78-TRA FRANCIDE E RINDELLA SBOCCIA UN IDILLIO
Poco dopo, stando sdraiati sopra un tappeto di erba, Francide e la sconosciuta ragazza non osavano ancora guardarsi in faccia nel medesimo istante; né tanto meno cercavano di scrutarsi con i loro sguardi per conoscersi meglio. Ella dava delle brevi occhiate al suo liberatore, quando costui aveva il capo chino oppure quando i suoi occhi erano rivolti altrove, anziché verso di lei. Invece il giovane osservava la fanciulla, quando ella fingeva di essere attirata dal volo di un uccello oppure da qualche altro animale che brucava nelle vicinanze. Ma bisognava pur smettere di assumere quell'atteggiamento, il quale poteva andar bene unicamente fra due persone, che risultavano estranee l'una all'altra. Quindi, senza perdere un ulteriore tempo, occorreva che essi pervenissero almeno ad un minimo di familiarità, ossia quello che l'occasione richiedeva. Allora Francide, al quale tra l'altro non mancava una simpatica ed accattivante parlantina, comprese per primo che il loro comportamento era completamente errato, poiché risultava inusuale per la circostanza. Perciò si rivolse alla ragazza, dicendo:
«Ehi, tu, bella fanciulla, se provi piacere a seguire il girovagare degli insetti atteri tra l'erba oppure il volo di quelli con le ali nell'aria, ti faccio presente che qui ce ne sta uno grande ed interamente a tua disposizione! Esso, se provi a guardarlo, di certo non ti farà venire il male agli occhi! Dunque, cosa aspettiamo a presentarci? Dopo quanto ho fatto per te, non possiamo mica far trascorrere il tempo, comportandoci come stiamo facendo. Invece bisogna smettere di mostrarci fra noi come degli sconosciuti e di restarcene zitti in eterno, come se avessimo vergogna l'uno dell'altra oppure ci fossimo imbronciati per qualcosa! Perciò non credi che sia giunto il momento di presentarci e di darci alla nostra reciproca conoscenza? Soltanto in questo modo apprenderemo quelle cose che ci riguardano personalmente e possono interessarci. Non sei d'accordo pure tu, mia cara ragazza, che appari alquanto timida?»
Le parole di Francide, il quale si presentava tutt'altro che antipatico, aitante com'era nel fisico e nei modi, promossero nella fanciulla degli incentivi ad allacciare con lui dei rapporti più che amichevoli. Solo così ella provò a fare incrociare il suo sguardo con quello del giovane, che adesso doveva considerare suo salvatore. Nello stesso istante, però, un avvampante rossore le coprì l'intero volto. Alla poveretta non era mai capitato in precedenza di trovarsi da sola insieme con una persona di sesso opposto. Per cui quella era la prima volta che si trovava ad affrontare una situazione simile. Allora il giovane, volendo toglierla dal suo imbarazzo iniziale, soggiunse:
«Vuoi che cominci prima io a parlarti di me? Ebbene, lo faccio subito! Il mio nome è Francide e non ho mai conosciuto i miei genitori in vita mia. Ho fiducia soltanto nei miei amici Iveonte ed Astoride, con i quali combatto l'ingiustizia, la tirannide e la schiavitù. Sono convinto che presto ci sarai anche tu nella rosa delle persone di mia fiducia! Con ciò, avrei finito di riferirti ogni cosa sulla mia persona. Mi resta solamente da scusarmi di essere stato troppo breve nel darti le notizie su di me. Ma ti prometto che la prossima volta non sarà così e cercherò di dilungarmi di più nel descrivermi. Adesso spetta a te dichiararmi chi sei e quale dolce nome nasconde una così amabile creatura, che il mio cuore già desidera avere tutta per sé per amarla intensamente e per sempre!»
Dietro le richieste di Francide, l'adorabile fanciulla cercò di superare la sua iniziale titubanza, pur di far contento colui che l'aveva salvata dai soldatacci del re Cotuldo. Perciò, dopo che ebbe scacciato da sé ogni ritrosia dovuta alla situazione, alla fine ella si diede a rispondere al suo simpatico interlocutore, esprimendosi con queste parole:
«Io mi chiamo Rindella e vivo con una donna di nome Madissa, la quale, pur non essendo mia madre, mi ha allevata dalla nascita. Perciò mi tratta come una vera figlia. Ella, per una sua recondita ragione, mi tiene celati i nomi dei miei genitori. Anzi, quando le chiedo di parlarmi di loro, diventa misteriosa al massimo e non mi dà alcuna risposta in merito, come se li avviluppasse un grande mistero. La mia tutrice mi stima e mi vuole un mondo di bene, più di quanto ne dispenserebbe ad una propria figlia. Per questo gliene sono molto grata. Riguardo al mio rapimento, a cui hai assistito, passo a fartene un chiaro resoconto.»
Fu così che la fanciulla si diede a narrare la sua disavventura del mattino, mediante un racconto, il quale poteva rivelarsi solo agghiacciante. Quasi di sicuro, esso ci farà rabbrividire enormemente, durante la sua esposizione dettagliata e precisa, da parte della bellissima ragazza, della quale abbiamo appena appreso il nome, che è Rindella.
[Io mi trovavo nella casa della vedova Schidia, un'amica intima della mia Madissa. Quest'ultima, come ti ho detto, è la premurosa donna che si prende cura di me. Una ventina di giorni prima, infatti, era stata proprio lei a condurmi dalla sua compagna di gioventù, poiché ella doveva intraprendere un lungo viaggio. Invece la nostra dimora si trova nei pressi della reggia. Fino a ieri, nella Piazzetta degli Antenati le giornate sono trascorse relativamente tranquille. Questa mattina, invece, siamo state svegliate da prolungati e rumorosi rulli di tamburi. All'udirli, subito ci siamo buttate giù dal letto. Dopo esserci vestite, ci siamo affacciate alla finestra prospiciente la piccola piazza per renderci conto del perché di tali rulli. A un certo momento, però, i tamburi hanno cessato i loro strepiti e il banditore reale si è messo a gridare: "Gente di questo quartiere, il re Cotuldo vi rimerita dell'intera cortesia che gli avete dimostrata una trentina di giorni fa! Perciò la sua reazione buon pro vi faccia!"
A quelle parole, nella piazzetta è seguito un vero finimondo. Da ogni parte sono sbucate una infinità di soldatesche furibonde, le quali si sono messe a dare alle fiamme i vari caseggiati, essendo intenzionate a distruggere ogni abitazione della zona. Quando poi anche la nostra casa ha preso fuoco, Schidia ed io ci siamo lanciate di corsa verso l'uscita. Ma una volta all'esterno di essa, siamo state colte di sorpresa da sei soldati, quelli che hai conosciuto, i quali hanno tentato di portarci via con la forza. Allora l'anziana mia ospite ed io ci siamo opposte alle loro prepotenze con tutte le nostre energie, indirizzando calci e graffi a quanti cercavano di metterci le mani addosso. La nostra ribellione, però, è servita soltanto a fare ammazzare colei che mi ospitava. A un tratto, uno dei soldati ha trafitto crudelmente la povera Schidia con la spada e l'ha uccisa. Ma io, anche dopo quell'efferato delitto, ho seguitato ad opporre ai miei catturatori una tenace resistenza, lasciandomi condurre via, non senza creargli dei problemi. Per mia fortuna, i gendarmi non mi avevano riservato la stessa punizione fatta subire a Schidia, solo perché mi avevano stimata una ragazza bella e attraente. Essi, però, si erano ripromessi di gestire diversamente la situazione nei miei confronti.
Strada facendo, infatti, ho intuito che quei luridi farabutti stavano complottando qualcosa di brutto a danno della mia persona. Essi, come sospettavo, andavano cercando un luogo appartato per mettere in atto i loro terribili e turpi propositi. Allora nella mia mente si sono andati affollando i pensieri più costernanti, intanto che l'angoscia più tremenda assaliva il mio spirito e lo martoriava brutalmente. Inoltre, essendo in preda alla più sconfortante disperazione, mi sentivo l'animo defraudato della sua abituale serenità. Dentro di me, perciò, mi sono messa a pregare il divino Matarum perché mi sottraesse ad una esperienza così traumatizzante. Essa, una volta che ci fosse stata sul mio corpo, mi avrebbe spenta interiormente e mi avrebbe trasformata in un qualcosa che avrei stimato meno importante di uno strofinaccio da cucina. Il timore di perdere la mia dignità di donna, che sarebbe sopravvenuta alla perdita della mia verginità in un rapporto forzato, a un tratto, mi ha fatto rasentare la follia. Mi sono vista reclusa in una massa buia, dove venivo schiacciata sotto il peso dell'obbrobrioso disonore, senza che ci fosse alcun'altra alternativa in grado di liberarmene. Perciò deliravo, non riuscivo ad accettare che potesse succedermi un fatto così orribile. Esso mi avrebbe distrutta in ogni senso: fisicamente, psichicamente e spiritualmente.
Alla fine, quando già avevo perduto ogni speranza di uscire illesa da quella pessima situazione, cioè senza essere disonorata da loro, come per prodigio, sei apparso tu e mi hai sottratta alle loro intenzioni lussuriose e malvagie. Quindi, grazie a te, mio generoso salvatore, ho eluso ogni barbaro maltrattamento, che stavo per subire da parte dei gendarmi del re Cotuldo. Anche Madissa te ne sarà immensamente riconoscente, non appena verrà a sapere ciò che hai fatto per me stamattina!]
Dopo aver terminato il suo patetico racconto, il quale aveva commosso anche il giovane ascoltatore, la ragazza tacque ed attese che egli le manifestasse le sue impressioni a tale riguardo. Allora Francide, più che esprimersi sull'intera vicenda che aveva appresa dalle sue labbra, rifacendosi alle sue ultime parole, ci tenne a farle presente:
«Beh, era mio dovere venire in tuo soccorso, Rindella. Siccome ero stato io a farti trovare nei guai, adesso dovevo pure aiutarti ad uscirne! La mia affermazione giustamente ti risulterà strana, non potendo tu per il momento comprenderne il significato. Quindi, cerco di spiegarmi meglio. Tu forse non ricordi più lo scompiglio, che circa un mese fa i miei amici ed io spargemmo nella Piazzetta degli Antenati tra i cavalleggeri del sovrano. Ebbene, intervenendo contro di loro che stavano operando l'arresto di due ribelli, abbiamo dato l'appiglio al despota per mettere in atto la sua rappresaglia odierna!»
«Francide, quei valorosi cavalieri eravate tu e i tuoi amici!?» sorpresa, esclamò Rindella «Quel giorno e negli altri che sono seguiti, si è parlato molto di voi, quasi foste dei veri eroi! Siete stati magnificati in ogni angolo della loro città da tutti i Dorindani. Essi, reputandovi degni del loro rispetto, continueranno a farlo ancora per parecchio tempo, almeno fino a quando Dorinda non ritornerà ad essere finalmente libera!»
«Invece, Rindella, dopo la feroce repressione di oggi da parte del tiranno, sono convinto che le loro vedute cambieranno nei nostri confronti. Vedrai che i miei compagni ed io saremo maledetti e bestemmiati nelle carceri dagli stessi che fino a ieri ci hanno benedetti ed osannati. Ne ho un forte presentimento, se lo vuoi sapere!»
«Ti assicuro che ti sbagli, Francide, perché essi rammenteranno soltanto che voi avete ucciso una parte dei loro oppressori, anche se piccola! Ma giammai i sopravvissuti penseranno che tale uccisione gli abbia nuociuto con il loro arresto, se non proprio con la loro morte!»
«Se le cose stanno così, Rindella, allora posso sentirmi risollevato; però soltanto in parte, perché dovrò mostrarmi ugualmente afflitto. Infatti, le tante tribolazioni, alle quali i domiciliati della Piazzetta degli Antenati andranno incontro nelle prigioni reali, non mi daranno pace. Ad ogni modo, prometto a quelli che verranno arrestati che farò di tutto per arrecare al mostruoso re Cotuldo quanti più danni possibili, fino a quando il re Cloronte non sarà liberato e non gli sarà restituito tutto ciò a cui ha diritto. Chissà quante volte il tiranno dovrà arrovellarsi il cervello e l'animo, per i danni che i miei amici ed io continueremo ad arrecargli! Gli faremo perfino maledire il giorno che mise piede nella vostra stupenda città di Dorinda, che abbiamo deciso di fare anche nostra!»
«Francide, ne sei proprio convinto che un giorno, anche se remoto, per il nostro giusto re Cloronte ci sarà la liberazione e il recupero dei beni, che gli sono stati estorti con il tradimento e l'inganno? Ti confesso che, se in avvenire ciò dovesse accadere, ne sarei molto contenta! Anzi, farei salti di gioia e mi commuoverei anche, fino a piangere dalla gioia!»
«Non ci sono dubbi, Rindella. Babbomeo, del quale un giorno ti parlerò con piacere, diceva che una buona fine è riservata soltanto alle persone amanti della giustizia. Perciò il re Cloronte, che è stato il prototipo dei sovrani giusti, senz'altro usufruirà di tale massima. Dovessero capitombolare le stelle, dopo essersi staccate dalla volta celeste!»
Alle rassicurazioni del giovane, la ragazza si mostrò soddisfatta come non mai, poiché esse le erano risultate assai gradite. In seguito, riesaminando lo scampato pericolo che qualche ora prima l'aveva tenuta in un terribile terrore e in una incredibile angoscia, rivolgendosi a lui per scherzo, fece presente al giovane suo salvatore:
«Circa il modo di come ti sei liberato dei numerosi armati di Cotuldo, Francide, devo ammettere che sei stato abbastanza originale. Il tuo geniale espediente, il quale ci ha tolti dai guai, mi è piaciuto non poco. Hai chiesto al fumo di darti una mano ed esso prontamente te l'ha data. Ma riesci sempre a superare le difficoltà con qualche stratagemma del genere, mio generoso e valido guerriero?»
«Nemmeno per idea, Rindella! Iveonte ed io siamo dei combattenti di alto livello e nessuno può sognare di batterci. Quest'oggi ho agito come sai, solo perché non volevo mettere a repentaglio la tua vita. Essa, fin dal primo momento che ti ho scorta, mi è diventata subito preziosa, poiché mi sei cara come nessun'altra donna al mondo! Anzi, sento già che mi appartieni. Se non avessi avuto da difendere te, ben altro sarebbe stato il mio comportamento. Li avrei affrontati a viso aperto e di sicuro non avrei avuto paura di loro, nonostante fossero in venti! Voglio sperare che ne sia convinta anche tu, se vuoi farmi cosa gradita!»
«Certo che ne sono convinta, Francide! Me lo avevi già dimostrato prima, quando hai affrontato i sei gendarmi che mi tenevano prigioniera, i quali si preparavano a farmi passare un brutto quarto d'ora. Inoltre, dopo che tu e i tuoi amici avete dato quella dimostrazione di coraggio e di valore nella Piazzetta degli Antenati, come potrei metterlo ancora in dubbio? Devi sapere che non lo affermo, solo perché anch'io sento nascere dentro di me una profonda simpatia nei tuoi riguardi! A dire il vero, avverto nell'animo qualcosa che mi spinge sempre maggiormente a legarmi a te e a sentirmi tua, come se ci conoscessimo e ci amassimo da lungo tempo! Con queste mie parole, penso di essermi largheggiata abbastanza nel dimostrarti la mia simpatia e anche qualcosa di più!»
«Me ne sono accorto, Rindella. Perciò te ne ringrazio infinitamente.»
Poco più tardi, i due giovani neo innamorati, seguitando a stare sempre in quell'appartato angolo di bosco, del quale si erano impadroniti dopo aver lasciato la città, si andarono inebriando di una elettrizzante ed incontenibile passione amorosa. Pareva che ad essa li spingesse un magico filtro, che qualche fata benevola aveva fatto ingerire ad entrambi di nascosto, appositamente a tale scopo. Ma volendo considerare le cose più realisticamente, poteva anche darsi che fosse stata la circostante atmosfera d'incanto a suscitare in loro quegli impulsi che li spingevano a desiderarsi ardentemente con un contatto corporeo. Infatti, la nuova realtà del bosco all'improvviso li aveva esortati a troncare quel loro preludio discorsivo, il quale stava facendo spazientire i loro spiriti frementi. Perciò essi bramavano, a ogni costo, di fondersi incantevolmente nel folle parossismo del più travolgente degli amori. In relazione all'ambiente, va chiarito che si era in piena stagione primaverile, per cui essa spingeva gli uccelli a rincorrersi festosi da un albero all'altro e a dedicarsi ai loro prolifici amori. Perciò, tutt'intorno, essi intrecciavano divinamente gorgheggi soavi e trilli melodiosi, decantando con calore il loro bel tempo d'istinti amorosi.
Adesso Francide e Rindella si ritrovavano congiunti in un caldo abbraccio, al quale partecipavano compiaciuti il loro spirito e il loro corpo, appagando senza remora i tanti appetiti della passione. In quegli attimi sublimi, il tempo sembrava non esistere più per i due giovani, che si erano invaghiti l'uno dell'altra in poco tempo. Pareva essersi dissolto nel nulla, come per rendere più duratura quella loro paradisiaca euforia dei sensi. La quale, dopo essersi impossessata intimamente dei loro corpi brucianti d'amore, si affrettava a raggiungere con veemenza la prorompente acme finale del loro rapporto. Esso, va precisato, non era intimo. Quando infine ebbero soddisfatto nel modo più inebriante il loro incompleto atto amoroso, i due giovani passarono a ricomporsi alla meglio. Dopo, montati sull'unico cavallo che avevano a disposizione, intrapresero la via che conduceva alla casa della ragazza.
Francide e Rindella avevano percorso appena un miglio, quando improvvisamente un grido di gioia malvagia si diede ad echeggiare alle loro spalle: "Eccolo! Finalmente l'ho scovato! Fatelo a pezzi!" Allora i due giovani all'istante si voltarono indietro, pensando ad un nuovo assalto da parte dei soldati di Cotuldo. Invece essi scorsero una dozzina di malviventi, i quali si preparavano tremendissimi ad un'azione offensiva contro di loro, anzi contro il solo giovane. Quando poi gli assalitori si furono avvicinati di più, Francide riconobbe in chi li guidava l'uomo che aveva sorpreso nel mattino ad ingannare gli ingenui contadini. Così si convinse che l'imbroglione adesso intendeva vendicarsi del torto subito. Infatti, non smetteva di urlare a squarciagola:
"Presto, assalitelo e prendetelo! Sì, è proprio lui quello che cercavo; ma state attenti a non farvelo scappare! Pagherò profumatamente chi riuscirà a portarmelo ridotto a fettine! Visto che egli, da bravo guastafeste, si è permesso di rovinarmi la giornata, adesso farò altrettanto con lui. Così imparerà cosa significa intromettersi negli affari altrui, specialmente in determinate circostanze! Mi fa piacere sorprendere anche lui in una situazione delicata, cioè mentre cerca un posto per tubare con la sua colombella! Sono felicissimo di rovinare pure a lui la giornata, come egli ha fatto con me questa mattina!"
Senza dubbio la trovata del giovane intruso era andata di traverso al lestofante, specialmente nel vedersi togliere l'intero denaro dai creduloni campagnoli. Lo faceva supporre, anzi lo dava per certo, il fatto che egli era ricorso subito alla vendetta, dopo aver prezzolato quella cricca di brutti ceffi, i quali, a studiarli bene, non promettevano nulla di buono.
Al grido gioioso del suo nemico, Francide non fece altro che scendere da cavallo per far fronte ai suoi assalitori. Dopo, sguainata la spada, si preparò a ricevere quegli omacci senza scrupoli che, se avessero potuto, lo avrebbero scorticato vivo. Tanto grande si dimostrava la loro avidità per il denaro, per il quale avrebbero sgozzato perfino i loro genitori!
Poco dopo, lo scontro avvenne senza indugio e in modo veramente tempestoso. Ma il primo scherano aggressore non arrivò neanche a due passi da Francide, che subito lo si vide barcollare per terra con il volto insanguinato. Il secondo, il quale gli era alle costole e lo seguiva molto da vicino, inciampò sul cadavere del compagno, che un istante prima lo precedeva di pochi passi. Allora, caduto ai piedi di Francide, ricevette da lui una letale ferita al capo. In seguito la lotta continuò accesa e fieramente competitiva, assumendo un'aggressività sempre più mordente e feroce, da parte di quella masnada di truculenti ed avidi cagnotti! Quanto a Ludio, il quale era la persona che aveva assoldato quell'accozzaglia di sgherri scellerati, continuava a ridacchiarsela e a saltare come un vero scimpanzé, essendo convinto che presto il giovane sarebbe stato conciato bene per le feste. Anzi, egli era già al colmo di quelle sue sfrenate sghignazzate, allorché si vide all'improvviso abbrancare da due braccia nerborute e forti. Esse prima lo sollevarono di peso da terra e poi lo scaraventarono con violenza al suolo. A quel trattamento sgarbato subìto da mani ignote, l'uomo pose fine alle sue sguaiate risate e si diede ad urlare e a lamentarsi dolorosamente, essendosi ritrovato nella polvere con parecchie ossa ammaccate, se non proprio fratturate.
Intanto che non era più dedito ai suoi gioiosi schiamazzi e si andava lagnando per gli acuti dolori che lo affliggevano, il vendicativo truffaldino si faceva alcune domande, intercalandole con delle proprie considerazioni. Si andava chiedendo chi fosse mai quel tipaccio dalla forza titanica, il quale lo aveva ridotto in uno stato davvero miserabile. A causa sua, adesso si sentiva tutto dolorante, come se fosse stato fatto a pezzi! Possibile che fosse quello il frutto della sua vendetta? Per come si stavano mettendo le cose, allora sarebbe stato meglio, se avesse rinunciato ad essa, evitando così altri grossi guai per lui! Attizzò ulteriormente la sua rabbia il fatto che lo sconosciuto, dopo averlo scaraventato al suolo, era andato a fare comunella con il suo nemico giurato. Insieme con lui, perciò, il medesimo si era messo a spargere uno sbaraglio non di poco conto tra i suoi manigoldi mercenari. Inoltre, visto che essi si chiamavano per nome, i due tremendi giovani non potevano essere che amici di vecchia data!
«Ah, sei tu, Astoride?» gli domandò Francide, nello scorgerlo, dopo che aveva ridotto male Ludio «Arrivi al momento giusto, poiché qui c'è del lavoro anche per te, se hai voglia di dedicarti a qualcosa!»
«Certo che sono io, Francide!» gli rispose Astoride. «A parte il nostro amico Iveonte, mentre navighi in cattive acque, poteva essere qualcun altro a farti visita e a prendere le tue difese? Naturalmente, sto scherzando, poiché nessuno mai potrebbe darti del filo da torcere, considerata la tua valentia nelle armi e nella lotta!»
«Hai perfettamente ragione, Astoride! Oltre ad Iveonte, soltanto tu potevi prestarti ad alleggerirmi il lavoro, come stai facendo! Ma dal momento che dei venti a me favorevoli hanno indirizzato il tuo veliero dalle mie parti,» Francide aggiunse subito dopo all'amico appena arrivato «vuoi degnarti di darmi una mano ad uscire da questo naufragio? Oppure ti chiedo troppo, a causa della tua malavoglia di fare qualcosa perfino per un tuo amico, che ne ha tanto bisogno?»
«Francide, chiedi una mano proprio a me, che le sento che mi prudono? Te le do subito tutte e due, anche se sono certissimo che uno come te non ne ha affatto necessità! Comunque, considerato che ci viene consentito, possiamo anche divertirci un poco con questi esseri ignobili, i quali sono degli assassini privi di misericordia!»
Di lì a poco, l'uno accanto all'altro, i due giovani si diedero a controbattere quella banda di ostinati criminali, dapprima demolendone la stizza e poi rendendone fiacco il coraggio. Infine i due assaliti si trovarono di fronte alla seguente alternativa: concludere quello scontro con l'uccisione dei loro avversari oppure limitarsi a forzarli ad una fuga vergognosa. Di comune accordo, allora si optò per la seconda soluzione, avendola ritenuta un epilogo più ragionevole ed umano. Allora, ingaggiando con i loro rivali una lotta carica di colpi pericolosamente poderosi, Francide e Astoride cominciarono a farli indietreggiare sempre di più. Alla fine i loro avversari superstiti presero coscienza della loro reale situazione, la quale era apparsa limpidamente critica. A quel punto, quegli omacci senza scrupoli si resero conto che, se erano ancora vivi, lo dovevano soltanto alla pietà dei due forti avversari, i quali, come appariva chiaro, non se la sentivano di ammazzarli. Per questo, ad un certo punto, con saggezza decisero di non indugiare oltre e di darsela a gambe levate, prima che in quei giovani imbattibili venisse a germinare la voglia di ucciderli. Così si diedero alla fuga, privando i due generosi avversari del loro fastidioso e molesto incomodo.
Scappati via i furfanti, Francide presentò Astoride a Rindella e la ragazza all'amico, a cui raccontò pure come si era imbattuto in lei. Comunque, egli non si astenne dal riferirgli i vari episodi che avevano incorniciato l'incontro. Avvenute le presentazioni, i due giovani, incuranti di Ludio, che seguitava a lamentarsi per i forti dolori, lasciarono quel luogo ed accompagnarono Rindella a casa sua. In essa trovarono la tutrice della ragazza in preda ad un'agitazione immensa, per aver temuto nel frattempo per lei un sacco di cose brutte! Madissa, che era ritornata da poco dal suo viaggio, venuta a sapere quanto era avvenuto nella Piazzetta degli Antenati, non riusciva a darsi pace. Temeva che alla sua Rindella potesse essere accaduto qualcosa di terribile e di irreparabile. Ma scorgendo poi davanti a sé sana e salva la sua diletta fanciulla, la costernata donna subito si rasserenò nel volto e smise di angosciarsi per lei. Alcuni attimi dopo, la preoccupata donna, versando lacrime di gioia che non volevano finire più, se l'abbracciò in preda ad una profonda commozione. Solo quando si fu calmata, si diede a sfogarsi con lei:
«Gioia mia, non puoi immaginare quanto io abbia penato per te! Quelle poche notizie che giungevano dalla Piazzetta degli Antenati frammentarie, vaghe e confuse, non sai come mi hanno allarmata e mi hanno fatta tribolare! Da come esse venivano riportate, si capiva soltanto che la distruzione, il terrore e la morte non avevano risparmiato la piccola piazza e i suoi residenti. Allora, sapendo che ti trovavi sola ed indifesa proprio in mezzo a quel crogiolo di fiamme, di devastazioni, di violenze e di stupri, inorridivo e mi sentivo raggelare il sangue nelle vene. Maledicevo perfino il giorno in cui avevo intrapreso il mio viaggio, lasciandoti in quel luogo che consideravo abbastanza sicuro, senza immaginare che esso in seguito sarebbe invece diventato teatro di rovine e di morte! Ma adesso, devi sapere, le mie lacrime sono esclusivamente di gioia!»
Allora Rindella, desiderando rasserenarla alla meglio, le disse:
«Adesso, però, è tutto finito, Madissa mia cara! Quelli che rappresentavano un serio pericolo per me e un incubo per te non lo sono più per nessuna delle due, poiché sono passati e sono andati via definitivamente. Ce li siamo lasciati alle spalle, a guisa di brutti ricordi che si trovano lontani una infinità di tempo. La qual cosa ti deve far stare tranquilla e rallegrare per il mio scampato frangente, il quale poteva arrecarmi molto male, se qualcuno non fosse venuto in mio aiuto!»
«Lo credo anch'io, tesoruccio mio, adesso che ti rivedo in carne ed ossa davanti ai miei occhi!» commentò Madissa «A proposito, Rindella, visto che ti sei trovata di persona nel turbinoso inferno, vuoi dirmi che cosa ne è stato della mia amica Schidia? Mi auguro che anch'ella sia riuscita a scamparla ed ora stia bene come lo sei tu! Non sai quanto mi rattristerebbe, se venissi a sapere che ella, diversamente da te, sia andata incontro alla morte!»
«La poveretta, invece, è rimasta uccisa durante la rappresaglia, Madissa! È stata infilzata da uno dei sei soldati di Cotuldo che intendevano farci prigioniere, dopo che siamo uscite di casa per non bruciare vive. Ella ha cercato di opporsi alle canaglie che ci avevano assalite, lottando contro di loro con tutte le proprie forze, non volendo che ci portassero via. Soltanto la morte alla fine ha fatto desistere la poveretta!»
«Mammamia, a quale fine orribile è andata incontro la mia sventurata amica! Non immagini neppure, Rindella, quanto la poveretta mi mancherà nel tempo avvenire!»
Dopo un attimo di riflessione, le venne spontaneo chiedere ancora alla ragazza:
«Tu, Rindella, come hai fatto a salvarti da quella bolgia infernale, qual era appunto diventata la Piazzetta degli Antenati, in quel giorno scalognato per i suoi residenti? Come posso vedere, ne sei venuta fuori addirittura senza nemmeno un piccolo graffio!»
Alla domanda della sua Madissa, la ragazza, mostrandosi in preda ad un giubilo incontenibile, si lanciò verso il suo liberatore. Dopo che lo ebbe raggiunto, ella, prendendolo per mano affettuosamente e additandolo alla sua tutrice, le rispose:
«È lui che dobbiamo ringraziare, Madissa, se noi due possiamo ancora stare insieme! Il nostro valoroso Francide si è trovato sul posto al momento opportuno, cioè proprio quando venivo trascinata via da sei malintenzionati gendarmi e si profilava per me la più orrenda delle esperienze. Invece il suo tempestivo intervento mi ha sottratta a tutti i guai che stavano per capitarmi, se fossi rimasta in balia di quei soldatacci. Egli, uccidendoli senza la minima difficoltà, mi ha liberata da loro. Inoltre, quando poco dopo un plotone di altri venti soldati di Cotuldo ci ha sbarrato il passo verso la salvezza, Francide è riuscito a mettere pure quelli fuori combattimento. Alla fine, così, egli mi ha tratta in salvo da quell'inferno maledetto, dove la gente seguitava a soffrire e a crepare senza pace e senza sosta! Per questo motivo, mia cara Madissa, entrambe dobbiamo moltissimo a questo valoroso giovane mio salvatore!»
Allora la donna, mostrandoglisi riconoscente, domandò a Francide:
«Davvero hai fatto tanto per la mia Rindella, intrepido giovanotto? Ma chi ti ha dato il coraggio e la forza che ti hanno permesso una così ardua impresa? Sono sicura che sarà stato il misericordioso Matarum ad infonderti tanto ardire, appunto per permetterti di salvare la mia adorabile fanciulla! Sono certissima che è andato così!»
«Invece non è così, Madissa. Francide e i suoi amici non hanno bisogno dell'aiuto di nessuna divinità per compiere le loro memorabili imprese. Essi sono dei combattenti imbattibili e neanche un esercito riuscirebbe a sconfiggerli. In Dorinda, sono già in molti quelli che giustamente decantano le loro eroiche gesta. Le quali, ad enumerarle tutte, non risultano affatto poche! Adesso hai compreso con chi abbiamo a che fare noi due? Da loro, in futuro, potremo avere tutta la protezione, di cui verremo ad avere bisogno!»
Incuriosita, la donna chiese ai due accompagnatori della ragazza:
«Corrisponde al vero, baldi giovanotti, quanto la mia Rindella ha affermato poco fa sul vostro conto? Oppure le sue parole sono il frutto di una sovreccitazione della sua fantasia? Sapete, può succedere che il proprio salvatore diventi agli occhi del salvato un vero eroe, se non proprio una divinità! Dunque, cosa voi due potete rispondermi in merito, considerato che avete la mente più lucida di lei?»
Francide, sorridendole e prendendo la parola, le dichiarò:
«Probabilmente la tua Rindella scherzava, quando poco fa ti ha riferito quelle cose su di me e sui miei amici. Nel caso poi che non scherzasse, vorrà dire che ella, a ragione o a torto, è così che intende considerarci o immaginarci! Ma ti garantiamo che non siamo degli eroi, come ella ci ha voluti definire, spinta forse solo dalla forza del cuore, quale puro atto di riconoscenza. Comunque, non credo che sia stato un miraggio della sua fantasia ad averla indotta alle sue affermazioni, essendo ella una ragazza giudiziosa ed equilibrata. Perciò cerca di non prendere sul serio, se non in parte, ciò che lei ha creduto giusto attestare a proposito di noi. Puoi essere certa, però, che i miei amici e io, quanto a valore e a coraggio, ne abbiamo da vendere. Nello stesso tempo, siamo degli insofferenti delle angherie e dei soprusi commessi da altri!»
«Bene,» tese a concludere Madissa «così come stanno le cose, per niente mi è dato sapere se voi siete degli eroi leggendari oppure dei comuni mortali molto coraggiosi. L'apoteosi fatta di voi da Rindella, da una parte, e la vostra esagerata modestia, dall'altra, mi mettono nella condizione di non poter decidere a chi veramente dare retta. Ma una cosa posso affermarla con certezza, ossia che voi mi ispirate parecchia fiducia, poiché vi trovo dei giovani assai ammodo e degni della più alta considerazione. Per questo, trovandovi dei gentiluomini affidabili, vi permetterò di frequentare la mia Rindella. Ma prima voi dovete promettermi che sempre la rispetterete e la difenderete da ogni concreta minaccia. La vostra parola basterà a rassicurarmi e a farmi dormire sonni tranquilli! Allora me lo promettere, miei educati giovanotti?»
Francide si affrettò a risponderle pure a nome dell'amico:
«Hai la nostra parola d'onore, bravissima donna, che la tua Rindella riceverà da noi la massima stima e non permetteremo a nessuno di mancarle di rispetto oppure di torcerle un solo capello! Chi oserà farlo si pentirà amaramente di averlo fatto, poiché subito dopo egli farà i conti con noi! Sei contenta adesso, signora Madissa?»
Dopo aver tranquillizzato colei che si prendeva cura di Rindella che la sua ragazza stava in buone mani e non poteva avere protettori migliori, Francide ed Astoride si congedarono dalle due donne.
Una volta preso commiato da loro, essi si sbrigarono a rincasare, poiché il sole stava già per terminare la sua passeggiata diurna. Perciò le buie tenebre presto sarebbero giunte a dargli il cambio, mettendosi a spadroneggiare ovunque. Allora i due giovani stabilirono di far galoppare più celermente i loro cavalli, siccome non volevano fare impensierire il loro amico Iveonte e il loro caro Lucebio. Anche se soltanto quest'ultimo si stava già preoccupando parecchio.