96-I MISTERIOSI SOGNI D'IVEONTE

Era da alcuni giorni che Iveonte, pur vivendo dei momenti dolci e meravigliosi nella sua interiorità, agli occhi dei suoi amici appariva sempre meditabondo. In un certo senso, si mostrava un po' assente dalla realtà che lo circondava, come se il suo pensiero fosse inchiodato su qualcosa che gli altri non riuscivano assolutamente a comprendere. Francide e Astoride, in verità, non avevano dato alcun peso allo strano atteggiamento del loro compagno e continuavano a non darglielo. Entrambi, ben lungi dal conoscere i veri fatti, attribuivano il suo insolito atteggiamento all'intenso amore che stava vivendo con la sua Lerinda. Il quale non smetteva di farlo pensare a lei, siccome l'amava perdutamente. Secondo loro due, era risaputo che a volte la passione amorosa produceva negli innamorati una specie di rimbambimento e li presentava agli altri come assenti dalla realtà circostante.

Lucebio, da parte sua, se all'inizio l'aveva pensata alla stessa maniera dei suoi due amici, vedendo poi che quel comportamento del giovane si dilungava più del normale, smise di trarre le loro medesime conclusioni e cominciò a preoccuparsene sul serio. Egli, dopo averlo studiato più approfonditamente, alla fine ne lesse i reali moti dell'animo. Allora comprese che non si poteva dire di lui che si stava lasciando andare, soltanto perché era innamorato. A suo parere, giammai Iveonte si sarebbe fatto asservire dall'amore nel modo che gli stava succedendo. Egli, al contrario, avrebbe seguitato ad assumere verso tale sentimento un atteggiamento fiero, per cui giammai sarebbe stato remissivo ed annientatore della propria personalità. A suo giudizio, doveva essere qualcos'altro a non dargli né pace né tregua, fino a tenerlo immobilizzato in una girandola di pensieri sempre identici. I quali erano solamente in grado di agitarsi in un complesso labirinto senza uscite. Perciò il saggio uomo concluse che, non appena gli fosse capitata la buona occasione, avrebbe chiesto al giovane pensieroso quale evento lo faceva preoccupare inspiegabilmente in quella maniera incredibile. Inoltre, a causa loro, egli se ne restava a meditarci sopra per delle ore, senza interessarsi a sufficienza agli altri fatti che gli accadevano intorno.

Un bel giorno Lucebio approfittò dell'assenza dal campo di Francide e di Astoride, i quali si erano condotti in città per vari motivi, per scambiare quattro chiacchiere con il giovane sul delicato argomento. Egli intendeva scoprire qual era il vero problema che lo assillava da diversi giorni. Così, dopo averlo avvicinato con discrezione, cominciò ad esprimerglisi con molta naturalezza, usando le seguenti parole:

«Vuoi dirmi, Iveonte, cos'è che ti rende insolitamente pensieroso, oltre che distratto al massimo? L'amore non può averti trascinato nello stato in cui versi adesso. Amavi anche prima; però in nessuna circostanza ho visto i tuoi occhi vagare nell'incertezza, rincorrere fantasmi oppure porsi interrogativi senza risposte. All'opposto, ho sempre scorto in te una fierezza indomabile, essendo orgoglioso della tua Lerinda. Come pure gioivi dell'amore che nutrivi per lei e facevi salti di gioia, soltanto pensando alla tua ragazza. Mi sbaglio nel giudicarti come ti ho fatto presente o c'è davvero qualcosa che non funziona dentro di te?»

«Tu hai visto giusto, Lucebio; però ti assicuro che in me c'è una felicità immensa ed alberga la serenità più assoluta. Comunque, pur vivendo con la compagnia dell'una e dell'altra, non posso fare a meno di mostrarmi nel modo che tu egregiamente hai descritto. Infatti, vado cercando delle risposte a certi fenomeni strani, i quali mi coinvolgono e non possono essere spiegati con la logica umana. Ti meravigli che non ero ancora ricorso a te per un consulto e riceverne così una loro saggia valutazione? Magari ti sei anche imbronciato, a causa di questa mia mancanza: è vero? Ebbene, non era mia intenzione offenderti in qualche maniera oppure farti alcun torto. Devi sapere che il motivo per cui non sono ricorso al tuo saggio consiglio era e resta uno solo. Ho sempre temuto che tu, non prendendomi sul serio, ti saresti messo a ridere di me. Bonariamente, si intende, mio caro Lucebio! Ecco: i fatti stanno esattamente come ti ho appena detto! Per questo non devi preoccuparti per la mia salute neppure un poco! Intesi, amico mio?»

«Possibile, Iveonte, che ti possano accadere dei fenomeni talmente assurdi, da non riuscire a dare loro un senso logico e una spiegazione plausibile? Non potresti sbagliarti nel dare ad essi una valutazione reale, quando invece andrebbero valutati nell'irreale loro svolgimento? Se non hai nulla in contrario, vorrei che tu me ne parlassi senza reticenza. Cosi, dopo che lo avrai fatto, cercheremo insieme di attribuire un significato ed un valore a questi fenomeni, che tu consideri stravaganti, i quali ti stanno perseguitando da alcuni giorni. Come vedo, essi ti bersagliano e ti lasciano in una perplessità, la quale riesce unicamente a disorientarti in maniera esagerata. Quindi, mettiti a parlarmi di ciò che ti accade!»

«Va bene, Lucebio, farò come mi hai proposto, perché forse hai ragione tu a pensarla nel modo che mi hai espresso. Parlandone con qualcuno, mi riuscirà di un certo giovamento. Comunque, già prevedo che mi sarà manifestato solo scetticismo dal mio interlocutore, che saresti tu, e mi perverrà da lui l'invito a recedere dai miei illogici sospetti!»

«Bravo, Iveonte Mi fa piacere apprendere che hai deciso di sputare il rospo, come si suol dire, poiché soltanto così te ne libererai per sempre! Quindi, comincia a raccontarmi serenamente quanto ti succede, senza dare alcun peso sia a come potrei vedere io la cosa sia a ciò che potrei risponderti, dopo il tuo racconto, da te ritenuto assurdo!»

«Devi sapere, Lucebio, che i fenomeni, ai quali ti ho accennato poco prima, non sono altro che dei sogni, i cui protagonisti siamo sempre io e la mia Lerinda. Durante le mie esperienze oniriche, anche se cambia di continuo il luogo del loro svolgimento, lo scabroso contenuto rimane sempre identico e non cambia in nessuno di tali posti.»

«Mi dici qual è questo contenuto, Iveonte, che consideri così osé ed imbarazzante? Se la mia supposizione è giusta, sono sicuro che è proprio esso che ti crea dei grossi problemi. Anzi, in un certo qual modo, finisce per sconcertarti e per frastornarti l'esistenza! Quindi, riferiscimelo, poiché sono curioso di conoscerlo e di interpretarlo alla meglio!»

«Come avrai già compreso, mio saggio Lucebio, il problema è di natura sessuale. Il sesso è sempre al centro dei miei strani sogni, che vado facendo da varie notti insieme con Lerinda. Esso vi entra a far parte in modo dissoluto e predominante! Le mie visioni oniriche iniziano sempre, quando già la mia ragazza ed io ci stiamo amando, avvinghiati l'uno all'altra, come l'edera al suo sostegno. Intanto che sogniamo, amoreggiamo senza sosta e con la massima voluttà possibile. Inoltre, le stesse visioni svaniscono del tutto, non appena scema in noi l'incontinenza voluttuosa. Per la verità, durante il nostro rapporto sessuale, tra noi non si intavola nessun tipo di colloquio; né viene sussurrata una sola parola da entrambe le parti. Invece intercorrono esclusivamente sguardi lascivi, che scatenano in noi una incontenibile furia passionale. Infine ci possediamo l'un l'altra in modo completo, protraendo la nostra esistenza onirica in un interminabile e meraviglioso amplesso. Il quale sfocia tutte le volte nella sensualità più scatenata e più licenziosa, nel godimento più sfrenato e più vizioso, nella gioia più piena ed immensamente avvertita. Adesso ti ho detto tutto quanto volevi conoscere.»

«Se è il rapporto sessuale il contenuto dei tuoi sogni, caro mio Iveonte, non comprendo che cosa ci trovi di tanto strano in ciò! Non sei mica il solo a fare dei sogni di questa natura, nei quali la concupiscenza e la lascivia spesso fanno la parte del leone. Essi, devi sapere, sono sintomatici proprio della gioventù e spesso l'erotismo di alcune manifestazioni oniriche è così eccitante, da dar luogo in alcuni giovani a vere polluzioni notturne. Perciò, qualora le tue perplessità dovessero risultare circoscritte solo a quest'ultimo fenomeno, ti invito a tranquillizzarti e a non badare ad esso. Difatti si tratta di una evenienza già scientificamente accertata e comprovata. Ecco perché non ti deve allarmare, nel modo più assoluto, il fatto che da una circostanza puramente irreale, qual è il sogno, scaturiscano atti fisiologici del tutto reali, quali possono essere una eiaculazione oppure una enuresi notturna. Se chiederai a Francide e ad Astoride qualcosa sull'argomento, vedrai che essi ti assicureranno che a volte capita pure a loro di trovarsi in una situazione simile. Eppure i tuoi amici non hanno mai dato a divedere il benché minimo imbarazzo, dopo tali loro esperienze avute di notte. Alla stessa maniera, essi non si sono mai soffermati su un fenomeno simile, il quale è capitato ad entrambi più del dovuto. Lo sai perché? Per il semplice fatto che essi lo considerano qualcosa di fisiologico, che è perfettamente naturale in qualsiasi uomo normale.»

«Lucebio, sono convinto che, se i miei amici non se ne sono mai fatto un vero problema, se non hanno mai avvertito l'esigenza di approfondirla e se non hanno mai cercato di conoscerne le vere cause, il problema è molto semplice. Essi non hanno vissuto una esperienza del tipo di quella mia! Inoltre, se ti fossi trovato tu al posto mio, non avresti ragionato come stai facendo adesso. Dovresti saperlo che talune volte soltanto chi vive una determinata esperienza può rendersi conto di essa realmente. Soprattutto può percepirla nel modo più inconfondibile, può giudicarla con la più assoluta certezza. Ci sono poi delle circostanze che non si possono né confondere né ignorare, per il loro contenuto incontrovertibilmente evidente. Esse sono proprio quelle in cui vengo a trovarmi io da vari giorni! Adesso comprendi le cose che mi accadono?»

«Non del tutto, Iveonte. Mi dici, quindi, quali sarebbero queste situazioni che, pur prendendo corpo in seno ad una visione onirica, invadono la sfera della realtà nella maniera più incontestabile? Puoi citarmene qualcuna? Ma prima che tu mi dia la tua risposta, voglio farti presente un particolare non di secondaria importanza. Quando due persone si incontrano in un sogno, non è neppure ipotizzabile la reale partecipazione di una di loro, senza che anche l'altra venga a vivere l'uguale esperienza, rammentandosene poi al mattino con piena lucidità. Tu, Iveonte, sei andato a parlarne con Lerinda per assicurarti che anche a lei succede di fare gli stessi tuoi sogni? Forse la risposta affermativa della tua ragazza è una delle circostanze, alle quali poco fa hai voluto fare riferimento? Voglio essere ragguagliato su questo particolare, se non ti dispiace!»

«No, Lucebio, non c'è stato fino ad oggi alcun riscontro oggettivo da parte sua, siccome non ho ancora avuto modo di contattare Lerinda, al fine di parlarle dei miei sogni e di domandarle se li faceva anche lei. Ho cercato di contattarla, già dopo il nostro primo sogno; ma senza riuscirci. Il motivo, il quale mi spinse ad incontrarla, fu il seguente. Al mattino, al mio risveglio, rimasi molto sconcertato, per un fatto che non avrei mai creduto possibile. Esso, in quel giorno stesso, mi spinse a condurmi dalla mia ragazza per avere da lei la riprova della sua partecipazione al sogno da me fatto. Ma non ve la trovai e la sua nutrice mi riferì che Lerinda era dovuta partire per Casunna con il suo germano Cotuldo, essendo stata informata che il fratello Raco non stava molto bene. Perciò egli aveva bisogno delle sue cure e della sua assistenza. Probabilmente, ella vi sarebbe rimasta almeno una ventina di giorni.»

«Quindi, Iveonte, non c'è stata alcuna conferma da parte della tua ragazza! Allora su che cosa fai basare la tua convinzione che i sogni fatti da te con Lerinda non sono irreali, ma avvengono effettivamente nella realtà? Prima di affermare una cosa del genere, io ci andrei molto cauto e ci penserei un sacco di volte! Gli abbagli sono possibili da parte di ogni persona, nessuna eccettuata! Ma adesso, per favore, mi metti al corrente di ciò che del primo sogno ti aveva sbalordito nel mattino?»

«Adesso te lo racconto, Lucebio. Come ti dicevo, ad insospettirmi fu il sogno che ebbi a fare la prima volta, ma non senza un motivo. Un suo particolare, infatti, mi mise la pulce nell'orecchio che io non avevo sognato; bensì avevo vissuto una reale esperienza sessuale con la mia ragazza, indipendentemente dalla riprova di lei! Vuoi sapere quale? Non ho problemi a rivelartelo. In quell'occasione, Lerinda ed io avemmo un rapporto sessuale completo. E poiché ella era ancora vergine, la sua deflorazione diede luogo ad una piccola emorragia, dovuta appunto alla lacerazione dell'imene. Al mattino, però, ebbi la sorpresa che non mi sarei mai aspettata. Cioè, quando mi svegliai, mi ritrovai con il mio organo copulatore sporco di sangue, pur non mostrando esso alcuna escoriazione in qualche sua parte. A quell'episodio, cominciai allora a rivolgermi un sacco di domande. Possibile che avessi fatto l'amore con la mia ragazza per davvero? e che l'avessi anche privata della sua verginità, durante un normale sogno? Come avevano fatto i nostri corpi a trovarsi in un luogo a noi sconosciuto, dove l'unica loro occupazione era stata quella di dedicarsi ad una intensa attività sessuale? Allora, prima di iniziare a considerare fondati i miei sospetti, a ogni costo volevo avere un riscontro anche dalla mia Lerinda, che però non riuscii ad avere.»

«Esso, Iveonte, per tua sfortuna non ci fu, a causa dell'avversa circostanza. La quale non ti fece incontrare con la tua ragazza per i motivi che mi hai già riferiti! Invece sarebbe stato utile che ci fosse stato!»

«Infatti, Lucebio! Comunque, ero preoccupato perché, se anche lei avesse fatto la mia identica esperienza, di certo dopo non poteva essere in uno stato d'animo sereno e disteso. Secondo me, di certo lo sgomento più folle la stava divorando, dopo essersi accorta che l'esperienza vissuta durante il sogno le aveva arrecato una conseguenza reale e disastrosa. Perciò, prima ancora che ella venisse schiacciata da una simile assurdità e ne morisse di vergogna, bisognava che andassi a rassicurarla che ero stato proprio io e nessun altro a privarla della sua verginità. Quindi, come già sai, sventuratamente per lei, le cose non poterono andare come mi ero proposto. Difatti all'istante io corsi alla reggia per incontrarla e per domandarle cosa avesse sognato la notte appena trascorsa. Allora, Lucebio, cosa ne pensi del particolare che ti ho appena fornito? Credi che nella irrealtà del sogno possa avvenire quanto capitò alla mia persona quella notte? Ma sono convinto che nessuno ci crederebbe mai, data l'assurdità del fenomeno che mi aveva investito!»

«Per il momento, Iveonte, non riesco ancora a farmi una idea precisa su ciò che ti è successo e non oserò sbilanciarmi in questa tua incredibile vicenda, fino a quando non ci sarà anche la conferma da parte della tua ragazza. Soltanto dopo aver soppesato i fatti, secondo una logica che non può prescindere da principi rigorosamente scientifici, potrò esporti il mio giudizio in merito, il quale potrà essere del tutto franco e disinteressato. Ad ogni modo, per il momento tieni presente che il particolare, del quale mi hai parlato, ammesso che tu non ti sia sbagliato, non costituisce ancora una prova certa che il coito fra te e Lerinda ci sia stato sul serio e che esso abbia avuto una consumazione reale. Inoltre, ad esserti sincero, amico mio, se fosse stato un altro ad asserirmi un paradosso del genere, gli avrei subito risposto senza mezzi termini che aveva avuto le traveggole. In pari tempo, gli avrei anche riso in faccia, come anche tu hai temuto che avrei fatto con te dopo il tuo racconto!»

«È così che la pensi, Lucebio, in merito a quanto ti ho raccontato? Possibile che non ci credi neppure un poco, anche dopo quanto ho scoperto nel mattino, che mi invitava a non pensarla in altro modo?»

«Attualmente, Iveonte, resto del mio parere. Ma trattandosi della tua persona e conoscendoti abbastanza bene, non mi viene di azzardare nei tuoi confronti una espressione di tale sorta. Preferisco attendere la riprova da parte della tua ragazza, prima di pronunciarmi in modo definitivo sull'argomento in questione. Perciò, non appena la principessa Lerinda farà ritorno da Casunna, correrai subito da lei e verificherai se ciò che hai sospettato fino ad oggi ha davvero una valenza reale. Se invece tu dovessi appurare che ogni tuo sospetto era infondato, allora smetterai di fantasticare sui tuoi sogni e penserai solo a goderteli, anche se si presentano nella loro illusoria irrealtà! Ti sono stato chiaro, amico mio?»

Con queste ultime considerazioni che il saggio uomo aveva esposto al giovane, era terminato il colloquio fra i due; però, quando Iveonte si fu allontanato, Lucebio continuò a rimuginarci sopra. Ovviamente, il suo parere su quella vicenda non poteva essere che contrastante. Egli si mostrava molto scettico, circa quanto gli aveva riferito il giovane. Nello stesso tempo, non poteva pensare che egli ci credesse davvero, scambiando delle pure irrealtà oniriche con degli episodi di vita realmente vissuta. Ciò nonostante, egli non si sentiva di non concedergli un pizzico della sua fiducia, siccome fino a quel momento aveva riscontrato in Iveonte la massima integrità psicofisica ed intellettiva. Per non farlo, doveva annientare in sé l'illimitata ed incrollabile fede che aveva riposta in lui. Anche perché il giovane se l'era guadagnata per i suoi alti meriti. Perciò, da parte sua, non poteva ammettere che Iveonte fosse diventato, a un tratto, un autentico visionario, dopo aver smarrito il senno ed essere stato abbandonato dalla ragione. Le sue imprese lo davano per vincente e lasciavano prevedere per lui un destino esclusivamente glorioso. Inoltre, il saggio maestro credeva con fermezza che il giovane non poteva essere che il figlio del re Cloronte, anche se delle sopravvenute circostanze arcane non lo presentavano più come tale.

Concludendo, Lucebio era convinto che in seguito tutto si sarebbe appianato in qualche modo per lo straordinario principe, poiché egli era predestinato a trionfare su tutti i nemici di Dorinda e a riscattare il suo popolo dallo strapotere dei porci invasori. Così, interpretando la vicenda di Iveonte con questa ottimistica chiave di lettura, il saggio vegliardo ritornò a rasserenarsi nel cuore e nella mente. Allora si astenne dal dare ad essa un senso di drammaticità e la benché minima preoccupazione.