83-IVEONTE AFFRONTA IL TALPOK E LO METTE IN FUGA

Mentre eseguiva le sue minuziose ricerche nella boscaglia, frugando ogni palmo della fitta vegetazione che percorreva, Iveonte faceva trasparire dal suo volto parecchia preoccupazione e un'ansia incredibile. Continuando poi ad effettuarle in quella zona boschiva dalla quale era provenuto il grido di aiuto da parte della ragazza, alla fine egli si imbatté in un episodio orripilante. All'improvviso, scorse davanti a sé un essere mostruoso, il quale non sarebbe potuto essere più orribile di come veniva scorto. Perciò, allo scopo di prefigurarcelo nel modo migliore, cerchiamo di averne una fedele descrizione dei vari suoi dettagli.

Alto più di tre metri, il Talpok reggeva sui suoi arti superiori la svenuta principessa, poiché il suo intento era quello di portarsela via; però non si sapeva in quale posto esatto fosse diretto. Il suo corpo si presentava totalmente ricoperto da solide scaglie ossee, le quali non si lasciavano né perforare né scalfire da nessuna arma metallica. Per cui esse gli procuravano l'invulnerabilità. Invece il suo tozzo capo presentava un marcato prognatismo e metteva in mostra due occhi, il cui colore mutava di frequente. In riferimento ai suoi arti, tanto quelli superiori quanto quelli inferiori terminavano con delle zampe fornite di potentissime unghie adunche. Il suo prolungamento caudale era anch'esso protetto da uno spesso strato osseo dello stesso tipo di quello che gli proteggeva la restante parte del corpo. Nella bocca, che appariva colma di vapore niveo simile al fumo, ci poteva entrare la testa di un bue oppure quella di un cavallo. C'è poi da aggiungere che quell'orribile bestione era afono e, come avevano immaginato alcuni cacciatori dorindani, non aveva difficoltà a scavare degli spaziosi cunicoli nel terreno, allo scopo di sparire nel sottosuolo. Per la precisione, nel muoversi sottoterra, esso dimostrava di avere a disposizione le medesime attitudini possedute da una talpa. Ma la macchinazione più spaventosa ed esiziale risiedeva nelle sue fauci e ne era l'orditore il suddetto vapore, il quale aveva una certa relazione con il colore degli occhi. Infatti, esso assumeva un potere tremendamente letale, tutte le volte che gli occhi diventavano di colore rosso. In tale circostanza, quella specie di fumo, dopo essere stato soffiato dalla bocca del mostruoso essere e messo così in circolazione si espandeva in ogni zona circostante, dove si dava ad arrecare grossi danni. Nel suo avanzamento a ventaglio, il quale avveniva a trecentosessanta gradi, esso disintegrava ogni cosa che ne veniva investita lungo il suo lento e costante percorso.

Infine va fatto notare che dalle sue tempie fuoriuscivano due protuberanze cornee appuntite, le quali si presentavano complanari e simmetriche. Esse erano orizzontalmente ricurve verso l'interno ed avevano le punte distanti tra di loro cinquanta centimetri. Ma, quando lo desiderava, quell'essere abominevole era in grado sia di avvicinarle, fino a farle sfiorare, sia di raddoppiare la distanza che esisteva fra di loro. Comunque, chiameremo tali protuberanze corni, per il semplice fatto che esse non erano da considerarsi delle naturali protuberanze del capo di un animale che ne risultava provvisto. Invece andavano intese come veri strumenti adatti a nuocere, dei quali il mostro si serviva appunto per le varie operazioni di offesa. In verità, riferendoci a loro, bisognava ammettere che si era di fronte a delle vere e proprie armi offensive, poiché essi durante il combattimento venivano impiegati dal mostro con una nocività terribilmente esiziale. La mobilità dei corni, infatti, aveva uno scopo nefando, siccome il mostro, dopo avervi frapposto le sue vittime, le faceva traforare più volte da essi. A tale riguardo, occorre far presente che i corni possedevano l'incontestabile potere di congiungimento. Ossia, esso ci sarebbe stato, anche se fra di loro fosse stata frammessa una spessa lastra di acciaio. Perciò è brutto figurarsi l'orrenda fine, alla quale andavano incontro le sue vittime, quando il mostro le sottoponeva alla foracchiatura da parte dei suoi micidiali corni!

Dai dettagli sconcertanti che sono stati riportati, con nostro sommo dispiacere, possiamo ravvisare nell'orrendo Talpok una capacità difensiva ed una perniciosa potenza offensiva illimitate. Esse, però, lo stesso sarebbero risultate insufficienti a sgomentare un valoroso combattente del calibro del nostro eroe. Anche perché Iveonte, quando ingaggiava una lotta, non faceva mai caso al rischio che stava correndo al momento. Invece badava soltanto all'urgenza di portare il suo valido aiuto a qualche vittima della prepotenza. Specialmente adesso che si trattava proprio della donna dei suoi sogni, possiamo prefigurarci da quale tremendo sdegno il giovane venne preso in quella circostanza. Ci immaginiamo anche con quale impeto irruento si lanciò nell'impari lotta che lo attendeva a breve scadenza, infondendo nel lettore una certa tremarella! Infatti, di fronte ad una scena così riluttante, Iveonte immediatamente passò ad impersonare la furia più sdegnosa. Essa, venendo assecondata anche dalla sua invincibile spada, possiamo essere certi che si sarebbe manifestata molto sorprendente per quella bestia orrifica, pur risultando essa per niente offendibile sotto ogni aspetto.

Quando se lo trovò davanti, siccome il mostro gli mostrava la schiena, Iveonte non esitò a scoccargli contro una saetta. Essa, però, dopo averlo colpito, anziché conficcarsi in qualche parte del suo tozzo corpo, cadde a terra con la punta smussata. Allora il Talpok, non appena ebbe avvertito il colpo del dardo, che gli aveva fatto solo un leggero solletico, all'istante si voltò indietro. Nello scorgere poi il giovane in groppa al suo cavallo, la sua prima mossa fu quella di adagiare sopra l'erba la svenuta fanciulla. La quale si stava riavendo proprio in quel momento dallo svenimento, che la grandissima paura le aveva causato in precedenza. Ma una volta messa da parte la sua giovane prigioniera, il mostro iniziò ad avanzare furibondo e minaccioso contro l'intruso, che aveva osato sfidarlo con molta presunzione. Dal canto suo, il giovane, dopo aver deposto l'arco, si armò della sua spada prodigiosa. Oramai egli era pervicacemente intenzionato a non lasciarsi portar via dal mostro il tesoro che aveva appena trovato, quale appunto adesso considerava la sua adorata Lerinda. Avanzando poi con molta calma, a un certo punto, il Talpok si fermò e raccolse da terra un duro macigno. Di lì a poco, posta la solida breccia fra i suoi due corni, operò su di essa dei fori così perfetti ed immediati, che di sicuro non avrebbe fatto meglio il più efficiente dei nostri trapani moderni. In ultimo, attese che i suoi occhi divenissero rossi. Solo allora il mostro insufflò sul macigno un getto di vapore che gli fumava tra le fauci. Agendo in quel modo, esso lo fece sparire in un baleno, mediante una efficace disintegrazione.

Data quella palese dimostrazione della sua straordinaria potenza, il mostruoso essere riprese ad avanzare molto sicuro di sé in direzione del giovane. In verità, esso era convinto che il suo umano avversario, dopo la sua eloquente dimostrazione, sarebbe scappato via di corsa, prima che lo avesse raggiunto. Senza dubbio, il Talpok, con quella sua esibizione dimostrativa, aveva voluto far presente a chi osava sfidarlo che presto gli sarebbe toccata una sorte identica, se non ci avesse ripensato in tempo. Invece aveva fatto male i conti, se credeva di avere spaventato Iveonte con quella sua prova dimostrativa e di averlo pure persuaso con facilità a rinunciare alla lotta che stava per aversi fra loro due. In merito ad essa, all'inizio Lerinda se ne era rimasta senza fiatare, restando però sulle spine, a causa degli incogniti risultati che si sarebbero avuti dallo scontro. Ma dopo, essendo stata atterrita dagli agghiaccianti poteri di cui era fornito la mostruosa bestia, si diede a scongiurare quel confronto, a causa delle impari forze possedute dai due contendenti. Per questo adesso supplicava il giovane, per quanto avesse di più sacro e di più caro, di andarsene alla svelta, prima che fosse troppo tardi. Secondo lei, non era disonorevole arretrare davanti ad un mostro così corazzato e fornito di poteri malefici, anche se la donna da salvare rappresentava per lui l'essere più prezioso al mondo! Oramai era destino che ella finisse in quel modo miserabile e che quindi era inutile accrescere il numero delle vittime. Saggio era stato il braccio destro del fratello, il quale, dopo essersi trovato davanti al Talpok, non aveva esitato a svignarsela di corsa. La ragazza, però, non sapeva che Iveonte non era Croscione e non aveva la sua stessa tempra. Il secondo, una volta almeno, aveva conosciuto il senso della paura; ma al primo non era mai accaduto. Piuttosto egli avrebbe preferito cento volte la morte, anziché subire l'angoscia di qualche timore! Secondo il pensiero del nostro eroe, un uomo vile, ossia quello che teme la morte, non era degno di restare in vita. Un essere del genere aveva sempre davanti a sé come scelta due sole alternative, entrambe negative: fare lui stesso il male, ovviamente a tradimento; oppure permettere ad altri che lo facessero nei suoi confronti senza reagire. Egli, infatti, pur di sopravvivere, ricorreva ad atti vituperosi, indegni dell'umana specie; oppure si rendeva oggetto di sopruso, da parte di altri più forti di lui. Nell'uno e nell'altro caso, comunque, finiva ugualmente per contravvenire alle sacre leggi della giustizia. Inoltre, a suo giudizio, se aveva una costituzione fisica macilenta, ciò non voleva dire che era anche debole, poiché la vera forza risiedeva soltanto nello spirito. Della quale egli poteva fare uso, unicamente se non aveva paura della morte. In questo unico caso, doveva essere considerato forte e nessun sopruso riusciva a sovrastarlo. Allora lo stesso sacrificio risultava un'autentica sconfitta per il suo oppressore; ma soprattutto era da considerarsi una vera vittoria per lui stesso.

Iveonte, pur essendosi reso conto della somma pericolosità dell'azzardo, lo stesso aveva deciso di cimentarsi con quella creatura mostruosa, considerato che non voleva rinunciare alla bellissima fanciulla. Ella oramai era diventata tutta la sua vita, rappresentava l'universo dei suoi sentimenti e dei suoi ideali, significava l'essenza stessa del suo esistere e divenire. Perciò a nessuna forza al mondo avrebbe permesso di portargliela via e di non farla essere sua! Quando il mostro lo raggiunse, il giovane non aveva più il suo cavallo, siccome poco prima lo aveva fatto scappare di proposito, ad evitare di mettere a repentaglio pure la vita della bestia. Senza il suo animale, in verità, avrebbe potuto combattere più liberamente e più a suo agio nell'ardua lotta. La quale stava per essere da lui intrapresa contro l'invulnerabile mostro, la cui dimora si trovava in qualche parte di quel bosco o, addirittura, sottoterra.

A descrivervi lo scontro violento che era in procinto di scoppiare fra i due combattenti, non ricorrerò all'aiuto di alcuna musa, anche se nel passato altri poeti e scrittori lo hanno fatto, nonostante essi avessero avuto da trattare tenzoni molto meno importanti. Le quali, come tra poco constateremo, a paragone di esso, si dimostreranno insignificanti sotto ogni aspetto! Comunque, non mi asterrò dall'impiegare tutte le mie capacità intellettive nel cercare le espressioni più appropriate, pur di ottenere una presentazione avvincente e realistica dello straordinario combattimento, il quale era sul punto di scatenarsi con molta virulenza.


Non appena Iveonte e il Talpok aprirono le ostilità, nell'aria circostante si ebbero delle vibrazioni fortissime, le quali provocarono una sorta di aeromoto, che risultava dappertutto squassante e scoppiettante. Un tale fenomeno si aveva, solo perché quei loro assalti rapidi e aggressivamente brutali riuscivano a superare, nel fragore e nella veemenza, la frenetica ridda prodotta dalla furia degli elementi. Inoltre, quel cieco diluviare di colpi possenti da entrambe le parti veniva a svolgersi e ad esprimersi in uno spazio di tempo rapido ed inafferrabile. Perciò esso rendeva impercettibili le destre mosse e le magistrali parate del validissimo giovane. Ma pure la ferinità del mostro, la quale si era data per scontata fin dall'esordio della sua aggressione, si rivelò ben presto qualcosa di disastroso e di raccapricciante. Perfino i suoi colpi di coda si dimostravano irresistibili e rovinosi, siccome si davano a spazzare via quegli arbusti e quegli alberi che venivano ad ostacolargli i movimenti. Essi recidevano nettamente i tronchi delle piante che non superavano i quindici centimetri di diametro. Invece abbattevano facilmente quelli di circonferenza minore, sradicandoli dal suolo, come se fossero dei veri fuscelli. Quanto ai suoi arti superiori, con i loro potenti artigli alle estremità, anch'essi non si mostravano da meno in pericolosità, per cui apportavano molti schianti alle cose che incontrava sul suo cammino. Perciò di continuo mandavano in rovina i rami degli alberi e tendevano a divellere i grossi arbusti, con l'unico scopo di scagliarli rabbiosamente contro il fiero ed instancabile suo avversario.

Riferendoci adesso all'eroico Iveonte, egli appariva una fiamma inestinguibile e volubile, sempre desta a scansare i colpi del vento, con continui cambi di direzione, appunto per non farsi sorprendere e spegnere da esso. La sua scattante agilità, la sua straordinaria vigoria e la sua notevole infaticabilità lo mettevano nella condizione di potersi destreggiare al meglio delle sue forze e di poter reagire con perfetto tempismo alle aggressioni del mostro. Combattendo in quella maniera, il giovane si presentava nella forma più splendida, per cui fronteggiava il suo avversario con grande efficienza. Si poteva affermare che in tutte le sue varie membra era venuto a lievitare un dinamismo di forze inesauribili. Esse lo rendevano attivissimo nelle sue azioni, gagliardo nella sua perseveranza, incrollabile nella sua resistenza ed indocile nel suo impegno a oltranza. Ma la parte di Iveonte, la quale più rispondeva in maniera eccezionale, era il suo spirito battagliero e bramoso di dominare in quella lotta. Esso furoreggiava terribilmente, nonché manifestava la sua intera carica esplosiva. Soprattutto vitalizzava ogni attacco, che egli andava sferrando contro il mostruoso antagonista, con una impetuosità sempre crescente e con la massima fierezza. Così facendo, rendeva molto dura l'esistenza a chi aveva stabilito di sopprimere la sua vita, senza un minimo di commiserazione.

Bisogna sapere che le armi del Talpok di prima offesa erano rappresentate dai suoi arti superiori, i cui colpi risultavano più che clavate e le cui unghiate erano in grado di scarnificare più efficacemente degli affilati pugnali. Invece lo spesso strato osseo, il quale gli ricopriva il corpo simile ad una corazza imperforabile, gli procurava una difesa inattaccabile ed insuperabile. Perciò, se Iveonte era tenuto a badare sia alla difesa che all'offesa, con particolare attenzione alla prima; il mostruoso essere non doveva assolutamente preoccuparsi dell'azione difensiva. La qual cosa gli permetteva di rafforzare notevolmente il proprio attacco offensivo. In relazione a tale aspetto dello scontro, bisogna tener presente quanto segue. Asserire che il mostro era invulnerabile non significava anche ammettere che esso era immune da dolore, al quale invece non gli veniva consentito di essere refrattario. Perciò era errato ritenere che ogni fatica del giovane si dimostrava interamente vana. Infatti, i suoi colpi giustizieri, oltre a produrre delle lievi accidentalità superficiali sul suo spesso manto osseo, venivano anche avvertiti dolorosamente dalla massa muscolare ad esso sottostante. Per la quale ragione, il Talpok era costretto dal giovane combattente a sottoporsi a continue e forti dosi di dolore abbastanza acuto.

Valutandola dalle sue prime schermaglie, la lotta aveva l'apparenza di volersi dilungare per un tempo illimitato, considerato che si scorgevano nei due fortissimi rivali fonti inesauribili di forza e di resistenza fisica. Essi, a giudicarli dalle apparenze, sembravano aver smarrito la stanchezza in chi sa quale mondo remoto. Per questo motivo, facendo mostra di una carica energetica sempre fresca e rinnovata, i due contendenti si contraccambiavano infiniti assalti invadenti. I quali si dimostravano di un costume tutt'altro che gentile! Mentre Iveonte costringeva il mostro a mantenersi a rispettosa distanza da lui, esso si adoperava con ogni mezzo per abbrancarlo e sottoporlo alla coppia di supplizi a noi noti, cioè quello dei corni e quello del fumo disintegratore. Dei quali il Talpok in precedenza aveva dimostrato l'efficienza e adesso non vedeva l'ora di farglieli assaggiare. Ma l'abilità, la destrezza e la valentia del giovane risultavano un vero disappunto per il perfido mostro e turbavano i suoi piani malvagi, deludendolo oltre ogni immaginazione. La mostruosa creatura, a ogni modo, non disperava di metterlo alle strette prima o poi, punendolo alla fine con i due letali supplizi, dei quali gli aveva dato una dimostrazione alquanto eloquente e convincente. Invece Iveonte sembrava proprio la personificazione del dio della guerra, scatenato come appariva nell'attaccare il mostruoso rivale unghiato con una irruenza inverosimile. Lo si vedeva scattare come una vera molla a destra e a manca, sferrando poderosi colpi di spada contro la terribile bestia. Inoltre, non gli importava il fatto che esso avesse dimostrato di possedere in sé qualcosa di sovrannaturale, che gli procurava l'inattaccabilità da parte di qualsiasi essere mortale. In pari tempo, non si lasciava intimorire dalla sua aggressività terrificante. La quale di continuo tendeva ad abbattere e ad annientare ogni indefettibile difesa avversaria umanamente intesa, che poteva essere solo quella del suo nemico.

Dunque, Iveonte non si faceva affatto spaventare dalle armi incredibilmente micidiali, di cui disponeva lo spaventevole Talpok. Per tale ragione, egli si mostrava sempre pronto ad ostacolargli il passo e a sferzarlo con i vigorosi colpi della sua arma imbattibile. I quali producevano sulla superficie dello strato osseo del suo corpo delle lievi scalfitture. In pari tempo, gli procuravano una modesta dolorabilità a livello della sottostante epidermide. Adesso l'eroico giovane era diventato una furia ciclonica, la quale riusciva a causare intorno a sé lo scompiglio più allucinante e la devastazione più macabra. Lo stesso mostro, che non era abituato a vedersi contrapporre una violenza così inusitata, contenendola a malapena, ne restava molto sorpreso e disorientato. A volte, poi, esso si mostrava anche incapace di contrattaccarla in misura adeguata, allo scopo di svigorirla il più possibile. Volendo essere obiettivi, probabilmente era il giovane che glielo vietava.

Occorre far presente che era consuetudine del Talpok seguire nella sua lotta sempre lo stesso rituale. Perciò prima disarmava ed avvinghiava la sua vittima, dopo la portava fra i suoi corni e la traforava più volte, alla fine la faceva sparire totalmente con il suo niveo fumo disintegratore. Ora, però, vedendo che non riusciva ad attuare contro il giovane temerario la prima delle tre operazioni, esso decise di fare una eccezione per quella volta, come mai era successo in tanti secoli. Così passò ad azionare direttamente le due macchinazioni mortali, cioè il traforo e la disintegrazione, non assegnando a nessuna delle due la priorità. Desideroso di vedere l'intrepido giovane annientato prima possibile, evitò di stabilire a quale delle due dare la precedenza nello sbarazzarsi di lui. Il quale, dimostrandosi imbattibile ed ostico in quello scontro incredibile, gli frustrava ogni disegno. Senza dubbio, un fatto del genere significava già una prima resa da parte del Talpok. Nella sua testa, però, esso si era fatta l'idea che era stata sua intenzione volere affrettare quella conclusione e che non si era trattato di un ripiegamento forzato, quale gli era stato imposto dall'invincibile giovane. Ma tale sua convinzione non avrebbe avuto vita lunga, poiché ben presto essa sarebbe svanita nella sua mente. Per altri motivi, il mostro si sarebbe convinto che la imbattibilità del suo antagonista rappresentava qualcosa di incredibile. Per cui, anche quando aveva di fronte un essere della sua stazza e della sua pericolosità, egli non si lasciava assolutamente piegare da niente e da nessuno. Al contrario, affrontava la lotta intrapresa, mostrandosi sempre più impavido ed imperterrito.

Così lo scatenarsi di rabbie e di sdegni da ambedue le parti continuò a oltranza, senza sosta e senza sbollire minimamente fra di loro. Iveonte, essendo tutto fibre adamantine e muscoli possenti, mostrava un'agilità tale, da risultare imprendibile agli occhi del Talpok. Quest'ultimo, impacciato com'era nei suoi movimenti pesanti, a causa della sua mole mastodontica, risultava inetto a tenerlo a bada e sotto controllo. Esclusivamente quando lo riteneva opportuno, il terribile bestione dava tutto di testa contro il giovane. Nello stesso tempo, congiungendo e disgiungendo con rapidità i due corni, sperava di coglierlo nel mezzo. Il suo avversario, però, era assai vigile a non lasciarsi attanagliare da essi, poiché conosceva lo scempio a cui sarebbe andato incontro il suo corpo, se inavvertitamente si fosse fatto sorprendere fra quelle protuberanze ricurve e mortali. Esse erano state ottenute con un tipo di osso speciale, il quale si mostrava più duro e resistente perfino del diamante!

Alla fine, non dimostrandosi in grado di mandare ad effetto neppure la macchinazione dei corni, poiché l'astuto giovane preparava sempre un fallimento ai suoi continui tentativi di foracchiargli il corpo, il Talpok ripose tutte le sue speranze nel suo vapore, il quale godeva della proprietà disintegratrice. Ma per potere ricorrere all'arma della disintegrazione, doveva attendere prima che i suoi occhi diventassero rossi. A suo avviso, di fronte a tale sua arma incontrastabile, senza dubbio il giovane suo rivale avrebbe finalmente posto fine alla sua esuberante baldanza. Per questo egli sarebbe stato ineluttabilmente annientato, lasciandolo così vincitore della lotta e possessore della ragazza. Della quale esso si era impadronito, una mezzora prima che giungesse in loco l'intruso suo difensore, per uno scopo che non si lasciava ancora comprendere. Questa volta il mostro non si sbagliava, poiché Iveonte non avrebbe mai potuto resistere al fumo disintegratore. Contro il quale le umane doti, come la forza, l'agilità e l'astuzia, si sarebbero dimostrate insufficienti ed impotenti. Per averla vinta contro di esso, il giovane poteva sperare soltanto nell'intervento di una forza soprannaturale. Per sua fortuna, egli aveva dalla sua parte chi poteva fornirgli un simile utile aiuto, cioè la sua spada invincibile. Ma sarebbe essa intervenuta in soccorso del nostro eroe? E in che maniera lo avrebbe fatto? Per conoscere le risposte, non ci resta che andare avanti e continuare a seguire lo scontro, aspettando lo svolgimento dei nuovi eventi che stavano per accadere. Soltanto così lo sapremo senza meno e, nel frattempo, non avremo più da lambiccarci il cervello a lungo!

Il Talpok, dopo avere atteso che i suoi occhi si tingessero di rosso, in seguito si diede ad emettere dalle fauci una quantità enorme del niveo vapore in esso contenuto, con la speranza che il giovane ne venisse sopraffatto e scomparisse per sempre nel nulla. Ma la sua intenzione, marciando verso una concreta attuazione, fu frustrata dal provvido intervento della miracolosa arma del giovane. Essa, infatti, cominciò a funzionare a guisa di un ventilatore, tenendo lontano dal giovane il dilagante fumo disintegratore. Quella specie di nebbia, non potendo raggiungere il prode Iveonte, adesso era in grado di invadere altre cose e altre creature del luogo. Così, appena le raggiungeva, le faceva sparire all'istante, solo sfiorandole, e le privava totalmente dell'esistenza.

Un lettore un po' filosofo potrebbe chiedersi come mai quel fumo, espandendosi, non disintegrava lo stesso mostro, avendo pure lui un corpo materiale, il quale non poteva non risultare una cosa uguale a tutte le altre. Egli dovrebbe allora anche domandarsi da chi gli erano state fornite quelle macchinazioni esiziali oltre ogni limite. Allora si renderebbe conto che quel "chi" elargitore era lo stesso "chi" che rendeva possibile l'impossibile. Per questo, nel caso che il nostro simpatico filosofo volesse approfondire l'argomento, al fine di avere una risposta più esauriente in merito, ammesso che il tempo non gli manchi e ne abbia a disposizione a sufficienza, gli consiglio di cercare proprio il protettore del mostro e di farsi spiegare da lui ogni cosa sul suo protetto. Intanto, però, noi andremo avanti con la nostra narrazione mozzafiato.

Prima si è fatto notare che il deleterio fumo emesso dal mostro avanzava in ogni direzione e lasciava ovunque la sua impronta altamente distruttrice. Al suo passaggio, gli esseri animali e quelli vegetali, in un attimo, scomparivano nel nulla. Ma adesso anche Lerinda stava correndo lo stesso pericolo, siccome quella specie di candida bruma si stava dirigendo proprio verso di lei. Da parte sua, la poveretta non era in grado di alzarsi da terra, a causa della sua emiplegia. La quale, dopo esserle stata provocata dal grande spavento, in quel momento le paralizzava ancora la metà inferiore del corpo. Allora Iveonte si rivolse alla sua arma e la pregò in questo modo: "Venerabile spada, mia tutela e guida, sai benissimo perché ho intrapreso questo combattimento, per cui sai quello che devi fare, se non mi vuoi vedere con il cuore fatto a pezzi e distrutto. Io non voglio perdere la mia Lerinda. Dunque, ti prego con tutto l'animo di darmi una mano a salvarla. Devi trovare un rimedio che tolga la mia ragazza dal pericolo, che adesso la sta minacciando!" Alla preghiera del giovane, la spada smise immediatamente di funzionare come un ventilatore e si tramutò in un potente aspiratore. Attraverso la sua punta, perciò, essa si diede a risucchiarsi l'intero fumo disintegratore, che il mostro aveva già fatto uscire dalle sue fauci. Essa decise perfino di esaurirne la fonte, la quale era situata nel corpo del mostro che lo emetteva all'esterno con minacciosa malignità! Deluso per la terza volta, il Talpok confidò ancora in una fiacca del giovane, che però attese invano. Egli non appariva mai stracco e combatteva con una forza sempre più rigogliosa e con un ardimento sempre più acceso. Se l'instancabilità era nel suo organismo, una grande forza di volontà gli proveniva dallo spirito e lo trasformava in una fiamma sempre ardente e con impossibilità a spegnersi. Per questo né l'una né l'altra tendevano a scemare in qualche misura nell'intraprendente giovane, per cui egli seguitava ad esprimerle appieno.

Intanto che il combattimento proseguiva aspro ed accanito, ad un certo punto, il bestione riuscì a sorprendere fra i suoi corni la lama della spada di Iveonte. Può darsi però che fosse stata la prodigiosa arma a consentire un fatto del genere, appunto per dare al mostro un'ampia dimostrazione del suo alto potere portentoso. Perciò essa non si lasciò affatto traforare dai suoi corni, pur insistendo il mostro in tal senso con ostinazione. Invece preferì dargli ancora una volta una prova indiscussa della propria superiorità. Infatti, mentre il Talpok stringeva forte i due piatti della lama prodigiosa nella morsa dei suoi potenti corni, a un tratto, si videro le loro estremità prima sfrigolare, poi abbruciacchiarsi ed infine emettere un'acre arsura. Nello stesso tempo, un dolore lancinante si era fatto avvertire dalla furiosa bestia nelle due regioni temporali. A tale dimostrazione della spada, il mostro fu costretto a lasciare all'istante la presa e ad abbandonare l'aspro combattimento. Così, friggendo di rabbiosa stizza, in un battibaleno esso si introdusse sottoterra e vi sparì senza lasciare tracce. Prima, però, l'abominevole essere si era scavato un cunicolo nel sottosuolo, adoperando i suoi potentissimi unghioni. Agendo in quel modo, il Talpok suscitò nei due giovani molto stupore. Soprattutto recò ad entrambi un grande sollievo, che poté leggersi anche nei loro occhi, i quali in quegli attimi apparivano raggianti di una gioia incommensurabile.

Adesso, in merito alla Spada dell'Invincibilità, ci viene spontanea una domanda: Perché mai essa si era limitata soltanto a salvaguardare l'incolumità di Iveonte e della sua ragazza, senza incaricarsi pure di distruggere quell'orrida forza del male? Se lo avesse fatto, l'arma miracolosa in seguito avrebbe evitato che tanta brava gente si imbattesse in essa e ne venisse così sopraffatta. Probabilmente, la risposta non la conosceremo mai; ma nessuno e niente ci vieta di fare alcune congetture oppure di avanzare alcune ipotesi. Ciò, con la speranza che, in qualche successiva circostanza del nostro racconto, esse ci saranno confermate da qualcuno in grado di poterlo fare! Nel frattempo, accontentiamoci delle diverse supposizioni che potrebbero derivarci unicamente dalla nostra fantasia, tenendocele per buone fino a prova contraria.

Per il momento, possiamo solamente ipotizzare che l'arma del nostro eroe non avesse il potere di agire anche nel senso specificato e richiesto dalla nostra domanda. Il quale era quello di provocare anche la distruzione definitiva del mostro. Esso, infatti, poteva possedere dei poteri preternaturali, i quali non facilmente si lasciavano mettere a tacere per sempre da un'altra forza, che si trovava ad operare anch'essa in modo sovrannaturale. Il potere della spada, dunque, per cause che ci sono attualmente ignote, doveva considerarsi limitato alla sola neutralizzazione delle forze micidiali del mostro. Invece gli era precluso di ottenere il suo annientamento. Per il nostro eroe, comunque, quel tipo di potere taumaturgico della spada già era risultato utilissimo, siccome esso era stato in grado di mettere in fuga il mostruoso essere, salvando la vita a sé stesso e alla sua ragazza. Un fatto del genere, quindi, dovrebbe già tranquillizzarci e spingerci a rinunciare a comprendere il problema che ci siamo posto in precedenza, circa i poteri effettivi della divina arma del nostro eroe e quelli posseduti dal mostro Talpok. Tale consiglio va dato soprattutto a quel lettore alquanto pignolo, il quale non intende arrendersi facilmente di fronte ad alcun arcano fenomeno. Per tale motivo, egli ha stabilito di fare della sua vita un vivaio di sempre nuove acquisizioni, specialmente di quelle che presentano una certa problematicità già all'inizio del loro difficoltoso approccio.