" Nello stesso tempo, Babbomeo, osservando la bionda chioma del piccolo dormiente, non riusciva a fare a meno di maledire l'essere infame, il quale perfidamente aveva abbandonato in pasto alle fiere il prodigioso fanciullo. Con tale suo comportamento malvagio, egli aveva dimostrato di avere avuto un coraggio così maledettamente barbaro, da meritarsi il massimo disprezzo. Intanto che egli si lamentava, l'ignominioso fatto lo sdegnava, lo sgomentava e gli faceva accapponare la pelle. Visto poi che il trovatello della foresta mostrava ancora un sonno profondo, Babbomeo ritenne cosa giusta non destarlo. Perciò, dopo averlo sollevato da terra con molta cura, se lo aggiustò per bene sopra le sue braccia robuste. Infine egli si incamminò verso il loro domicilio. Francide, da parte sua, non smetteva di gironzolargli intorno assai felice, a mo' di un curioso fringuello.

Strada facendo, l'uomo non smetteva di pensare tra sé: "Già, non mi sono io sposato con la signora foresta, essendo venuto ad abitare a casa sua? Dunque, è giusto che essa mi procuri anche dei figli. Ma voglio pregarla di non esagerare nel procacciarmeli! In questo modo, eviterà di rendermi la vita esageratamente burrascosa!" Quando infine raggiunse la loro casa, l'uomo, non desiderando ancora svegliare il fanciullo, si limitò ad adagiarlo sul suo ruvido giaciglio. Ciò fatto, egli uscì fuori dal loro confortevole abitacolo. Invece Francide, che non smetteva di togliere i propri occhi lucidi ed espressivi dal ragazzo della foresta, vi rimase a fargli la sua muta compagnia. Il poveretto non riusciva a darsi pace; era impaziente di vederlo svegliarsi al più presto e darsi a giocare con lui all'aperto, facendo insieme salti e capriole di ogni genere.


A pranzo avvenuto, quando il mezzodì era passato da qualche ora, nei dintorni la canicola aveva incominciato a tiranneggiare, fino a diventare di una insopportabilità snervante. Perciò le ore pomeridiane trascorrevano lente ed afose, oltre che annoiate dal monotono frinire delle cicale. Babbomeo allora preferì andarsene a fare la siesta all'ombra di un gigantesco albero, con la schiena appoggiata contro il suo spesso tronco. In verità, egli sovente veniva attirato in quel posto, oltre che dalla sua modica frescura, soprattutto da una lieve ventilazione, la quale vi giungeva gradevole. Lì sotto, riuscendo essa a spirare in qualche modo, gli procurava alquanto refrigerio.

Da quando l'uomo si era dedicato alla sua solita siesta, erano trascorse appena un paio di ore, le quali lo avevano visto assopirsi beatamente. Era stato a quel punto che Francide gli interruppe il beato sonnecchiamento. Uscito all'improvviso dall'abitazione, egli corse verso di lui, mettendosi a gridare forte: "Il ragazzo! Il ragazzo!" A quel grido, Babbomeo, che si mostrava ancora insonnolito, sussultò. Dopo invece si diede al seguente monologo: "Che?! Francide ha forse trovato qualche altro bambino? Allora dico che non è giusto; anzi, è sbagliato al cento per cento! Credi tu, cara foresta, che io sia un bambinaio? Se mi reputi tale, stai proprio nel torto! Sappi che, per tua norma e regola, due bambini sono già troppi per me! Accetto volentieri quello che sta dormendo, poiché è molto grazioso. Ma quest'altro, che ora mi mandi, dallo pure a chi vuoi tu, poiché non so come gestirlo. Anzi, fammi il favore di averne cura tu, al posto mio!"

L'uomo aveva appena terminato il suo breve soliloquio, allorché Francide, mostrandosi tutto gongolante, si espresse con chiarezza, mentre gli esclamava: "Il ragazzo con i riccioli ha aperto gli occhi, Babbomeo! Egli si è svegliato!" Allora quelle poche parole risuonarono talmente dolci all'orecchio dell'uomo, che lo fecero svegliare completamente. Inoltre, lo sollecitarono a lanciarsi verso l'ingresso dell'abitazione, mostrandosi emozionato come non mai. Correndo poi in quella maniera, egli si teneva stretto per mano il piccolo Francide. Una volta che ebbero messo piede nell'interno della loro casa, Babbomeo si trovò di fronte al trovatello, il quale aveva smesso di dormire da poco. In quel momento, il fanciullo si mostrava desto e si stava stropicciando ripetutamente gli occhi, che apparivano ancora semichiusi ed imbambolati.

Non appena l'uomo gli si trovò davanti, esultante di gioia, il ragazzo si diede ad esclamargli: "Oh, babbo! Oh, babbo!" Invece, un attimo dopo, quelle grida gioiose persero ogni vigore tra le labbra vermiglie del piccolo ospite, non trovando familiari né l'uomo né l'umile dimora che l'ospitava. Egli si era ingannato, poiché non aveva mai visto l'uomo che era arrivato in quell'istante, per cui dopo lo fissava con occhi stravolti. Non sapeva neanche cosa dire e cosa fare, siccome si sentiva così terribilmente prigioniero di quella circostanza, che non osava esprimersi in alcun modo. Comunque, qualche istante dopo, bastò che il suo sguardo si posasse sul coetaneo Francide, perché ogni cosa cambiasse per lui di botto. Infatti, una volta che lo ebbe scorto, una fiduciosa speranza venne a nascere nel suo animo, essendo sicuro di aver trovato un compagno di gioco con cui divertirsi in seguito. Come più tardi ci si poté rendere conto, i due ragazzi, dopo aver familiarizzato l’uno con l’altro, già stavano giocando insieme sul prato antistante alla loro dimora, mostrandosi entrambi in preda all’allegria più grande. Oh, come fanno presto i fanciulli a stringere una sincera amicizia, senza ricorrere a convenevoli e a cerimonie di alcun tipo; ma solamente facendosi spingere dalla voglia di giocare! Non ci dimentichiamo che essa, quando è sincera, è la cosa più bella che possa esserci in questo mondo!

Sorpreso due sere prima da un magico sonno, Iveonte aveva dormito per lungo tempo, esattamente per un giorno e mezzo. Ma dopo che si fu svegliato, non ricordava più nulla di tutto quanto lo riguardava. Egli aveva dimenticato perfino il suo nome ed ogni altra cosa che aveva interessato la sua esistenza passata. Addirittura per lui non esistevano più la sua famiglia, la sua città e tutte le persone che aveva conosciuto fino a due giorni prima. Si ritrovava soltanto con una fame da lupo, la quale lo spingeva a mangiare ingordamente. Quel suo improvviso vuoto di memoria, in un certo senso, gli era valso a superare l'impatto con la nuova realtà, senza subire alcun trauma psichico. Non riconoscendosi più come il bambino che era stato fino a due giorni prima, gli era anche risultato normale trovarsi sdraiato sul rozzo giaciglio di quella specie di casa, la quale si presentava a struttura in legno. Essa, se la si voleva descrivere bene, risultava interamente rustica e disadorna.

Così il principino, rimasto vittima di un'amnesia localizzata, la quale gli impediva di riandare con la mente sia al suo passato remoto che a quello recente, dovette a poco a poco acclimatarsi alla differente realtà e al suo diverso modo di vivere, quello che adesso il nuovo ambiente gli offriva. Ma l’attuale vita avrebbe avuto un effetto assai salutare sul corpo e sullo spirito del ragazzo, siccome sarebbe stata più libera e più spensierata, più dinamica e priva del rigore imposto dall'etichetta di corte. La qual cosa immancabilmente lo avrebbe fatto crescere più agile nei movimenti, più sodo nelle carni, più gagliardo nel corpo, con fibre muscolari più elastiche e quasi d'acciaio. In una parola, avrebbe promosso in lui uno sviluppo psicofisico eccellente e lo avrebbe arricchito di una prestanza fisica invidiabile, che in nessun altro posto il ragazzo avrebbe potuto procurarsi. Nello stesso tempo, anche il suo spirito ne avrebbe tratto giovamento, considerato che egli sarebbe cresciuto più autonomo, più intraprendente, più riflessivo. Inoltre, grazie alle eccezionali doti di educatore del fisico e dell'animo possedute da Babbomeo, il quale per giunta era un impareggiabile maestro d'armi e di arti marziali, Iveonte avrebbe acquisito ingenti doti fisiopsichiche e spirituali. Esse, perciò, lo avrebbero reso ben presto come nessun altro, ossia un uomo tanto forte e temerario, quanto nobile, giusto e magnanimo. In quella maniera, nessun'altra persona, a parte Francide, si sarebbe potuta paragonare a lui, sotto i diversi aspetti della vita.