77-FRANCIDE SALVA RINDELLA DAI SOLDATI DEL RE COTULDO
Lucebio, rievocando la vita di Cloronte, piena di vicende travagliose, era venuto ad inculcare nell'animo di Iveonte, di Francide e di Astoride un astio indelebile verso il re Cotuldo. Ai loro occhi, il despota di Dorinda adesso risultava una vera canaglia, per cui andava soppresso al più presto e a qualunque costo. Già nei pochi giorni che seguirono, si andò maturando maggiormente nel loro animo un odio implacabile. Esso iniziava a renderli impazienti di far soccombere un tiranno che si mostrava infame ed inviso alla popolazione dorindana. Viceversa, nell'intimo dei tre giovani, erano venute a germinare sincere commiserazioni per gli infelici Dorindani e consistenti promesse di un crollo del malvagio usurpatore a breve termine, perché il popolo di Dorinda venisse liberato da lui. I tre giovani amici finalmente avevano compreso che il loro caro Babbomeo non aveva certamente alluso all'odiato Cotuldo, quando aveva dato del brav'uomo al re di Dorinda. Invece c'era stato il re Cloronte nel cuore e nella mente del saggio vegliardo, ignorando in quel momento che degli allogeni oppressori tiranneggiassero il popolo nella sua amata città. Per fortuna, adesso c'erano loro tre ad incaricarsi di restaurare le vecchie leggi, ossia quelle che erano note al loro Babbomeo, alle quali egli era stato molto attaccato, ritenendole sagge e giuste.
A loro parere, vendicando e liberando il giusto re Cloronte, essi avrebbero pure restituito agli abitanti di Dorinda la libertà e la serenità, delle quali venivano privati da molto tempo. Prima, però, bisognava far prendere coscienza ai Dorindani della vergognosa esistenza, a cui ingiustamente soggiacevano per colpa del turpe servaggio imposto loro dagli scellerati vincitori. Soltanto in quel modo, si sarebbe potuto sperare che essi abbracciassero la grande causa comune, cioè quella della loro indipendenza e della loro libertà. Ciò sarebbe avvenuto, dopo che le singole categorie di cittadini si fossero ricompattate e ribellate al despota. A tale proposito, i tre giovani volevano proprio vedere per cosa il popolo dorindano avrebbe optato, una volta messo davanti alla seguente alternativa: restare a vivere in eterna schiavitù oppure combattere per diventare di nuovo degli uomini liberi. Ma chi ha il coraggio di disubbidire alla propria coscienza, la quale non fa altro che ripetergli in ogni momento: "Lotta, affinché tu non soggiaccia ad altri!"? Secondo la logica comune, nessuno dovrebbe osare farlo, se ha un pizzico di buonsenso e un grammo di dignità. Infatti, la libertà è un bene molto prezioso, perché una persona voglia rinunciare ad essa! Può commettere un atto così folle esclusivamente una persona che non è sana di mente, poiché essa non ha una propria coscienza che possa renderla cosciente della sua spregevole schiavitù. Chi invece è dotato di una mente saggia, giammai si comporta in tal modo; al contrario, aspira a ridiventare presto la persona libera, la quale è nei disegni di madre natura.
Già da qualche mese Iveonte e i suoi due amici tenevano compagnia al savio Lucebio, allorquando nel campo dei ribelli si presentò una giornata splendidamente serena, la quale consegnò nelle loro mani un po' di attività. Ma essa, a parte gli insignificanti sforzi fisici e i piccoli fastidi che ci sarebbero stati per ciascuno dei tre, avrebbe arricchito sia Iveonte che Francide di un favoloso tesoro. Comunque, perfino la limpidezza del cielo venne a donare alla natura, che si presentava già di per sé smagliante, una bellezza attraente ed ammaliante. Perciò proveniva da ogni sua parte l'irresistibile invito a scorrazzare per quelle terre solatie, nelle quali si alternavano prati fioriti e campi abbondanti di messi dorate. Allora Francide, attratto da tanta vitalità proveniente dai campi circostanti, si propose di goderne a più non posso. Per questo, dopo aver promesso ai suoi amici e a Lucebio che non sarebbe rimasto a lungo lontano dal campo, intraprese l'allegra galoppata a briglia sciolta.
Ora il giovane se ne andava beato per la vasta campagna, mostrando un volto ilare, come non lo era mai stato. Intanto che incitava il suo cavallo a correre, non smetteva di accarezzargli la criniera. Egli avanzava per i campi allegro e spensierato, allorché si imbatté in un gruppo di sempliciotti contadini. Essi seguivano attonitamente i raggiri di un imbroglione, il quale si rivelava un provetto professionista di prestidigitazione e di inganni. Il forestiero, dopo averli attirati intorno a sé con belle chiacchiere e vari trucchi stupefacenti, in quel momento si stava sbrigando a spillare a tutti loro i pochi quattrini che possedevano. Quando Francide arrivò in quel luogo, il raggiratore, rivolgendosi alla massa dei creduloni campagnoli, che gli si erano accalcati intorno quasi stupiti, era intento a fare a tutti loro il seguente discorso:
"Su, brava gente, avvicinatevi ancora di più a me, che mi chiamo Ludio! Non restate così lontani dalla mia persona! Devo ammettere che voi oggi siete veramente fortunati, poiché avete il dio Matarum dalla vostra parte, visto che fra poco vi svelerò i più grandi misteri del mondo. Mi riferisco a quelli che neanche i più illustri sapienti fino ad oggi sono stati capaci di spiegarsi, pur ricorrendo ai loro cervelloni! Questa mattina apprenderete da chi vi parla quelle cose che nessuno conosce ancora. Vi dirò perché il calore tocca, ma evita di farsi toccare. Vi renderò consapevoli del perché il giorno, quando arriva la notte, scappa via e non si oppone ad essa. Vi paleserò infine perché i pesci preferiscono vivere nel mare, lontani da occhi indiscreti. Ebbene, sono felice di schiarirvi bene le idee in merito, rendendovi sommamente dotti. In tal modo, smetterete di essere gli ignorantoni che vi trovate ad essere oggigiorno!
Innanzitutto comincio col dirvi che il calore tocca e non si fa toccare, poiché ha paura di farsi raffreddare. Il poveretto, anche se non lo manifesta apertamente, è allergico al raffreddore! Riguardo poi al giorno, dovete sapere che esso non si oppone alla notte, soltanto per evitare di sporcarsi di nero. Così ci andiamo di mezzo noi tutti, che dobbiamo sorbirci per tante ore di seguito il nerume notturno! Parlandovi infine dei pesci, vi comunico subito che essi costituiscono una razza di animali davvero incredibile. I furbi prediligono la vita dentro l'acqua per la seguente ragione. Quando sono nelle sue profondità, tutti gli altri animali non possono assistere alle loro malefatte, le quali sono innumerevoli e perverse. Quasi nessuno sa che alcuni di loro hanno addirittura il fegato di andare a congiurare nello stomaco del loro stesso avversario, divorandoselo così dal didentro anziché dal difuori. Un fatto del genere vi sembrerà impossibile, però esso corrisponde alla verità!"
Quando infine il turlupinatore ebbe terminato di svelare la terna dei grandi misteri del mondo, molti dei presenti si affrettarono a fargli la loro offerta in denaro, mostrandosi paghi delle informazioni ricevute. Ma gliela fecero anche perché si vergognavano di averlo fatto parlare invano, senza corrispondergli neppure un soldino. Così, sebbene fossero stati gabbati da lui, essi lo stesso gli si mostrarono generosi. A quella loro generosità, anche Francide intervenne a fare il suo discorso, ma sfrondato da ogni prosopopea. Così, dopo essersi attirato l'attenzione degli attoniti contadini, ci tenne a far loro un discorso assai diverso.
"Miei cari creduloni, - cominciò a dire - i misteri di ardua concezione non sono affatto tre, come quell'imbroglione ha voluto farvi credere; ma vi assicuro che essi sono quattro. Adesso vi sarà svelato da me anche il quarto di loro, ossia quello che egli a bella posta vi ha tenuto celato. Naturalmente, il nostro amico aveva tutte le sue buone ragioni per tenervelo nascosto! Ebbene, il quesito di tale mistero può essere formulato in questo modo: Perché i lestofanti come lui girano per il mondo, spostandosi da una regione all'altra? È vero che lo trovate bello? Grazie per il vostro assenso! Ebbene, vi posso garantire che essi lo fanno unicamente per impossessarsi dei gruzzoli della povera gente come voi, dopo che essa è riuscita a racimolarli con il pesante lavoro dei campi. Il quale quasi sempre vi è costato molte sfacchinate lunghe una intera giornata. Mi rendo conto del fatto che anche voi, da autentici grulli, ci siete cascati, come se non aveste già chi vi deruba senza moderazione! E voi tutti sapete a chi mi riferisco! A comprova della mia affermazione, vi invito a scrutare il fondo delle vostre bisacce, le quali sono rimaste asciutte, ossia prive del poco denaro che voi avete devoluto in... Non so neppure come esprimervi il concetto giusto in maniera comprensibile. Comunque, di certo non lo avete dato in beneficenza! Perciò vi prego di scusarmi, se non mi viene l'accezione appropriata in questo momento. Non posso dire neppure che l'avete scialacquato in frivoli piaceri. Se così fosse avvenuto, almeno sarebbe stato meglio per voi! Insomma, la verità è che il vostro denaro è sparito dalle vostre saccocce e in questo istante sta facendo far festa a quello autentico sfaticato!
Ecco: ora ci sono, amici miei! Proprio adesso mi sovviene il termine esatto, che prima non mi veniva in mente! Voi avete barattato i vostri pochi soldini con le corbellerie, che quello scaltro individuo è riuscito a porvi in testa come delle verità sacrosante. Dunque, senza peli sulla lingua, oso rinfacciarvi che, siccome vi siete fatti raggirare da lui nel modo che sapete, vi siete dimostrati degli emeriti gonzi! A questo punto, volete dirmi cosa state aspettando? Che il vostro denaro lasci forse da solo la sua bisaccia stracolma e se ne ritorni nelle vostre che, per colpa sua, ora si ritrovano del tutto vuote? Sarebbe una idiozia, da parte vostra, se la pensaste in questo modo! Allora avanti e dategli addosso in massa, riprendendovi immediatamente il vostro ex denaro, visto che esso dovrà servire a sfamare le vostre famiglie numerose! Ma vi esorto a farlo alla svelta, senza sprecare altro tempo!"
All'incitamento del giovane, tutti i contadini creduloni, essendo finalmente rinsaviti, assalirono il loro imbroglione. Il quale, sfoggiando garbo ed astuzia a un tempo, li aveva prima abbindolati e poi defraudati di ogni loro moneta. Così ciascuno di loro entrò di nuovo in possesso del proprio denaro, il quale poco prima era parso irrimediabilmente perduto. Francide, invece, dopo avere aperto i lumi ai tanti grulli contadini con il discorso che abbiamo ascoltato, si allontanò senza indugio da quel posto. Mentre andava via di lì, egli se la rideva a squarciagola e dava a vedere di essersi divertito un mondo, per aver rotto le uova nel paniere all'astuto e disonesto Ludio.
Strada facendo, gli passò per la mente il feroce putiferio che egli e i suoi amici, alcuni giorni addietro, avevano scatenato nella Piazzetta degli Antenati. Ma essi vi erano stati obbligati, dovendo sottrarre i due uomini di Lucebio ai soldati di Cotuldo, i quali li avevano accerchiati per arrestarli. Il giovane non si oppose a tale trasporto della memoria, per cui evitò di cacciarlo dalla sua mente, facendo sovrapporre ad esso qualche altro pensiero oppure un altro ricordo. Al contrario, egli volle riviverlo intensamente, volendo configurarsi meglio le conseguenze che senza meno ne erano derivate nella reggia. Soprattutto gli interessavano quelle pertinenti al despota in persona, che ora immaginava tutto preso dalla rabbia e dal più terribile dei mali! A tale proposito, il valoroso giovane diceva tra sé: "Non oso pensare al premio, che avrà offerto a quei gendarmi superstiti che sono andati a riferirgli l'accaduto! Neppure oso immaginare in quale macereto avrà ridotto la Piazzetta degli Antenati! Perciò qualcosa mi suggerisce che vale la pena andare a fare una capatina in quel luogo. In questo modo, constaterò da vicino le ire furibonde del dispotico sovrano!" Facendo poi seguire l'azione al pensiero, il giovane si accinse a raggiungere al più presto il luogo dove in precedenza avevano combattuto e anche scatenato un vero finimondo.
Intanto che galoppava, il giovane manifestava un forte desiderio di pervenire presso le mura e di entrare in città. Quando poi giunse nei pressi delle porte di accesso, notò un insolito movimento di gente, il quale lasciava intendere che il suo monotono affaccendarsi fosse stato disturbato da qualche avvenimento accaduto di recente. Comunque, non diede troppo peso a ciò; ma considerò sciocco rinunciare a quanto prima si era proposto di fare. Allora, date alcune occhiate in giro, egli si riversò in città con disinvoltura. In seguito, ossia dopo circa cento metri di trotto, Francide fece imboccare al suo cavallo una strada secondaria, la quale, a suo parere, lo avrebbe condotto direttamente alla Piazzetta degli Antenati. Quel percorso gli risultava familiare, per averlo già fatto un mese prima, insieme con i suoi due amici e gli uomini di Lucebio. Esso, infatti, era lo stesso che era stato seguito da loro, mentre si affrettavano a raggiungere il campo del saggio uomo. Avanzando così molto cauto per quella strada, che adesso appariva quasi deserta, il giovane incontrò un ragazzo, il quale poteva aver superato da poco la decina d'anni. Vedendo che quello seguitava a divertirsi a giocare a lippa in modo spensierato, egli gli gridò:
«Ehi, ragazzo, riesci ad ascoltarmi oppure il tuo interesse per il gioco non ti permette di seguirmi nemmeno per un attimo? Se lo vuoi sapere, avrei bisogno di rivolgerti qualche domanda, per favore!»
«Parli a me, cavaliere?» egli si diede a rispondergli «In caso affermativo, puoi iniziare a farmi tutte le domande che vuoi, siccome in questo momento mi trovi bendisposto a farlo. L'importante è che dopo mi lascerai in pace e mi permetterai di continuare a giocare, come sto facendo adesso! Mi sono spiegato abbastanza oppure te lo devo ripetere?»
«Certo che parlo a te, ragazzo. Ma ora ascoltami bene! Vorrei che tu mi mettessi al corrente di una cosa soltanto. Perché mai nelle vicinanze delle porte c'era un insolito fermento di persone? Sai dirmi se poco prima lì fuori era accaduto qualcosa, che aveva attirato tanta gente?»
«Stai forse scherzando, cavaliere? Non è possibile che tu mi venga a fare una domanda simile! Essa si spiegherebbe, unicamente se tu me lo chiedessi per scherzo! Altrimenti devo dedurne che ti manca senz'altro una rotella nel cervello. Ma forse è il sale che ti manca nella zucca!»
«Ti sto parlando seriamente, ragazzo. Non sono affatto in vena di scherzare! E neppure di essere offeso da te! Mi hai inteso?»
«Ah, sì? Non ti pare allora che dovresti essere tu a dirlo a me e non io a te? Se non sbaglio, stai tu venendo da quelle parti, mentre io me ne sto in questo posto a giocare a lippa tutto solo.»
«Sei davvero un moccioso, ragazzo!» gli urlò Francide, un po' indispettito «Sarebbe stato meglio, se non ti avessi incontrato sulla mia strada e non mi fossi rivolto a te inutilmente!»
Nello stesso tempo, il giovane incitò il suo cavallo a riprendere la sua trottata, la quale prima era stata interrotta per alcuni istanti per la ragione che conosciamo. Ma un attimo dopo, mentre il giovane proseguiva per la sua strada, la voce stridula del ragazzo si fece sentire alle sue spalle. Questa volta egli gli gridava: "Cavaliere, fuori le mura forse passava il re Cotuldo con il suo sèguito, poiché quest'oggi era prevista una partita di caccia! Inoltre, ti avviso che più avanti un paio di centinaia di soldati sono intenti a dare alle fiamme le case circostanti alla Piazzetta degli Antenati. Perciò ti conviene fare subito dietrofront, se ti è cara la pelle! Uomo avvisato mezzo salvato, come mi dice sempre mio padre!"
Dopo le notizie avute dal ragazzo, Francide si diede ad esclamare fra sé e sé: "Quel minorenne pretenzioso deve essere proprio matto, se vuole darmi consigli di questo tipo! È la prima volta che mi capita di fare da spettatore e dovrei pure rinunciarci? Ci mancherebbe altro: avere anche la iettatura in questa occasioncella!" Poi si rivolse alla sua bestia e la aizzò: "Sbrìgati, mio cavalluccio: ti voglio alipede! La piazzetta non è lontana da qui e possiamo raggiungerla in breve tempo!" Così, in un apparire e scomparire di un lampo, Francide si ritrovò sul luogo di destinazione, essendo esso risultato più vicino di come immaginava. Ma non si sarebbe mai aspettato di trovarsi poi nel regno del caos.
Uno spettacolo terribilmente impressionante, nonché ripugnante, si dispiegava davanti agli occhi del giovane. In un primo momento, perciò, egli si figurò la sua abitazione della foresta, mentre veniva bruciata e distrutta dalle fiamme divoratrici. Dopo invece si rese conto che quanto si stava svolgendo davanti ai suoi occhi era qualcosa di così orripilante ed inumano, che riusciva a destare un senso di orrore anche nei più duri di cuore! Una macabra visione di quel genere non si era mai delineata davanti al suo sguardo, per cui si vedeva costretto a deplorarne la follia e la malvagità di tali azioni. Avvolta com'era dalle lingue di fuoco e dal fumo, la Piazzetta degli Antenati non si riconosceva più. Ogni sua abitazione veniva data alle fiamme, allo scopo di scovare, come se fossero delle vere bestie, quanti vi restavano annidati all'interno. Riguardo poi agli abitanti del quartiere, alcuni di loro, slanciandosi fuori d'istinto per non farsi sopraffare dalle fiamme divampanti, venivano assaliti, malmenati e fatti prigionieri dai violenti soldati di Cotuldo. Ma le persone, che erano nell'impossibilità di muoversi e di lasciare la propria dimora a causa della loro grave infermità, finivano per morire arse vive. Dappertutto continuavano ad esserci i rumorosi schiamazzi dei soldati, i crolli delle case, le grida forsennate delle donne, i gemiti dei bambini. Le quali cose costituivano un orrido coacervo di umani tormenti. Per la verità, c'era anche qualcuno che osava ribellarsi ai malfattori; però lo si scorgeva cadere a terra bocconi e ritrovarsi a crepare in una grande pozza di sangue. Solo ora, con l'abbondante fumo che si andava diradando in ogni angolo, si cominciava a sperare in qualche atto profittevole, da parte di chi intendeva sfuggire di soppiatto ai crudeli devastatori.
Francide era rimasto appartato e guardava di stucco l'esplicarsi di quelle azioni spedite, che si rivelavano distruttrici di cose e violentatrici di persone. La sorpresa era stata talmente sgradita, che aveva inibito in lui ogni atto di deliberazione a pro dei numerosi sofferenti. Ad ogni modo, egli non poteva restarsene lì in eterno con le braccia incrociate ad apprezzare quei fatti che facevano recere! Al contrario, doveva subito destarsi da tale inibizione ed accendersi di sentimenti e di forze capaci soltanto di opporsi a siffatte insolenze e a simili depravazioni, punendo quanti se ne rendevano i responsabili. L'indignato giovane stava appunto giungendo a quelle conclusioni, manifestando la volontà di intervenire a favore dei perseguitati, allorché un episodio molesto e disdicevole venne a svolgersi sotto i suoi occhi. Allora esso contribuì a trascinarvelo con maggiore veemenza e con furore scatenato. Infatti, all'improvviso egli si era visto passare davanti sei soldati, i quali si trascinavano dietro con la forza una fanciulla. Ella, pure nel suo abbattimento e nei suoi sforzi di protesta alle coercizioni dei suoi detentori, si presentava fisicamente attraente. Inoltre, il suo volto si mostrava di una dolcezza avvenente, poiché racchiudeva il candore e il fascino di una rosa purpurea, che stava sbocciando proprio in quel momento.
Quella scena stomachevole, la quale si rivelava anche raccapricciante e scioccante, per il giovane si era dimostrata un vero colpo di mazza alla nuca, per cui ne rimase stordito per alcuni istanti. Poco dopo, però, egli si ripigliò dall'intontimento psichico, che era venuto a soggiogarlo per qualche momento. Così, inviando contro di loro delle occhiate sdegnose, contrattaccò con furia i sei infami rapitori della ragazza. Prima, però, preferì rampognarli nella seguente maniera:
«Ah, sì? È questo il vostro passatempo preferito? Vi piace trascorrere il vostro tempo a compiere gesta di questo tipo e fare sfoggio della vostra valentia in simili tenzoni? Se così stanno le cose, oso affermare che non siete altro che dei codardi spaventapasseri! Provate anche con me, se avete il coraggio, a mostrarvi tanto valenti e sicuri di voi, come state facendo con quella ragazza inerme e spaventata!»
Ripresi così ingiuriosamente dal giovane, solo quattro dei sei soldati di Cotuldo che si tenevano prigioniera la fanciulla sfoderarono le loro spade, palesando delle intenzioni punitive. Poi iniziarono ad avanzare verso di lui, procedendo con passi scelti. Agendo in quel modo, essi cercavano di assumere una posizione di accerchiamento. Francide, che non amava quella loro lentezza, in un attimo si lanciò contro di loro con più foga, accendendo la miccia dello scontro. Venuto alle prese con i quattro soldati di Cotuldo, il giovane eseguì un'ampia mulinata di spada, sgozzando quasi nel medesimo attimo i due che si trovavano nella posizione più avanzata rispetto a lui. Poco dopo, invece, disarmati pure gli altri due soldati intervenuti con un po' di ritardo, li privò dei sensi, sbattendo la testa dell'uno contro quella dell'altro. A quell'evento, la coppia di soldati che erano intenti a trattenere la ragazza per non lasciarsela scappare, visti perire i loro quattro commilitoni, senza perdere tempo si infuriarono e stabilirono di entrare anch'essi in azione. Perciò, dopo aver liberato la prigioniera dalla loro forte stretta, si avventarono contro il giovane. Essi erano sicuri di poter far meglio dei compagni uccisi, i quali in quel momento giacevano a terra senza vita. A tale loro reazione, Francide deliberò di destinare ad entrambi lo stesso trattamento riservato agli altri quattro soldati che li avevano preceduti, accogliendoli con la medesima cortesia. Così l'uno ebbe il cranio sfracellato contro il muro di un edificio; mentre l'altro, dopo avere avute mozzate tutte e due le orecchie, ricevette un grosso buco nella pancia. Allora la profonda e grave ferita gli provocò la morte immediata e la fuoruscita dei visceri.
Di lì a poco, l'intrepido giovane, sollevata la ragazza sulle sue granitiche braccia, l'adagiò sul dorso del suo cavallo, senza incontrare la minima resistenza da parte di lei. Poi, già si stava accingendo a saltare pure lui in groppa alla bestia per cercare di prendere il largo con la bella fanciulla, allorquando fu sorpreso da un plotone di venti soldati elmati. Essi, senza indugio alcuno, prima di ogni cosa gli sbarrarono il passaggio; dopo invece gli intimarono di arrendersi. In quella circostanza, il giovane aveva alle sue spalle un immenso forno di fiamme bluastre e rossastre, le quali si dimenavano impazzite in mezzo ad un denso fumo grigioscuro. Inoltre, egli vi scorgeva un accorrere di qua e di là di armati incendiari e predatori, in cerca di gente da martoriare e da far prigioniera. Non mancava neppure una quantità esorbitante di affanni e di dolori indicibili, intanto che un afrore nauseabondo proveniva dai corpi di persone e di bestie che erano stati costretti a bruciare vivi.
Naturalmente Francide, pur di portare aiuto a qualche infelice, senza esitazione si sarebbe gettato impavidamente in tale schianto di cose. Il quale era rappresentato da un insieme eterogeneo di distruzioni e di dolori, i quali si andavano disperdendo a mano a mano nel divampante incendio. Ma adesso c'era con lui anche la ragazza, a cui urgeva il suo soccorso immediato. Per questo era pronto a combattere anche contro la morte, pur di non vederla cadere nelle losche mani di quel ferrume umano, che gli stava di fronte minaccioso, sbarrando ad entrambi il passo. Infine il discepolo del defunto Babbomeo disse tra sé: "Proprio a me, che sono amico fraterno di Iveonte, essi vengono a parlare di resa? Mi credono forse un imbelle? Costoro allora abbiano pure tale loro convinzione e manifestino anche tale loro assurda pretesa! Ben presto quei maledetti si accorgeranno a loro spese con chi hanno a che fare!" Così poco dopo, tenendo fede ai suoi propositi di battagliare con i venti soldati, egli si mostrò sordo alle lagnanze della giovane, la quale gli suggeriva di scappare e di non curarsi di lei. Ella assolutamente non voleva avere sulla coscienza il rimorso di essere stata la causa della morte di un giovane, il quale già le era apparso strenuamente coraggioso! Da parte sua, Francide non ci pensava neppure di dare retta alla smarrita ragazza, che seguitava ad implorarlo senza smettere, perché egli l'abbandonasse al suo destino e se ne andasse per i fatti suoi, finché fosse in tempo. Anzi, alla fine il giovane le rispose:
«Sappi, mia stupenda fanciulla, che preferisco mettere a repentaglio la mia vita, essendo disposto a rimettercela per te, piuttosto che permettere che tu cada nelle sporche mani di quelle sordide canaglie. Adesso ti sono stato abbastanza chiaro!»
Nel frattempo un fumo cinerino, diradandosi ed espandendosi nella loro direzione, avanzava con modesta alacrità alle spalle del giovane. Allora il suo sopraggiungere stuzzicò il suo ingegno. A parer suo, se esso li avesse raggiunti prima dei soldati di Cotuldo, egli se ne sarebbe servito a modo suo e ne avrebbe tratto un certo giovamento. Perciò bisognava trovare soltanto il modo perché ciò accadesse, ricorrendo magari a qualche espediente che glielo consentisse facilmente. Decise allora di ricorrere al temporeggiamento, allo scopo di trattenere i soldati il più possibile dalla loro aggressione, ossia fino a quando il fumo non fosse arrivato a pochi passi da loro due e non avesse invaso ogni angolo di quel tratto di strada. Per riuscire senza difficoltà in tale suo intento, Francide si improvvisò un ciarlatano timoroso. Assumendo un atteggiamento pavido, egli si mise a raccontare ai suoi avversari che la bella fanciulla era riuscita ad addormentare i loro commilitoni, solamente strizzando l'occhio a tutti e sei. Subito dopo li aveva uccisi, toccandoli appena con le sue esili dita. Per la verità, nonostante fossero state ritenute bazzecole dai venti soldati di Cotuldo, le parole del giovane avevano frenato la loro aggressione ed avevano permesso al fumo di portarsi ad una distanza minima dal gruppo. In quel preciso momento, esso si trovava già alle loro calcagna e si preparava ad avvolgerli entrambi nella sua impenetrabile massa nebulosa.
Raggiunto il primo obiettivo, l'astuto giovane si preparò ad azionare la seconda fase del suo disegno, la quale consisteva nel costringere i suoi imperterriti avversari ad accettare il combattimento in mezzo al fumo. Egli riuscì a meraviglia a perseguire anche il secondo obiettivo, poiché si mise a saettarli con le sue acute frecce, le quali di sicuro non recavano affatto consolazione a quelli che avevano la sfortuna di assaggiarle. Una volta resi inabili al combattimento due dei soldati che avevano subito delle ferite assai profonde ad una coscia, Francide provocò l'intervento in massa da parte dei loro compagni presenti. Essi, naturalmente, si avventarono contro di lui come lupi rapaci; ma l'ingegnoso giovane, desiderando vederli più decisi nell'aggressione, non si accontentava di punzecchiarli soltanto fisicamente. Egli, insistendo nel suo intento, ne andava pizzicando pure gli spiriti, svillaneggiandoli assai spregiativamente ed invitandoli ad intervenire contro di lui con una grande rabbia e con maggiore determinazione. Quando infine si persuase che ci sarebbe stato un attacco imminente da parte dei suoi nemici, Francide badò all'ottima riuscita anche dell'ultima fase del suo piano. Allora, con un ordine tempestivo, fece scendere da cavallo la ragazza e la invitò a distendersi per terra lungo uno dei muri laterali, il quale era già divenuto preda del fumo. Mentre l'aiutava a sistemarsi alla sua base, le raccomandò di respirare con il naso, anziché con la bocca. La nuova sistemazione della sua graziosa protetta senza alcun dubbio aveva uno scopo preciso, ossia quello che tra breve conosceremo.
Un attimo dopo, come da lui previsto, Francide fu assalito simultaneamente dallo sdegno dei soldati e dal denso fumo. Ma egli cortesemente presentò l'uno all'altro, scegliendo il secondo come suo protettore per sfuggire alla prima. Ad essere più chiari, egli non intendeva affrontare apertamente i suoi nemici, visto che c'era un altro modo per combatterli. A parer suo, ciò che egli aveva ideato si presentava più semplice, più efficace e più sbrigativo. Inoltre, esso risultava il meno compromettente per la sorte della ragazza, alla quale non voleva far rischiare la vita o un altro pericolo. In merito, probabilmente, non mancherà chi malignerà sulla iniziativa del giovane, giudicandola un atto di viltà; ma la sua sarà una considerazione fasulla e priva di giudizio assennato. A tale riguardo, bisogna sapere che altre erano le vedute del giovane, come pure altri erano i suoi ideali. Forse lo si comprenderà meglio, quando si verrà a conoscenza che in lui, come in Iveonte, sempre vive e indimenticabili risultavano le parole, che erano state pronunciate in fin di vita dal loro carissimo Babbomeo, le quali erano state le seguenti: "Se rimaneste qui, diverreste dei bruti selvaggi, identici a quelli che avete visti poco fa; mi riferisco a quei brutti musilunghi che mi hanno assalito! Imparereste ad uccidere selvaggiamente; mentre saper fuggire l'uccidere è cosa altissimamente nobile!" Egli, infatti, pur avendone la possibilità, non ucciderà nessuno degli avversari; ma risparmiandoli, li renderà soltanto mutilati. In quel modo, si sarebbe potuto allontanare tranquillamente con la ragazza. Per questa ragione, se qualcuno ha già giudicato e condannato Francide, faccia ammenda del proprio errore. Inoltre, non si azzardi più a diffamare un giovane, che ha già dato prova di un valore e di un coraggio fuori del comune, non essendo essi rinvenibili in altri uomini, pur avendo dimestichezza nelle armi.
Dunque, come già si è accennato un attimo fa, non fu Francide a cozzare contro la numerosa milizia del re Cotuldo, ma lasciò la massa di fumo prendere il suo posto. Nel frattempo egli, strisciandosela ventre a terra e con la spada in pugno, stancheggiava i suoi nemici con la sua nuova arte bellica. Gli sprovveduti soldati, invece, dimostrandosi degli autentici pivelli, si erano gettati alla rinfusa nel cieco lembo di fumo, sferrando in ogni direzione i loro colpi ostinati e procurandosi spesso anche un mutuo danneggiamento. Il giovane, invece, era attento a privare le loro gambe di ogni immunità e di ogni stabilità, immobilizzando sul posto i suoi nemici. Così, dando e ridando nella massa di fumo dei colpi bene assestati e mutilanti, i quali di continuo erano motivo di grida e di esasperazione tra i soldati, alla fine Francide cercò invano di procurare alla sua spada altri corpi da rendere invalidi. Infatti, non risultò più facile trovarne altri in movimento in quello strato che si presentava del tutto fumoso. A quel punto, il giovane si rese conto che tutti i nemici avevano ricevuto la loro parte di punizione e che occorreva perciò affrettarsi ad abbandonare quel luogo. Altrimenti, il piagnisteo dei feriti sarebbe giunto alle orecchie degli altri soldati e ve li avrebbe fatti accorrere immediatamente.
In linea con il suo ragionamento, il giovane invitò la ragazza a rialzarsi in fretta da terra e la fece salire di nuovo in groppa alla sua bestia. Un istante dopo, si allontanarono insieme da quel posto di flagello e di orrore. Essi se lo lasciarono alle spalle, mentre imperversava ancora sulla povera gente che risiedeva nella Piazzetta degli Antenati. Solo quando si furono allontanati dalla città e ritennero di essere al sicuro da ogni pericolo, la giovane coppia si fermò a riposare sotto la fresca ombra di un albero secolare. La loro intenzione era quella di sostarvi alcuni minuti, al fine di trascorrervi dei piacevoli ed indimenticabili momenti. Difatti era ciò che consigliavano i loro animi, i quali già si sentivano prigionieri della cocente passione, che era iniziata a nascere fra loro due.