91°-LA NASCITA DI IVEONTE E I FATTI CHE L'AVEVANO PRECEDUTA

Il primo degli episodi che c'erano stati, quando il nostro eroe non era ancora nato, ai quali ci siamo riferiti alla fine del precedente capitolo, era avvenuto trentasei anni prima della sua nascita. Esso aveva riguardato un colloquio che c'era stato tra il mago Ghirdo e il dio Sartipan, il quale aveva avuto come argomento il nome del primogenito del re Cloronte, il quale sarebbe stato Iveonte. A quel tempo, l'immortale mago era intento a riposare nella sua ampia grotta, che era la medesima in cui quasi un migliaio di anni prima il dio Sartipan lo aveva contattato e gli aveva fatto dono dell'immortalità, in cambio dei favori a noi noti. A quel tempo, il suo divino protettore lo aveva svegliato e gli aveva detto:

«Ghirdo, dèstati! Devi sapere che oggi ci si presenta la prima opportunità per privare il primogenito del futuro re Cloronte della sua grandezza avvenire. Per questo non conviene ad entrambi farci sfuggire la bella occasione del momento, se in seguito non vogliamo pentirci e smettere di dormire sonni tranquilli! Allora vuoi svegliarti, mio devoto oppure devo tirarti giù dal letto per farmi ascoltare da te?»

«Ma che dici mai, divino Sartipan? Non vedi che sono già con gli occhi aperti? Ti garantisco che ci vorrà appena un attimo, perché io mi alzi dal letto e mi metta a tua completa disposizione con entrambe le orecchie!»

Dopo essersi trovato in piedi, il mago gli aveva domandato:

«Se è vero quanto affermi, di cui non ho motivo di dubitare, vuoi chiarirmi per favore in che modo possiamo farcela contro di lui?»

«Ci basterà adoperarci perché egli, alla sua nascita, non venga chiamato Iveonte dai suoi genitori. Ecco: è tutto qui, devoto mio! Come vedi, non ci resterà da fare niente altro, oltre a quanto ho detto!»

«Volendo essere sincero con te, mio benefattore, dal succo delle tue parole non sono riuscito a cavarci proprio nulla! Ma può mai il solo suo nome rendere grande e potente una persona? Se un uomo vale per davvero, che si chiami Tizio oppure Sempronio, il suo valore resta immutato! Quindi, per come la penso io, non sarà il suo nome a procurarglielo oppure a portarglielo via! Se poi sotto c'è qualcos’altro, che non ho ancora inteso per bene, ti prego di farmelo presente, chiarendomi meglio ciò che hai inteso riferirmi con le tue parole di poco fa.»

«Nel caso in questione, Ghirdo, la cosa si presenta molto diversa! Il nome Iveonte, il cui significato è "il destinato a trionfare", renderà eccezionale la persona che lo porterà. Perciò, se oggi noi due facciamo in modo che nel futuro non venga messo tale nome al primogenito del re Cloronte, egli non diventerà più il grande eroe, come è stato vaticinato. In quel caso, anche noi due non avremo più i problemi che il principe dorindano dovrebbe procurarci in avvenire. Adesso che ti ho fatto capacitare, mio devoto, hai appreso finalmente a cosa dobbiamo mirare?»

«Puoi esserne certo, mio divino protettore; anche se non riesco ancora ad immaginare come raggiungere un obiettivo del genere! Anzi, mi sto chiedendo: Come possiamo noi oggi costringere i suoi genitori, ossia i futuri regnanti di Dorinda, a non chiamare il loro primogenito con tale nome? Se poi tu conosci già l'escamotage a cui dobbiamo ricorrere per ottenere un fatto del genere, sei pregato vivamente di rivelarmelo subito, poiché io già ti ascolto, restando calmo e senza inquietarmi!»

«Adesso, Ghirdo, passo a spiegarti meglio quanto oggi è in nostra facoltà di fare. Devi sapere che sta per partorire Clinta, che è la moglie di Eminto. Come sei al corrente, costui è il fratello di Kodrun, il futuro re di Dorinda, al quale succederà il figlio Cloronte, che a sua volta sarà il padre del nostro antipatico rivale. Ebbene, a tutti i costi dobbiamo fare in modo che al suo nascituro venga dato il nome di Iveonte. Ecco cosa ci tocca ottenere da lui, per il nostro bene e per la nostra serenità!»

«Non so come tu intenda procedere, mio divino protettore, al fine di conseguire un obiettivo del genere. Comunque, sono sicuro che già avrai un tuo piano, il quale ci faciliterà senza meno la riuscita e di cui dovrò essere io l’artefice! Ma ammesso pure che ce la faremo a raggiungere tale scopo (e su questo non ci piove!), vuoi dirmi cosa vieterà in seguito al re Cloronte di mettere al suo primogenito lo stesso nome del nipote, che sarà il cugino di primo grado del figlio? Vorrei essere informato anche su questo particolare molto importante, se mi è concesso!»

«Invece dopo ciò non potrebbe assolutamente accadere, mio devoto. Ma visto che non ne sei al corrente, ti faccio presente che nella loro casata vige una rigida usanza, in base alla quale i consanguinei, siano essi discendenti oppure collaterali, non possono avere lo stesso nome. Perciò, se sarà il figlio di Eminto a prendere per primo il nome di Iveonte, in seguito esso non potrà più essere dato al primogenito di Cloronte, il quale automaticamente diventerà l'erede al trono di Dorinda. Adesso questo concetto ti è stato da me chiarito abbastanza bene?»

«Soltanto ora incomincio a comprenderci qualcosa, divino Sartipan, benché non mi si presenti ancora del tutto chiaro, come vorrei. Infatti, visto che il suo nome sarà Iveonte, mi domando se dopo non saremo costretti a fare i conti con il primogenito di Eminto, anziché con il primo figlio del fratello. Per la qual cosa, sono dell'idea che in seguito dovremo aspettarci da lui i nostri paventati grattacapi, anziché dal cugino! Quindi, cosa puoi rispondermi in merito a queste mie riflessioni?»

«Hai dimenticato, mago, che dopo avremo contro il primogenito del re Cloronte, privato del nome di Iveonte, e non il primogenito del fratello Eminto? Perciò, una volta che avremo imbrogliate le carte in tavola, si ingenererà nei destini di entrambi solamente confusione. Infatti, alla fine nessuno dei due potrà crearci delle serie preoccupazioni. L'uno, pur essendo il primogenito del sovrano di Dorinda, non si chiamerà Iveonte; invece l'altro, pur avendo il nome di Iveonte, non risulterà essere il primo nato del re dorindano! A questo punto ti sei persuaso che ciò che affermo si verificherà, quando i tempi matureranno e gli eventi a nostro dispetto tenteranno di tramare contro di noi?»

«Certamente, mio divino protettore! Adesso che mi si è dissolto ogni dubbio che prima persisteva nella mia mente, vuoi dirmi che cosa mi toccherà fare, perché il tuo piano abbia pieno successo? Sono sicuro che spetterà soltanto a me agire concretamente per conseguire il nostro obiettivo. Del resto, come è stato tutte le altre volte! Né puoi negarlo!»

«Dovrai contattare Eminto, prima che nasca il suo primogenito. Una volta al suo cospetto, gli prospetterai che, chiamando Iveonte il suo futuro primogenito, gli assicurerà un eccellente avvenire. Da parte tua, Ghirdo, dovrai attivarti fermamente per convincerlo, considerato che non ti mancano le idee atte a fargli accettare quanto andrai a proporgli!»

Il giorno seguente, il mago già si era messo all'opera ed era venuto a sapere che il fratello minore di Kodrun era solito andare a caccia ogni mattina. Allora, dopo averlo spiato a lungo ed averlo anche seguito nel bosco di nascosto, egli aveva approfittato di una sua pausa per contattarlo da vicino. Così, mentre lo stanco secondogenito del defunto Ursito riposava all'ombra di un grande albero secolare, facendosi sorprendere dal sonno ogni tanto, gli si era avvicinato silenziosamente. Poi, apparendogli tutto all'improvviso, aveva iniziato a dirgli:

«Che bello trovare riposo in un luogo simile, dove cioè è possibile godere di una piacevole frescura, come stai appunto facendo tu in questo momento! Specialmente adesso che il caldo ricomincia a farsi sentire pesante, anzi quasi opprimente, siccome siamo già a metà mattinata! Sei d'accordo anche tu, brav'uomo, oppure sei di parere avverso a quello mio? Ma sono convinto che sarebbe difficile aspettarmi da te una risposta difforme dal mio parere, quello che ti ho appena espresso!»

«Come potrei non pensarla allo stesso modo tuo, vecchietto, trattandosi di un’affermazione assiomatica! Vuoi dirmi chi saresti tu e cosa ci fai da queste parti? Mi sei apparso proprio come un fantasma, quando sei sbucato dal nulla in un attimo! Sei forse un mago provetto, forestiero? Importante per me è che tu non sia un silfo, che temo parecchio!»

«Certo che sono un cultore di magia! Anzi, posso vantarmi che, fra tutti i maghi, sono il più prodigioso! Difatti posso affermarti anche chi sei tu. Se vuoi, posso perfino riferirti alcune cose preziose che ti riguardano. Nel caso che tu voglia consentirmelo, lo faccio immediatamente! A ogni modo, non sono quello che tu hai temuto, non essendo io un essere malefico portatore soltanto di malattie e di guai.»

«Allora, egregio mago, inizia subito a parlarmi di me e delle cose che mi riguardano, poiché sono già pronto ad ascoltarti! Così verrò a sapere se è vero quanto, di cui ti sei vantato con alquanta immodestia. Comunque, scusami, se mi ti sono mostrato un pochino duro ed offensivo!»

«Tu ti chiami Eminto e sei il fratello di Kodrun, che da un mese è diventato il nuovo capo del villaggio di Litios, essendo morto da poco vostro padre Ursito. Pace all'anima sua! Inoltre, sono a conoscenza di altre cose particolarmente interessanti sul tuo conto, quelle che tu neppure immagini. Se proprio ci tieni a saperlo, esse riguardano il futuro del figlio che ti nascerà per primo, il quale sarà anche l’ultimo. Se sei d'accordo, posso rivelarti anche quelle.»

«Sarebbero tali cose, mago? Sbrìgati a raccontarmele, poiché lo desidero! A ogni modo, sappi che le prime due, che hai voluto dimostrarmi di conoscere sulla mia persona, nel villaggio di Litios non c'è nessuno che non le sappia già! Perciò non credere di aver fatto chissà quale bella figura nel riferirmele in questo luogo, con l'intento di fare colpo sulla mia persona! Adesso puoi andare avanti nello svelarmi le altre cose che dovrebbero essere di mia pertinenza.»

«Hai ragione, Eminto, in merito a ciò che hai detto! In verità, non intendevo vantarmene, come hai erroneamente creduto. Invece, in relazione alle altre cose che ti concernono di persona e che solo io posso svelarti senza difficoltà, le ignorano tutti quanti nel villaggio, compreso te. Credevi forse che io fossi un mago da strapazzo, dedito soltanto a gloriarmi di fatti che sono già di dominio pubblico tra i Litiosidi? Invece tra poco dovrai ricrederti alla tua errata interpretazione dei fatti e dovrai chiedermi anche scusa a causa di essa!»

«Allora sentiamo cos'hai da rendermi manifesto, mago, che possa interessarmi davvero in modo particolare. Se mi dimostrerai che hai ragione, ti prometto che dopo non avrò difficoltà a fare ammenda del mio errore e ti chiederò perfino scusa, come tu stesso hai preteso poc'anzi! Adesso ti ritieni soddisfatto? Ho ragione di credere di sì!»

«Certo che lo sono, Eminto! Ma ora veniamo a noi. Ebbene, sono qui esclusivamente per fare la grandezza di tuo figlio. Sono convinto che non ti aspettavi una cosa così importante da un vecchio mago come me! Ammettilo che è come ti ho fatto presente!»

«In un certo senso, mago, non hai torto. Ma vuoi dirmi a quale mio figlio ti sei voluto riferire, se fino ad oggi non ne ho ancora avuti nessuno dalla mia consorte Clinta? Ella non è neppure incinta, se lo vuoi sapere!»

«Per esattezza, Eminto, mi riferisco al bambino che tua moglie porta già nel grembo e che sta per nascere nella tua casa, al fine di renderti un padre felice! Ma se farai ciò che oggi ti suggerisco, un giorno il tuo primogenito diverrà un personaggio di prim'ordine, per cui nell'Edelcadia nessuna persona potrà paragonarsi a lui! Allora sei disposto a darmi ascolto e ad ubbidirmi pedissequamente nel modo che ti indicherò?»

«Come potrei non darti retta, mago, dal momento che si tratta del bene del mio primo figlio, il quale, come mi hai asserito, sta già per venire alla luce? Ma vuoi dirmi adesso cosa dovrei fare, perché egli diventi la persona celebre, alla quale ti sei riferito? Sono molto ansioso di apprenderlo e di ubbidirti, a patto però che sarà vero che dopo il mio primogenito diventerà il prestigioso uomo che hai detto!»

«Eminto, dovrai soltanto dargli il nome di Iveonte, il cui significato è "il destinato a trionfare". Come vedi, da parte tua, non dovrai compiere neppure uno sforzo tanto grande, perché ciò si avveri! Non sei d'accordo con me che quanto dovrai fare per il tuo futuro unigenito non si dimostra affatto faticoso? Certo che sì, considerato che dare un nome ad un figlio non costa alcuna fatica, anche se farlo procura solo godimento!»

«Se si tratta solamente di fare ciò, mio generoso mago, ti darò ascolto senza meno, nonostante mia moglie avesse deciso di dare al nostro primo figlio maschio un altro nome, che nemmeno rammento più. Tanto un nome vale un altro: ne sono certo! Se poi quanto mi hai riferito un giorno dovesse risultare falso, in famiglia avrei sempre un figlio con un bel nome, come lo è appunto Iveonte! Esso mi piace davvero talmente tanto, che non vedo l'ora che mio figlio nasca per poterglielo dare!»

Era stato così che Eminto, che era l'unico fratello di Kodrun, aveva chiamato Iveonte il suo primogenito, che otto mesi dopo aveva avuto dalla consorte. La quale, trovando anch'ella stupendo il nome che le aveva proposto il marito, non aveva osato contraddirlo. Al contrario, ella era stata particolarmente contenta di avergli dato quel bellissimo nome.


In relazione al secondo episodio, il quale c'era stato ancora a proposito del nome di Iveonte, esso era avvenuto in una realtà posteriore ed era stato la conseguenza del primo. Il cui epilogo, infatti, aveva condotto a delle conclusioni che non erano state previste in alto loco. Dove si era cercato di porre riparo nel miglior modo possibile allo sgarbo arrecato al più illustre eroe di ogni tempo. A dirla in breve, un mese dopo che Eminto e sua moglie avevano dato il nome di Iveonte al loro neonato, c'era stato un incontro tra alcune autorevoli entità immortali. Esse, pur avendolo appreso il giorno dopo nella loro dimora, si erano invece riunite con un certo ritardo, ossia quello che è stato riferito qualche attimo fa.

Ma si può sapere di quali entità si sta parlando e dove esse dimoravano? Dalle prime notizie avute su di loro, siamo portati a congetturare che si trattasse di speciali figure soprannaturali, del tutto identiche alle Sortici, le quali erano le Forze Oscure, già a noi note. Ammesso che si trattasse proprio di loro, in seguito ci sarà data anche l'occasione di incontrarle. Comunque, il modo misterioso, con cui è stato fatto accenno alle entità in questione, nonché la loro citazione che le ha presentate come collegate ai destini dell'uomo e quindi come arbitre delle sue vicende, ci fanno pensare a qualcosa del genere. Ma anche se siamo indotti a crederlo per davvero, così non è, poiché ci troviamo di fronte ad altri esseri che sono differenti dalle Sortici. La loro diversità è soltanto parziale, in quanto vengono ad essere diversi i soli destinatari della loro opera. Infatti, l'attività delle Forze Oscure è indirizzata a Kosmos e a Tenebrun. Invece quella delle arcane entità, delle quali tra breve ci occuperemo, è destinata agli esseri umani e alle loro molteplici vicende, allo scopo di tenere gli uni e le altre sotto il loro stretto controllo.

In verità, il loro nome era Destinee, altrimenti dette Forze del Destino; mentre il luogo, nel quale trascorrevano la loro illimitata esistenza, era chiamato Destinup. Esse erano cinque, ossia dello stesso numero delle dita di una mano, e sovrintendevano a tutte le attività degli uomini, che li accompagnavano dalla loro nascita fino alla loro morte. Inoltre, considerato che tali forze si erano divise le varie incombenze che generalmente erano di loro pertinenza, ogni Destinea presiedeva ad uno dei cinque settori delle attività appartenenti alla vita dell'uomo, come esse le avevano suddivise. I quali, presi singolarmente, ne abbracciavano la sfera vegetativa, la sfera psichica, la sfera intellettiva, la sfera etico-sociale e la sfera spirituale. Destinup era il loro luogo di residenza; ma non era facilmente individuabile la località dove esso era situato. Per la quale ragione, si ignorava del tutto se fosse in Kosmos oppure all'esterno di esso; però di sicuro non era in Tenebrun. Anzi, poteva costituire una sorta di enclave, come lo era appunto Landipur.

Ebbene, dopo essersi radunate nella loro sala delle riunioni, fra le cinque Destinee era iniziata ad esserci una discussione non proprio serena, a causa dell'argomento che aveva dato origine ad essa. Comunque, in seno alla quale si erano trovate concordi all'unanimità nel prendersela con Eminto, siccome costui indebitamente aveva dato al figlio, che gli era nato da poco, il nome che sarebbe spettato al nipote.

La lamentela della prima Destinea era stata la seguente:

«Eminto, il secondogenito dell'ex capo di Litios, assolutamente non avrebbe dovuto dare il nome di Iveonte al proprio figlio primogenito! Così facendo, egli sta rischiando di sovvertire l'ordine delle sorti umane. Tale nome invece era stato destinato al futuro primo figlio di Cloronte, il quale un giorno regnerà sulla città di Dorinda. Io mi domando chi mai sarà stato ad invogliarlo a prendere una simile iniziativa, dal momento che egli stesso non poteva conoscere il nome che ha dato al figlio, che non avrà fratelli a fargli compagnia, poiché risulterà unigenito!»

Allora era intervenuta la seconda Destinea a chiarirle:

«A mio avviso, qui c'è lo zampino del mago Ghirdo, dopo essere stato spronato dal suo protettore. Possibile che il dio Sartipan non sappia che il destino degli uomini non può essere modificato da nessuno, neppure dall'onnipotente Splendor, per sua stessa decisione? Perciò dobbiamo provvedere al più presto in merito e trovare la maniera di riportare le leggi del Fato al suo ordine originario!»

Con il suo intervento, la terza Destinea aveva fatto presente:

«Per conseguire un tale obiettivo, però, siamo costrette ad apportare una modifica ai destini di Eminto e del suo unigenito. Ma ciò ci sarà permesso, unicamente perché i nostri interventi modificatori tenderanno a correggere un destino molto più rilevante, quale sarà appunto quello del primogenito del re Cloronte. Esso è stato viziato ad opera di una persona, la quale non aveva alcun diritto di farlo. Perciò paghi egli per la colpa da lui commessa indebitamente!»

Il suo franco e tagliente linguaggio aveva spinto la quarta Destinea ad esprimersi nel modo seguente:

«Certo che il fratello di Kodrun dovrà pagare! E non soltanto lui, se volete saperlo! Dopo il padre, la pagherà anche il figlio, per essersi appropriato di un nome che non gli competeva! Perciò, anche se non c'entrerà per niente, pagherà egli al pari del genitore, ossia con la morte. Se ad Eminto ci starà bene un bel suicidio, mediante impiccagione; per il figlio, invece, decreteremo una morte incidentale al momento opportuno. Essa dovrà avvenire contemporaneamente alla nascita di chi dovrà poi ricevere il suo nome. Invece il suo uccisore involontario dovrà essere la persona, la quale in seguito si prenderà cura del primogenito dei regnanti di Dorinda. Così il destino di Iveonte non sarà più intaccato da niente, a dispetto del dio Sartipan e dell'immortale mago Ghirdo!»

L'ultima Destinea, intervenendo anch'ella, allora aveva concluso:

«Che Eminto e suo figlio subiscano la punizione che abbiamo loro assegnata! Ma ciò che ci premerà di più sarà la morte del cugino del re Cloronte. Essa permetterà al vero Iveonte di avere l'illustre nome che il destino gli ha riservato da tempo immemorabile, poiché egli soltanto è il destinato a trionfare su tutti gli esseri umani!»

Conosciuti i primi due fatti che avevano riguardato Iveonte, adesso possiamo ripercorrere gli altri che tratteranno delle ore precedenti la nascita di Iveonte e quelle che erano seguite ad essa.


Il giorno, nel quale Elinnia aveva dato alla luce Iveonte, non era stato uguale agli altri. Già nella notte che l’aveva preceduta, si erano avuti nel cielo dei fenomeni davvero strani, poiché la sua volta stellata era apparsa molto dissimile da quella delle altre. Era sembrato che il firmamento notturno si fosse predisposto ad accogliere un evento di importanza eccezionale. Le stelle, da immobili quali erano, come se vi fossero inchiodate, all’improvviso si erano staccate da esso e si erano date a movimenti inusitati, simili a volteggi stupendamente fantastici. Anche la luminosa luna aveva preso parte a quei giochi geometrici che esse effettuavano, disegnando nel buio del cielo delle forme luminose di grande attrattiva. Insomma, nell’intera espansione del buio spazio celeste, si era avuta una pioggia di veri fuochi d'artificio. Essi, oltre ad illuminare la volta del cielo a giorno, la rendevano pittorescamente attraente e soffusa di arcana magia. Ma poiché quelle erano ore nelle quali tutti quanti se la dormivano, nessun Dorindano aveva potuto scorgerle e darsi ad ammirarle con il naso all’insù.

In verità, qualcuna c’era stata a godersi quell’incantevole scenario, grazie ad una sua passeggera insonnia. Ma non le era venuto in mente, in quel momento, di svegliare il marito o qualcun altro da lei conosciuto per permettere anche a loro di trarre piacere da una visione così straordinaria. Ci stiamo riferendo alla regina Elinnia, la quale era in procinto di partorire il suo primo rampollo. Difatti mancava meno di un giorno al nascituro per venire alla luce, contrariamente a quanto era stato previsto dalla brava ostetrica di corte. La gestante regale, in seguito ad un sogno che l’aveva messa in grande agitazione, era stata costretta a svegliarsi all’improvviso. Dopo, non riuscendo più a riaddormentarsi, a causa del caldo eccessivo che si faceva avvertire assai molesto, si era alzata dal letto per andare a giovarsi di un po’ di fresco all’aperto. Pervenuta così sull’ampia balconata, sulla quale si affacciava la finestra della loro camera, ella era rimasta stupefatta nello scorgere quanto si stava verificando nel luminoso cielo. La sovrana di Dorinda non riusciva a spiegarsi come potessero avvenire sulla sua volta quei fenomeni, a cui non aveva mai assistito prima di allora. Essi erano da riferirsi all’intervento di un prodigio, il quale di sicuro era stato voluto dalle divinità.

In seguito una decina di stelle si erano perfino separate dalle altre e, venendo giù in picchiata, si erano dirette proprio verso la reggia. I fulgidi astri, dopo essersi avvicinati abbastanza al regale edificio, avevano iniziato a girargli intorno con velocità non sempre costante: a volte la diminuivano, altre volte invece l’aumentavano. Alla fine, mentre nove stelle avevano fatto ritorno in mezzo alle altre, la decima era rimasta fissa nel cielo. Ma essa non cessava di emettere un bagliore, il quale andava a colpire intensamente la basita consorte del re Cloronte. La regina Elinnia, che ne era rimasta quasi abbarbagliata mentre veniva investita da quella cascata di luce, da parte sua non sapeva cosa pensare e come risolversi.

Qualche attimo più tardi, la sfavillante fonte di luce aveva smesso di irraggiarla con il suo fulgore; invece aveva permesso solamente ad un suo luccicante raggio di farla diventare suo obiettivo. Esso, adagiandosi sul suo addome, irradiava il sottostante grembo e vi generava uno strano calore, per cui la faceva sentire come pervasa da una ineffabile serenità. Il suo effetto benefico veniva avvertito soprattutto dal nascituro, il quale perciò aveva incominciato a darsi a dei movimenti che potevano significare esclusivamente gradimento e soddisfazione. In quel momento, anche l'appagata madre aveva avuto l’impressione di udire i flebili vagiti del nascituro, i quali le giungevano all'orecchio come musica magicamente gradevole. Alla fine, mostrandosi appagata di quelle sensazioni inesprimibilmente piacevoli, la sovrana aveva preso la decisione di rientrare nella sua camera, dove il marito seguitava a dormirsela, proprio come se fosse un ghiro. Allora, senza perdere tempo, ella era stata spinta ad imitarlo. Invece un altro strano fenomeno, che era accaduto sotto i suoi occhi, non aveva voluto consentirglielo. Infatti, la regina si era appena seduta sul letto, ma non vi si era ancora distesa sopra per coricarsi, allorché aveva visto comparire dal buio della stanza un dischetto folgorante, il cui diametro non superava i dieci centimetri. Esso, pur muovendosi in circolo, se ne restava sempre alla stessa altezza e alla medesima distanza da lei. Ella, all'inizio era rimasta ad osservarlo muta e perplessa; ma dopo si era decisa a chiedere allo strano oggetto di forma rotonda:

«Mi dici chi sei e cosa vuoi da me? Se sei venuta per spaventarmi, ti prego di non farlo. Lo spavento potrebbe arrecare del male alla mia creatura, alla quale manca poco tempo per nascere. Inoltre, essere misterioso e silenzioso, vuoi deciderti a riferirmi le tue reali intenzioni nei miei confronti, perché alla fine io possa tranquillizzarmi?»

«Non aver paura, regina di Dorinda, perché sono qui per tutt'altro scopo! Io sono l'anima del tuo piccolo che sta per nascere e tra non molto, ossia alla sua nascita, dovrò entrare nel suo corpo. Ti direi volentieri anche per quanto tempo ho viaggiato e quale distanza ho dovuto superare, pur di essere puntuale al mio appuntamento con lui. Ma sono convinta che il racconto non ti servirebbe a niente e ti procurerebbe unicamente una noia tremenda.»

«Che cos'è un'anima, essere senza volto? Se lo vuoi sapere, non ne ho mai sentito parlare da nessuno in vita mia. Forse non lo sa neppure Lucebio, il quale a corte è la saggezza personificata! Ma puoi assicurarmi che non farai alcun male al mio bambino?»

«Come potrei farglielo, regina? Nessuno può arrecare del male al tuo primogenito, essendo egli il destinato a trionfare su tutti, perfino su talune potenti divinità malefiche! Inoltre, per quanto riguarda l'anima, sappi che ogni essere umano, fin dalla sua nascita, ne ha una dentro di sé. Essa lo abbandona, solamente dopo la morte del suo corpo. Devi sapere che l'anima è l'essenza che fa esistere l'uomo come pensiero e lo fa protendere in azioni, guidandolo e facendolo pentire di una sua brutta azione. Perciò anch'io dovrò comportarmi allo stesso modo, una volta che sarò entrata nel corpo di tuo figlio, allo scopo di accompagnarlo per l'intera sua esistenza.»

«Voglio che tu mi dica perché mai soltanto a me è stata data la possibilità di parlare con l'anima del mio nascituro. Sono convinta che a nessun’altra madre è stata mai data una opportunità del genere! Se mi sbaglio, contesta questa mia asserzione!»

«La ragione è molto semplice, sovrana di Dorinda. Tuo figlio diventerà l'eroe più celebrato di ogni tempo e nessuno mai potrà considerarsi superiore a lui. Egli è il destinato a prevalere sia sulle persone perverse sia sulle Forze del Male. Adesso comprendi quanto egli sarà importante nell'avvenire? Quindi, rallégrati del suo glorioso destino, madre fortunata, perché tra una manciata di ore ti nascerà un figlio, il quale sarà eccezionale in tutti i sensi!»

«Un'anima da dove proviene e come fa a scegliersi il corpo in cui andrà ad albergare, fino a quando non sopravviene in esso la morte? È consentito ad essa andare ad occupare un altro corpo, dopo essere stata lasciata dal primo, a causa della sua morte? Mi interessa conoscere da te anche questi particolari, poiché essi mi incuriosiscono!»

«Rispondendo alla tua prima domanda, regina di Dorinda, tengo ad asserirti che le anime circolano in numero infinito nell'universo, poiché è ciò che volle Splendor, all'atto della sua creazione. Riguardo alla loro scelta del corpo in cui alloggiare, il quale è il contenuto della tua seconda domanda, essa non si verifica affatto. Quando nasce un bambino, si impossessa del suo corpo l'anima che si trova più a sua portata di mano. Infine, rispondendo alla tua terza domanda, tengo a precisarti che a nessun'anima è permesso occupare un nuovo corpo umano, dopo che il primo è deceduto. Una volta che esso le viene meno, il suo destino è quello di raggiungere Animur e rifugiarvisi, essendo tale luogo il Regno delle Anime. Esso l'attrae a sé, anche se dovesse mancare il suo consenso, per disaccordo oppure per riottosità della medesima.»

«Ad esserti sincera, c'è qualcosa che non mi quadra, anima di mio figlio. Come mai in precedenza mi hai riferito che sei venuta da molto lontano e hai impiegato un sacco di tempo, prima di giungere fin qui, per occupare il corpo di mio figlio, che è quasi sul punto di nascere? Poco fa, invece, mi hai dichiarato che a nessun'anima è consentito di scegliersi il corpo umano, in cui desidera albergare. Mi spieghi, quindi, perché a te soltanto, diversamente dalle altre anime, è stato concesso di operare una scelta a tuo piacimento?»

«Se proprio ci tieni a saperlo, regina di Dorinda, dopo essere stata per caso già nel corpo di un essere umano, adesso mi si sta permettendo di occupare un secondo corpo, il quale è quello del tuo celebre figliolo. Tale scelta, però, devo chiarirti che non è affatto casuale, poiché sono stata io stessa a scegliermelo. È tutto qui!»

«Allora come giustifichi i due privilegi, che ti sono stati accordati, pur andando contro la legge, alla quale sono sottoposte tutte le altre anime? Cos'hai da dirmi, anche a proposito di ciò?»

«Quanto mi hai replicato, sovrana di Dorinda, mi è stato possibile per due motivi, i quali sono da considerarsi assai rilevanti. Innanzitutto, il corpo, dove stavo prima, non era mai deceduto; ma aveva solo cessato di esistere. Anzi, esso non era mai esistito neppure nell’universo. A quel tempo, perciò, non mi fu concesso di far parte di Animur.»

«Ma se tale corpo era inesistente, tu come facevi a trovarti dentro di esso? Vuoi chiarirmi pure questo strano particolare, il quale per me si rivela un autentico enigma?»

«Per un caso incredibile, un illustre dio si era ritrovato nella realtà di Animur, però nelle vesti di un uomo qualsiasi ed avente me come anima. Quando poi egli ritornò ad esistere nell’universo ed assunse di nuovo la sua natura divina, il corpo, che gli era appartenuto nel Regno delle Anime, giustamente sparì dalla circolazione. La qual cosa mi fece ritrovare priva del mio precedente corpo, per cui mi spinse a cercarmene un altro che vivesse nell'universo.»

«Possibile che ci hai impiegato una infinità di tempo, prima di arrivare a scegliertelo? Inoltre, perché hai voluto proprio quello di mio figlio? Per te esso cosa aveva di speciale?»

«Solo il corpo di tuo figlio, regina, era degno di accogliermi, dopo essere stata in quello del dio Iveon, l'eroe delle divinità benefiche. Tuo figlio è destinato ad egregie cose e nessun altro essere umano potrà uguagliarlo, sotto tutti i punti di vista. Adesso, se non ti dispiace, è giunto il momento di prendere il posto che mi appartiene!»

In quell'istante, il dischetto aveva smesso di muoversi circolarmente e si era diretto verso la sovrana. Dopo averla raggiunta, si era poggiato sul suo addome, illuminandolo e rendendolo trasparente. Per cui la regina Elinnia aveva anche potuto vedere il suo piccolo, prima che nascesse. Quando infine la luce era venuta meno e l'addome era ritornato a sparire nell'oscurità, non c'era più neppure il dischetto argentato. Allora l’ultimogenita di Nurdok, che continuava ad essere ebbra di gioia, per aver potuto osservare il proprio figlioletto nel suo grembo, aveva deciso di riaddormentarsi, come già stava facendo da tante ore il sonnacchioso marito. Ella questa volta c'era riuscita senza difficoltà, poiché adesso in lei i sensi si mostravano distesi e rasserenati, come non lo erano stati prima, dopo che si era coricata.


Al mattino la sovrana aveva raccontato al consorte ciò che le era successo durante la scorsa nottata. Egli non le aveva voluto credere neppure un poco; ma sorridendole dolcemente, le aveva dichiarato che si era trattato di una pura attività onirica. Ma quando Lucebio e l’indovino di corte Virco erano andati a trovarli nel mattino, il re Cloronte aveva narrato ad entrambi quanto era accaduto alla consorte durante la nottata. Poi aveva aggiunto che si era trattato semplicemente di un bellissimo sogno. Inoltre, essendo certo che essi avrebbero sposato la sua tesi, egli aveva soggiunto ad entrambi:

«Amici miei, per favore, dite pure voi alla mia adorabile consorte che la sua esperienza di stanotte può essere stata soltanto il contenuto di un sogno oppure il frutto di una sua visione ad occhi aperti, contrariamente a quanto ella crede sul serio!»

«Non può trattarsi d’altro, mia regina!» per primo, era stato Lucebio ad esprimersi a lei in merito «Tu non puoi aver visto realmente cose del genere, come pensi, perché questa notte non ti sei mai mossa dal tuo letto. Ogni tua azione notturna è avvenuta all’interno di un’attività irreale, quella che riescono ad offrirci i sogni di notte!»

«Invece io non la penso come te, mio caro Lucebio.» Virco subito era intervenuto a contraddirlo «A mio parere, la nostra sovrana non è stata vittima di un’allucinazione, come si potrebbe erroneamente pensare. Sappi che, trattandosi della nascita del suo primogenito, ciò che le è capitato rientra nella normalità! Ve lo posso garantire senza errori, essendoci fatti concreti che lo testimonierebbero!»

«Ma quale assurdità ci stai dicendo, Virco!? Mi dici perché mai le stelle avrebbero dovuto offrire alla nostra amata regina lo spettacolo, di cui ella ci ha parlato? Solo perché sta per nascerle il suo primo figlio? Non mi risulta che anche alle altre sovrane sia successo di assistere ad una visione del genere, prima di partorire la prima volta!»

«Lo so che ciò non è accaduto a nessun'altra regina, Lucebio! Il primogenito della regina Elinnia, però, sarà un bambino diverso da tutti i primogeniti delle altre regine edelcadiche, per il semplice fatto che egli nascerà sotto gli auspici degli astri. Così è stato già preconizzato da indovini e da sogni. La qual cosa mi porta ad essere sicuro che la nostra sovrana non ha sognato, anche se stenti a crederci!»

«A quale profezia ti riferisci, Virco? Io non ne ho mai sentito parlare da nessuno. Ne sono forse al corrente anche i nostri regnanti qui presenti? Comunque, neppure il re Kodrun, con il quale mi spartivo il sonno, me ne ha mai parlato in vita sua! Allora vuoi mettere pure noi tre a conoscenza di essa, facendoci un grande favore?»

«Anche il re Cloronte e la regina Elinnia non ne sono mai stati consapevoli; invece l’ex nostro re era al corrente di essa. Si vede, Lucebio, che gli sarà sempre mancata l’occasione di parlarne con il figlio unigenito e con te. Essendo stata la sua vita continuamente un vulcano di iniziative, il re Kodrun non avrà mai avuto il tempo di far cadere il suo discorso a questo proposito. Ecco come posso spiegarti la sua trascuratezza in merito!»

«È proprio così, Lucebio!» aveva aggiunto il re Cloronte «Neanche io ne sapevo alcunché. Si vede che il vaticinio c’è stato, quando ero piccolo o prima che io nascessi! Quest’oggi, però, il nostro Virco sarà così gentile, da mettere a conoscenza di esso pure noi due e la mia consorte qui presente. Così tutti e tre saremo lieti di apprenderlo dalle sue labbra e di gioircene, intanto che si darà a raccontarcelo!»

L’indovino di corte si era messo subito a disposizione dei regnanti di Dorinda e dell’amico Lucebio, iniziando ad informarli su quanto aveva appreso in relazione al futuro primogenito del re Cloronte. Egli, quando ne aveva sentito parlare in casa sua, era un ragazzo di appena dieci anni e da allora non era mai riuscito a dimenticare l’episodio. Il motivo? Esso, rivestendo un carattere di grande interesse, lo aveva tenuto in serbo fino a quel momento, come se fosse stato del giorno precedente.

Allora anche a noi farà senz'altro piacere apprendere qualcosa circa l'arcana profezia, la quale per lungo tempo era stata custodita da Virco nei recessi della sua anima. In tal modo, ne verremo informati, al pari dei tre insigni ascoltatori di corte presenti.

Una sera, quando fuori imperversava un fortunale da finimondo e si udiva un vento temporalesco che urlava come un vero forsennato, il padre di Virco, il cui nome era Sandek, era rincasato interamente bagnato fradicio. L’uomo era il comandante di quelle milizie che nel villaggio presiedevano all’ordine pubblico. Esse avevano anche il compito di vigilare perché non ci fossero dei malintenzionati pronti a trasgredire le leggi emanate dal loro capo. Il loro presidio era situato non molto lontano dall’abitazione di chi nel villaggio deteneva lo scettro del comando, ossia di Ursito. L’ufficiale era in continuo contatto con lui, dovendo rendergli conto ogni giorno dei fatti giornalieri che erano inerenti alla vita del popolo di Litios. Ebbene, il capofamiglia, una volta fatto ritorno tra i suoi familiari, era stato accolto con premura dalla moglie Listria. Ella, dopo avergli fatto togliere di dosso i panni zuppi di pioggia, aveva badato ad asciugarlo per bene in tutto il corpo, essendo intenzionata a non fargli venire un raffreddore o qualche altro accidente qualsiasi. Poco più tardi, la famigliola, la quale era composta dal piccolo Virco e dai suoi genitori, sedeva intorno alla tavola unita ed intenta a consumare la calda pietanza cucinata dalla donna. Mentre così si desinava, ad un certo momento, l’uomo, colmo di felicità, si era dato ad esclamare:

«Gioiamo insieme per la nascita del piccolo Kodrun, il quale è stato messo al mondo da Alcisia, la moglie del nostro capo. Egli, che un giorno succederà al padre Ursito nel governo di Litios, è nato mentre mi trovavo nella loro casa insieme con l’indovino Felope. Il neonato, mia cara Listria, è un bimbo forte e destinato a grandi cose, le quali riguarderanno sia il nostro villaggio sia l’intera Edelcadia!»

«Ma tu come fai a sapere che Kodrun avrà un futuro glorioso, marito mio? Non sarai mica diventato anche tu un veggente, da un giorno all’altro? Scommetto, Sandek, che è stato l'indovino Felope a fare una profezia del genere al nostro capo, quando è nato il suo fortunato primogenito! Dimmi che ho ragione, marito mio!»

«È stato esattamente lui a farla, moglie mia! Quando si è trovato davanti al primogenito del nostro capo, l’indovino si è messo a gridare forte: "Ecco chi farà del nostro villaggio una città potente e sarà l’artefice dei destini dell’Edelcadia! Inoltre, compirà imprese eroiche e sarà celebrato come uno stratega di altissimo valore. Ma tutto ciò che egli farà è da considerarsi roba insignificante, se paragonato a quanto sarà capace di compiere un suo nipote, ossia il primogenito del suo unico figlio. La gloria di costui non avrà fine, poiché egli sarà stimato il più grande eroe di tutti i tempi, tanto di quelli presenti quanto di quelli passati e di quelli avvenire. Il tuo futuro pronipote, capo Ursito, sarà anche il prediletto delle divinità benefiche e gli astri veglieranno su di lui." Dopo essere stato presente a quella profezia, mi sono affrettato a ritornare a casa, anche perché in ogni angolo del villaggio diluviava come non mai ed io volevo rientrare, prima che si allagasse ogni strada e mi vietasse di raggiungervi in tempo.»

«Tre anni fa, Sandek, mi dicesti che l'indovino Felope aveva anche fatto una predizione che riguardava il nostro Virco, dopo che tu glielo avevi presentato. Ce l’hai a mente, marito mio? Io non mi rammento per niente del suo contenuto; però so che essa era abbastanza bella per nostro figlio. Vorresti ricordarmela tu?»

«Certo che la tengo a mente, Listria mia! Quel giorno io e il nostro ragazzo lo incontrammo per strada. Egli, subito dopo averglielo presentato come mio figlio, ponendogli una mano su una spalla, cominciò ad affermarmi: "Questo bambino, Sandek, è dotato di grande spirito profetico e un giorno egli sarà il migliore di tutti nell’arte della divinazione. Supererà perfino me nel trarre presagi dagli astri e dai sogni. Comunque, io non ci sarò più, quando la sua fama di illustre oniromante lo introdurrà nella sfera dei potenti di corte!" Sei contenta adesso, mia carissima moglie?»

Ovviamente, abbiamo appreso l’intera vicenda di quella sera, proprio come si era svolta in casa del comandante della milizia, compresa la profezia di Felope fatta sul figlio Virco. Ma l'indovino di corte aveva riferito ai regnanti di Dorinda e all’amico Lucebio soltanto il vaticinio del suo predecessore sul piccolo Kodrun e non anche quello espresso su di sé. Egli aveva ritenuto opportuno tacere su un particolare del genere, poiché non poteva interessare agli ascoltatori. Intanto noi ce ne ritorniamo nel presente della nostra storia, mostrandoci ansiosi di seguire i momenti che precedevano la nascita del nostro invincibile eroe.


In quella stessa giornata che c’era stata la conversazione tra la regina Elinnia e i suoi interlocutori, i quali erano stati il marito, Lucebio e Virco, era prevista una battuta di caccia al cinghiale, che ci sarebbe stata nel vicino bosco. Ad essa dovevano partecipare il sovrano di Dorinda e gli alti dignitari di corte. Ma la regina Elinnia, essendo certa che ella avrebbe partorito non molto tempo dopo, pensò di dissuadere il marito dal prendervi parte. Perciò lo fece rintracciare da una sua ancella, la quale ebbe anche l'incarico di invitarlo a raggiungerla a corte. Quando egli fu in sua presenza, incominciò a parlargli alquanto preoccupata:

«Cloronte, ti ho mandato a chiamare per pregarti di rinunciare almeno per oggi alla tua passione venatoria, poiché ho la premonizione che la nostra creaturina nascerà nelle prossime ore: comunque, non più tardi di stasera! Sono sicura che ti dispiacerebbe moltissimo non trovarti in casa durante la nascita del tuo primo figlio. Quest'oggi, perciò, ti prego di starmi vicino e di non allontanarti dalla reggia per nessun motivo! Vuoi accontentarmi, per favore, se non ti chiedo troppo?»

«Invece non ti devi preoccupare, Elinnia, perché il nostro bambino non nascerà nella giornata odierna. Hai già dimenticato che ieri l'ostetrica Culda ha detto che occorreranno almeno altri dieci giorni, prima che egli nasca? Dunque, come fai a dire che il nostro bambino verrà alla luce quest’oggi? Se lo vuoi sapere, pur di farti contenta, volentieri farei a meno di questa partita di caccia. Ma tenendo conto delle previsioni fatte dall'ostetrica e ripensando anche alla promessa fatta a mio cugino Iveonte, cioè che stamattina sarei stato senz'altro dei loro, non mi va di fare oggi uno strappo alla regola. Al mio ritorno, vedrai, sono sicuro che mi dirai che ero io ad aver ragione e non tu!»

«Allora vai pure a caccia con il tuo caro parente, Cloronte, dal momento che ne sei convinto! A quanto pare, tuo cugino, che non sono mai riuscita a digerire, è più importante di tuo figlio, che sta per nascere! Ma sai cosa ti dico? Per il grande affronto che gli stai arrecando, gli astri si vendicheranno senza meno. Probabilmente, finiranno per privarti di colui che stai preferendo al nostro bambino! Tienilo bene a mente!»

«Che cosa c’entrano qui gli astri, Elinnia? E perché mai dovrebbero prendersela con mio cugino Iveonte? Adesso non credi che tu stia esagerando? Semmai dovrebbero punire la mia persona e non lui! Inoltre, desidererei che tu mi dicessi perché non sopporti l'unico cugino che ho, il quale rappresenta per me come un fratello. L’ho fatto diventare perfino il mio secondo consigliere, quando ho da prendere delle decisioni importanti! Quindi, ti esorto a lasciarlo da parte, se non vuoi farmi innervosire per davvero!»

«Lo so che lo hai nominato anche tuo consigliere, Cloronte, e non c'è bisogno che tu me lo ricordi. Anzi, anche per questo te ne faccio una colpa, poiché si è trattato di una pessima decisione! A mio avviso, l’unico in grado di darti dei saggi consigli è solo Lucebio. Continuando invece a seguire quelli di tuo cugino, vedrai che ben presto porterai alla rovina Dorinda, la tua famiglia e il tuo popolo. Perfino mio padre me lo fece presente, quando partecipò alle nostre nozze. Secondo lui, avresti dovuto seguire l’orma del tuo glorioso genitore, se volevi sentirti tranquillo e non mettere a repentaglio i tuoi familiari e il tuo regno. Il quale oggigiorno già non si presenta più stabile come una volta, ma fa acqua da tutte le parti. Al contrario, dissennatamente hai voluto dare retta al tuo viscido parente, senza esserti mai avveduto che egli, nel consigliarti, ha sempre perseguito un suo scopo recondito, cioè quello di rovinare l’esistenza al glorioso Tio e alla sua famiglia. Se lo hai dimenticato, ti rammento che il maestro d'armi, oltre a godere la stima di tuo padre, l’eroico re Kodrun, era diventato molto simpatico perfino al mio genitore!»

«Elinnia, perché mio cugino dovrebbe avercela con il nostro maestro d'armi ed agire di conseguenza? Io non ne vedo alcun motivo!»

«A mio avviso, il motivo c'è, Cloronte. La madre glielo ha sempre fatto ritenere responsabile della morte del padre, quando invece era stata lei la vera colpevole del suicidio del marito. Facendolo agire come non doveva, senza rispettare gli altri e sé stesso, alla fine lo costrinse ad impiccarsi. Tutti sanno che Tio ha un cuore d'oro, ha tutte le qualità che un vero uomo dovrebbe avere e il suo comportamento è ineccepibile. Dovresti sempre ricordare che, grazie a lui e al mio genitore, le sorti degli Edelcadi non mutarono in peggio, quando si trovarono di fronte ai bellicosi guerrieri della mia gente!»

«Mi riferisci, Elinnia, come fai a sapere le cose, di cui mi stai parlando adesso, le quali riguardano sia mio cugino che sua madre? All’epoca del suicidio di mio zio Eminto, tu non eri a Dorinda! Anzi, forse non eri neppure nata nella Berieskania, nel tuo remoto borgo di Geput! Se non eri presente, allora ti spetta tacere!»

«Lo sai benissimo, Cloronte, che solo Lucebio poteva riferirmele. Infatti, è stato lui a raccontarmi tutta la vicenda inerente alla famiglia di tuo zio. Ritornando poi agli astri, sappi che essi stanotte hanno voluto farmi sapere che oggi nascerà nostro figlio e che tu dovresti essere presente alla sua nascita. Se essi eviteranno di punirti, nel caso che tu non dessi loro retta, sarà solo perché sei il padre del prediletto delle divinità benefiche: sappilo! Dopo che ti ho reso noti tutti questi fatti, adesso agisci pure come ti pare e piace! Ma sono convinta che dopo te ne pentirai, se adesso decidi di lasciarmi tutta sola!»

«Invece, moglie mia, io farò quello che ho promesso ai miei amici e al mio caro cugino. Perciò scusami, se stamattina mi vedo impossibilitato ad accontentarti. A ogni modo, sono convinto che, al mio ritorno dalla caccia al cinghiale, ci sarai ancora soltanto tu ad attendermi e non anche il nostro primogenito con i suoi numerosi vagiti!»

Nelle ore successive, le quali si diedero a trascorrere lentamente, la sovrana di Dorinda si mostrava tutta ansiosa di partorire e di iniziare a tenersi tra le braccia il suo primo rampollo. Ella, che era certa che il parto ci sarebbe stato in giornata, già avvertiva una immensa voglia di vezzeggiarlo per l'intero tempo delle sue giornate. Perciò, a ogni costo, ella volle che l'ostetrica di corte le stesse di continuo vicina, dovendo ella assisterla mentre metteva al mondo il suo primogenito, prevedendo imminente la sua nascita. Naturalmente, neppure Culda le credette, come aveva fatto il suo consorte. Per questo si mostrava scettica sul fatto che il suo bambino potesse nascere proprio in quel giorno. L'ostetrica, però, con molta gentilezza ugualmente cercò di assecondarla, per cui si mise a sua completa disposizione. Così le fece compagnia ogni istante del suo tempo che trascorreva, pur di non vederla in preda alla forte ansia. Invece, contrariamente ad ogni previsione della levatrice, le cose andarono in modo diverso. Infatti, poco prima di mezzogiorno, quando i partecipanti alla caccia erano partiti da tempo alla volta del bosco, allo scopo di svagarsi il più possibile, la sovrana di Dorinda si rivolse alla sua ostetrica e si diede a gridarle:

«Corri presto da me, Ustina, perché sto avvertendo delle contrazioni dolorose nel basso ventre! Si vede che avevo previsto giusto, riguardo alla nascita di mio figlio! Peccato che mio marito, mostrandosi molto cocciuto, non mi abbia dato ascolto e se ne sia andato a caccia!»

«Non è detto, mia regina, che esse significhino per forza che sei entrata nella fase iniziale del travaglio e che presto ci sarà anche il parto. Bisognerà prima attendere che si rompano spontaneamente le acque. Solo dopo la loro rottura, si potrà affermare con certezza che la nascita del bambino sta per avvenire sul serio! Dunque, cerca di tranquillizzarti un poco e di non pensare a cose che non possono esistere ancora!»

«Ma tu, Ustina, perché non dai lo stesso una occhiata nelle mie parti intime e controlli di persona come stanno andando realmente le cose? Questo lo puoi fare benissimo! Anzi, fallo soprattutto per liberarmi di parte della mia ansia, la quale mi sta già divorando interamente. Per favore, deciditi a darmi ascolto e a rasserenarmi!»

«Ebbene, mia regina, lo faccio subito; ma prima bevi questa tisana, che ti ho appena preparata: un poco per volta, ti raccomando! Essa contiene un ormone speciale, il quale, oltre a permetterti di accelerare il travaglio, ti farà anche soffrire molto di meno. Mia nobile sovrana, cerca di berla tutta quanta, se vuoi stare bene!»

Intanto che la regina Elinnia se ne restava seduta sul letto e sorseggiava la sua infusione, la quale avrebbe dovuto arrecarle qualche beneficio, l’esperta in ostetricia scoprì la regione pubica di lei e cominciò a perlustrare l'orifizio vaginale. Dopo avere ultimato il suo primo esame, ella le fece presente:

«Anche se non si nota ancora alcun segno di rottura delle acque, mia regina, inizio a credere anch’io che la nascita di tuo figlio sia imminente, poiché scorgo la tua vagina abbastanza distesa. Se hai timore di muoverti, non preoccuparti, poiché puoi assumere la posizione che più ti aggrada. Anzi, devi sapere che il frequente cambiamento di posizione del tuo corpo non creerà alcun problema al feto che hai nel grembo, il quale oramai si prepara a venire alla luce. Semmai esso imprimerà al moto uterino una maggiore efficienza ed accrescerà il tuo comfort, procurandoti così un gran sollievo fisico.»

Nell'effettuare il suo secondo controllo, l'ostetrica subito sospettò che la testa del feto avesse già raggiunto il pavimento pelvico. Allora ella introdusse un dito nella vagina della partoriente nullipara, poiché intendeva determinarne la posizione della testa in base alla disposizione delle fontanelle e delle suture craniali. Infine, l'avvertì al tatto e la trovò anche perfettamente calibrata, cioè collocata sul giusto piano per scendere lungo il canale del parto. Stando le cose nella maniera più favorevole, ella invitò la sovrana a spingere più fortemente possibile. Quando poi la testa del feto venne fuori, l'ostetrica subito provvide a ripulirla dal muco che usciva dal naso. Inoltre, controllò che il funicolo ombelicale non fosse attorcigliato intorno al suo collo. In quel caso avrebbe dovuto srotolarlo o reciderlo, prima che il nascituro venisse fatto uscire all’esterno, con il pericolo di venirne strangolato. Ma non avendo riscontrato quell’inconveniente, l'ostetrica invitò colei che stava per diventare madre a dare la spinta finale. Questa, infatti, le avrebbe fatto espellere il piccolo nascituro dalla propria vagina e gli avrebbe permesso così di iniziare la sua vita extrauterina. Nel contempo che la donna le consigliava ciò che doveva fare in quei momenti delicati, la regina Elinnia si diede ad ubbidirle pedissequamente, per paura di fare del male al proprio figlio. Così, pochi attimi dopo, emettendo degli acuti vagiti, il neonato uscì alla luce, insieme con la placenta. A quel punto, la levatrice si affrettò a tagliare il cordone ombelicale del piccolo, il quale lo univa ancora alla madre. Al termine del taglio, ella immerse il principino in un catino con acqua tiepida. Solo dopo averlo lavato, asciugato e coperto, si decise a posarlo in grembo alla madre, dicendole: "Rallégrati, mia regina, perché hai dato alla luce un maschietto meraviglioso! Sono sicura che il re Cloronte ne sarà molto orgoglioso!"

Per fortuna, durante il secondamento, che era da ritenersi il momento più pericoloso del travaglio, non sopravvenne nessuna delle temibili complicazioni. Le quali spesso erano in agguato in tale periodo, come una emorragia post-partum, il mancato distacco della placenta o l’inversione dell’utero. Ma ciò che aveva fatto stupire grandemente l'ostetrica era stato un fenomeno strano, al quale non le era mai capitato di assistere in precedenza. Mentre teneva nell’acqua il piccolo e lo lavava, all’interno di essa si erano formate delle bollicine a forma di stelle. Le quali, però, non avevano preso il volo per raggiungere la volta celeste. Al contrario, erano rimaste ad agitarsi nel recipiente, dove si muovevano intorno al corpo di lui e lo solleticavano in ogni sua parte. Così agendo, esse gli procuravano il sorriso e gli facevano dimenticare il pianto dovuto alla fame.

Dopo che ci fu la nascita del suo primogenito in modo del tutto normale, immediatamente fu inviato un messaggero ad avvertire il re Cloronte del lieto evento. Nello stesso istante, però, nel bosco fu annunciata al sovrano anche l’uccisione del suo caro cugino Iveonte per mano di Tio. La qual cosa lo fece rientrare alla reggia molto amareggiato per la morte del parente, anziché trionfante di gioia per la nascita del suo primo figlio. Allora la regina Elinnia, non leggendo sul volto del caro consorte la felicità che un padre avrebbe dovuto manifestare nell’apprendere la nascita del suo primogenito, si adirò a non dirsi. Perciò, mostrandosi corrucciata al massimo a causa del suo inspiegabile atteggiamento, ella non si astenne dal rimproverarlo aspramente, tempestandolo delle seguenti sue frasi di collera:

«È così, Cloronte, che hai accolto la notizia della nascita del tuo primogenito?! A quanto pare, essa, più che infonderti il massimo gaudio esistente, ti ha trasmesso invece un senso di mestizia! Ti sei presentato a tuo figlio con una faccia quasi da moribondo e con una espressione funerea! Per favore, vuoi spiegarmi questo tuo comportamento, che in verità non riesco a comprendere per niente?»

«Il rimprovero, che mi hai fatto, Elinnia, è stato ingiusto. Se mi vedi in questo stato, è perché nel bosco mio cugino Iveonte è stato ucciso perfidamente da Tio. Colui che tu ritenevi una persona in gamba e perbene lo ha freddato con una freccia senza alcuna pietà. Poi è scappato via e ha fatto perdere le sue tracce. Come vedi, è stata la morte del mio caro parente a ridurmi in questo stato e mi priva adesso di ogni voglia di essere contento, nonostante io abbia davanti il mio primo figlio, che è nato da un paio di ore. Mia dolce consorte, ti prometto che mi rifarò in seguito, quando la pena per il mio povero parente si sarà dissolta nel mio animo. Allora vedrai quale affettuoso padre saprò essere per il mio piccolo neonato. A proposito, siccome non ha ancora un nome l’erede al trono di Dorinda, bisognerà subito trovargliene qualcuno al più presto. Non sei d’accordo pure tu con me, mia cara?»

«Certo che lo sono, Cloronte! Il nome, che tra poco gli daremo, dovrà essere degno di un principe! Ma prima voglio chiederti scusa per i miei pensieri malevoli nei tuoi confronti. Lo sai anche tu che non potevo immaginare che, tornando dal bosco, ti portavi appresso una vicenda funesta, la quale ti aveva colpito in prima persona!»

«Non preoccuparti, Elinnia! Tu hai agito, come avrei fatto pure io, al posto tuo. Non potevi essere a conoscenza che il mio sventurato cugino era stato assassinato. Adesso che ci penso, è giusto che mio figlio prenda il suo nome e ne perpetui il ricordo. Perciò ho deciso che egli si chiamerà Iveonte, proprio come il defunto mio cugino e tu non oserai opporti a questa mia decisione! Intesi?»

«Invece non puoi dargli tale nome, Cloronte! Non bisogna mai dare ad un neonato il nome di un parente, il quale è venuto a mancare da poco. Se lo si fa, gli si attira addosso molte sventure. E tu non puoi volere questo per il nostro primogenito, se lo ami! Ti prego di ripensarci, marito mio! Tutti i Berieski lo sanno e ci credono fermamente, poiché molti di loro lo hanno sperimentato di persona!»

«Pur essendo tu contraria, Elinnia, lo stesso chiamerò il mio primogenito come ho stabilito, ossia Iveonte, e non gli succederà niente di brutto durante la sua vita. Quella che hai citato poco fa è soltanto una credenza del tuo popolo, che non si poggia su nessun dato concreto. Il nome di mio figlio, quindi, come da me decretato, sarà Iveonte per l'intera sua esistenza, se il mio ordine conta ancora qualcosa!»

«Fai pure di testa tua, mio testardo marito, dal momento che sei suo padre e sei colui che può stabilirlo per legge. Ma in seguito non dolertene, se in avvenire sarai costretto a pentirtene, per non aver voluto ascoltarmi in questo preciso istante!»

«Invece, Elinnia, ti garantisco che non potrò mai pentirmi di quanto sto facendo adesso. Lo sai perché? Devi sapere che per il nostro primogenito sono state vaticinate imprese grandiose e non sventure che potrebbero nuocergli. Inoltre, non sarà certamente il suo nome Iveonte a privarlo di ciò che il destino ha già stabilito di elargirgli alla grande nel corso della sua esistenza! Dunque, lascia stare le tue stupidaggini!»

«Se ti sta bene pensarla in questo modo, Cloronte, sei libero di farlo. Anzi, nessuno te lo può vietare. Chi potrebbe costringere un sovrano a fare il contrario di quanto ha deliberato? Neppure sua moglie, anche se la pensa diversamente da lui. È l'esatto nostro caso, avendo tu già deciso quale nome dare a nostro figlio, senza degnarti di consultarmi in merito! Se poi mi sbaglio, fai come credi!»

«Comunque, Elinnia, non serve andare avanti con questo discorso e smettiamo di tirarla alla lunga. La cosa migliore è chiuderlo qui per sempre, senza più ritornarci sopra inutilmente! Se proprio lo vuoi sapere, non è tanto la morte di mio cugino, quanto invece è una forza arcana a spingermi a chiamare il mio primogenito con questo nome. Anche per questo motivo, non conviene ad entrambi contrapporci ad essa, se non vogliamo farcela nemica e vedercela addosso terribilmente arrabbiata!»

«Se è vero quanto affermi, Cloronte, allora smetto di essere contraria alla tua volontà di dare al nostro primogenito il nome di Iveonte.»