7°-LO STATO MAGGIORE DELLE DIVINITÀ BENEFICHE

Nel presente della nostra storia, lo Stato Maggiore delle divinità positive o benefiche si presentava costituito in primo luogo dalle due eccelse divinità, ossia il dio Kron e il dio Locus, i quali erano forniti di iperpoteri primari. Essi ne rappresentavano i capi supremi, per cui nessun altro dio poteva considerarsi superiore all'uno e all'altro. I loro poteri straordinari erano tali, da riuscire ad influenzare l'intero Kosmos, siccome entrambi potevano intervenire attivamente in ogni sua parte, pur senza muoversi dal Regno della Luce. Sebbene Splendor avesse assegnato al dio Kron il dominio del tempo e al dio Locus quello dello spazio, il loro intervento in Kosmos non poteva avvenire disgiuntamente. Quando essi v'intervenivano, fra le loro entità si attuava una sorta di simbiosi, definita "immedesimazione transluxaniana", la quale si attivava all'esterno di Luxan. In tale circostanza, le due divinità vedevano con gli stessi occhi, pensavano con la stessa mente e operavano con il medesimo intento. Così facendo, la loro essenza bivalente veniva a disporre di una potenza energetica imparagonabile, che risultava seconda soltanto all'energia di Splendor.

Oltre alle due eccelse divinità, il divino gruppo in questione annoverava le seguenti quattro divinità maggiori: Neop, il dio dell'ingegno; Kavor, il dio dell'astuzia; Ponkar, il dio della tenacia; Vaulk, il dio del coraggio. Tra i facenti parte dello Stato Maggiore, essi solamente si sarebbero trasferiti in Kosmos. La loro presenza nella realtà cosmica sarebbe stata di appoggio alle divinità benefiche maggiori e minori che stavano per trasferirsi nel Regno della Materia e del Tempo, nonché a quelle che sarebbero derivate da loro. Essi, elencati in ordine di nascita, costituivano l'intera prole della dea Lux, essendo nati dal suo primo matrimonio con Aptus, il dio della musica, dal quale si era separata per seri motivi.

Avendone da poco conosciuto la maternità e la paternità, adesso è doveroso apprendere qualcosa di più sui quattro gerark dell'Impero del Tetraedro. Per questo è opportuno avere di ciascuno di loro quelle informazioni che ci aiuteranno a conoscerli in modo soddisfacente. Nel farlo, ci atterremo alla loro nascita, ossia presentandoli secondo la loro età, partendo dal primogenito e terminando con l’ultimogenito.

Neop era un dio intelligente, profondo, spigliato ed avveduto, per cui nessuno mai lo aveva colto in fallo. Egli si presentava brillante nella conversazione e spesso riusciva a stupire le altre divinità per le sue trovate ingegnose. Così pure non gli mancavano l'acume e la perspicacia, essendo esse le sue doti migliori. A tale riguardo, si diceva che egli fosse in grado di trovare la soluzione a qualsiasi problema, perciò non esistevano per lui argomenti dalle problematiche senza sbocco. La qual cosa aveva incuriosito a talmente il dio Kron, da spingerlo ad invitare il dio dell'ingegno nella propria dimora, con l'intento di verificare di persona le qualità che gli si attribuivano da tutte le altre divinità residenti in Luxan.

Quando il figlio maggiore della dea Lux si era presentato al suo cospetto, senza apparire per niente impacciato, l’eccelso dio se n'era stupito moltissimo. Poco dopo, avendolo studiato da cima a fondo in silenzio, gli aveva posto il seguente quesito:

«Mi dici, Neop, come dovrei comportarmi, se un giorno il mio gemello Locus, in preda alla follia, pretendesse di governare Kosmos come suo unico dominatore assoluto? Naturalmente, si tratta soltanto di una mia ipotesi assurda, poiché giammai potrebbe accadere un fatto del genere!»

«Secondo il mio parere, eccelso Kron, ti converrebbe assecondarlo, senza mostrarti minimamente contrariato!» Era stata l'immediata risposta dell'interrogato dio, facendo in quel modo meravigliare ancora una volta il dio del tempo.

«Perché mai, Neop, dovrei assumere l’atteggiamento da te proposto nei confronti di mio fratello, senza oppormi in nessun modo alla sua insana pretesa?» Gli aveva chiesto l'illustre dio Kron, senza riuscire a comprendere dove il suo interlocutore intendesse arrivare.

«Per la semplice ragione che i matti vanno assecondati in ogni loro bislacca decisione, eminente dominatore dell’essenza temporale. Ritengo che non sia giusto contraddirli, dal momento che dal loro operato immaginario non può provenirci alcun danno effettivo! Non è forse vero quanto ti ho dichiarato, eccelso Kron?»

«Figlio della mia amica Lux, come osi dare irrispettosamente del matto a mio fratello Locus, nonostante egli sia una divinità eccelsa? Da te non me lo sarei mai aspettato, se lo vuoi sapere! Devo farti presente che mi hai molto deluso con la tua risposta irriverente nei riguardi del mio germano, il quale non ha alcuna colpa della mia insana ipotesi!»

«Eccelso Kron, non mi permetterei mai di offendere il gemello tuo pari! Come sai, sei stato tu, anche se solo per assurdo, a presentarmelo come un dio bizzarro. Secondo te, potrebbe egli essere considerato normale, se si rivolgesse a te con una pretesa del genere? Certo che no! Perciò la mia risposta è conseguita dalla tua supposizione, che per un momento ha presentato l'eccelso Locus come un autentico matto. A ogni modo, diciamocelo francamente, il tuo gemello non si dimostrerebbe forse un mentecatto, se decidesse di farti un siffatto torto, pur essendo a conoscenza che ciò non gli sarebbe mai possibile? Vedo che adesso neppure tu hai dei dubbi in merito, dopo che ti ho espresso meglio la mia idea! Allora, ad evitare fra di noi una questione senza senso, ritengo opportuno non andare oltre e rinunciare al suo approfondimento!»

«Hai perfettamente ragione, Neop! Inoltre, tu non hai mancato di rispetto a mio fratello. Invece sono stato io a mostrarmi irriguardoso verso di lui, quando ti ho formulato la mia dissennata ipotesi. Senza dubbio, devo riconoscere che ho fatto apparire il mio gemello un tipo cervellotico con la testa non completamente a posto, quando gli ho fatto avanzare, anche se per ipotesi, una simile assurda pretesa!»

«Adesso che ci ho riflettuto bene, eccelso Kron, però…» Aveva continuato a dire il dio dell'ingegno, mostrandosi alquanto serio. Ma prima ancora di terminare l'intera frase, egli si era interrotto all’improvviso, quasi ad indicare che ci stava appunto pensando sopra, avendo sviscerato l'argomento sotto una diversa luce.

«Però… cosa, sagace Neop? Ti prego di manifestarmi il tuo pensiero per intero, senza nascondermi nulla a tale proposito. Perciò t'invito a riferirmi tutto quanto ti sta frullando per il capo!» Il dio del tempo lo aveva esortato a parlargli esplicitamente.

«Immaginiamo, esimio Kron, che in avvenire quanto hai supposto dovesse accadere sul serio e che tu venissi a chiedermi un consiglio pertinente all'argomento. In quel caso, dovrei darti il mio parere sulla faccenda: non è forse vero? Allora non potrei rifiutarmi, dal momento che vorresti essere soddisfatto!»

«Sì sì, Neop: è ciò che prima intendevo sapere da te! Ma, a causa di altri sopravvenuti motivi, non ho ricevuto alcuna tua risposta alla mia ipotesi! In una situazione del genere, quindi, cosa mi consiglieresti di fare? Esigo che tu mi risponda in un batter di ciglio, poiché sono curioso di apprendere quale proposta adesso mi giungerà da te!»

«Fra tutte le divinità dell’Empireo, non sei forse tu l’unico dominatore del tempo, magnificentissimo Kron? Ci mancherebbe altro che non fosse così, visto che lo ha decretato lo stesso creatore di tutte le divinità!»

«Certo che lo sono, Neop! Nessun altro potrebbe esserlo, fatta eccezione dell’onnipotente Splendor! Ma questo particolare che mi riguarda cosa c'entra con il nostro discorso? Mi dici dove vorresti arrivare con la tua domanda, che continuo a non comprendere?»

«Mi spiego subito, sublime Kron. Fino a quando l'illustre Locus non si rendesse conto del proprio errore e non se ne ravvedesse, dovresti fingere di cedere alla sua pretesa, senza darglielo ad intendere. Nello stesso tempo, creeresti unicamente per lui una copia temporale dell'Empireo, proiettata nel futuro ed avulsa dalla realtà presente. Trascorrendovi la sua esistenza posticcia, il tuo gemello continuerebbe ad avere l'illusione di essere l'unico dominatore di Kosmos. Come vedi, egli non si accorgerebbe di non esserlo di fatto e di stare a vivere invece un’esperienza illusoria e inesistente!»

«Niente male sarebbe questa tua soluzione, Neop! Ci sarebbe solo da domandarsi se il mio espediente funzionerebbe con lui, qualora cercassi di metterlo in pratica nei confronti di un'altra divinità eccelsa, qual è appunto il mio gemello Locus! Comunque, devo ammettere che la fama del tuo ingegno è ben meritata. Perciò, da questo momento, ti nomino dio dell'ingegno e mai nessuna divinità potrà vantarsi di essere più intelligente di te. Con le debite eccezioni, s'intende, come puoi immaginare senza sforzo alcuno!»

Kavor non era da meno del fratello, che lo aveva preceduto nella nascita. Se non era alla sua altezza nell'ingegno, senza meno doveva essere considerato un vero portento in scaltrezza. Non si poteva neppure affermare sul suo conto che era un cinico e uno spregiudicato, in quanto il suo comportamento si dimostrava schietto e leale con le altre divinità dell'Empireo. Per la quale ragione, in Luxan erano in molte quelle che gli volevano bene. Le poche, che gli erano avverse, erano spinte esclusivamente dall'invidia ad assumere verso di lui un simile atteggiamento. Tra le divinità che gli si erano sempre dimostrate ostili, senza un motivo plausibile, c'erano stati Elmit, il dio del silenzio, e Vend, il dio del sospetto. L'uno e l'altro, in verità, venivano considerati da tutte le divinità le peggiori malelingue dell'Empireo. Essi, infatti, non facevano altro che sparlare di lui di continuo, palesando un forte rancore nei suoi riguardi, senza alcuna causa apparente. Perciò, a un certo momento, non potendone più, il dio Kavor aveva deciso di sbarazzarsi di entrambi, ponendo fine alle loro abbondanti insinuazioni e calunnie. Allora cerchiamo di renderci conto com'egli li aveva fatti sparire dall'Empireo, mettendo a tacere per sempre i loro beceri pettegolezzi.

A quel tempo, il dio Vend aveva una sorella, che era Drise, la dea della felicità, sulla quale nutriva una caterva di sospetti. Anche se non aveva mai avuto nessuna prova a carico di lei, veniva tormentato senza sosta dal solito assillo. Egli era convinto che la germana aveva avuto almeno un rapporto intimo con ciascun dio dell'Empireo, fatta eccezione del proprio amico Elmit. Lo confermava il fatto che la sorella si mostrava sempre gaia e spensierata, il quale stato d'animo, a suo parere, le poteva derivare soltanto dall'assaporare quotidianamente i piaceri del sesso. Per questo egli avrebbe donato chissà che cosa a chi gli avesse permesso di sorprendere la frivola congiunta in uno dei suoi abboccamenti amorosi con uno dei suoi numerosi amanti! Ma neppure l'inseparabile amico era riuscito a fornirgli quel genere di aiuto; perciò non aveva potuto dargli la soddisfazione di avere le prove di quanto sospettava sulla stretta parente da un’intera esistenza! Comunque, il dio Kavor stava in cima alla sua lista degli amanti sospetti della sorella. Conviene spiegarne il motivo.

Un giorno la dea Drise, in presenza del fratello, riferendosi al secondogenito della dea Lux, non aveva esitato ad esprimersi con le seguenti tre frasi: “Che dio affascinante è quel Kavor! Ne sono così attratta, fratello, che per lui sarei disposta a fare grandi follie! Per favore, non farti prendere dalla solita stupida gelosia, se non vuoi farmi adirare!”

Consapevole di quel grave sospetto del dio Vend sulla sorella, il dio Kavor aveva inteso fare di esso la sua arma, al fine di far cadere i suoi due sparlatori in una trappola esiziale. Ma se voleva che la sua insidia funzionasse, il divino Kavor aveva dovuto chiedere anche la collaborazione di Gros, che era il dio dell'onore, e di Orep, che era il dio della poesia. Comunque, si era astenuto dal palesare a loro due ciò che aveva in animo di attuare contro i suoi denigratori recidivi. Egli si era soltanto limitato a riferire ai suoi due amici che si trattava di un banale scherzo di nessuna importanza. Esso, secondo lui, lo avrebbe divertito moltissimo e avrebbe punito in modo confacente i suoi due malignatori.

Giunto il giorno della resa dei conti per le due divinità sue avversarie, il divino Kavor aveva affidato al dio Orep l'incarico di invitare la dea Drise a una passeggiata galante nell'Intersereno. Nel medesimo tempo, aveva inviato il dio Gros dal dio Elmit per fargli un'importante confidenza e metterlo al corrente della tresca che l'amico aveva con la dea della felicità. Inoltre, il dio dell'onore avrebbe dovuto riferirgli che in quello stesso giorno, precisamente dopo mezzodì, era previsto un altro suo appuntamento con la frivola dea in un posto tenuto segreto. In merito all'incontro, il dio Gros avrebbe dovuto fargli presente che i due amanti avevano preso per quel giorno il seguente accordo: mentre Drise vi si sarebbe condotta per prima, per non dare nell'occhio; il suo partner, ossia il dio dell'astuzia, poiché era impegnato per l'intera mattinata, l'avrebbe raggiunta poco dopo mezzogiorno, salvo altri contrattempi imprevisti.

Ascoltata la confidenza che gli aveva fatta il dio dell'onore, com'era da prevedersi, il dio Elmit era subito volato dall'amico e lo aveva messo al corrente di quanto aveva appreso per interposta divinità. Il dio Vend, a sua volta, non appena aveva ricevuto le insperate notizie dall'amico dio del silenzio, facendosi prendere da una gioia euforica, all'istante si era dato ad esclamargli:

«Finalmente, Elmit, da oggi i miei sospetti su mia sorella cesseranno di esserci, poiché essi diverranno delle reali constatazioni! Per me la cosa più bella sarà quella di sorprenderla in un tête-à-tête con l'essere che mi risulta il più antipatico dell’Empireo! Non sei contento del fatto che presto raggiungerò l'obiettivo primario della mia esistenza, ossia quello che da moltissimo tempo cercavo di conseguire?»

«È proprio necessario, Vend, che tu li sorprenda insieme, intanto che consumano il loro rapporto intimo?» aveva provato a farlo ragionare l'amico «Al posto tuo, se lo vuoi sapere, mi accontenterei soltanto della soddisfazione di aver scoperto che i miei annosi sospetti non erano infondati! Perciò le affermazioni del dio dell'onore, avendoti dimostrato che non ti sbagliavi sul conto di tua sorella, dovrebbero già bastarti per sentirti oltremodo appagato. Ti confesso che a me esse hanno arrecato soltanto del male, poiché nel mio intimo ho sempre amato tua sorella Drise. Invece tu, anziché mostrarti amareggiato nell'apprendere ciò che sono venuto a rivelarti, stranamente ti sei messo a sguazzare nella felicità. Ma perché il tuo unico pensiero è quello di volerli sorprendere in un loro petting? Non ti capisco proprio, se lo vuoi sapere!»

«Se sono fatto così, Elmit, non posso farci niente. Tu non immagini neppure quanto adesso io stia aspettando il momento di cogliere insieme mia sorella e Kavor in uno dei loro amplessi focosi! Con il mio intervento repentino, sono certo che riuscirò a spegnere nei due amanti ogni bramosia e ogni passione, inducendoli a sentirsi due esseri meschini! Ecco ciò che per me conta di più nel mio animo, amico mio!»

«Visto che non riesci a pensarla come me, Vend, non so che farci. A ogni modo, ti prometto che, pur continuando a vederla in maniera diversa dal mio in questa tua faccenda privata, ugualmente potrai fare affidamento su di me. Sappi che sono l’unico tuo compagno disinteressato, il quale non ti mostra alcun rancore! Non scordartelo!»

A conclusione del loro colloquio, i divini Vend ed Elmit avevano stabilito di tenere sotto controllo Drise, che andava pedinata fino alla località dove avrebbe incontrato il dio Kavor. Ma non avendola trovata in nessun posto dell'Empireo, le due divinità amiche avevano pensato di spiare il dio dell'astuzia, andando ad attenderlo vicino casa sua. Esse erano intenzionate a tallonarlo fino al luogo del suo convegno amoroso con Drise, senza che egli se ne accorgesse. Da parte sua, il dio Kavor si era fatto rintracciare senza alcuna difficoltà dai due dèi suoi nemici, poiché li stava aspettando fuori della propria abitazione. In quel luogo, facendo finta di non avvedersi della loro presenza nei paraggi, egli aveva seguitato a mostrare quell’atteggiamento, anche quando si era allontanato da casa sua e si era dato ad una corsa precipitosa. Il secondogenito di Lux era stato attento perché la velocità non gli facesse disperdere i suoi inseguitori, i quali continuavano a restare all'oscuro del fatto che chi stavano inseguendo li stava usando con scaltrezza. Suo obiettivo era quello di vederli sparire per sempre da Luxan e di toglierseli finalmente dai piedi.

Il dio Kavor, intanto che le due sprovvedute divinità si tenevano alle sue calcagna, volava dritto verso l'Abisso dell'Oblio. A un certo punto, era ricorso ad una specie di artificio, tramite il quale si era ritrovato alle spalle delle due divinità inseguitrici. Esse non se n'erano accorte per niente, per cui avevano seguitato a vedere davanti a loro l'astuto dio, senza minimamente sospettare che si trattasse del suo mero riflesso in rapido movimento. Oltre ad ingannare i due divini amici con l'espediente del riflesso, Kavor si era dato a confondere la loro mente. Così facendo, egli li aveva costretti a vivere una realtà distorta delle loro azioni e ad operare in uno spazio travisato. Quest’ultimo, in effetti, non poteva essere che irreale, non essendo quello che i suoi inseguitori credevano che fosse. Quando infine il dio dell'astuzia era stato certo che entrambi erano in sua balia e che vedevano esclusivamente ciò che egli intendeva fargli scorgere, aveva spinto il suo riflesso ad imboccare l'Abisso dell'Oblio. In pari tempo, mascherando tale luogo ad hoc, lo aveva fatto apparire a Vend e ad Elmit una comune voragine. Per cui l’uno e l’altro non avevano esitato ad introdursi in essa, anche se il loro comportamento si era dimostrato un fatto anormale, come lo avrebbe considerato qualunque altra divinità luxaniana.

Strano a credersi, proprio quando egli avrebbe dovuto dubitare, il dio del sospetto aveva evitato di farlo! In realtà, era avvenuto che, mentre il riflesso del dio Kavor era scomparso un attimo prima d'introdursi nella voragine che conduceva ad Inesist, le due divinità giocate vi si erano lanciate senza alcuna esitazione, rimanendone intrappolate per l'eternità. Così facendo, grazie al suo ingegnoso stratagemma, il dio dell'astuzia era riuscito nel suo intento con grande soddisfazione.

Nei giorni che erano seguiti, la dea Drise invano aveva cercato dappertutto suo fratello Vend e il suo amico Elmit, poiché non era riuscita a trovarli in nessun posto del Regno della Luce. Anche le altre divinità dell'Empireo si erano meravigliate dell’improvvisa scomparsa dei due dèi. A ogni modo, per loro essa non costituiva una gran perdita in Luxan.

Alla fine la dea della felicità aveva voluto rivolgersi all'eccelso Kron, visto che egli era il solo che avrebbe potuto rintracciarli. Il dio del tempo, da parte sua, aveva voluto accontentarla, eseguendo la loro ricerca. Così era venuto a conoscenza del tranello che il dio Kavor aveva macchinato contro i due amici. A suo avviso, il dio dell'astuzia glielo aveva teso a buon diritto, per cui non aveva esitato a giustificarlo. Comunque, il dio Kron si era limitato a riferire alla dea che il fratello e il suo amico avevano voluto gettarsi di propria spontanea volontà nell'Abisso dell'Oblio, evitando di spiegarle l’intera vicenda. Soprattutto le aveva tenuto nascosto il marchingegno che il secondogenito dell'amica Lux aveva operato a loro danno, condannandoli con esso alla perpetua inesistenza di Inesist.


Parliamo adesso di Ponkar, il dio della tenacia, il quale, per alcuni versi, era anche da considerarsi una divinità interessante. Intanto cominciamo ad affermare che egli era dotato di una personalità forte. Essa gli proveniva dal suo carattere adamantino e tenace, dal suo portamento fiero e serioso, nonché dalla sua condotta rigorosa ed irreprensibile. In particolare, egli era schivo di onori e rifuggiva dallo spirito di protagonismo; invece emulava volentieri quelli che si mostravano più in gamba di lui. Insomma, era il tipico dio che non accettava compromessi e neppure si mostrava incline a desistere di fronte alle difficoltà dell’esistenza. La qual cosa ogni volta gli faceva portare a termine l'impresa che aveva intrapresa per qualche scopo. Com'era da aspettarselo, molte delle sue valide doti, tra cui la sua palese intransigenza, stavano sul gozzo ad alcune divinità. Esse, non vedendo di buon occhio il terzogenito della dea Lux, finivano per nutrire un'antipatia profonda verso di lui; ma egli, intanto che se ne infischiava, era solito ignorarle.

Tra le divinità, che non lo vedevano con particolare simpatia, il più morboso di tutti si mostrava Erud, il dio della semplicità. Egli gli rimproverava appunto quella sua serietà a oltranza, la quale non dava nemmeno il più piccolo spazio a qualche tipo di facezia o frizzo, al fine di rendere la sua conversazione con gli altri più lepida e più briosa. Al contrario, in ogni tempo e in ogni luogo, lo si scorgeva far mostra del suo atteggiamento castigato e sussiegoso; nonché era molto difficile trovarlo disponibile al lazzo e allo scherzo giocoso. Ma le altre divinità, compreso il dio Erud, non potevano fare a meno di riconoscergli la ferma determinazione e la grande perseveranza nel perseguire i suoi vari obiettivi. Esse ne ammiravano la capacità di far valere le sue brillanti idee e l'assiduità nel portare avanti i suoi fermi propositi, ostentando sicurezza ed intraprendenza.

Com'era noto a tutte le divinità, fin da quando era ancora un divetto, non erano mancati al dio Ponkar il contegno e il sussiego. Anche se egli li aveva voluti assumere come abito esteriore, era stata la costanza, più di ogni altra cosa, a rivelarsi la sua dote caratteristica. In merito ad essa, si raccontava su di lui un episodio divertente, che tra poco apprenderemo volentieri, avendo la certezza che non ci dispiacerà ascoltarlo.

Un giorno Ponkar era tutto preso a litigare con il fratello maggiore Kavor e, in nessun modo, voleva cedergli la ragione. L’argomento di discordia fra i due germani stava riguardando il rispetto nell'ambito della fratellanza. Il dio dell'astuzia sosteneva che i fratelli minori erano tenuti, sempre e in ogni caso, a rispettare i fratelli maggiori. Invece egli era di tutt’altro avviso, siccome riteneva che il rispetto stesse solo dalla parte del giusto, indipendentemente dalla sua età. Per cui, se un fratello maggiore accampava delle pretese assurde ed ingiuste, il fratello minore poteva benissimo non sottostare alla loro evidente assurdità e alla loro ingiustizia. Al contrario, doveva rifiutarsi, senza pensarci due volte, per un senso di ragionevolezza e di giustizia, che non andavano mai calpestate in nessuna circostanza. Nel loro caso specifico, l’elemento di contrasto era la pretesa del dio Kavor di poter disporre dei fratelli minori, ogni volta che lo decidesse, siccome essi non potevano sottrarsi a tale obbligo. Ponkar, da parte sua, perorava invece la propria tesi, secondo la quale egli non era tenuto ad ubbidire pedissequamente a tutto ciò che il fratello maggiore gli ordinava. Semmai il suo volontario prestarsi a un ordine di lui, ovviamente quando era in vena di accontentarlo, non doveva essere considerato un atto di dovuta sottomissione, bensì una forma di cortesia.

Siccome quella vivace e dibattuta discussione durava da parecchio tempo, mettendo in mostra un agguerrito Ponkar che si contrapponeva con tenacia al fratello Kavor, la loro madre aveva sentito il dovere d'intervenire per cercare di farli smettere all'istante oppure di smorzarne i toni surriscaldati. La dea della luce, infatti, vedendo che il divetto non si mostrava disposto a cedere neppure di un millimetro nella difesa della propria tesi contro il fratello maggiore, aveva tentato di farlo ragionare con il suo autorevole intervento. Vedendo poi che anche lei non riusciva in alcun modo a convincerlo, alla fine aveva voluto ammonirlo:

«Adesso basta, Ponkar! Non ne posso più di questa tua testardaggine! Lo sai anche tu che è opinione comune che i fratelli minori debbano rispettare quelli di età più avanzata. Per questo motivo, al pari degli altri, dovrai farla anche tua, pur non condividendola. Mi sono spiegata una buona volta per tutte, mio cocciuto figliolo?»

«Invece, madre,» l’aveva contraddetta il divo «non sono d’accordo con questa opinione, per cui giammai mi adeguerò ad essa! Nessuno può imporre a un altro ciò che non considera giusto. Se un mio fratello maggiore vuole dei favori da me, egli se li deve prima meritare con le azioni. Altrimenti non sono disposto a concederglieli come atto dovuto. Ecco come la penso io e nessuno mi farà cambiare idea al riguardo!»

«Non m’interessa qual è il tuo pensiero in proposito, Ponkar.» la madre aveva teso a zittirlo «Siccome adesso l’ordine ti proviene da me, è tuo dovere ubbidire ad esso senza alcuna protesta! Mi hai compresa nel modo giusto oppure vuoi costringermi a fartelo intendere con la forza, anche se trovo antipatico un simile mio atteggiamento?»

«Se sei di questo avviso, madre mia, ti sbagli! Neanche al tuo ordine sono disposto a cedere, se lo stimo non conforme alla giustizia. Anzi, siccome sono convinto che la mia idea è quella giusta in questa discussione, io mi batterò per essa senza mai arrendermi! Nessuno può anteporsi alla giustizia, con la convinzione di poterla scavalcare! La stessa cosa vale anche per te, nonostante tu sia una divinità somma!»

«Ponkar, hai forse dimenticato che, con i miei iperpoteri secondari, sono in grado di obbligarti a fare ogni cosa che desidero? Se me lo propongo, potrò perfino bloccarti l’esistenza per un tempo inimmaginabile, fino a quando non avrò ottenuto il tuo ravvedimento. Allora, nel caso che ricorressi a tale drastica soluzione, mi dici come faresti a continuare a difendere la tua idea e a combattere per essa, figlio mio testardo?»

«Madre, anche se è vero che potresti provocare disturbi del genere alla mia esistenza, se tu decidessi di farlo, lo stesso non mi piegherei alla tua volontà. A cosa mi servirebbe essere un'entità esistente ed attiva, se poi dovrei risultare perdente e priva del mio potere decisionale? In tal caso, preferirei vedermi un dio impossibilitato ad esistere e ad agire, anziché sottomesso all'altrui volontà! Sappi che si tratta di un mio principio, al quale nessuno mai riuscirà a farmi rinunciare!»

In un primo momento, la dea Lux si era convinta che non c’era niente da fare con il suo terzogenito, che era fatto a modo suo. Per cui la cosa migliore era quella di lasciarlo stare. Ma poi, riflettendoci meglio, ella aveva concluso che il divetto non aveva tutti i torti a comportarsi in tale maniera. Inoltre, non era giusto considerarlo dalla parte del torto, solamente perché egli era disposto a difendere a spada tratta le proprie convinzioni, giuste o sbagliate che fossero. Da quel giorno, la dea della luce, oltre a stimare il figlio Ponkar nella considerazione che meritava, aveva cominciato a reputarlo il dio della tenacia.

Riferendoci al quartogenito della dea Lux, il quale era il dio Vaulk, non c'era dubbio che egli si distinguesse per il suo coraggio; ma nello stesso tempo, eccelleva in temerarietà. Per questo dava filo da torcere a tutti i suoi avversari. Infatti, il dio positivo, non solo era coraggioso e temerario, si dimostrava un combattente intrepido e un avventuriero audace. Erano tantissimi gli episodi, nei quali il divino Vaulk aveva dato prova di un coraggio straordinario. In verità, le divinità dell’Empireo preferivano ricordare quello che risultava il più significativo, il quale tra breve sarà conosciuto pure da noi. Esso, se da una parte ci stupirà per il suo contenuto incredibile; dall’altra, ci farà piacere apprenderlo e godercelo.

Quando era ancora un giovane dio, Vaulk aveva la sua numerosa cerchia di amici, con i quali spesso s’intratteneva a conversare o a discutere su vari argomenti. Un giorno, però, la discussione aveva finito per vertere sul coraggio. Poiché ogni divo aveva voluto dire la sua su tale ammirevole dote, neppure l’ultimogenito della dea della luce si era astenuto dall'esprimere il proprio giudizio su di essa. Egli, però, a differenza dei compagni, probabilmente per il solo desiderio di distinguersi dagli altri divi, se non proprio per spirito di protagonismo, aveva voluto esagerare oltre ogni limite. Difatti si era dato ad esaltare il coraggio fino a fare la sua apoteosi. La qual cosa aveva spinto il suo amico fedele Rout, in perfetta buona fede, a domandargli:

«A tuo parere, impavido Vaulk, esiste una prova che ti farebbe venir meno l’ardimento, obbligandoti a rinunciare ad affrontarla? Senza screditare il tuo coraggio, penso che almeno qualcuna ce ne debba essere anche per te. Dal momento che essa esiste, vuoi essere comprensivo con noi, facendoci il favore di rivelarcela?»

«Ti assicuro, amico mio, che una prova di questo tipo deve essere ancora inventata da chi è in grado di farlo! Non per farmene un vanto, amici miei, dovete sapere che a volte è la paura a temere me, per cui essa preferisce starmi alla larga!»

«Se parli con la bocca della verità, Vaulk, pregherò mio padre Lurk, che è il dio dell’invenzione, di inventare una prova di tal genere! Così, dopo che essa sarà resa da lui esistente, non potrai più vantarti di non avere paura di nessuna cosa, come stai facendo in questa circostanza! Non te la prendere, amico mio, poiché sto scherzando!»

Alcuni attimi dopo, invece, era intervenuto nella conversazione anche il divo Selt, che era il figlio di Penz, il dio della verità. Egli, con una certa malizia e provocatoriamente, si era rivolto agli altri suoi compagni, tra i quali non era compreso il figlio della dea Lux, e si era messo a gridare:

«Non mi dite, amici, che siete così sciocchi da credergli! Vi faccio presente che già esiste una prova di fronte alla quale il nostro compagno Vaulk arretrerebbe atterrito. Nel Regno della Luce tutti la conoscono. Sfido chiunque che egli non avrebbe mai il coraggio di affrontarla!»

«Se è così che la pensi, Selt,» molto risentito, lo aveva ripreso l'ultimogenito della dea Lux «allora dimmi subito qual è la prova a cui ti sei voluto riferire. Così ti dimostrerò che l’affronterò senza alcuna esitazione! Ti garantisco che mi sottoporrò senza meno ad essa, anche se il cimentarmi con la medesima dovesse costarmi l’esistenza!»

Sorpresi dalle parole del figlio del dio della verità, gli altri divi quasi stentavano a credergli. Presi poi da una grande curiosità e dall’impazienza di conoscerla anche loro, lo circondarono, gridandogli:

«Su, Selt, dicci qual è la prova a cui hai pensato! Siamo ansiosi che essa ci venga resa nota! Se hai davvero ragione, il nostro compagno Vaulk, dopo quanto ha dichiarato in precedenza, dovrà dimostrarci che sul serio non ha paura di affrontarla!»

«Sono convinto» aveva affermato il loro amico «che l'ardito Vaulk non avrebbe mai il coraggio di buttarsi nell’Abisso dell’Oblio per darci la dimostrazione che non lo teme! Ecco qual è la prova che egli non affronterebbe né adesso né mai: ve lo posso assicurare! Credevate che lo dicessi per finta, amici miei? Invece, dopo avervi dimostrato che essa esiste sul serio, vi siete finalmente convinti che non scherzavo!»

A quell'affermazione, i curiosi divi erano ammutoliti all'istante e si erano raggelati nel loro intimo. Di tutti i presenti, però, solo Rout si era sentito offeso, dal momento che quella prova era da stimarsi assurda e degna di nessuna considerazione. A suo avviso, chi l’aveva proposta celava dentro di sé molta cattiveria, per il semplice fatto che egli istigava apposta un amico a suicidarsi. Poco dopo aveva pure sospettato che l’asserzione di Selt potesse facilmente far leva sull’orgoglio e sulla fierezza dell’amico d'infanzia, spingendolo a commettere l’insano gesto. Infine, temendo che la sua natura orgogliosa potesse spingere Vaulk a non ragionare con discernimento in quella circostanza, Rout aveva tentato di evitare che essa venisse presa in seria considerazione da lui. Come prima mossa, egli si era affrettato a reagire con stizza allo scellerato figlio del dio Penz, che aveva proposto al compagno una prova bestiale. La quale, secondo lui, poteva uscire unicamente dalla mente di un divo incosciente oppure di chi coltivava in sé l’iniquità. Così, in preda ad una grande stizza, si era rivolto a colui che l'aveva avanzata, dicendogli:

«Selt, avrai di sicuro perso i lumi della ragione, per tirare fuori questa tua folle trovata! Come gli altri divi presenti possono rendersi conto, stai proponendo a Vaulk una prova di dissennatezza e non di coraggio! Mi fai perfino pensare che il mio amico ti stia sullo stomaco e saresti quindi felice oltre ogni immaginazione, se egli ponesse fine alla propria esistenza luxaniana! Questa è la pura verità, che celi nel tuo animo abietto!»

Prima che Selt potesse contrattaccare il divo Rout e giustificarsi per l’insulsa prova suggerita all'ultimogenito della dea Lux, costui si era dato a gridare forte ai presenti: “Sappiate, compagni miei, che neppure Inesist può incutermi timore, come qualcuno di voi vi ha lasciato intendere! Adesso ve lo dimostrerò senza ombra di dubbio!” Esprimendosi in quel modo, il divo Vaulk si era messo a volare in direzione dell’Abisso dell’Oblio, intanto che i compagni gli andavano dietro. Ma non si sapeva con quali intenzioni gli altri lo inseguivano, ossia se per invitarlo a recedere dal suo folle proposito oppure per sincerarsi che egli facesse sul serio. Invece, di tutti loro, era il solo Rout a non smettere di urlargli alle spalle:

«Non farlo, Vaulk, amico mio carissimo! Convinciti che l’atto che cerchi di compiere equivale a una vera pazzia! Nessuno mai potrà accusarti che non hai fegato, soltanto perché hai rinunciato a gettarti nell’Abisso dell’Oblio! Per rinfacciartelo, egli dovrebbe prima dimostrarti che a lui non è mancato il coraggio di farlo! Ma una cosa simile non potrebbe mai verificarsi per una semplice ragione. Dopo avertelo dimostrato, egli non avrebbe più la possibilità di ritornare in Luxan, al fine di vantarsi di essere stato più coraggioso di te! Perciò recedi da ciò che adesso insanamente ti sei proposto di fare!»

Dunque, le cose si mettevano davvero male per Vaulk, allorquando il dio Kron si era accorto in parte di quanto stava succedendo tra quei divi scalmanati, che correvano all'impazzata. Avendo poi voluto saperne di più, egli aveva rincorso a ritroso lo svolgimento dei fatti. Così era venuto a conoscenza del folle gesto che lo sconsiderato quartogenito della dea Lux si preparava a compiere. Allora non aveva esitato a salvarlo, riuscendo a fermarlo per un pelo, proprio mentre era in dirittura di arrivo.

Tutto a un tratto, Vaulk prima si era sentito arrestare di colpo da una forza imponente e poi si era visto scaraventare dalla medesima in un posto considerevolmente distante dalla voragine d'Inesist. Lo strattone era stato così violento ed irresistibile, che aveva perfino stordito il malcapitato, lasciandolo soprappensiero al suolo per alcuni attimi. Alla fine tutti i divi avevano scorto in quel luogo l’eccelso dio del tempo, il quale vi aveva fatto la sua improvvisa apparizione. Egli si era messo a rimbrottare con voce grave l’incauto figlio dell'amica Lux, facendogli pervenire le seguenti durissime parole:

«Vuoi dirmi che cosa credevi di dimostrare, Vaulk, con il tuo biasimevole gesto? Sappi che si suicidano soltanto le divinità deboli e codarde, anziché quelle forti e coraggiose! Perciò il tuo proposito non era una prova di coraggio, bensì una dimostrazione di viltà e di stolidezza. Buttandoti nell’Abisso dell’Oblio, non avresti compiuto alcuna ardita prodezza. Al contrario, avresti solo arrecato dolore e sconforto ai tuoi familiari e ai tuoi veri amici, come Rout. Inoltre, avresti apportato una grande soddisfazione esclusivamente ai tuoi falsi amici, come Selt, che desiderava la tua fine! Ma come puoi tacciare di codardia coloro che non si gettano nell’Abisso dell’Oblio? Allora per te anch’io sarei un imbelle, solo perché non oso fare il perverso salto nell’oblio di me stesso? Non sono mica un disperato che cerca di disfarsi della propria disperazione, ricorrendo ad Inesist! Renditi conto che il coraggioso non sciupa o butta via la propria esistenza senza alcuna ragione valida; invece dimostra agli altri che egli non ha paura di niente e di nessuno!»

Le sagge parole del dio Kron avevano avuto il loro effetto benefico sul divo, poiché si era capacitato del grave errore che era sul punto di commettere. Vaulk, infatti, aveva compreso che il suo gesto era da considerarsi scapato, non avendo nulla di coraggioso e di temerario. Allora egli si era ripromesso che in seguito non sarebbe mai più caduto in un errore così grossolano, anche perché esso di sicuro non avrebbe fatto onore a un dio del suo calibro. Soprattutto sarebbe stato molto attento a non accettare più sfide da parte di chi l’odiava a tal punto, da desiderare la sua inesistenza nella realtà di Luxan.