85-DELUSO, IL MAGO GHIRDO RICORRE AL DIO SARTIPAN

Poco fa abbiamo lasciato il Talpok che se la dileguava simile ad una talpa nel suo mondo sotterraneo, senza darci pensiero di seguirlo nella sua precipitosa fuga. Ma ritengo un fatto di capitale importanza ricondurci almeno ora ad esso, allo scopo di comprendere meglio l'intera vicenda della nostra storia. Anzi, possiamo essere certi che ci risulterà molto utile riandare con calma ed attenzione ai diversi momenti trascorsi nel frattempo dal mostro. Cominceremo da quando esso era sparito sottoterra, fino a riallacciarci in seguito al presente dei fatti che riguardavano lo strano evento. Come tra poco avremo modo di renderci conto, il nostro inseguimento ci svelerà il mistero basilare che avviluppa il Talpok. Il quale ci farà comprendere soprattutto le ragioni di certi episodi che si erano verificati durante il nostro avvincente racconto. Inoltre, ci metterà in presenza di altri che vi verranno a svolgersi nel prossimo futuro e saranno ugualmente riconducibili all'invulnerabile mostro.

Ebbene, dopo un lungo percorso sotterraneo, attraverso un cunicolo che esso stesso si era scavato al momento con gli arti superiori e con i due corni, il Talpok alla fine era venuto a trovarsi all'imbocco di una buia galleria. Questa si era presentata talmente ampia, da consentirgli dopo un agevole transito, pur dandosi ad avanzare con il tronco eretto. Allora il bestione vi si era riversato senza esitazione, mostrando però una inconsueta inquietudine. Terminata la galleria, esso era entrato in un'ampia spelonca piuttosto alta, nella cui parte centrale si scorgevano due bocche di pozzi, che erano distanti tre metri l'una dall'altra. Entrambe lasciavano fuoriuscire copiosamente una specie di vapore, che si presentava di colore diverso. Quello del pozzo situato sul lato destro era bianco, mentre quello del pozzo situato sul lato sinistro era nero. Allora il mostro prima si era accostato alla buca che faceva uscire il vapore chiaro e poi si era sporto sopra di essa, facendo immergere l'intero suo capo nell'elemento vaporoso. Una volta che ne aveva aspirato una quantità sufficiente, si era allontanato dalla bocca del pozzo.

Solo in seguito, cioè quando erano trascorsi un paio di minuti, sul tozzo corpo del Talpok era iniziata ad aversi una radicale trasformazione, a cominciare dal suo strato osseo. Sul quale si era formata una melma ribollente, che emetteva degli effluvi sotto forma di vapori. Questi, invece, avvolgendolo in una specie di bruma grigiastra, lo nascondevano alla vista di chiunque fosse stato presente in tale luogo. Era evidente che in quel momento esso si mostrava in piena mutazione. Ma le varie fasi di trasformazione erano avvenute in circa mezzora. Quando infine c'era stato il completamento dell'ultimo stadio della sua metamorfosi, la nebbia si era dipanata del tutto intorno al mostro. Allora nella grotta si era assistito a qualcosa che non ci saremmo mai aspettato e non avremmo mai immaginato. Per l'esattezza, era apparso il vecchio mago Ghirdo in carne ed ossa. Adesso lo si poteva scorgere con la mente fissa in un pesante e travagliato pensiero. Possiamo apprendere a cosa la sua mente era rivolta? Lo sapremo molto presto, ossia dopo che avremo ripreso l'attuale racconto nel presente reale della nostra storia.

Ora il mago restava ancora là e lo si scorgeva nello stesso atteggiamento, il quale era quello che lo presentava soprappensiero. Quella posizione da lui assunta gli proveniva dal fatto che gli si agitavano nella testa situazioni troppo ingarbugliate ed assillanti. Le quali lo stupefacevano e lo attanagliavano in un momentaneo frastornamento, dopo che c'era stata per lui la brutta sorpresa del bosco. Egli rifletteva a lungo su qualcosa di molto lontano nel tempo, che non riusciva a farlo capacitare. Riconsiderando il suo remoto passato, alla luce del recente scontro avuto con lo sconosciuto giovane, secondo lui il suo protettore, cioè il dio Sartipan, era stato bugiardo e fallace. Il motivo? Egli gli aveva riferito soltanto fandonie sul conto del principe Iveonte. Secondo tale divinità, la sua vita presto avrebbe avuto termine, poiché sarebbe stata stroncata dal primogenito del re Cloronte. A meno che egli non fosse riuscito ad eliminarlo, prima che il principe compisse i suoi venti anni! A parere dello stesso essere divino, Iveonte era il solo umano che avrebbe dovuto temere in tutta la sua esistenza immortale. Perciò, da parte sua, c'erano state un'attenzione e un'accortezza ineccepibili nel tenere lontano il suo nemico dal compimento degli anni previsti. Lo aveva voluto soffocare addirittura, quando aveva appena sette anni, ingannando il re Cloronte!

Ma allora perché c'era un altro essere umano, contro il quale le sue forze erano risultate impotenti ed innocue? L'unica ragione plausibile, a suo giudizio, era quella di ritenere il suo dio protettore un mendace, se non proprio un ignorante in materia di visioni profetiche. Poco dopo, perciò, il mago si fece la seguente nuova domanda: Perché il dio aveva cercato di favorirlo, inviando opportunamente al re Cloronte il giusto sogno per far cadere in disgrazia il suo primogenito, se poi il suo darsi da fare ugualmente sarebbe andato a rotoli? Eppure esso era stato sfruttato da lui abilmente, falsandone il significato e facendo eliminare il principino! Con la sua falsa versione data al sogno, egli era stato in grado perfino di cambiare il destino di Dorinda, come egli stesso aveva potuto constatare in quella circostanza! Ecco perché doveva recarsi subito nell'Antro delle Brume Rosse, dove il divino Sartipan manifestava la sua presenza attraverso agghiaccianti fenomeni. Così, senza peli sulla lingua, gli avrebbe rinfacciato l'inattendibilità dei suoi vaticini del passato, dal momento che essi si erano rivelati del tutto menzogneri e fasulli!

Alcuni istanti più tardi, mentre era ancora in preda alla sua forte arrabbiatura, Ghirdo si diede a percorrere una galleria, le cui pareti si mostravano spaventosamente scalcinate e piene di crepe profonde. In esse si andava fermentando una strana vita animale, dalla quale affioravano, a guisa di tentacoli in agitazione, certi ignoti esseri dall'aspetto grottesco. Raggiunto poi il suo fondo, il mago si riversò in una porticina, la quale si immetteva in una gradinata discendente, il cui ultimo gradino era situato ad un metro dalla riva di un corso d'acqua sotterraneo. Sopra di esso era fissato un anello metallico, a cui era legata con un canapo una piccola barca. Allora egli se ne impossessò senza perdere tempo ed incominciò a risalire ostinatamente la corrente dell'acqua. Mentre eseguiva una vogata arrancata, continuava a manifestare quella sua stizza, che lo faceva apparire abbastanza inquieto.

Forse qualche lettore si starà senz'altro chiedendo come facesse il mago a vederci chiaro in tutto quell'attorcigliato susseguirsi di cunicoli, nei quali non giungeva neppure un filo di luce. Difatti essi non potevano essere che tetri, siccome si trovavano a diversi metri sotto terra ed erano privi di sbocchi ariosi. Ma se noi di sicuro non ci saremmo riusciti, statene pur certi che egli trovava il modo di vederci benissimo! Probabilmente, i suoi occhi non erano dissimili da quelli dei gatti, i quali riescono a vedere benissimo anche al buio.

Vogando quindi con un ritmo che denotava il suo nervosismo, ad un certo punto, Ghirdo smise la voga ed approdò ai margini di una grotta cieca, nella quale si slanciò di corsa e vi si eclissò per alcuni minuti. Quando riapparve da essa, egli aveva tra le mani un cofanetto, che si preoccupò di riporre nell'estremità posteriore della barca. Subito dopo, però, il mago riprese il tragitto interrotto, mostrandosi nel suo remare più attivo che mai. Il mago, comunque, dovette porre termine al lavoro dei remi, prima che il corso d'acqua venisse a disperdersi in un ampio gorgo. Nel quale esso si gettava, producendo un moderato gorgoglìo.

Dopo aver percorso una trentina di metri dalla sua prima tappa, l'esperto di magia pose termine alla sua remata ed abbandonò la barca, non dimentico di raccogliere il prezioso scrigno dal suo fondo. Sorreggendolo poi rigidamente, si introdusse in un cunicolo serpentiforme, il quale confluiva in una cavità parecchio spaziosa, dalla cui volta pendevano numerose stalattiti di varia lunghezza. Ebbene, quell'antro rappresentava la meta del suo viaggio, visto che egli era diretto proprio in quel luogo. Pervenuto così nella sua parte centrale, Ghirdo portò le mani ai lati della bocca e, volgendo il capo verso l'alto, chiamò Sartipan con un grido stentoreo e prolungato. Basti pensare che la sua eco penetrò perfino nelle parti più recondite dell'antro! Al pronunciamento del nome del dio da parte sua, in un primo momento, ci furono un silenzio sepolcrale e l'immobilità totale di ogni cosa circostante. Quell'assoluta quiete, che era causata dall'uno e dall'altra, però non era destinata a durare molto a lungo. A breve distanza di tempo, infatti, essa fu prima disturbata e poi interrotta da un arcano fenomeno. Il quale stava a significare che la divinità interpellata si stava avvicinando a lui e presto avrebbe fatto avvertire la sua presenza nella rossastra caverna, attraverso le solite stupefacenti estrinsecazioni. Repentinamente fu avvertito un reboante rotolio di sordi e laceranti rimbombi, come se fossero stati emessi da un prolungato tuono in scorrimento tra le sature nuvole in fuga.

Ad ogni modo, essi si erano manifestati, partendo da una intensità appena percettibile ed accrescendosi poi via via gradatamente, fino a diventare un fragore assordante. Infine, quando esso divenne massimo, l'intenso rumore incominciò a scemare di nuovo. La fase calante durò, fino a quando gli ultimi strascichi dell'eco dei vari rintronamenti non si furono assopiti e dileguati in una perfetta tranquillità. Per cui essa non faceva più temere alcun tipo di disturbo. A tale misterioso fenomeno acustico un istante dopo seguì un ininterrotto staccarsi dalla volta dell'antro di rossastre brume, che si andavano adagiando lievemente al suolo. Anzi, esse, rimbalzandone con moti flessuosi e volubili, non smettevano di assumere le forme più stravaganti. Mentre si scorgevano congiungersi e disgiungersi, rincorrersi ed intrecciarsi fra di loro, pareva che le medesime stessero giocherellando, dando luogo ad un accattivante spettacolo. Soltanto quando quello spazio cavernoso fu pieno di quelle brume rossicce, le quali erano dedite a movenze artistiche e lo invadevano in ogni suo riposto angolo, per risposta a quella del mago che lo aveva chiamato, intervenne a farsi udire una voce colma di enfasi:

«O mio devoto Ghirdo, se ti sei scomodato e ti sei condotto fino a me, di sicuro ci sarà una ragione oppure sarà sorto un problema, che non avevi previsto. Quindi, comincia a riferirmi ogni cosa, poiché ti sto ascoltando. Per il tuo bene, voglio almeno sperare che ti abbiano spinto a ricorrere a me degli avvenimenti, che ti sono risultati piuttosto lieti e non affatto tristi! Posso permettermi di confidare in ciò?»

«Invece sono qui da te, eterno Sartipan, per ragioni abbastanza serie. Delle cose assai brutte mi tengono in una tensione esasperante. Non ti nego che esse mi hanno perfino spinto a considerarti un gran ciarlatano. Dopo che avrai appreso ciò che sto per annunciarti, sono certo che comprenderai il mio disappunto e la mia collera. Devi sapere che, contrariamente a quanto mi avevi garantito, un giovane, il quale non può essere Iveonte, stamani mi ha messo in fuga, dopo che i miei poteri si sono dimostrati inconcludenti contro di lui. Soltanto l'opportuno sogno, che inviasti al re Cloronte in quella lontana notte, mi ha fatto avere ancora fiducia in te! Perciò sei pregato di dare una giustificazione all'increscioso episodio, che mi è capitato quest'oggi nel bosco presso Dorinda, dopo che mi ero trasformato nell'invincibile mostro. Inoltre, se è il caso, ti chiedo di aiutarmi, togliendomi dall'attuale imbarazzo!»

Il dio, dopo avere emesso un profondo sospiro, si diede a dirgli:

«I nostri imbarazzi di oggi, mio devoto Ghirdo, quasi sempre conseguono dalle nostre negligenze di ieri. Sì, è proprio vero che le massime, quando sono autentiche figlie della saggezza, non sgarrano mai! Tra poco, ne constaterai di persona la veridicità, visto che ne stai già pagando le conseguenze, se sei ricorso a me per avere delle spiegazioni in merito al tuo nemico Iveonte. In passato, pur sapendo che avevi avverso un destino ineluttabile, prendesti le cose troppo alla leggera, commettendo vari errori, l'uno dopo l'altro! Anzi, non prendendo le cose abbastanza seriamente, non te ne preoccupasti in nessuna maniera!»

«A quali errori ti stai riferendo, divino Sartipan?! Sei certo che non ti stai sbagliando sul mio conto? Secondo me, senz'altro sei in errore!» gli rispose il mago Ghirdo, palesando del risentimento.

Peccando poi di mera supponenza, pur di difendersi, aggiunse:

«Ti posso dare la certezza assoluta di non aver commesso nessun errore a quell'epoca, divino Sartipan, avendo operato con la massima diligenza e con grande scrupolo! Perciò ti sfido a dimostrarmi quando e in che modo ebbi a commettere qualche errore, a proposito della vicenda concernente il piccolo Iveonte! Dunque, dimostramelo!»

«Non fare il presuntuoso con me, Ghirdo! Invece cerca di meditare bene sul tuo remoto passato! Così ti renderai conto che sei caduto in errore più di una volta. Commettesti il primo sbaglio, quando non mi portasti il cuore del piccolo Iveonte, entro tre giorni dalla sua uccisione, per verificare se esso era veramente del figlio del re Cloronte. Invece ti presentasti da me al quarto giorno, quando oramai la verifica non era più effettuabile. Perciò, fin da allora, affidasti i nostri piani ad un futuro incerto. Quel giorno, volendo giustificarti, adducesti delle scuse assurde, affermando che il tuo ritardo era stato causato dal corso d'acqua che conduce a quest'antro. Insistesti ad asserirmi che, per una durata di tre giorni, esso si era presentato gonfiato a tal punto, da non lasciarti lo spazio sufficiente per navigarlo e per raggiungere il mio antro. Si sapeva, però, che erano autentiche frottole perché una cosa simile non era mai accaduta in tutti i millenni della mia esistenza. Per cui non poteva esserci stata neppure in quei giorni, che potevano risultarti utili!»

«Eppure era stato proprio così, divino Sartipan! In tale periodo, anch'io me ne stupii non poco, nel vedere l'acqua arrivare fin sotto la volta della galleria. Non avevo mai visto accadere un fenomeno simile, durante l'intero millennio che ci conosciamo ed abbiamo avuto degli ottimi rapporti! Sul principio, mi amareggiai immensamente e non mi davo pace, essendomi vietato di vogare la mia barca. Pensa che ogni mattino e ogni pomeriggio di ciascuno dei tre giorni venivo a controllare il livello delle acque e ogni volta non ci fu niente da fare, poiché esse non si decidevano ad abbassarsi. Alla fine mi rassegnai e non diedi più alcun peso a quell'esagerato ingrossamento delle acque. Pensai che, in fin dei conti, si poteva fare pure a meno dell'accertamento che doveva confermarci a chi apparteneva il cuore in mio possesso. Infatti, ero convinto che nel cofanetto avuto in consegna dalla persona fidata del re Cloronte non poteva esserci che il cuore del principino. A quel tempo, tu stesso ti mostrasti non particolarmente preoccupato di tale imprevisto. Perciò, con una evidente soddisfazione, mi mandasti a depositarlo nella Grotta della Perenne Conservazione. Ricordi che avvenne come ti ho riferito?»

«Ghirdo, come fai a dire che quel giorno ero soddisfatto e per niente preoccupato del tuo ritardo!? Anche se non ne avesti l'impressione, invece io ero di ben altro umore! Con un certo disappunto, pensai che una nuova verifica ci sarebbe stata consentita, solo dopo che Iveonte avesse compiuto i venti anni, cioè quando non si poteva fare più nulla contro di lui. Quindi, non so come facesti a scorgermi nella disposizione d'animo, a cui hai accennato! In quel momento, il pensiero mi portò a credere che si stesse preparando per noi due una prima sconfitta. La quale a te avrebbe tolto per sempre l'immortalità e in me avrebbe spento definitivamente la vanagloria di farmi adorare dal grande popolo edelcadico, al posto di Matarum. Si vede che sono destinato a seguire le orme di mio padre Strocton, che pure manifestò un'ambizione del genere. Invece egli, dopo essere stato clamorosamente sconfitto dal rivale, fu costretto a subire la sua dura punizione. Perciò adesso si trova relegato nelle viscere della terra e non ci è dato sapere per quanto tempo dovrà ancora restarci. Ma sono persuaso che la sua permanenza in esso sarà lunga!»

«Non essere così pessimista, mio grande protettore. Vedrai che alla fine saremo noi a vincere! Questa volta Matarum avrà di fronte avversari degni di lui, per cui egli dovrà arrendersi a noi due. Sì, fiaccheremo la sua potenza e lo schiacceremo sotto il nostro calcagno, esattamente come si fa con gli scarafaggi! Adesso, però, dio Sartipan, vuoi mettermi al corrente degli altri miei errori, oltre a quello del mio mancato appuntamento con te? Se vuoi darti a riferirmeli, io sono già in ascolto!»

«Non è stata forse una leggerezza da parte tua, Ghirdo, il non avere mai desiderato sapere come è fatto il cuore di un bambino, in tutte le tue dodicimila immolazioni, che mi hai fatte negli oltre mille anni della tua esistenza da immortale? Se invece ti fossi adoperato in tal senso, saresti stato un esperto in materia e non ti saresti fatto gabbare da nessuno! Il nostro guaio fu che nemmeno io avevo qualche esperienza di tal genere. Almeno avessi potuto consultare il mio genitore! Egli sì che me lo avrebbe saputo dire senza difficoltà! Ma lo sventurato è da oltre tre millenni che è sparito dalla circolazione, ossia da quando perse la sua lotta contro Matarum e fu punito nel modo che sappiamo. Perciò non potetti rivolgermi a lui per un efficace consulto, allo scopo di evitare le brutte sorprese che sarebbero potute esserci per noi in avvenire.»

«Mio divino protettore, potevi però consultare tuo fratello Siroctu, il quale era un grande esperto dell'anatomia umana. Egli aveva il popolo degli Scinnes, che lo adorava e gli immolava copiose vittime umane in maniera diversa da come le pretendi tu da me. Lo sai che ti accontenti di libare il caldo sangue delle tue tenere vittime, mentre esso stilla tiepido dal taglio da me effettuato sulla parte anteriore del loro collo. Invece le parti del corpo umano, che sono preferite da tuo fratello, sono il cervello, il cuore, il fegato, i polmoni e la milza. Dunque, chi più di lui avrebbe potuto darti un valido aiuto nel riconoscimento di un cuore umano? Ti garantisco: proprio nessuno!»

«Per favore, Ghirdo, non parlarmi del mio pessimo germano, poiché dalla sua bocca non ci avrei cavato neanche una virgola! Devi sapere che ci sono stati sempre dei dissapori fra noi due; inoltre, egli è la pecora nera della famiglia e non avrebbe mai ardito schierarsi contro Matarum, temendo di fare la stessa fine di nostro padre. Allora decisi di raccomandarmi alla buona sorte e di sperare in un provvido futuro. Ma da quanto mi hai appena riportato, comincio a credere che unicamente la malasorte ci abbia accompagnati negli anni trascorsi. Per cui possiamo asserire che ogni nostro tentativo di eliminare il primogenito del re di Dorinda è stato decisamente vano. Così quel nodo, che non riuscimmo a recidere tanto tempo fa, oggi ce lo ritroviamo puntuale al pettine, con l'obiettivo di intossicarci l'esistenza e di non farci più vivere in pace!»

«A quale nodo ti sei voluto riferire, dio Sartipan? Se vuoi saperlo, non ci ho capito un bel niente di quanto hai appena detto! Per favore, vuoi essere più esplicito, in modo che io comprenda le tue parole?»

«Possibile, Ghirdo, che tu non voglia rendertene conto in nessuna maniera? Il nostro problema era e resta ancora Iveonte! Tanti anni fa te lo lasciasti sfuggire, comportandoti da vero ingenuo; di conseguenza, non riuscisti a farlo eliminare, come avresti dovuto. Così oggi egli ti si è presentato per la prima volta, dandoti parecchio filo da torcere. Nonostante ciò, continui ad avere il coraggio di dichiararmi che non è stato il primogenito del re Cloronte ad affrontarti e a metterti in fuga nel bosco di Dorinda. Invece, a questo punto, ti conviene accettare la realtà com'è, guardandola in faccia senza rimpianti, mio incredulo mago!»

«All'opposto di te, sono sicurissimo che non era Iveonte il giovane guerriero che si è scontrato con me questa mattina. Se egli fosse vivo, di sicuro starebbe facendo di tutto per riprendersi le sue terre e per riscattare la libertà del suo popolo. Perciò, anziché mettersi a salvare la sorella del suo nemico mortale, penserebbe a portare a costui guerra e morte. Inoltre, sono convinto che il carnefice di Iveonte quel giorno compì il proprio dovere, proprio come gli aveva ordinato il suo re Cloronte. Quindi, riesco solo a pensare che in passato tu abbia scrutato male nei nostri due destini e che invece non fosse Iveonte la persona che avremmo dovuto temere ed eliminare. Secondo me, non è da scartare questa eventualità da me ipotizzata, come probabile causa del nostro fallimento in arrivo, anche se non ti mostri d'accordo con me!»

«Non è affatto come stai cavillando, Ghirdo! Mai come quella volta fui in grado di leggere in modo infallibile nei nostri destini! Lo so che ti pesa moltissimo guardare in volto la verità, poiché essa ti rinfaccia senza mezzi termini gli errori da te commessi tanti anni fa. Purtroppo, contro di essa non si può fare assolutamente niente; né si può tentare di stravolgerla o di manometterla oppure di travisarla! Ma a qual fine, poi, se gli interessati siamo noi stessi? Dico "noi", tanto per dire! Invece soltanto tu sei quello che avresti da rimetterci tutto quanto, caro mago! Se dovessimo fallire, io non avrei ciò che già non ho; mentre tu verresti a perdere l'immortalità, che adesso possiedi per mia concessione. Per tale motivo non venire ad affermarmi che l'uomo mandato ad uccidere il principino fece il suo dovere! Il tuo terzo errore fu quello di avere avuto inavvedutamente troppa fiducia in colui che era stato incaricato di portare a termine l'esecuzione capitale del piccolo Iveonte.»

«Ti ripeto, divino Sartipan, che l'uomo, il quale ebbe l'ordine di uccidere il primogenito del re Cloronte, fece il proprio dovere fino in fondo. Egli non avrebbe mai disubbidito al suo sovrano!»

«Invece, Ghirdo, continuo a non pensarla allo stesso modo tuo. Quell'uomo avrebbe preferito suicidarsi, piuttosto che ammazzare l'erede al trono di Dorinda. Hai dimenticato a quale persona il re Cloronte affidò il compito di assassinare suo figlio? Possibile che non ravvisasti in chi ti consegnò il falso cuore del principino l'uomo che, durante la tua spiegazione del sogno, già ti stava mettendo fuori gioco, se non fossi intervenuto io? Egli di sicuro avrebbe scoperto il tuo trucco, se non lo avessi fatto chiamare dalla regina Elinnia, allontanandolo dalla sala del trono. Ciò avvenne, esattamente nel momento in cui dovevi fare uso della polverina rossa per confondere le idee a tutti i presenti, compreso il re Cloronte. Come, dunque, potesti scambiare per un carnefice Lucebio, il quale era il primo consigliere del sovrano di Dorinda, oltre che l'amico precettore di Iveonte e l'uomo più saggio di tutta l'Edelcadia? Certo che egli fece il proprio dovere! Ma quale? Naturalmente, quello verso la propria coscienza e non quello verso il proprio sovrano, sebbene fosse suo grandissimo amico! Te lo posso garantire!»

«Assolutamente non ci crederò mai, divino Sartipan, almeno fino a quando non sarai in grado di fornirmi delle prove schiaccianti, le quali convalidino quanto affermi con certezza!»

«Stanne certo, Ghirdo, che tra poco avrai le prove! Meno male che pensai ad eliminare anche i piccioni che Nurdok aveva lasciato alla figlia Elinnia! Altrimenti lo avremmo rivisto sul territorio edelcadico con il suo sterminato esercito, la qual cosa avrebbe potuto mandare a monte la nostra premurosa opera di tanti anni! Dopo avremmo avuto contro non solo Matarum, di cui conosco bene i poteri; ma anche Mainanun, il dio adorato dai Berieski, del quale li ignoro completamente. Tanto oramai la nostra opera è destinata lo stesso all'insuccesso, se Iveonte è vivo e ci porrà presto il bastone tra le ruote!»

«Invece, mio divino Sartipan, Iveonte è morto. Allora non ci potevo cascare come un grullo, anche se lo attesti con grande fermezza. Ma tu perché non controllasti Lucebio anche nel bosco, come appunto avevi fatto nella reggia del re di Dorinda?»

«Devi sapere, Ghirdo, che non mi è possibile il controllo di un luogo, dove non è presente almeno un mio fedele devoto. Nella reggia c'eri tu a permettermi di tenervi sott'occhio e di controllarla tutta quanta. Ricòrdati, o mio fervido servitore, che è solo la fede dei devoti ad avere il magico potere di permettere ad alcuni di noi Eterni di guardare nelle cose terrene. Essa crea in noi una sorta di telepatia visiva, uditiva e di lettura dei pensieri degli uomini. Perciò è il loro fanatismo che essi ci mostrano a trasportarci in mezzo a loro, creando fra noi e la loro mente un certo magnetismo. Il quale poi si estende anche ai luoghi in cui essi operano e alle persone che sono loro vicine. A tale riguardo, vorrei arrivare a tenere sotto il mio sguardo l'intera Edelcadia, poiché così potrei scrutare gli animi dei suoi popoli ed asservirli alla mia volontà! Si tratta di progetti che già conosci, per averne già discusso. Comunque, già inizio a disperare della loro reale attuazione, avendo noi fatto cilecca contro l'inossidabile Iveonte!»

«Insisto a ripeterti, dio Sartipan, che non abbiamo fallito contro il primogenito del re Cloronte, il cui corpo è morto da tantissimi anni ed è diventato anche polvere!»

«Al contrario, mio devoto, continuo ad asserirti che egli è più vivo che mai! Dalle tue smorfie, vedo che nutri ancora dei dubbi su quanto ti vado affermando; ma tra poco ti convincerai che sei tu ad avere torto e non io! Ti stai chiedendo come? Eseguendo alla lettera i comandi che sto per darti. Dallo scrigno che tieni gelosamente tra le mani, tira fuori il cuore che ci sta conservato dentro. Poi ponilo nella campana di vetro, quella che puoi scorgere sulla tua destra, a due metri di distanza da te. Dopo griderai forte: "Corpo, che questo cuore teneva in vita, mòstrati!" Vedrai allora come la Campana della Verità ti svelerà a chi esso era appartenuto un tempo. Oramai Iveonte ha superato i suoi venti anni di età e la verifica è fattibile. Dunque, ti decidi ad eseguire ciò che ti ho appena suggerito, mio devoto, oppure vuoi evitarla, per non andare incontro ad una delusione?»

Le parole del dio Sartipan produssero una grande confusione nella mente di Ghirdo, fino a frastornargli le idee. Egli si rifiutava di credere ad una verità, la quale era ben diversa da quella da lui perorata. Perciò, rammaricandosi rabbiosamente, a qualunque costo non voleva credere a quanto appreso dal suo divino protettore. Nello stesso tempo, neanche intendeva essere costretto ad assistere ad una prova, che forse avrebbe potuto costargli la più amara delle delusioni. Ma alla insistenza del dio malefico, il mago non poté sottrarsi a quella verifica, che iniziava a non gradire più, temendo il peggio per lui. Così, dopo aver tratto il cuore dallo scrigno ed essersi avvicinato alla campana di vetro, ve lo depose con un nervosismo alquanto patente. Nell'eseguire l'ordine del suo protettore, però, egli palesava anche una certa contrarietà per ciò che stava facendo malvolentieri. Per Ghirdo, il peggio arrivò, dopo aver pronunciato la frase, che gli era stata suggerita dalla divinità sua protettrice. Infatti, vedendo comparire nella campana un cerbiatto e non un ragazzo di sette anni, egli fu preso dalla più folle disperazione e fu trascinato nella rabbia più diabolica. All'improvviso, gli balenarono nella mente strani propositi, loschi tranelli ed oscure vendette. E noi possiamo immaginarci contro quale destinatario tutti quei risentimenti erano rivolti! Infine, preso da una rabbia ferina, domandò al divino Sartipan:

«Mi è permesso sapere se Iveonte è un essere mortale oppure non lo è, mio divino protettore? Se lo è, perché i potentissimi poteri che sono a mia disposizione non hanno prevalso su di lui? Quale divinità lo protegge e gli ha fornito quella prodigiosa spada, che lo rende imbattibile? Per mia fortuna, essa si è dimostrata efficace soltanto nel contrappormi una valida difesa e non anche nell'arrecarmi un danno irreparabile. Tu sai dirmi qualcosa in merito alla sua miracolosa spada e alla divinità che invisibilmente lo protegge? Ecco le cose che vorrei apprendere ad ogni costo da te, dio Sartipan!»

«Invece posso dirti ben poco sul principe Iveonte, a parte il fatto che egli è senz'altro costituito di essenza mortale. Dovevamo aspettarcelo che il primogenito del re Cloronte, per rappresentare un serio problema ai nostri piani, avrebbe goduto del favore e della protezione di qualche divinità. Ma neppure mi è dato di conoscere il suo grado, siccome essa opera nella clandestinità e non in forma ufficiale. È la prima volta che mi capita di assistere ad una manifestazione del genere, cioè informale, da parte di una divinità, la quale in questo caso è positiva! Di solito, noi divinità ci teniamo a manifestare in modo palese la nostra protezione verso un popolo oppure verso una singola persona. Così possiamo riceverne in cambio la loro adorazione e la loro devozione, cose che ci inorgogliscono e ci fanno trascorrere meglio la nostra esistenza cosmica.»

«Mi vuoi chiarire meglio, mio divino Sartipan, che cosa avrebbe di diverso la divinità benefica, la quale protegge il principe Iveonte e lo fa con un accanimento davvero incredibile?»

«Essa, mio devoto Ghirdo, è avvolta nel mistero più fitto e si manifesta soltanto attraverso una spada, senza rendere nota la sua identità. Quell'arma invincibile apparve per la prima volta nel Castello Maledetto, dove creò problemi molto seri a mio fratello Siroctu. Pensa che per ben due volte gli ha fatto fuori una intera popolazione che lo adorava. Forse è lì che Iveonte si è impossessato della Spada dell'Invincibilità, naturalmente con il consenso della sua protettrice. Ma quale divinità essa rappresenti od impersoni, ti ripeto, per me si rivela un vero enigma. Per cui non si riesce neppure ad individuarne gli effettivi poteri. Essa, in verità, potrebbe essere una divinità tanto maggiore quanto minore.»

«Possibile, divino Sartipan, che non mi sai dire proprio niente sulla divinità in questione, compreso il suo grado? Allora, come stanno le cose, non sappiamo neppure come regolarci nell'agire contro di essa! La qual cosa ci rende alquanto difficile il problema; anzi, ripensandoci bene, ce lo rende irrisolvibile, a quanto pare!»

«Posso solo azzardare qualche ipotesi, Ghirdo. Essa, avendo dimostrato di non possedere dei superpoteri di cui dispongono le divinità cosiddette maggiori, è probabile che sia una divinità minore. Ma la mia è una ipotesi ancora tutta da verificare, poiché il semplice fatto che la ignota divinità non abbia fatto uso di superpoteri non deve spingerci a credere che non li possieda. Di regola, si conoscono le divinità che sono fornite di superpoteri e che, per questo, sono dette "maggiori". Matarum e Mainanun, per esempio, sono due divinità maggiori, anche se della seconda conosco ben poco, oltre al fatto che esiste. Il prestigio di una divinità, inoltre, si misura dal numero dei proseliti che ha e che l'adora, il quale accresce anche il loro potere divino. Ossia, più il proselitismo a suo favore opera su vasta scala, più il potere di una divinità accresce nei suoi rapporti con gli esseri umani. Ciò rafforza anche il suo prestigio nei confronti delle altre divinità. Questo tipo di stima ha valore, se prendiamo in considerazione le divinità maggiori e minori che non discendono da una divinità eccelsa o somma.»

«Mi dici cosa hanno di particolare tali divinità, mio protettore?»

«Esse, Ghirdo, siano maggiori o minori, non hanno bisogno della fede dei loro devoti, per contare in modo prestigioso nell'universo. Se invece prendiamo in considerazione le divinità eccelse e somme, queste sono dotate di iperpoteri, i quali risultano primari nelle prime e secondari nelle seconde. Ad esempio, se prendiamo Kron e Locus, i quali sono rispettivamente il dio del tempo e il dio dello spazio, essi sono le uniche divinità eccelse esistenti. Inoltre, sono forniti di iperpoteri primari. Anche le divinità somme, che dispongono di iperpoteri secondari, sono due, cioè Lux, la dea della luce, e Buziur, il dio della superbia. Costui rappresenta l'Imperatore del Regno delle Tenebre e domina sulle divinità malefiche. I soli figli maschi delle divinità eccelse e somme sono, già alla loro nascita, delle divinità maggiori. Mio padre Strocton è una divinità maggiore non per discendenza ed appartiene alla corrente del nostro imperatore. Invece le divinità Matarum e Mainanun, che sono anch'essi divinità maggiori non per discendenza, appartengono alla corrente della dea Lux.»

«Sei in grado di dirmi, dio Sartipan, che cosa in effetti possono ottenere con i loro iperpoteri e superpoteri le divinità che ne sono dotate? Mi piacerebbe essere ragguagliato anche su questo argomento, il quale mi sta prendendo in modo particolare!»

«Nessuno degli iperpoteri e dei superpoteri, Ghirdo, può dare ad un dio che li possiede la facoltà di annientare una divinità di grado inferiore; ma può soltanto distruggere le opere che da essa sono derivate. Oppure senza difficoltà può costringerla ad una esistenza nulla, stando nella quale la divinità minore diventa impossibilitata ad agire in qualche modo. A questo punto, mio devoto, forse ti avrò annoiato con il mio discorso sulla scala gerarchica delle varie divinità. Ma con esso volevo solamente farti comprendere che, essendo Iveonte protetto da un'altra divinità, come divinità minore, io posso fare ben poco a suo danno, per cui è meglio che tu la smetta di perseguitarlo invano. Ciò che era possibile fare contro di lui tanti anni fa, per tua negligenza, non fu fatto. Per questo oggi il principe dorindano ha davanti a sé un cammino non più intaccabile. Egli presto riscatterà il suo sereno e glorioso destino, del quale siamo riusciti a sviare il percorso solo per pochi anni, e tu non riuscirai più ad intralciarglielo oppure a fuorviarglielo in qualche modo! Perciò, visto come realmente stanno le cose, ti conviene desistere da ogni tuo ulteriore proposito a suo discapito e rinunciare alla tua immortalità. La quale, se lo vuoi sapere, non è neppure un gran bene!»

Il mago Ghirdo, non essendo dello stesso parere del suo protettore, non accolse il suo consiglio con benevolenza. Anzi, avendolo esso fatto irritare parecchio, gli urlò contro:

«Non credere che la mia partita con il principe Iveonte sia finita qui, dio Sartipan! Egli un giorno si ritroverà ancora a scontrarsi con me! Sappi che nell'isola di Tasmina, dove lo attenderò tra non molto, giocherò la mia carta vincente! Vedrai allora che in quel luogo riuscirò a polverizzarlo, nonostante sia protetto da qualche divinità!»

«Perché a Tasmina, mio devoto? Credi che il primogenito del re Cloronte un giorno deciderà di approdare su tale isola? E quale sarebbe il motivo per cui egli dovrebbe andarci?»

«Certo che vi si condurrà, mio divino! Iveonte è all'oscuro del suo passato, se agisce al contrario di come dovrebbe. Perciò, non sapendo chi è davvero ed ignorando anche chi sono i suoi genitori, presto desidererà conoscere la verità su sé stesso e su di loro. Ma apprenderà che esclusivamente dal mio amico Zurlof potrà essere aiutato a trovare il suo passato e la sua identità. Allora, per apprendere entrambe le cose, egli sarà costretto a condursi a Tasmina, l'Isola della Morte, sulla quale impera il mio amico, che giustamente si definisce Mago dei maghi. Essa è così perfidamente stregata, che non ha mai permesso a nessun umano di salparne, dopo esservi approdato. La stessa cosa accadrà ad Iveonte, poiché Zurlof, volendo rispettare la nostra amicizia, deciderà pure per lui in tal senso! Inoltre, devi sapere un altro particolare di quell'isola, di cui mi ha parlato egli medesimo. Su di essa, i poteri di tutte le divinità svaniscono. Per tale ragione, chi protegge il mio nemico Iveonte non potrà intervenire in suo favore, con il chiaro intento di proteggerlo!»

«Boh!» esclamò il dio Sartipan «Fai come ti pare e piace, Ghirdo! Di certo non sarò io a metterti nei guai. Ma dubito che il tuo amico di Tasmina possa averla vinta contro Iveonte, essendo egli il predestinato a trionfare contro chiunque e anche contro Zurlof. Te lo garantisco! Anzi, per l'avvenire ti voglio dare un consiglio: cerca di essere prudente ed evita di prendere le cose con leggerezza, come hai fatto fino ad oggi!»


Durante il colloquio avvenuto tra Ghirdo e il dio Sartipan, c'è stato da parte di quest'ultimo un accenno a dei piani importanti, che insieme avevano progettato in precedenza. Ma essi quali erano stati, in realtà? Per conoscerli, occorre rifarci ad un altro colloquio avvenuto tra i due, durante il quale gli stessi si erano accordati di portare avanti ed attuare dei grandi progetti, che tendevano a perseguire degli interessi comuni. Esso c'era stato in un afoso pomeriggio d'estate, quando il dio Sartipan si era precipitato dal mago, il quale aveva appena iniziato a darsi ad un piacevole pisolino. Manifestando molta contentezza, gli aveva gridato:

«Mio devoto Ghirdo, svégliati! Questa volta siamo davvero fortunati e tra breve te ne spiegherò anche il motivo!»

Udita la voce del suo protettore, il mago con fatica si era scosso dal suo gradevole assopimento, siccome in quella controra egli se lo stava gustando, come non era mai accaduto in precedenza. Poi, dandosi a sbadigliare a lungo e a più riprese, nonché apparendo interamente insonnolito, gli aveva domandato con una certa preoccupazione:

«Che cosa di così importante ti ha spinto a venire da me con tanta fretta, mio divino Sartipan? Non potevi farmi visita in un altro momento, ossia quando ero totalmente sveglio? Adesso non hai fatto altro che distogliermi dal dolce sonno, che stavo assaporando che non ti dico! Eppure eri al corrente che a quest'ora sono solito mettermi a dormire!»

«Invece lascia stare da parte il tuo sonno, dormiglione, ed ascoltami bene! È arrivato il tempo di risolverci, mio fedele devoto mago. Dunque, smettila di lamentarti per una banale sonnolenza che ti avrei disturbata. La quale, in fin dei conti, non dovrebbe significarti proprio niente, a confronto di ciò che ti sto proponendo! Devi sapere che, se le cose andranno come prevedo, potremo ritenerci entrambi immensamente fortunati e soddisfatti! Te lo assicuro io! Perciò non ti lagnare, per averti guastato il dolce pisolo! E poi, a dirla con il detto degli umani, che trovo assai simpatico, chi dorme non piglia pesci!»

A quelle parole concitate del dio, il mago era trasalito, non essendo riuscito a raccapezzarci un bel niente di quanto aveva affermato. Probabilmente, un fatto del genere era dovuto senza meno al suo sonno, di cui era ancora parzialmente prigioniero. Per questo si era rivolto a lui pacatamente e gli si era espresso in questo modo:

«Non so a cosa tu abbia voluto riferirti, dio Sartipan. Ma c'è forse in vista qualcosa di buono per noi due? Se sì, parlamene senza perdere tempo, se vuoi farmi un favore!»

«Ben detto, mio devoto Ghirdo! Se non lo sai, ho ideato un progetto formidabile, per il futuro benessere di entrambi! Ti posso assicurare che la sua riuscita ci procaccerà nel futuro una caterva di prestigio, oltre ad un numero ingente di soddisfazioni!»

«Quale sarebbe questo tuo progetto, mio divino Sartipan?» gli aveva chiesto il mago, preso com'era da una certa curiosità, ma anche desideroso di apprenderlo senza indugio.

«Che ne diresti, Ghirdo, se un domani diventassimo io la prima divinità dell'Edelcadia e tu il più potente degli Edelcadi? È quanto vado meditando da parecchio tempo. Con un po' di vento in poppa, vendicherò lo smacco subito dal mio sventurato genitore ad opera di Matarum; nonché ne cancellerò la fama nella sua regione prediletta. Tu invece diventerai la personalità più illustre dell'Edelcadia, per cui si inginocchieranno ai tuoi piedi tutti i re e i principi edelcadici, fino a venerarti come un semidio! Allora cosa ne pensi di questo mio lusinghevole progetto? Sono convinto che esso già ti sta allettando parecchio e cominci anche a sognarci sopra in maniera meravigliosa!»

«L'idea è magnifica, mio munifico protettore, e vorrei che essa si realizzasse già domani mattina!» aveva approvato Ghirdo «Perciò dimmi cosa ha da farsi ed io, per quanto mi competerà e mi sarà possibile, mi adopererò fattivamente e con diligenza, pur di fare al meglio la mia parte di socio. Se me ne farai richiesta, sono disposto a seguirti pure in capo a Kosmos, senza che in me venga ad esserci alcuna esitazione!»

«Bisognerà soltanto eliminare il primogenito del re di Dorinda; però ciò dovrà avvenire, prima che egli abbia compiuto i venti anni. Il principe sarà il nostro comune nemico, dal momento che a me insidierà la vittoria su Matarum e a te l'attuale immortalità. Devi sapere che un mio precedente tentativo di distruggere l'intera sua stirpe già fallì per cause ignote. Fui io a far nascere nella testa di Ricnos, il capo dei Tangali, la decisione di muovere guerra contro le città edelcadiche e il proposito di schiacciare per primo il villaggio di Litios. Nello stesso tempo, spinsi i vari sovrani edelcadici a rifiutare il loro aiuto al suo capo Kodrun, il quale era lo stratega più abile di tutta l'Edelcadia, appunto per facilitare il compito a Ricnos. Invece, contro ogni mia aspettativa, furono i Litiosidi, sebbene di numero considerevolmente inferiore, a frantumare la baldanza e l'alterigia dei Tangali. Io non sono mai riuscito a comprendere per merito di quale uomo o di quale divinità ciò avvenne, contro ogni mia previsione! Sono certo che l'uno o l'altra avrà operato in tal senso!»

«Adesso in che modo pensi di eliminare Iveonte, divino Sartipan?»

«Semplicemente con il tuo aiuto, Ghirdo. Se riuscirai ad eseguire a puntino tutti i miei suggerimenti, il principino, che adesso ha sette anni, sarà da noi sistemato per le feste senza difficoltà. Ma se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo, non basterà solo che tu ti attenga categoricamente a tutte le mie disposizioni. Da parte tua, si richiederà anche un po' di ingegno e qualche iniziativa sagace, al momento giusto.»

«Allora comanda pure, mio protettore, perché l'ansia di ubbidirti mi sta già facendo gonfiare il cuore, fino a farmelo quasi scoppiare! Devo confessarti che mi sento già un vero semidio, il quale si è messo a spadroneggiare sulla intera Edelcadia e sui suoi nove sovrani, che vedo già tutti prostrati ai miei piedi a riverirmi e a venerarmi!»

«Ghirdo,» aveva proseguito poi Sartipan «devi sapere che adesso ci troviamo nella stagione in cui proliferano i sogni vaticinanti, cioè quelle attività oniriche che rispecchiano la verità del futuro. Esse vagano di notte sulle città e sui villaggi per cercare quelle persone predisposte a riceverle. Dopo averle trovate, esse si infiltrano nel loro subconscio e fanno in modo che nelle loro manifestazioni emergano le premonizioni da esso rimosse. Al loro risveglio, però, non sempre esse si rivelano a tali soggetti in forma chiara e leggibile. Di tali attività, molte sono trascurate; altre, invece, sono interpretate con saggezza. Inoltre, c'è da dire che nessuna forza al mondo può falsarle alla fonte; semmai può essere solo alterata la loro interpretazione. Perciò io posso soltanto incanalare nel subcosciente del re Cloronte quel sogno che maggiormente ci consentirà di sfruttarlo a nostro beneficio. Il resto toccherà a te farlo, dandogli la versione che risulterà più utile a noi due. Essa dovrà proporsi come obiettivo principale la condanna a morte del principino Iveonte.»

Alle parole del suo protettore, in principio Ghirdo si era acceso di gioia, rassicurandosi all'idea che l'unica persona, la quale costituiva una seria minaccia alla sua immortalità, presto sarebbe stata eliminata da loro due e non avrebbe più rappresentato un pericolo per lui. Ma poi, avendoci riflettuto sopra, egli si era alquanto raffreddato. Perciò si era affrettato a muovere al suo divino protettore la seguente obiezione:

«Dio Sartipan, hai forse dimenticato che presso la reggia di Dorinda ci sta Virco, l'infallibile oniromante? Il re Cloronte senza dubbio si rivolgerà a lui ed otterrà così l'esatta versione del sogno che gli farai pervenire durante il sonno. Allora noi come faremo ad imporci a chi già gode presso il sovrano di Dorinda di una grande reputazione e di una fiducia illimitata in fatti di oniromanzie? Se vuoi avere il mio parere, la tua idea comincia a puzzarmi di mera inattuabilità! Ecco ciò che sto pensando!»

«Ghirdo, sarà compito tuo, prima di ogni altra cosa, mettere il saggio Virco nell'impossibilità di essere interpellato dal re Cloronte, mettendogli un sicuro bavaglio. Dopo farai in modo che tutti credano alla tua versione del sogno. Tanto non ti mancano i mezzi per convincere la gente a credere ciò che vorrai che essa creda! Se occorrerà, potrai ricorrere a qualcuno dei tuoi mirabolanti espedienti, per importi a tutti i presenti! Ma ti assicuro che da parte mia non ti mancherà un aiutino.»

Era stato così che si era concluso, anni addietro, l'interessante colloquio fra il divino Sartipan e il suo devoto mago. I quali, al termine di esso, erano rimasti molto soddisfatti e con la mente colma di grandi speranze, oltre che rivolta ad un radioso avvenire, quello che li avrebbe coinvolti con il massimo trionfo! Ad ogni modo, bisognava ancora vedere se le circostanze future sarebbero state favorevoli a loro due e ai loro grandiosi sogni di gloria. Invece noi, avendo già seguito attentamente i fatti che erano avvenuti dopo il loro colloquio, siamo a conoscenza che ciò non si sarebbe avverato ed avrebbe arrecato all'uno e all'altro un turbamento non di poco conto.