8-LUCEBIO INCITA KODRUN AD UNA GUERRA PUNITIVA

Era già trascorso un anno dall'inaugurazione della città di Dorinda, quando il tramonto di una suggestiva giornata di fine primavera la stava incendiando con una surreale fantasmagoria di forti colori. I quali andavano ad investire le alte mura della superba Dorinda. Kodrun e Lucebio si trovavano a passeggiare sopra la sua torre più alta della città, che era adiacente alla reggia e faceva da belvedere ad essa. Intanto che procedevano di pari passo sul lastrico solare e si davano a contemplare la loro magnifica città dalle cento torri, entrambi si beavano e si estasiavano. A quell'ora del giorno, che si presentava come la più caratteristica di tutte le altre, pareva che Dorinda si stesse cullando in una magica visione di sogno. Mentre i loro passi si moltiplicavano nell'andare parallelamente avanti e indietro, a un tratto, il quarantaquattrenne re Kodrun si fermò di botto. Dopo, mostrandosene assai orgoglioso, esclamò soddisfatto al suo giovane pupillo che lo accompagnava:

«Finalmente, Lucebio, la città da noi vagheggiata e sospirata è diventata una realtà, proprio come noi due la immaginavamo nei nostri sogni! Oggi come oggi, possiamo considerare la nostra Dorinda la più imponente, la più bella e la più affascinante fra tutte le città dell'Edelcadia, compresa Actina! Sono persuaso che ne sei fieramente appagato quanto me! Né potrebbe essere altrimenti!»

«Non ti sbagli, Kodrun! Come hai appena affermato, per nessuna ragione al mondo potrei pensarla diversamente!» il giovane gli rispose con soddisfazione e con molta fierezza «Peccato, però, che la nostra favolosa Dorinda non abbia ancora un sovrano, come asseriscono sette degli altri otto sovrani edelcadici! Essi colgono ogni occasione per rinfacciarcelo, come se volessero farci un dispetto! Ti invito a non dimenticarlo mai, mio valoroso Kodrun!»

«Allora io cosa rappresenterei per la nostra città, Lucebio? Cerca di non dare ascolto a quello che dicono i miei imbelli colleghi e di badare invece a ciò che pensa il mio popolo nei miei confronti! Forse esso non mi considera già il suo legittimo sovrano? Assolutamente sì, come puoi rendertene conto pure tu! Vorrei vedere i Dorindani negarmi tale titolo, dopo che mi sono prodigato per tutti loro al fine di renderli soddisfatti!»

«Come già ti ho fatto presente poco fa, Kodrun, non è il tuo popolo a ricusarti un diritto del genere, siccome esso ti ha già insignito per acclamazione del titolo regale, precisamente durante l'inaugurazione della nostra Dorinda. Invece sono i sovrani delle altre città edelcadiche a non volertelo riconoscere, fatta eccezione di quello di Actina, che è il leale re tuo amico. Essi ti hanno pure fatto sapere che si diventa monarca esclusivamente per discendenza. Per diventarlo, perciò, non basta costruirsi una magnifica città ed edificare al suo interno una reggia incantevole. In un certo senso, essi non hanno del tutto torto, per cui in parte concordo con loro. Ma mi rifiuto categoricamente di accettare la loro sciocca tesi, secondo la quale si può diventare sovrano soltanto per discendenza e in nessun altro modo! Io posso dimostrarglielo, senza alcuna difficoltà!»

«Giusto, Lucebio! Come vedo, solo tu riesci ad entrare nelle sottigliezze di un ragionamento meglio di tutti gli altri, giungendo con intelligenza a talune conclusioni, alle quali nessuno arriverebbe mai! Allora che cosa mi consigli di rispondere ai sette re edelcadici, i quali continuano stupidamente ad asserirmi una simile banalità, allo scopo di non riconoscermi loro pari? Se sarai tu a suggerirmela, sono convinto che essa sarà la più appropriata! Ci scommetto!»

«Kodrun, a ciascuno dei monarchi che ti negano il titolo di re, devi far presente che si diventa sovrano soprattutto per altissimi pregi e meriti. Essi, per citarne alcuni, sono l'accertata capacità tattica e strategica nell'arte della guerra, il valore militare dimostrato in battaglia, la profonda conoscenza dell'arte del governare, la dimostrata saggezza e il profondo senso della giustizia. Di regola, i primi due pregi, che sono da considerarsi dei meriti, dovrebbero essere posseduti da chi apre una dinastia ex novo. Invece i restanti, che rappresentano delle doti connaturate o acquisite, dovrebbero risultare caratteristiche imprescindibili sia proprie che dei suoi successori. I loro capostipiti non divennero forse sovrani, grazie ai primi due requisiti? Nessun re edelcadico potrà negarlo! Perciò, dopo che avrai dimostrato ai regnanti in questione, naturalmente a loro spese, di essere nella condizione meritoria di fondare un regno, vedrai che essi non oseranno più dubitare della tua regalità!»

«Se non sbaglio, Lucebio, tu mi stai incitando ad intraprendere una guerra, al solo scopo di dimostrare agli altri re della regione edelcadica che sono degno di esserlo anch'io! Ma mi dici contro quali nemici dovrei poi condurre la mia guerra, se al momento non mi risulta di averne, almeno nel senso che dico io? Allora vuoi essere tu ad indicarmeli?»

«Possibile che non lo immagini, mio re Kodrun? Vorrà dire che sarò io a citarteli! Ebbene, i tuoi nemici sono i sette re edelcadici che non ti vogliono riconoscere come un sovrano autentico. Perciò solamente a tali sovrani dovrai dichiarare guerra per dimostrare a tutti loro di avere i requisiti necessari per esserlo! Inoltre, mio re, hai una infinità di ottime ragioni per muovere una guerra contro simili contestatori. Sono convinto che il popolo di Dorinda, considerando tale conflitto una tua giusta azione punitiva, l'accoglierà con molto fervore!»

«Se volessi darti retta, Lucebio, mi dici come giustificherei ai miei sudditi la mia presa di posizione a sfondo bellico, la quale metterebbe in pericolo molte delle loro vite?»

«Come mi avvedo, Kodrun, hai già dimenticato i torti che i regnanti in questione non hanno mai smesso di arrecarci, sia prima della fondazione di Dorinda sia durante i suoi lavori. Volendo enumerarli tutti, essi non furono né pochi né tanto meno trascurabili! Inoltre, quei sovrani vigliacchi, immemori che erano stati prima l'eroismo del tuo antenato Litiore e in seguito quello tuo a far sì che gli Edelcadi non diventassero schiavi dei Tangali, con animo ingrato non esitarono a negarci il loro aiuto. Come sai bene, ciò avvenne proprio quando il nostro popolo ne aveva una grandissima necessità!»

«Hai ragione, mio saggio Lucebio! Non bastando tale loro vile atteggiamento, sciaguratamente quei farabutti si rifiutarono di dare rifugio ai bambini, ai vecchi e alle donne del mio villaggio, dichiarando che nelle loro città non c'era posto per pitocchi e straccioni. Ma grazie al tuo stratagemma bene architettato, a loro dispetto, riuscimmo a superare quei momenti difficili per noi! Alla fine, come ringraziamento per aver fatto evitare loro gli ingenti danni che avrebbero dovuto subire dalle orde di Ricnos, cercarono pure di sabotare i lavori durante la costruzione della nostra erigenda Dorinda. Non ti sbagliasti, Lucebio, quando affermasti che erano stati loro a mandare le bande di sabotatori, al fine di ostacolare e rallentare i lavori. Ti ricordi che, per alcune notti di seguito, esse tentarono di demolire quanto si era edificato di giorno da parte nostra?»

«Come potrei non rammentarlo, mio sovrano! Ma una volta caduti nella nostra trappola, quei sabotatori notturni, non si rifecero più vivi. A quel tempo, riuscimmo ad acciuffarne una cinquantina e li rimandammo poi indietro completamente nudi. Perciò oggi è giunto il tempo, per quei furfanti in veste di re, di regolare i conti che hanno in sospeso con noi. Così li puniremo dal primo all'ultimo! Tocca a te, valoroso Kodrun, costringerli ad implorare perdono e grazia ai tuoi piedi, come si fa davanti ad un prestigioso sovrano, che è veramente degno di questo nome! Che sia la guerra, dunque, a concederti il giusto merito, se essi si rifiutano di dartelo di loro spontanea volontà!»

Le parole del giovane all'istante ridestarono in Kodrun l'assopito furore guerresco. Nonostante però serpeggiassero nel suo animo i vecchi istinti bellicosi, cercò di trattenersi dal dare ascolto al suo pupillo. Infatti, affioravano in lui ancora varie perplessità, che lo frenavano dall'intraprendere un'azione bellica contro quelli che Lucebio gli additava come suoi nemici. Per questo ne volle sottoporre alcune al vaglio del giovane amico, di cui stimava l'indiscussa saggezza, iniziando a fargli presente:

«Dimentichi, Lucebio, che i due terzi della nostra popolazione, quindi pure del nostro esercito, attualmente risultano costituiti da persone che sono immigrate di recente nella nostra Dorinda? Come sai, esse sono oriunde delle stesse città contro le quali dovremmo muovere guerra. Perciò un fatto del genere potrebbe causarci non pochi inconvenienti, a cominciare dalle defezioni in massa nelle file del nostro esercito! A mio parere, giustamente potrebbero persistere in tali persone parecchi legami affettivi con le loro città di origine, sebbene adesso abbiano acquisito la cittadinanza dorindana. Sono convinto che tali legami non possono essere venuti meno facilmente. Invece essi continueranno a formare per molto tempo una sorta di cordone ombelicale, il quale difficilmente potrà essere troncato dall'oggi al domani. Secondo me, potremo considerarlo definitivamente reciso solo con l'avvento delle nuove generazioni, le quali non avranno più nulla da spartire con le città native dei loro genitori e nonni. Stando così le cose, non sarebbe prudente intraprendere la guerra, alla quale mi stai aizzando in questo momento!»

Il sagace Lucebio non era della stessa opinione dell'amico sovrano, avendo quest'ultimo una visione dei fatti diametralmente opposta alla sua. Allora, allo scopo di motivare in concreto le sue idee puramente bellicistiche, egli gli fece osservare:

«Io ho i miei dubbi in proposito, mio titubante re. Ce li ho per svariate ragioni! La prima è che le persone, a cui ti sei riferito, ti devono somma riconoscenza ed eterna gratitudine, per averle tirate fuori dalla loro infima abiezione e per avere assicurato loro un avvenire decoroso, oltre che soddisfacente. La seconda mi porta a credere che esse abbiano già tagliato i ponti con le loro città natali: da tempo e per sempre! Anzi, le medesime non vorranno più rammentare la miseria e l'enorme squallore morale, che vi erano state costrette a patire. La terza ragione riguarda il solenne giuramento prestato da ogni immigrato capofamiglia, al fine di avere diritto alla cittadinanza di Dorinda. La sua formula di rito, stilata personalmente dal sottoscritto, fu chiara ed inequivocabile. Perciò ciascuno di loro era libero anche di non aderire al contenuto in essa espresso, rinunciando in questo modo a diventare cittadino dorindano e a fruire di tutti i benefici derivanti dall'esserlo. Su questo non ci piove!»

Un attimo dopo, Lucebio, conoscendo l'uno e l'altra a memoria, si diede a rammentare a Kodrun l'intero contenuto e la formula di rito del giuramento imposto ad ogni oriundo di un'altra città, a nome anche dei suoi familiari, come condizione imprescindibile per ottenere la cittadinanza dorindana. Perciò volle citarglieli testualmente. Allora pure noi non vogliamo dispensarci dal venire a conoscenza della sua versione integrale, la quale era stata la seguente:

[Io,............., nativo di.......... per me e per la mia famiglia, giuro solennemente di rinnegare per sempre la mia patria originaria, poiché voglio scegliere Dorinda, quale mia nuova Patria d'elezione. Pertanto sono consapevole di tutti i diritti che mi deriveranno da questa mia scelta solenne. Ma sono altresì al corrente dei doveri di amor patrio, a cui sono tenuto ad ottemperare. In considerazione dei quali, d'ora in avanti, giuro eterna fedeltà al suo re Kodrun, che riconoscerò, ovunque e in ogni tempo, mio unico sovrano. Inoltre, ubbidirò per sempre ad ogni sua legge e a quant'altro egli vorrà ulteriormente ordinarmi, senza mai permettere a nessuna cosa appartenente al mio passato di farmi influenzare e di indurmi ad infrangere il mio odierno giuramento, visto che lo trovo giusto e sacrosanto.

Dunque, sarà considerato proditorio ogni mio atto, che tenderà a screditare ciò che ho appena giurato pubblicamente. Anzi, esso sarà ritenuto grave, proprio come se io avessi contravvenuto alle leggi riguardanti la sicurezza dello Stato oppure avessi tentato di sovvertire l'ordine pubblico. Per la quale ragione, se un domani sarò riconosciuto colpevole anche di uno solo dei tremendi crimini appena elencati, sarò processato per altissimo tradimento. Una volta che sarà anche appurata la fondatezza delle accuse a mio carico, immediatamente verrò condannato al pubblico impalamento, siccome quest'ultimo rappresenta la pena prevista per coloro che tradiscono vilmente la Patria. Il dio Matarum mi sia testimone, nel fare la seguente dichiarazione: "Che ogni mio tentativo di violare il presente giuramento venga considerato un atto sacrilego e dissacratorio, nonché diventi causa di vituperio per me e per tutti i miei discendenti, fino alla loro settima generazione!"]

Le ragioni, che erano state addotte dal lungimirante Lucebio, indussero Kodrun ad assecondarlo appieno. Perciò deliberò di cominciare a predisporre lo stato di belligeranza, considerato che quanto prima il suo esercito si sarebbe trovato ad affrontarlo. Oramai era diventata sua intenzione aprire appena possibile le ostilità belliche contro quei regnanti edelcadici che vigliaccamente avevano rifiutato asilo alla sua gente, quando essa ne aveva un indispensabile bisogno. La sua guerra, quindi, oltre ad essere considerata santa, avrebbe mirato a due scopi principali: primo, piegare l'alterigia e la sfrontatezza di certi suoi pari; secondo, convincerli che a nessuno di loro era permesso di bistrattare la giustizia e, in pari tempo, di farla franca, senza venire punito secondo la legge.

Così, in quello stesso giorno, prima di ogni altra cosa, Kodrun inviò Lucebio a casa del formidabile Tio con una propria ambasciata, la quale consisteva nel riferirgli che egli lo attendeva a corte in giornata. Il motivo? Da parte sua, aveva da trasmettergli delle comunicazioni parecchio importanti ed urgenti. Tio, contrariamente a quanto il lettore avrà immaginato, non era un militare dello stampo di Tedo, cioè un soldato veterano di molte battaglie, perché il nostro campione sfiorava appena i ventidue anni. Si trattava di un giovane non comune e molto speciale, se stava così a cuore al re Kodrun da preferirlo a tutti quanti gli altri cortigiani, naturalmente fatta eccezione di Lucebio. Il quale non poteva che occupare il posto numero uno nella sfera delle sue amicizie! Eppure il re di Dorinda conosceva Tio da appena un anno, cioè da quando il giovane era salito in poco tempo alla ribalta nella sua città. Infatti, dopo essere sbucato dal mistero più fitto, egli, grazie alle sue straordinarie doti di perizia d'armi e di conoscenza delle arti marziali, in un solo giorno era diventato il personaggio più popolare del momento.

In riferimento al suo valore militare, esso gli aveva fatto oscurare perfino la fama e il prestigio di Tedo, benché la carriera militare di quest'ultimo fosse stata coronata da meritati successi. Il sovrano lo aveva conosciuto l'anno precedente, cioè durante le gare da lui stesso indette per inaugurare la propria città. Il torneo era stato bandito, non solo per divertire la popolazione, ma soprattutto per proclamare il campione in assoluto in ogni tipo di arma e nelle arti marziali. Ebbene, l'eccezionale forestiero vi aveva partecipato pure lui. Egli, nonostante avesse un'età molto giovane, aveva primeggiato sui numerosi concorrenti di ciascuna gara, mandando in visibilio le folle estasiate del circo. Esse, molto stupefatte e piene di entusiasmo, lo avevano acclamato dagli spalti gremiti come il più grande campione mai esistito nell'intera Edelcadia. Fu in quell'occasione che il giovanissimo forestiero si era rivelato impareggiabile nel maneggio di ogni tipo di arma, ma soprattutto un insuperabile esperto nelle arti marziali. Le quali cose, come è stato già fatto presente, gli avevano permesso di entrare nelle grazie del sovrano di Dorinda. Comunque, senz'altro avremo modo di assistere a tale avvenimento straordinario del passato, durante il prosieguo della nostra storia.

C'è da aggiungere che il re Kodrun, insieme con la sua amicizia, aveva voluto offrirgli un bellissimo alloggio, che era situato in una strada adiacente alla reggia. In verità, il confortevole stabile aveva rappresentato per Tio ben poca cosa, a confronto degli innumerevoli altri favori che, di lì a poco, gli sarebbero piovuti addosso, ovviamente sempre per opera del suo illustre protettore e benefattore. Il sovrano di Dorinda, infatti, nel volgere di un mese, aveva deciso di istituire presso la palestra di corte una scuola d'armi e di arti marziali. Così aveva incaricato il valentissimo Tio di prepararvi professionisticamente degli esperti maestri. Gli aveva affidato anche la conduzione dei vari lavori occorrenti alla realizzazione di tale scuola e la loro direzione, insignendolo del titolo di "Maestro dei maestri". Così, dopo sei mesi di addestramento tenace, il fenomenale Tio, alla fine era riuscito a formare venti validissimi maestri d'armi e di arti marziali. Inoltre, avendo ottenuto dal re il permesso di aprire altrettante palestre congeneri al prototipo di corte, egli le aveva dislocate nelle zone principali della città, affidandole ai maestri da lui stesso preparati. Perciò adesso, in ogni palestra, si era in grado di fornire ogni mese un adeguato addestramento a duemila soldati di leva.

Oltre ad aver somministrato la preparazione specifica ai vari maestri, Tio aveva ricoperto l'incarico di addestrare nel maneggio delle armi tutti coloro che appartenevano alla famiglia reale, compresi i discendenti e i collaterali del sovrano. Il re Kodrun aveva affidato a lui anche il giovane Lucebio, che ne era diventato in breve tempo un intimo amico. Il sovrano si era ripromesso che in seguito gli avrebbe affidato pure l'unigenito suo figlio Cloronte, ossia l'erede al trono di Dorinda, il quale da poco era entrato nella fase della pubertà. In verità, sia Lucebio prima che Cloronte dopo, non sarebbero mai stati dei suoi promettenti allievi, dimostrandosi entrambi refrattari ad ogni tipo di insegnamento implicante l'uso delle armi e quello della forza fisica. Il celebre maestro d'armi, però, pur non riuscendo ad aver successo sulla loro pervicace avversione alle armi e ad ogni tipo di lotta, la quale alla fine lo avrebbe fatto desistere, giammai avrebbe considerato la sua resa come una sconfitta oppure un fallimento. Sportivamente, invece, egli avrebbe compreso e rispettato i loro principi morali, i quali sarebbero stati molto divergenti rispetto ai suoi, trovandosi essi a percorrere binari che procedevano in direzioni totalmente opposte!

Lucebio, pur venendo entusiasmato da fatti bellicosi e da gesta eroiche, sarebbe sempre rifuggito dalle armi, poiché alla guerra egli si sarebbe sentito trascinare più con il cuore e con la mente che con il braccio. La ragione di tale suo atteggiamento era una delle più semplici. Con il passare degli anni, poco alla volta, in lui sarebbe andata maturando una sublime coscienza morale, sorretta da un profondo senso religioso. Ecco perché il geniale pupillo di Kodrun, pur amando decantare le armi, a patto però che al loro uso si ricorresse solamente per difendere la giustizia e per combattere ogni tipo di sopruso, giammai lo si sarebbe visto andare a braccetto con esse e, di conseguenza, farne uso.

In riferimento a Cloronte, egli avrebbe aborrito le armi e detestato la guerra per aspirazioni meno sublimi; ma anch'esse erano da stimarsi importanti e nobili. Il rampollo reale non disponeva di una profondità di pensiero uguale a quella del prodigioso Lucebio. Per il suo carattere mite ed indulgente, oltre che per la sua disponibilità al dialogo, in lui sarebbero andate germinando delle idee politiche niente affatto affini a quelle paterne. Per il quale motivo, la sua profonda sensibilità umana, nel corso degli anni, lo avrebbe convinto con sempre maggiore forza di un proprio principio. Secondo il quale, esclusivamente promuovendo la piena libertà di ogni singolo popolo, oltre che rispettarne la sovranità e la dignità, alla fine si sarebbero create le giuste condizioni per ottenere nel tempo una convivenza pacifica tra i diversi popoli della regione edelcadica.

Ritornando al formidabile giovane, a cui ci si è riferito, illustrandone in parte le doti, quando all'ora del tramonto egli si presentò al sovrano, costui, dopo che lo ebbe accolto affabilmente a corte e lo ebbe pure fatto accomodare, cominciò a parlargli in questo modo:

«Mio simpatico Tio, entro un anno, dovrai mettermi a disposizione il più gran numero possibile di contingenti. Il motivo? Ho la vaga idea che, subito dopo che avrai terminato il tuo importante lavoro, intraprenderemo una guerra, dalla quale dipenderanno il prestigio e la gloria della nostra città. Nell'addestramento dei soldati, ti raccomando di avvalerti anche della veterana esperienza del valoroso Tedo. Sappi che egli, in fatti di scontri e di battaglie campali, è da considerarsi un vero asso e non è secondo a nessuno, avendo avuto come maestro il sottoscritto. Il suo aiuto potrà esserti molto prezioso, specialmente nelle esercitazioni da campo. Sono convinto che, se coopererete in perfetta sintonia, ne verrà fuori un lavoro coi fiocchi, del quale ne potrete andare molto fieri! Mi sono spiegato, insigne maestro d'armi e di arti marziali?»

«Mio celebrato re Kodrun,» gli rispose l'impareggiabile Tio «da ora in poi, ogni mio sforzo sarà rivolto al pieno soddisfacimento dei tuoi desideri. Perciò, prima della prossima primavera, potrai disporre di un esercito così potente e bene addestrato, che uno simile non lo si potrà trovare nell'intera regione edelcadica! Oggi stesso contatterò a nome tuo il prode Tedo e mi metterò d'accordo con lui su quando e su come iniziare la nostra opera bellica. Tra me e il tuo secondo di un tempo, oramai si sono instaurati degli ottimi rapporti; per cui di sicuro ci sarà tra noi anche una eccellente collaborazione.»

Tio non trovò alcuna difficoltà a mantenere la promessa fatta al suo sovrano. Ciò, grazie anche alla fattiva cooperazione e all'impegno ineccepibile del suo collaboratore Tedo. Dal quale egli finì per apprendere quelle poche cose che non conosceva ancora, siccome riguardavano l'arte del guerreggiare. Così il re Kodrun poté dare inizio alla sua guerra personale. Con essa, pur mettendo in primo piano i suoi chiari intenti punitivi, egli voleva provare agli altri regnanti dell'Edelcadica di essere di gran lunga superiore a loro. Per la quale ragione, era anche più degno degli stessi di essere stimato un vero re. Agendo come si era proposto, alla fine nessuno dei sette suoi rivali regali avrebbe continuato a rifiutarsi di giudicarlo un monarca autentico, degno della massima stima e del rispetto più grande. Inoltre, egli stesso si sarebbe sentito orgoglioso di averli indotti ad accettarlo come un loro pari, dopo aver dimostrato di valere molto più di loro, essendo essi dei sovrani incapaci e smidollati. Principalmente, però, il sovrano dorindano intendeva portare Dorinda alla supremazia sulle altre città edelcadiche e centrare così l'obiettivo che c'era stato sempre dentro di sé in forma larvata.