82°-KODRUN CONTRO IL MOSTRUOSO AQUILUP

Al compimento del suo venticinquesimo anno di età, come abbiamo appreso, Kodrun aveva sposato la sua amata Lurella. Ella da un anno era diventata orfana anche di padre, il quale era morto per aver contratto una grave forma di malattia polmonare. In verità, il matrimonio era stato sollecitato dagli stessi genitori del giovane, essendosi mostrati molto preoccupati per la ragazza. La poveretta, dopo la morte prematura del genitore, praticamente viveva da sola nella sua casa. Per questo nessuno avrebbe potuto difenderla in famiglia, nel caso che alcuni malintenzionati avessero tentato di farle una sgradita visita. La loro unione matrimoniale si era svolta tra grandi festeggiamenti ed aveva preso parte alle nozze l'intero popolo di Litios con grande allegria. Durante i tre giorni di festa che c'erano stati, gli abitanti del villaggio, approfittando della cerimonia nuziale del loro futuro capo, avevano manifestato la propria gioia con brio ed esultanza; ma alcuni avevano voluto esagerare nel darsi alla baldoria. Secondo loro, poiché si presentavano di rado occasioni del genere, nelle quali si poteva mangiare e bere a ufo, bisognava essere dei veri allocchi, per non approfittarne. Così ciascuno giustamente vi aveva partecipato anima e corpo, dandosi ad ingurgitare pietanze e a tracannare vini alla salute dei novelli sposi. Non volendo tacciare i Litiosidi di esagerato opportunismo, chiariamo subito un particolare. Tutti gli abitanti di Litios stimavano ed amavano il loro campione Kodrun per una infinità di ragioni. Partecipando ai festeggiamenti indetti per le sue nozze, essi lo avevano fatto principalmente per congratularsi con lui e condividere la sua immensa felicità di quel fausto giorno, il quale per lui sarebbe stato di sicuro memorabile.

Un mese dopo il matrimonio di Kodrun, una decina di allevatori si erano presentati al loro capo Ursito, con l'intento di lamentarsi di uno strano fenomeno, che viene riportato qui appresso. Ogni notte, sistematicamente, veniva portato via un capo di bestiame dal recinto rurale di qualcuno di loro, senza che i guardiani se ne accorgessero. Inoltre, gli ignoti autori degli abigeati non avevano preferenze per nessun tipo di animali, per cui indifferentemente rubavano sia buoi e cavalli sia pecore e capre. In merito ai notturni furti di animali da pascolo, si ignorava come gli abigei facessero a portarseli via e dove poi andassero a divorarseli. I furti in questione avvenivano in una maniera insolita; era come se le bestie sparissero prima di lasciare il loro recinto. Siccome la sottrazione delle bestie da esso avveniva di notte, tutte le volte al mattino non si era in grado di trovare la benché minima traccia che potesse indicare il percorso seguito dai ladri nel portarsele via. Al termine dell'esposizione dei fatti, avvenuta con un evidente rammarico da parte degli interessati, il capo di Litios, aveva fatto intendere che non sapeva dare una giusta valutazione alla vicenda. Perciò aveva risposto a tutti loro:

«Volendo esservi sincero, miei cari allevatori, anche se intendessi aiutarvi, non saprei come fare per sbrogliare la vostra matassa, la quale si presenta assai ingarbugliata. Se non ci siete riusciti voi a cogliere in flagranza quelli che vi derubavano del bestiame, pur essendo sul posto, mi dite come potrei risolvervi il problema io, che abito lontano dal luogo in cui si verificano i furti? Prima di fare intervenire i miei soldati, non vi pare che io debba già conoscere le persone sospette dei reati che vi danneggiano in continuazione? Dovreste già sapere che questa è la prassi, quando si decide di denunciare alle autorità competenti un torto subito da qualcuno! E non ce ne sta qualcuna differente da essa! Con una denuncia contro ignoti, inoltre, mi sentirei con le mani legate e non potrei darvi nessun appoggio.»

«Sarà senz’altro vero quanto hai affermato, Ursito.» era intervenuto ad obiettargli uno degli allevatori presenti, il cui nome era Linkus «Ma i tuoi soldati potrebbero darci una mano a scovare i ladri, siccome essi vengono retribuiti anche per svolgere questa mansione, se non erro! Oppure sono in errore a pensarla in questa maniera?»

«Anche se non hai torto, Linkus, lo stesso non se ne parli nemmeno! Potrebbe trascorrere moltissimo tempo, prima che i soldati riuscissero a conseguire dei risultati concreti. In quel caso, il loro distaccamento presso le vostre mandrie e le vostre greggi mi verrebbe a costare un occhio della testa, considerati gli aumenti di salario che ci sono stati in questi ultimi tempi! A meno che non vogliate accollarvi voi le spese relative al loro vitto e al loro alloggio, per il tempo che essi saranno distaccati presso le vostre case coloniche! Decidete voi se la mia proposta vi sta bene o se invece volete ignorarla, facendo a meno dell’aiuto dei miei soldati. È il classico caso di dire: "Prendere o lasciare!"»

In quell’istante, era entrato nella casa paterna anche Kodrun, il quale si era presentato dal genitore per avere da lui alcune informazioni. Avendolo poi sentito esprimersi ai suoi ospiti con quelle parole, le quali avevano avuto il sapore di un aut aut, aveva deciso di approfondirne le motivazioni, insieme con l’intera faccenda. Così era venuto a sapere ogni cosa da Linkus, il quale era stato pregato dal suo capo di riepilogare al figlio la vicenda che li aveva spinti a rivolgersi a lui. Allora, dopo averla appresa, il giovane aveva ritenuto giusto esprimere anche la sua opinione in merito ai furti lamentati dagli astanti sfiduciati. Perciò, una volta presa la parola, aveva iniziato a parlare loro così:

«Mi dispiace per ciò che vi sta accadendo, preoccupati allevatori; ma non è giusto che dobbiate subire delle autentiche razzie da parte di emeriti sconosciuti. Perciò avete il diritto di essere difesi da coloro che, riuscendo a farla sempre franca, continuano a frodarvi delle vostre bestie. D’altro canto, il vostro capo, che è mio padre, non ha alcun torto nell'informarvi che il trasferimento di un drappello di soldati in zone lontane dal villaggio ha un costo non indifferente. Dovreste essere a conoscenza pure voi che i soldati possono muoversi e soccorrere qualcuno, solo quando si conosce la persona che abusa nei suoi confronti e non anche nei casi in cui il prevaricatore non ha un volto ed un nome. In tale circostanza, spetta al fruitore di una scorta militare farsi carico delle spese di vitto e di alloggio per l'intera durata del servizio. Dunque, siccome questa procedura è contemplata dalle leggi del nostro villaggio, siete pregati di non prendervela con il vostro capo, il quale non ne ha alcuna colpa. Anzi, provate a mettervi nei suoi panni e chiedetevi se è giusta la vostra richiesta, che vorreste venisse accolta gratuitamente!»

«Ciò vuol dire, valoroso Kodrun,» gli aveva risposto Linkus, a nome pure degli altri «che dobbiamo arrenderci a coloro che, a dispetto di ogni legge, esercitano impunemente la loro attività di frodatori? Non credo che una persona del tuo stampo, in qualità di guerriero imbattibile ed intollerante dell’ingiustizia, sia d’accordo nell'ammettere che ciò è conforme alla giustizia, per cui i delinquenti possono abusare indisturbati delle persone oneste! Se questo dovesse risultare vero, la tua fama, di cui tutti parlano, sarebbe suscettibile di demistificazione. Inoltre, i Litiosidi avrebbero ben poco da sperare anche dal loro futuro capo, siccome risulta affetto da un'appariscente incoerenza! Ecco come la penso io, a tale proposito, anche se la cosa potrebbe non garbarti!»

«Invece, Linkus, sarei il primo a considerarmi tale, se mi dimostrassi tollerante dell’iniquità altrui! Si dà il caso, però, che neppure l’ho immaginato un fatto simile; né mi sarei mai permesso di arrivare a tanto! Poco fa ho inteso soltanto schiarirvi le idee circa quanto prevede la legge del nostro villaggio, riguardo al vostro caso. Ma l'ho fatto unicamente perché non pensiate male del vostro capo, il quale è anche il mio genitore. In riferimento poi alla mia fama, decantata da ogni Litioside, non ho alcuna intenzione di discreditarla in questa occasione, siccome mi passa per la testa una idea ben diversa!»

«Ci vuoi spiegare, valoroso Kodrun, in quale altro modo vorresti non smentirti e farmi così ricredere di quanto poc'anzi ti ho ingiustamente accusato? Anche i miei amici attendono di apprenderlo, essendo anch'essi molto arrabbiati a causa di coloro che li derubano!»

«Adesso mi affretto a rivelarvi ciò che desidero fare a vostro favore, senza tener conto della legge vigente nel nostro villaggio. Dal momento che non potranno essere i soldati di mio padre a venire con voi, per scovare i ladri e rendervi giustizia, sarò io stesso a farlo di mia spontanea volontà. Vi seguirò con un pugno dei miei amici migliori, i quali collaboreranno con me nel trovare il bandolo del vostro problema. Vedrete che alla fine scopriremo i ladri incalliti, che da lungo tempo abilmente riescono a sottrarvi il bestiame. Così vi libereremo per sempre da loro! Dopo questo mio chiarimento, vi ritenete soddisfatti?»

«Adesso sì che hai parlato da vero te stesso, grande Kodrun!» era intervenuto ad elogiarlo Linkus «La tua fama, quindi, non rimane minimamente scalfita. Da parte mia, non avrei dovuto neppure sospettare della tua integrità morale ed eroica, anche se a questo punto non serve più piangere sul latte versato. Intanto, però, fatti ringraziare, anche a nome degli altri allevatori qui presenti, per aver deciso di venirci incontro nella nostra vicenda, la quale non si presenta per niente allegra a tutti noi! Comunque, ti anticipo che la nostra gente sarà molto onorata di averti dalle nostre parti e di far fronte a ciascuna tua necessità! Inoltre, siamo convinti che la tua presenza in quei luoghi ci farà stare più tranquilli che se ci fosse un drappello di soldati!»

Il giorno seguente, Kodrun si era già messo alla ricerca degli amici che avrebbero dovuto accompagnarlo in quella missione, della quale si era fatto volontariamente carico. Ma egli avrebbe accettato l’adesione soltanto di coloro che godevano della sua massima fiducia, sia come combattenti sia come persone giudiziose. Quando ne aveva trovati una trentina, il primogenito di Ursito, insieme con loro e con gli allevatori denuncianti, si era messo in cammino verso la nuova avventura. La quale non gli dava la possibilità di apprendere anticipatamente con chi avrebbe avuto a che fare nell'affrontarla. Il loro arrivo nel posto, dove venivano consumati i reati di furto da parte di ignoti, c’era stato dopo un paio di giorni di galoppate. Le quali erano state interrotte dalle pause di ristoro diurno e di riposo notturno. La loro prima tappa era stata la fattoria di Linkus, dove Kodrun aveva stabilito di assegnare un terzetto dei suoi uomini ad ogni mandria e a ciascun gregge. Così di notte non sarebbe mancata la loro sorveglianza al bestiame di ogni allevatore. Essi, perciò, erano stati accompagnati ai rispettivi recinti di appostamento dagli stessi proprietari delle mandrie e delle greggi. Almeno in quella sera, invece egli sarebbe rimasto presso l'abitazione di Linkus insieme con tre suoi amici e vi avrebbe anche cenato e pernottato.

Nella casa dell’allevatore, durante il pasto serale, era venuto a conoscenza di altri fatti strani che riguardavano le sparizioni di bestiame. A parlarne, era stato il genitore di Linkus, il cui nome era Nuvet, anche se il figlio non avrebbe voluto, soltanto perché non desiderava che egli venisse deriso dai suoi ascoltatori. Mentre si cenava, l'anziano uomo si era messo a dire all’eroe litiosino:

«Sono contento, valoroso Kodrun, che mio figlio stasera abbia voluto ospitarti nella nostra dimora. La tua presenza in essa non può che onorarla! Conoscendo il motivo che ti ha spinto a venire dalle nostre parti, unicamente nel caso che tu sia d’accordo, a tale riguardo vorrei metterti al corrente di alcuni fatti, dei quali sei del tutto all’oscuro. Sono convinto che essi non ti sono stati raccontati dal mio primogenito e dagli altri allevatori che lo hanno accompagnato a Litios. Allora consenti che sia io a riferirteli, mio eroico guerriero?»

«Se sono inerenti al nostro caso, Nuvet,» gli aveva risposto il figlio di Ursito «puoi pure cominciare a parlarmene, poiché li ascolterò volentieri. È risaputo che più sono i dati che si conoscono su un certo problema, prima si riesce a risolverlo. Così si evita di andare incontro a tante difficoltà, le quali ne rallentano quasi sempre la soluzione!»

«Invece dico che sarebbe meglio non lasciarlo parlare, Kodrun.» si era opposto il figlio, mostrandosi un po’ seccato «Dovresti sapere che, ad una certa età, il cervello umano si fonde e allora ne vengono fuori gli sproloqui più assurdi ed impensabili! Inoltre, non credo che saresti disposto ad ascoltarli, pur sapendo che dopo ti ritroveresti con la mente in disordine e frastornata! Insomma, al posto tuo, ne farei a meno!»

«Non mi sembra giusto, Linkus, che tu abbia una pessima reputazione di tuo padre, che trovo perfettamente sano di mente e assai equilibrato. Ho sempre saputo invece che la saggezza alberga nelle persone di età avanzata e non nei giovani immaturi e inesperti. Perciò, se non ti dispiace, ci terrei a conoscere la sua versione dei fatti sulla vicenda riguardante i furti di bestiame. Dopo sarò io a trarne la conclusione.»

«Se questa è la tua volontà, Kodrun, non ho più nulla da obiettare. Mio padre, quindi, può riferirti ogni cosa che desidera, a condizione che dopo non lo si prenda in giro, a causa di ciò che vi avrà raccontato! Oramai so per certo che, a racconto avvenuto, si arriverà esclusivamente a questo risultato, come è successo le altre volte!»

«Invece, Linkus, non è mia abitudine deridere le persone vegliarde e non mi permetterò di farlo neppure quando, a causa della loro infermità mentale, essi si rendono autori di qualche baggianata! Adesso che sai come la penso in merito, lascia pure parlare tuo padre con animo sereno e non temere che gli possa provenire da me o dai miei amici la mancanza di rispetto con la nostra derisione! Mi sono finalmente spiegato?»

«Ebbene, Kodrun,» aveva iniziato a dire l’anziano uomo «i ladri qui non c’entrano per niente. Non sono loro a far sparire le bestie dai recinti degli allevatori, come essi sostengono erroneamente, a cominciare da mio figlio. Non capisco perché dalle nostre parti tutti vogliono ignorare la verità. Così facendo, finiscono per metterti su una falsa pista!»

«Allora chi si porterebbe via le bestie dai loro recinti, Nuvet, secondo quanto pensi tu? Non venire ad asserirmi nessuno, visto che la mattina esse vi vengono a mancare. Qualcuno dovrà pur esserci a condurle via di notte! È la logica che ci induce a credere un fatto del genere! Non pare anche a te, brav'uomo, che i fatti stanno proprio come ho detto?»

«Certo che c’è chi se le porta via dai recinti, Kodrun! Anch’io non lo metto in dubbio! Solo che non sono delle persone a farlo! Il responsabile è un mostro alato, che presso di noi è ritenuto frutto di una leggenda. Se non è stato mai avvistato da qualcuno, è perché esso opera nelle ore notturne, ossia quando nessun uomo possa scorgerlo volare nel cielo. Quanto al fatto che il mostruoso ibrido evita di mostrarsi a noi, è perché esso, a buon ragione, teme le nostre armi!»

«Puoi dirmi qualcosa di più su di esso, Nuvet, ossia sull’essere mostruoso che hai citato? Oppure è tutto ciò che conosci sul suo conto? Mi piacerebbe apprenderlo, con il solo scopo di farmene una mia idea. Basandomi su taluni particolari fatti presenti dagli allevatori, come l’impossibilità di reperire le tracce sia dei predatori che delle prede, quasi quasi potrei essere indotto a darti ragione. Ma preferisco approfondire la vicenda che lo riguarda, prima di sposare la tua interessante tesi!»

«Sono del tuo stesso parere, Kodrun, poiché desidero che nessuno creda ad occhi chiusi a quanto affermo, senza averlo prima vagliato con i fatti. Adesso, però, passo a raccontarti ogni cosa che conosco sul mostruoso essere. Così dopo, traendo le debite deduzioni in merito ad esso, potrai decidere se considerare il contenuto del mio racconto di sapore fiabesco oppure ritenerlo ancorato ad una convincente realtà, ossia secondo la mia versione dei fatti.»

Di lì a poco, l'ottantenne Nuvet aveva iniziato a narrare una bizzarra storia, la quale esisteva da un ventennio dalle sue parti e a cui nessuno aveva mai voluto dare credito. A dire il vero, appositamente si evitava di parlarne da parte di tutti, dopo averla accantonata nel dimenticatoio. Ma qual era il motivo di tale loro atteggiamento verso di essa? Probabilmente, perché si trattava di una storia dai risvolti grotteschi e carichi di una forte dose emotiva. Infatti, essi venivano a svolgersi in un ambiente surreale e raccapricciante, per cui non commetteremo la sciocchezza di non seguirlo con la dovuta attenzione, considerata l'evidente straordinarietà del racconto. All'inverso, baderemo ad apprenderlo nella sua interezza, come il padre di Linkus lo aveva narrato al valoroso Kodrun e agli attoniti suoi amici litiosini che erano presenti.


"Il mostro, al quale mi sono riferito in precedenza, trae il nome dalla sua origine. Infatti, la gente volle chiamarlo Aquilup, essendo nato da un’aquila (aqui) e da una lupa (lup). A volte nella natura si verificano fenomeni inverosimili e la nascita del mostro in questione, avvenuta in violazione di ogni legge naturale, ne è un esempio incontrovertibile. A questo punto, però, interessiamoci principalmente della strana circostanza che, sfidando tutti i presupposti della genetica, contribuì a farlo nascere e a farlo crescere, fino a darsi ad una propria esistenza.

Venti anni or sono, apparve nei nostri cieli una coppia di arpie. Si trattava di due stupende aquile, le quali erano immigrate per caso in questi luoghi da altre regioni ed erano venute a far parte del nostro patrimonio faunistico. Esse rappresentavano due esemplari di rapaci diurni dalle dimensioni notevoli. Perciò venivano ammirate da quanti le scorgevano, mentre arabescavano lo spazio aereo con i loro voli acrobatici. In verità, tutti i volatili nostrani, compresi gli altri rapaci di diversa specie, li temevano e stavano alla larga da entrambi, quando apparivano nel cielo. Essi ne temevano la prestanza fisica e l’aggressività, le quali si presentavano eccezionali. Le due arpie, inoltre, come anche alcuni pastori se ne erano resi conto, erano in grado di sollevare da terra un agnello oppure un capretto già ben formato. Così se lo portavano via agevolmente e ne ricavavano il proprio pasto quotidiano.

Dopo il decimo giorno della loro danza del cielo, la quale veniva eseguita dalla coppia di rapaci allo scopo di accoppiarsi e di prolificare, la femmina non era stata più scorta mentre compiva con il maschio il suo affascinante volo. La poveretta, mentre era intenta a nidificare, era rimasta schiacciata sotto una pesante lastra. La quale, dopo essersi staccata dalla parete rocciosa sovrastante, era finita proprio sopra il suo nido scoperto. L’incidente, di cui era rimasta vittima la compagna, in un primo momento, aveva riempito di dolore il rapace maschio. Esso, a causa della sua morte, aveva deciso di non volerne più sapere di vivere. In seguito, siccome il suo dolore si tramutò in un odio feroce contro tutte le altre specie di uccelli, il temuto volatile si diede ad ucciderli in qualunque posto li trovasse. Il pennuto aveva un corpo massiccio, un becco poderoso e due zampe munite di potenti artigli, i quali erano dotati di una forza considerevole. La sua lunghezza raggiungeva i cento centimetri, mentre la coda ne misurava altri quaranta. Con un’apertura di ali superiore ai duecentoquaranta centimetri, il formidabile rapace si dimostrava un vero asso nel volo battente e nella caccia. Perciò le sue spettacolari evoluzioni risultavano qualcosa di superbo e facevano rimanere col fiato sospeso chiunque si trovasse ad ammirarle.

Un giorno, dall’alto del cielo, l’aquila avvistò tre cuccioli di lupa. In assenza della madre, essi avevano abbandonato la loro tana e in quel momento se ne andavano in giro da soli. Percorso qualche miglio, i tre lupacchiotti si ritrovarono in una radura, dove stavano per essere raggiunti da un orso affamato, il quale era sulle loro tracce. Nel frattempo, anche mamma lupa, non avendoli trovati nel loro covo, si era data alla loro ricerca assai preoccupata. Comunque, era plausibile che l’orso, precedendola di un quarto di miglio, li avrebbe raggiunti per primo, come appunto avvenne poco dopo. Quando però i cuccioli si trovavano oramai alla mercé del tozzo e robusto carnivoro, accadde un fatto incredibile. L’arpia, dando di picchiata, si diede ad assalire il bestione alle spalle e lo distrasse dalla sua intenzione di divorarsi i tre piccoli lupi, i quali ora apparivano spaventati e tremanti. Il rapace volatile continuò a comportarsi alla stessa maniera, ogni volta che l’orso tentava di agguantare le sue piccole prede. Con le sue aperture alari, pur di spaventarlo, esso voleva dare all’enorme predatore terrestre l’impressione di essere più grande di quanto fosse realmente. Non bastando ciò, l'arpia maschio gli lanciava contro i suoi acuti stridi per cercare di intimorirlo e di raggiungere così il suo scopo. Quando poi arrivò anche la lupa nei paraggi, essa si rese subito conto di ciò che stava succedendo in quel luogo. Allora, intanto che l’uccello distraeva l’orso e gli impediva di divorarsi i suoi cuccioli, essa quatton quattoni riuscì a portarsi via la propria prole.

Soltanto quando ebbe preso coscienza che la lupa e i suoi lupacchiotti erano salvi altrove, il grosso rapace abbandonò l’impari lotta. Così decise di ritornarsene nel cielo per ridarsi ai suoi molteplici voli distensivi, mostrandosi soddisfatto di aver protetto e salvato i piccoli canidi. Ma l’aquila, che non era ancora appagata di quanto già aveva fatto per i due cuccioli di lupa, si diede a cacciare dei piccoli mammiferi, che lasciava poi cadere davanti a loro, al fine di farli sfamare. Agendo in quel modo, essa si guadagnò la stima e l’affetto della lupa, che pure aveva perduto da poco il compagno, essendo stato ucciso da un cacciatore. Andando poi avanti quel modo di fare del gigantesco pennuto, che si rivelava un atto di generosità abbastanza manifesto, alla fine la femmina di lupo gli consentì di entrare a far parte della sua famiglia. In pari tempo, accettò che l’uccello andasse a vivere nella loro tana e facesse le veci del capofamiglia, dal momento che era il volatile a badare al loro sostentamento con la sua proficua caccia.

Al compimento del loro mese di convivenza, i rapporti di familiarità tra i due animali divennero intimamente avvertiti. Perciò, quando si muovevano nel bosco, a volte la lupa permetteva all’aquila perfino di starsene appollaiata sul suo dorso. Ovviamente, essa la lasciava fare non per evitarle di stancarsi; bensì solo per farla sentire felice e beata in quella posizione, alla quale oramai il generoso volatile si era affezionato. Così, via via che i giorni trascorrevano, tra le due bestie, pur essendo di specie diverse, si andò rafforzando la simpatia, fino al punto che l’una riteneva l’altra il proprio compagno e viceversa. Anzi, per come si fissavano, pareva che entrambe si trasmettessero con i loro occhi lucidi dei sentimenti profondi, non escluso quello dell’innamoramento. Anche se non era la stagione degli amori, l'uno e l'altro animale iniziarono a sentirsi attratti pure sessualmente. Perciò, se fossero stati in grado di farlo, volentieri essi avrebbero soddisfatto insieme quei loro istinti che facevano parte della loro sfera sessuale.

Qualche tempo più in là, essendo andata in fregola, la lupa incominciò a sentire una voglia irresistibile di accoppiarsi, della qual cosa non riusciva a fare a meno. Allora, con vari segnali, essa iniziò a far pervenire all’aquila degli evidenti segnali, con i quali cercava di fargli comprendere che il suo bisogno di accoppiamento era diventato urgente ed insopprimibile. Inoltre, con vari atteggiamenti, la invitava a fare qualcosa per appagarglielo nel modo che gli era possibile. Fu a quel punto che l’uccello, stimolato ed eccitato dalla compagna in modo irrinunciabile, in un attimo volò sul suo dorso. Stando poi accovacciato sulla sua groppa, a tutti i costi tentò di accoppiarsi con essa, cercando di far combaciare i loro organi copulatori. Così, in seguito ai ripetuti contatti dei loro organi genitali, alla fine esso riuscì ad appagare la foia della compagna e ad inseminarla, proprio com’essa pretendeva dal compagno.

Dopo esserci stata la loro prima esperienza sessuale, la quale aveva soddisfatto appieno gli interessati nei loro giochi amorosi, seguirono altri accoppiamenti tra i due partner animali. Essi durarono, fino a quando la lupa non ritornò ad essere normale, essendole venuto meno l’estro. Ma col passar del tempo, essa, a dispetto di ogni legge naturale, si ritrovò ad essere pregna del suo compagno volatile. L'una e l'altro, però, erano ancora all’oscuro del tipo di prole che sarebbe nato da una simile gravidanza. Forse entrambi si ponevano il seguente interrogativo: con il parto, sarebbero nati piccoli di lupa oppure di aquila? Non potendo rispondere ad una simile domanda, i due compagni attesero con impazienza la loro nascita, poiché solo così essi si sarebbero tolti il pensiero.

Cinque mesi dopo, la partoriente lupa, anziché andare incontro ad un parto multiplo, com'era abituata ad attendersi, mise al mondo un solo cucciolo, il quale era da definirsi geneticamente modificato, siccome esso appariva un vero mostriciattolo. Tutte e due le specie, quella materna e quella paterna, si erano riprodotte nel suo corpo. Più precisamente, il cucciolo aveva la testa della madre e il corpo del padre, che era anche fornito di poppa. Quest'ultimo, però, era nato con quattro zampe, anziché con due, ma tutte dotate di potenti artigli. L’allattamento, invece, durò solo un paio di settimane, poiché il piccolo, crescendo più velocemente dei normali lupacchiotti, manifestò subito di non gradire più il latte della madre. Allora toccò al padre procurargli carni fresche con la sua copiosa caccia. L’aquila dovette andare avanti in quel modo fino al suo completo svezzamento, il quale ebbe termine solamente dopo il compimento del suo primo anno di vita.

A quell’età, l’Aquilup aveva già raggiunto una mole di tutto rispetto, siccome essa non gli consentiva più di entrare nella sua tana di nascita e lo costringeva perciò a vivere nei dintorni. Ma fu quando ebbe compiuto i suoi tre anni di età che la crescita del suo corpo finalmente si stabilizzò, per la qual cosa si poté parlare delle sue reali dimensioni definitive. Per esattezza, il mostruoso ed ibrido essere era lungo sei metri e alto tre; mentre la sua testa era dieci volte più grande di quella di un lupo normale, con delle zanne proporzionate ad essa. Invece le sue ali, le quali avevano un’apertura di cinquanta metri, erano potenti a tal punto, da permettere al peso del corpo di spiccare un agevole volo e di alzarsi da terra con grande rapidità. Inoltre, con i suoi poderosi artigli, l’Aquilup poteva ghermire e sollevare da terra perfino un cavallo o un bue. Anzi, dopo riusciva a portarselo via in volo fino alla sua tana o nido che fosse, dove ne ricavava il suo abbondante pasto giornaliero.

Si tramanda pure che esso un giorno, essendosi ritrovato senza cibo, decise di divorarsi la madre lupa e il padre arpia. Naturalmente, senza provare per entrambi neppure un briciolo di pietà; né se li pianse, come avrebbe fatto ipocritamente un coccodrillo! Ma una volta divenuto libero e indipendente dai propri genitori, la caccia del mostro alato non ebbe più fine contro le varie specie di animali mammiferi. In seguito, avendo scoperto l’esistenza del nostro bestiame, che era costituito da mandrie e da greggi, esso si diede a nutrirsi esclusivamente delle carni di tali bestie, siccome poteva rifornirsene a sufficienza senza difficoltà di sorta.

Arrivato a questo punto, Kodrun, poiché non c'è altro da aggiungere, il mio racconto può considerarsi terminato. Spero soltanto che tu non commetta lo stesso errore degli altri, prendendo la mia storia troppo alla leggera! Al riguardo, insisto nell'affermare che è l’Aquilup a sottrarre le bestie da pascolo dai nostri recinti, allo scopo di soddisfare la propria fame. Vagliando meglio la faccenda, possiamo considerarci fortunati, se esso risparmia gli esseri umani e non ha ancora stabilito di cibarsi e di saziarsi con i nostri corpi. La mia preoccupazione scaturisce dal timore che esso, ritenendo il vostro intervento una indebita ingerenza, possa dopo cambiare idea nei confronti della specie umana. In quel caso, sono sicuro che ci andrebbero di mezzo un sacco di persone, le quali, diventando il suo nuovo obiettivo, verrebbero da esso assalite e divorate."



A parere di Kodrun, la narrazione di Nuvet in gran parte si era calata nella leggenda, per cui non lo aveva affatto impressionato. L'eroico giovane, però, l’aveva presa in grande considerazione soltanto per taluni aspetti. Ma essi dovevano essere ancora verificati da lui, se intendeva prenderli sul serio ed agire di conseguenza. Si trattava della sparizione quotidiana, da uno dei recinti degli allevatori, a volte di un cavallo o di un bue e altre volte di sei pecore oppure di sei capre. L'altro aspetto riguardava l’assenza di tracce all'esterno dei recinti, le quali sarebbero dovute essere la dimostrazione dell’avvenuto furto. Entrambe le cose, per il momento, non contribuivano ancora a farlo schierare dalla parte di una di loro. La prima lo teneva inchiodato nella realtà; mentre la seconda, non conoscendosi un altro modo di far volatilizzare i capi di bestiame, lo costringeva a dar credito al racconto del padre di Linkus. A ogni modo, era portato a crederci solo in parte, pur manifestando esso un contenuto fiabesco. Per cui intendeva rifletterci sopra ulteriormente, prima di capacitarsene e di giungere ad una conclusione sul caso.

Ebbene, dopo aver ascoltato l’anziano Nuvet, le sue considerazioni erano state le seguenti:

«Per il momento, Linkus, siccome i fatti non mi appaiono ancora convincenti, evito di prendere qualche provvedimento a tale proposito. Perciò devo prima attendere che il quadro della situazione mi sia più chiaro e poi saprò come comportarmi nei confronti di coloro che vi derubano del bestiame. Nel frattempo, però, suggerisco di allontanare da questi luoghi tutte le mandrie e le greggi, lasciandovene soltanto una di loro. Una volta che essa ci avrà fornito le prove che i furti avvengono realmente e che il prelevamento delle bestie rubate non si effettua via terra, baderemo a svelare il grande mistero. Logicamente, con l’allontanamento degli altri armenti, i miei amici di Litios non saranno più distaccati presso gli stessi. Invece resteranno con me ad attendere quegli ordini che deciderò di impartire loro, durante le prossime assidue indagini.»

«Spero, Kodrun, che tu non voglia usare proprio la mia mandria come cavia, facendomi perdere un numero imprecisato di capi! Essendoci anche gli altri allevatori, dovranno pure loro contribuire nel portare avanti il tuo esperimento! Che ciò ti sia ben chiaro!»

«Se non ti dispiace, Linkus, sarà proprio la tua mandria ad essere tenuta da noi sotto diretta osservazione, per tutto il tempo che si reputerà necessario. Per questo, invitandoti a non prendertela, sarai il solo allevatore a rimetterci ogni giorno un bue, almeno fino a quando non riusciremo a porre fine al misterioso latrocinio. È pacifico che, in una operazione del genere, uno di voi dovrà pur rendersi disponibile a metterci a disposizione la propria mandria per consentirci di portarla in porto e di liberarvi per sempre da chi continua a depredarvi nelle ore notturne! A missione compiuta, gli altri allevatori ti corrisponderanno, in capi di bestiame, quanto ti sarà dovuto per le perdite subite durante i nostri tentativi di cercare i colpevoli.»

Linkus non si era opposto alla decisione di Kodrun, anche perché gli altri allevatori si erano impegnati a risarcirlo di tutti i danni, a cui egli sarebbe andato incontro durante le visite del predatore notturno. Infatti, nessuno dei proprietari delle mandrie si era mostrato contrario a quanto aveva proposto il figlio del loro capo, ritenendolo una persona di valore degna della loro massima stima. Per questo le cose erano procedute secondo il suo piano, il quale innanzitutto aveva previsto l’allontanamento delle bestie degli altri allevatori dalla zona in questione. Così erano rimasti i soli buoi di Linkus a pascolare in quel luogo dove lo sconosciuto predatore notturno era solito rifornirsi del pasto. Il quale perlomeno doveva essere in grado di far fronte al proprio fabbisogno alimentare della giornata successiva.

Verso il tramonto, i capi bovini si trovavano già rinchiusi nello stazzo. Intanto che ve li avevano fatti entrare, quattro mandriani avevano eseguito anche la loro conta, dalla quale era risultato che essi erano trentacinque. Quella notte, a ogni modo, Kodrun aveva voluto vigilare di persona sulla mandria, ovviamente insieme con i suoi amici di Litios. Ma aveva rilevato che lo stabbio, essendo abbastanza esteso, non avrebbe permesso una vigilanza efficiente a sé e ai propri compagni. Ciò nonostante, egli aveva raccomandato a tutti loro di stare bene attenti ad ogni fenomeno strano che vi si fosse verificato. Aveva anche precisato agli stessi che alcuni muggiti, se non avessero manifestato insistenza ed inquietudine, si sarebbero dovuti considerare un fatto normale. Essi, infatti, da parte dei buoi, potevano aversi anche nel mezzo della nottata per svariati motivi. Invece, durante le ore notturne, oltre ad una repentina folata di vento, i sorveglianti non avevano registrato nient’altro.

Malgrado l’apparente calma, però, la sottrazione di un bue dal recinto c’era stata ugualmente ed era stata dimostrata dal nuovo conteggio delle bestie. Esse al mattino erano diventate trentaquattro; ma non si era riusciti a trovare alcuna traccia né del capo scomparso né di quelli che se ne erano impadroniti con il massimo silenzio. Il quale evento aveva fatto pensare che la refurtiva fosse stata sottratta e portata via, agendo dall’alto. Ma poiché a nessun essere umano era possibile allontanarsi dal recinto per via aerea con il pesante bestiame rubato, secondo Kodrun, il furto poteva essere stato esclusivamente opera di Aquilup. Il mostro, perciò, non doveva essere più considerato una leggenda, bensì una realtà a tutti gli effetti. Da una riflessione più attenta, egli aveva arguito che il refolo di vento, il quale a un dato momento li aveva investiti in modo subitaneo e rapido, molto sicuramente era stato originato dai battiti di ali del mostro. Il cui volo aveva dimostrato una velocità non comune nel condurre a termine la sua operazione di prelevamento del bue dal sorvegliato recinto.

Allora, presa coscienza del fatto reale che avveniva nello stazzo del bestiame ogni volta un’ora dopo la mezzanotte, Kodrun era passato a progettare un piano che avrebbe dovuto mirare a due scopi ben precisi. Da una parte, esso avrebbe dovuto consentire a tutti loro di avvistare il mostruoso Aquilup, nel momento stesso che assaliva la sua preda e cercava di portarsela via in gran fretta. La qual cosa sarebbe successa, unicamente se il mostro avesse trovato difficoltà a farlo, poiché così avrebbe dato tempo ai suoi uomini di avvistarlo e di colpirlo con delle frecce incendiarie. Dall’altra parte, esso avrebbe dovuto nascondere alla vista del mostro quelli che gli stavano tendendo la micidiale insidia, pur essendo appostati vicini al recinto delle bestie, il quale però andava ridimensionato abbastanza. La vicinanza alle bestie domestiche e la sorpresa, come ci si rendeva conto, erano indispensabili a coloro che erano di guardia, se li si voleva fare intervenire con tempestività contro l'Aquilup. Ovviamente, con l’intento di abbatterlo oppure, in alternativa, di procurargli il maggiore danno possibile.

Fatto un attento esame della situazione, il futuro capo di Litios era ricorso a tre provvedimenti. Con il primo, aveva fatto restringere al minimo il campo di azione del mostruoso volatile, riducendo il branco ad una decina di buoi e lo stazzo a pochi metri quadrati di superficie. Con il secondo, aveva fatto conficcare dei paletti a terra, ai quali poi erano stati legati gli zoccoli delle bestie, allo scopo di rendere difficoltoso l’asporto di qualcuna di loro all'ignoto essere che avrebbe cercato di portarla via. Con il terzo, invece, aveva fatto scavare intorno al recinto una trentina di buche cieche. In esse, si sarebbero dovuti celare i trenta guardiani a notte inoltrata, quando le stesse sarebbero state anche coperte con delle grosse frasche, per occultare con esse la loro presenza agli occhi del mostro alato in arrivo. Così, prima di sera, era stata approntata ogni cosa che doveva servire a far cadere in trappola il mostruoso essere.

Intorno alla mezzanotte, Kodrun aveva fatto nascondere nelle buche i suoi amici ed altri uomini della zona, che erano stati messi a sua disposizione. Tutti avevano a portata di mano del fuoco, nonché erano forniti di arco e di frecce incendiarie. Ma prima aveva raccomandato loro di attenersi alle seguenti sue quattro disposizioni: 1) Non appena avessero avvertito le sferzate di vento, che erano da riferirsi soltanto ai battiti di ali dell’Aquilup in avvicinamento, tutti avrebbero dovuto liberare le fosse del materiale ricoprente. 2) Immediatamente dopo, gli stessi si sarebbero dovuti affacciare dai loro nascondigli con le frecce già pronte per essere scagliate. Ma essi avrebbero dovuto evitare di sporgersi troppo, siccome le ali in movimento del mostro alato potevano risultare dei colpi mortali per coloro che erano troppo esposti. 3) Pur continuando a restarsene nelle rispettive buche, gli arcieri avrebbero dovuto iniziare a lanciare i loro dardi di fuoco contro qualunque cosa oscura venisse ad impedire la loro visuale, potendo trattarsi delle grandi ali spiegate del predatore. Infatti, i suoi organi alari erano così enormi, da riuscire a coprire il recinto dei buoi e le buche. 4) A quel punto, essi avrebbero dovuto colpirlo a volontà, lanciandogli addosso frecce a volontà.

Dopo che l'astuto Kodrun aveva impartito le suddette disposizioni agli interessati, costoro si erano dati ad attendere l’arrivo del mostro, intanto che scorrevano i minuti. Il fluire dei quali dopo la mezzanotte aveva assunto un carattere snervante, poiché si era avuta la sensazione che tali frazioni di tempo fossero diventate più lunghe delle ore. Infine si era appena superato di un quarto d’ora il tempo previsto per la comparsa del mostro, allorché l’attesa ventata prodotta dalle ali si era presentata in tutto il raggio d’azione entro cui si effettuava la sorveglianza.

Non appena l’improvviso colpo di vento era stato avvertito sopra le loro teste, gli uomini a disposizione di Kodrun si erano allertati all’istante. Essi, una volta scoperchiate le loro fosse, togliendo i rami e le foglie sovrastanti, erano apparsi con gli archi già tesi e pronti a far partire le frecce dalle punte infiammate. Vedendosi poi minacciati dal moto vorticoso di una folata ed assaliti da un’ombra che pareva volesse oscurare ogni cosa, gli uomini che erano nascosti nelle buche si erano messi a scagliare i loro dardi contro la massa nerognola che stava per sopraffarli. Subito dopo, prima che ne venisse strapazzato, ciascuno di loro accortamente si era ritirato nella rispettiva buca, la quale adesso non era più cieca. Da lì poi avevano continuato a tirare con l’arco verso quell’essere che, oltre a creare molta inquietudine tra i pochi capi di bestiame, sottraeva il cielo e le stelle alla loro vista. Questa volta il fenomeno del buio, anziché durare appena qualche minuto, come avveniva di solito, al contrario sembrava non volesse più cessare di permanervi. Le cause di quella lentezza? Essendo la sua preda legata a dei solidi pioli piantati nel terreno, essa non si lasciava facilmente portar via. In quel modo, la protratta permanenza del mostro al suolo aveva permesso agli uomini in agguato di colpirlo più a lungo e ripetutamente. Gli scocchi di frecce erano durati, fino a quando non lo avevano visto rinunciare al bovide che stava per divenire la sua nuova preda e rialzarsi in volo. La qual cosa aveva fatto beare quanti ne erano stati testimoni. Soltanto ora essi si scorgevano risollevati.

Poco più tardi, il gigantesco uccello, mentre volava verso il cielo con evidente difficoltà, era stato avvistato da quanti lo avevano colpito. Infatti, in quella circostanza essi potevano scorgerlo facilmente, grazie alle numerose frecce incendiarie conficcate nel suo corpo e nella parte sottostante delle ali. Adesso il suo volo avveniva con il fuoco attaccato al suo corpo, che gli stava bruciando l’apparato alare in molti punti, poiché veniva alimentato dai suoi stessi battiti. I quali, agendo come grossi mantici, con il loro soffio non facevano altro che accrescere il propagarsi delle fiamme sul proprio corpo. Ma pur rendendosi conto che il volo gli riusciva pesante e difficoltoso, a causa delle fiamme che lo avvolgevano in modo preponderante, l’Aquilup non rinunciava a volare. Anzi, preferiva proseguirlo, emettendo dei lamentosi versi, i quali erano un misto di ruggiti e di ringhi.

Dopo una volata abbastanza breve, all'improvviso c’era stata nel cielo una grande fiammata, per cui si era scorta una massa di fuoco precipitare giù nel vuoto. Quando infine il falò aveva raggiunto il suolo, si era udito anche un enorme e sordo tonfo, poiché esso era stato causato dall’impatto con il terreno della gigantesca massa corporea del mostro, intanto che seguitava a bruciare. Così, qualche attimo più tardi, il gigantesco uccello-lupo giaceva sul prato sfracellato in modo così orribile, da fare grande impressione a quanti erano accorsi per assistere alla sua tragica morte.

Si concludeva in quel modo la vicenda del mostro Aquilup, il quale era stato il predatore delle mandrie e delle greggi appartenenti ad alcuni allevatori delle terre del sud. Ma tale conclusione era stata resa possibile, grazie alla sagacia del primogenito di Ursito, al quale giustamente erano andate la riconoscenza e la gratitudine di coloro che erano stati beneficiati dall'uccisione del mostruoso volatile. A ogni modo, dopo che la vicenda aveva avuto un risultato più che positivo, Kodrun e i suoi uomini, avendo stabilito di ritornarsene al loro villaggio, si erano messi subito in viaggio verso Litios.