65°-LO STRATAGEMMA DI LUCEBIO PER SCONFIGGERE I TANGALI

Un pomeriggio d’estate inoltrata, quando i Tangali si trovavano a venti giorni di marcia dal villaggio litiosino, il quindicenne Lucebio si presentò alquanto imbronciato al proprio genitore. Chiorro, avendo intuito che il suo ragazzo era tutt’altro che di umore allegro, da buon padre di famiglia, decise di parlargli per non farlo continuare a penare. Così, rivolgendosi a lui amorevolmente, provò a fargli qualche domanda.

«Ti ho forse fatto mancare qualcosa, Lucebio, per mostrarti al tuo genitore con quel volto, che si presenta chiaramente conturbato e corrucciato? Invece non mi risulta, almeno intenzionalmente! Quindi, figliolo, mi dici perché oggi eviti di essere cordiale e cerimonioso con me, che ti voglio bene più di qualunque altra persona al mondo, fatta eccezione di tua madre? Su, rispondimi con sincerità e non tenermi sulle spine! Assolutamente non ti voglio vedere con quella faccia da funerale!»

«Invece non ce l’ho con te, babbo, perché non sei stato tu a farmi adirare nel modo peggiore.» gli rispose l'adolescente «Se proprio lo vuoi sapere, sono stati i tuoi antipatici mandriani a farmi prendere una grande arrabbiatura. Essa, come anche tu ti sei accorto, permane ancora dentro di me e mi riesce anche difficile mandarla giù!»

«Vuoi raccontarmi ogni cosa dell’accaduto, mio caro Lucebio, spiegandomi come si sono svolti esattamente i fatti? Così, dopo esserne venuto a conoscenza, ti prometto che mi adopererò per renderti giustizia! Cioè, punirò tutti coloro che ti si sono mostrati irriguardosi e ti hanno offeso, senza tener conto che sei il mio diletto unigenito!»

«Ieri, padre mio amoroso, siccome avevo intenzione di distrarmi un poco, mi sono recato sull'altopiano; ma i mandriani mi hanno vietato perfino di fare quattro passi fra i nostri cavalli. Per giunta, essi si sono messi a canzonarmi per tutto il tempo che sono rimasto sull'altopiano, costringendomi a ritornarmene a casa, dopo neppure mezzora che vi ero giunto. Dunque, chi rappresento io per loro? Valgo forse meno di uno strofinaccio da cucina! Non sembra anche a te, babbo premuroso, che sono stato trattato da loro come un vero perdigiorno?»

«Cosa mi dici mai, mio Lucebio! Davvero i miei uomini ti hanno trattato come hai detto?! Sono forse impazziti quei bifolchi?! Non sanno forse che tutto quanto possiedo è anche tuo? Adesso sello subito un cavallo e corro a mettermeli sotto i piedi quei pidocchiosi! In questo modo, impareranno per sempre a trattare con il dovuto rispetto il mio erede! Sei contento dell'iniziativa che ho deciso di prendere, figlio mio?»

«A mio avviso, padre mio, non occorre che tu ti conduca da loro e li punisca in modo adeguato.» si oppose il ragazzo «Invece dovrai fare ben altro per me, se vorrai rendermi soddisfatto, secondo il mio desiderio. Come vedi, si tratta di qualcosa che ti costerà meno di nulla!»

«Allora affréttati a dirmi come posso appagarti, figlio mio caro! Dopo che me lo avrai palesato, farò tutto il possibile perché tu abbia la tua rivincita nei confronti di quanti ti hanno mancato di rispetto! Puoi chiedermi perfino la luna, se ciò risulta di tuo gradimento, poiché ti accontenterò ugualmente! Intesi? Quindi, riferiscimi ciò che vuoi davvero!»

«Babbo, adesso ti informo in che modo voglio essere soddisfatto da te. Tu mi devi rilasciare una pergamena con la tua firma in calce, sulla quale dovrai stilare il seguente ordine: "Miei mandriani, vi obbligo ad eseguire ogni direttiva che vi verrà impartita da mio figlio Lucebio. A tale riguardo, dovrete ritenere ogni suo comando, proprio come se lo avessi dato io personalmente. Chi si rifiuterà di ubbidirgli sarà licenziato in tronco. Il vostro datore di lavoro Chiorro!" Ma se la mia richiesta, padre mio, non dovesse risultare accoglibile da parte tua, lasciamo perdere e non se ne parli più!»

«Non preoccuparti, Lucebio!» lo rassicurò il padre «Ciò che mi chiedi per me è roba da poco; anzi, rappresenta proprio niente, come anche tu mi hai detto poc’anzi! Perciò, non avendo alcuna difficoltà ad appagare il desiderio che mi hai espresso, stilo l'ordine e te ne faccio dono!»

«Grazie, babbo! Vedrai che la pergamena darà i suoi frutti, poiché sarà sufficiente a farmi prendere la rivincita, quando mi ripresenterò sull’altopiano in possesso del tuo autorevole scritto. Esso mi darà modo di rivalermi sui mandriani del torto che mi hanno arrecato ieri e di regolare anche i conti con gli stessi nella maniera che ho ideato!»

Il facoltoso allevatore non perse tempo ad esaudire quanto gli aveva chiesto il suo amato figliolo, che rappresentava per lui il bene più prezioso al mondo. Dopo, mentre gli consegnava la pergamena, la quale era stata scritta di proprio pugno, come l'adolescente aveva voluto, il padre, facendolo felice come una Pasqua, gli disse:

«Ecco fatto, Lucebio! Ho riportato su di essa le tue testuali parole! Adesso che ne sei venuto in possesso, puoi presentarti tra i miei mandriani e farti rispettare da loro, come ti è dovuto, senza che nessuno più si azzardi a darti il minimo fastidio. Da oggi in poi, figlio mio, ti garantisco che sarai rispettato da loro come un vero principino!»

Ricevuto dal genitore il prezioso manoscritto, il quale era stato redatto conformemente ai suoi voleri, Lucebio se lo conservò con cura. Dopo si diresse difilato nel luogo dov'era accampato l'esercito litiosino. Quando lo ebbe raggiunto, egli si fece ricevere da colui che ne era al comando. Il prestigioso personaggio, nell'accoglierlo nella propria tenda affabilmente, si dimostrò verso di lui molto disponibile ad ascoltarlo.

«Mi dici cosa vuoi da me, figlio dell'operoso Chiorro?» il trentottenne capo di Litios si rivolse all’adolescente «Ad osservarti bene, direi che tu sia assai preoccupato! Qualche tuo familiare forse non sta bene?»

«O grande Kodrun, hai proprio ragione a pensarla come hai detto! Né potrebbe essere altrimenti, come tra poco te ne renderai conto! Vengo da te, poiché solo tu potrai essermi di aiuto. Mio padre, pur essendo gravemente malato, non vuole restarsene a letto, come il medico Erot gli ha prescritto. Se egli continua a fare il testardo, cioè a stare alzato e a dedicarsi ai suoi affari, finirà per morire di sicuro, a causa della troppa fatica! Ma la mamma ed io non vogliamo assolutamente che egli ci rimetta la pelle, a causa del troppo lavoro!»

«Vuoi dirmi, Lucebio, cosa ci posso fare io, se tuo padre è cocciuto come un mulo e ha deciso di disinteressarsi completamente della sua salute, a costo di andare incontro alla morte? Non opero mica miracoli io, anche se in questo momento vorrei essere capace di farli sul serio per il mio villaggio! Dunque, non potendo in nessun modo esserti utile, ti consiglio di ritornartene a casa, caro ragazzo! Ti sono stato chiaro?»

«Invece, se sono ricorso a te, è perché c’è una ragione, illustre Kodrun. Eccome! Essendo tu il capo di Litios, i tuoi ordini sono considerati sacri dalla totalità dei Litiosidi. Perciò nel nostro villaggio non una sola persona oserebbe trasgredirli o metterli in discussione, considerato che tutti ti rispettano in maniera assoluta! Né tu lo puoi negare!»

«A parte il fatto che probabilmente tra pochi giorni non ci saranno più né Litios né i suoi abitanti né il loro capo, non riesco ancora a comprendere come io possa essere di aiuto a tuo padre. E poi cosa c'entrano i miei ordini nelle vostre beghe familiari? Per favore, vuoi spiegarmelo tu, Lucebio, dal momento che mi risulta difficile capirlo da me?»

«Invece sì che c'entrano, mio valoroso capo! Tu scrivimi sopra una pergamena queste testuali parole: "Chiorro, ti ordino di metterti immediatamente a letto e di restarvi per trenta giorni! Il tuo capo Kodrun.". Dopo avergliela recapitata, staremo a vedere se mio padre seguiterà a non restare a letto, sapendo di disubbidirti! Stanne certo che, pur di non opporsi al tuo ordine, egli andrà subito a mettersi sotto le coperte. In questo modo, gli permetterai di accelerare la sua guarigione e di ristabilirsi. Questo miracolo puoi farlo senza meno, mio valoroso Kodrun!»

Il capo di Litios, pur avendo avuto un attimo di esitazione, alla fine non volle opporsi alla richiesta umanitaria del giovinetto. Perciò, considerandola un nobile gesto filiale, esaudì la sua preghiera. Allora Lucebio, venuto in possesso anche del plico che gli aveva consegnato il capo del villaggio, se ne ritornò alla propria abitazione con un volto raggiante di gioia. Poi, una volta a casa e al cospetto del proprio genitore, gli riferì:

«Babbo, un soldato di Kodrun mi ha pregato di consegnarti questo plico, dicendomi che è molto importante per te. Egli non si è fermato per dartelo personalmente, poiché aveva parecchia fretta di andare.»

Dopo che lo ebbe srotolato e letto (in verità, egli se lo rilesse almeno una dozzina di volte), l’unica giustificata reazione di Chiorro poté essere soltanto la seguente: “Forse è diventato matto il nostro capo?! Come fa ad ordinarmi di mettermi a letto e di restarvi per trenta lunghi giorni?! Come se io avessi molto tempo da perdere! Vorrei sapere perché mai egli mi dà un simile ordine, che ritengo sia il prodotto di una pura follia! Per questo rinuncio a comprenderci qualcosa. Possibile che l'effetto di Ricnos lo abbia trasformato talmente, da farlo sragionare in questa maniera? Non oso neppure pensarci, per non incavolarmi molto di più!»

«Babbo,» cercò allora di convincerlo Lucebio «se Kodrun ti intima di metterti a letto, ci sarà di sicuro un buon motivo. Da parte mia, ti consiglio di ubbidirgli e di non contrariartelo. A volte i capi pretendono le cose più incredibili dai loro sudditi per mettere alla prova la loro fedeltà. Inoltre, lo sai pure tu che nemmeno due Ricnos riuscirebbero a fare sragionare un uomo con la tempra di Kodrun! Perciò ti suggerisco di ubbidirgli e di non mettertelo contro, come vorresti fare.»

«Probabilmente, hai ragione tu, figlio mio. Non conviene discutere gli ordini del capo, i quali potrebbero anche celare un secondo fine. Perciò è meglio evitare di contestarli, se non voglio apparire disubbidiente ai suoi occhi! Quindi, ti chiedo di darmi una mano a coricarmi, siccome la tua adorabile genitrice è andata a fare visita ad una sua parente, la quale risulta ammalata da qualche giorno. Al suo ritorno, la metteremo al corrente dell'incredibile ordine che ho ricevuto da Kodrun.»

Fu dietro il suggerimento del figlio che lo strabiliato allevatore di cavalli poco dopo si persuase di infilarsi sotto le coperte senza più fiatare, sebbene dentro di sé restasse ancora di parere contrario. Invece Lucebio, aiutato il padre a mettersi a letto, dal momento che era assente la madre, si precipitò dal funaio, dove già si stava consumando il pasto serale. Allora, non appena ricevette la visita del figlio di Chiorro, l'artigiano tralasciò subito la calda pietanza e si affrettò a riceverlo con tutti i riguardi. Perciò gli si espresse con queste parole:

«Qual vento favorevole ti ha spinto da me, intelligente figlio del mio illustre cliente? Se mi dici perché sei venuto da me oppure mi chiarisci di cosa hai bisogno, mi metterò subito a tua disposizione!»

«Escurio, il mio genitore mi manda a commissionarti un certo quantitativo di funi con la massima urgenza. Sono venuto io, poiché attualmente egli è assente da casa; ma prima di partire per Terdiba, mi ha dato l'incarico di cui ti sto mettendo al corrente. Sono sicuro che non deluderai mio padre, il quale, come ben sai, è il tuo migliore cliente!»

«Quale sarebbe la quantità di funi che egli ti manda ad ordinarmi, giovanotto? Conoscendoti bene, non dovrebbe esserti difficile dirmelo. Allora mi riferisci l’ambasciata dell’illustre tuo genitore?»

«Al mio padre occorrono cinquemila canapi resistenti e la lunghezza di ciascuno dovrà essere di sei metri. Adesso mi hai compreso meglio, provetto funaio Escurio? Penso proprio di sì!»

«Ma si tratta di quasi venti miglia di funi! Non è forse così, Lucebio?» esclamò sbalordito l'artigiano, dopo aver fatto un calcolo a mente, il quale non poteva che risultare approssimativo. Egli, infatti, avendo una certa dimestichezza con i numeri, non aveva avuto difficoltà a calcolare per approssimazione la loro totale lunghezza.

«Direi che non ti sei sbagliato, Escurio.» gli confermò l'adolescente «Mio padre, comunque, ti dà dieci giorni di tempo per approntargli la merce che mi ha mandato ad ordinarti. E non un minuto di più! Intesi? Perciò, se ci tieni a restare ancora il fornitore di mio padre, ti suggerisco di essere puntuale nella consegna, senza disattendere la fiducia che egli ha sempre riposto in te! Se poi ti meravigli che non sia venuto lui di persona ad ordinarti un così ingente quantitativo di roba, ti ripeto che egli è dovuto andare a Terdiba con una certa sollecitudine. Ovviamente, per affari! Dunque, non preoccuparti per la enorme commissione!»

«Va bene! Va bene! Penso che di problemi non ce ne dovrebbero essere, Lucebio!» acconsentì il funaio con un'aria soddisfatta «Escurio farà l'impossibile per accontentare l'esimio tuo genitore, anche perché le scorte di magazzino già raggiungono la metà del suo ordinativo. Come vedi, me ne restano da approntare soltanto la rimanente metà. Inoltre, come potrei scontentare il mio miglior acquirente? Signorino, adesso perché non resti a cena insieme con noi? Su, non fare cerimonie e siediti alla nostra mensa! Puoi prendere posto accanto a mio figlio Perto, il quale, se ricordo bene, è stato un tuo amico di infanzia. Perciò vi farà molto piacere ritrovarvi l'uno accanto all'altro, come a scuola!»

Nello stesso tempo, rivolgendosi alla moglie, la quale in quel momento aveva già incominciato a scodellare la fumigante minestra a base di legumi, si diede a gridarle:

«Sailla, ti dispiace aggiungere un coperto a tavola per il nostro illustre ospite? Pensa che onore averlo stasera a cena con noi! Ti assicuro che non ci capiterà mai più di averlo con noi a tavola!»

«Invece non dovete disturbarvi.» prontamente Lucebio contraddisse il padrone di casa, dopo che egli ebbe invitato la consorte ad aggiungere un posto a tavola «Mi dispiacerebbe un sacco far cenare da sola mia madre, dal momento che il babbo è assente da casa! Magari sarà per un'altra volta: vi sta bene? A ogni modo, ti ringrazio ugualmente, Escurio, augurando buon appetito a te e agli altri membri della tua famiglia! Adesso, però, mi tocca lasciarvi, poiché ho premura di andare.»

Accomiatatosi dal funaio, Lucebio si incamminò verso casa con un'aria trionfante; mentre la sua mente andava rimuginando i suoi grandi disegni. Infatti, lo straordinario figlio di Chiorro senza meno aveva escogitato qualche piano all'insaputa di tutti e ora si adoperava per metterlo in atto nei suoi minimi particolari. Ma si può sapere di quale piano si trattava e di che natura esso era, se ci è consentito di conoscerlo? Perciò stiamo un po' a vedere che cosa egli stava facendo bollire in pentola. Per la verità, data la genialità dell’adolescente, possiamo solamente prevedere che esso sarà di sicuro qualcosa di grandioso degno della sua somma intelligenza. Per questo dal suo piano ci si può aspettare anche le cose più incredibili r capaci di stupirci nella maniera più impensabile.


All'alba dell'undicesimo giorno, Lucebio, dopo essersi accertato che il funaio non aveva avuto difficoltà ad evadere il suo ordinativo, si diresse rapidamente sull'altopiano, dove fu accolto con grande festa e con il dovuto rispetto dai mandriani. Costoro, a quell'ora del mattino, erano già svegli ed intenti al loro lavoro. Nello scorgerlo, alcuni gli chiesero perché mai il magnanimo genitore non si fosse fatto più vivo in quei giorni e se, disgraziatamente, non si fosse ammalato. Ma l'adolescente li rassicurò che suo padre godeva ottima salute e che, non appena gli fosse stato possibile, si sarebbe fatto rivedere senz’altro sull'altopiano. Quanto alla sua assenza più protratta del solito, essa era dovuta ad un suo viaggio di affari, che egli aveva dovuto intraprendere all'improvviso e in tutta fretta. Comunque, se proprio ci tenevano ad esserne informati, il padre sarebbe rimasto assente da casa per una ventina di giorni.

Dopo Lucebio fece la sua visita al capomandriano Cleto e gli consegnò la pergamena, sulla quale risultava stilato chiaro e tondo l’ordine paterno. Terminato di leggervi quanto vi era scritto, l’uomo, senza stupirsi di esso neppure un poco, si rivolse al ragazzo e gli domandò:

«Padroncino, cos'hai da ordinarmi di così urgente, di cui stranamente prima non ero stato messo al corrente da tuo padre? Se me lo dici, lo farò eseguire all'istante. Quindi, comincia pure a dirmi ogni cosa!»

«Attraverso il passaggio segreto che conosci, Cleto, ti devi recare con trenta carri dall’artigiano Escurio, dove c'è da ritirare parecchia merce che sa lui. Ne verrai a conoscenza a casa del funaio. Intanto che ti trovi presso la sua bottega, mi farai il favore di dirgli che passerò da lui al più presto e gli salderò il conto. Riferiscigli che ci andrò, non appena i miei vari impegni me lo consentiranno.»

Il capomandriano, siccome gli restava ancora nitido nella mente lo scritto del padrone, ubbidì ciecamente a Lucebio, senza né battere ciglio né muovere obiezioni né fare domande, nonostante tali cose potessero anche considerarsi giustificabili. Così, quando mancava poco tempo a mezzogiorno, i mandriani e il loro capo erano già di ritorno sull'altopiano con i carri, i quali adesso si presentavano pieni zeppi di funi. A dire il vero, il capoccia era stato lesto ad ubbidire; però si mostrava assai lento a comprendere la necessità di tantissimo cordame. Comunque, non faceva a meno di chiedersi perché mai, nei giorni precedenti, il suo principale non gli aveva parlato di alcun lavoro programmato a breve termine. Esso avrebbe dovuto addirittura richiedere una così enorme quantità di materiale, che si era dovuto trasportare con parecchi carri!

«Adesso vuoi spiegarmi a cosa devono servire tutte queste corde?» il capomandriano domandò a Lucebio, dopo che esse vennero interamente scaricate ed accantonate in una delle molte staccionate «Se devo esserti sincero, padroncino, non riesco ad immaginare in nessun modo come potrà esserci utile questo numero considerevole di funi. Esse, a occhio e croce, non dovrebbero essere meno di cinquemila!»

«I tuoi conti sono stati esatti, Cleto!» approvò l'adolescente «Come puoi constatare, le corde dovrebbero essere dello stesso numero dei nostri cavalli. Se il mio calcolo non risulta errato, ce ne potrebbe essere anche qualcuna in più!»

«Ciò cosa significa, Lucebio? C’è forse una correlazione tra le corde e i cavalli, che non riesco a vederci ancora?» gli domandò Cleto, il quale giustamente continuava a non capirci un bel niente sulla vicenda.

«Ebbene, mio padre ha deciso di regalare una corda a ciascuna bestia, mio caro Cleto. Perciò, entro le prossime ventiquattr'ore, ogni cavallo dovrà avere la sua corda. Dei suoi due capi, l'uno dovrà essergli legato al collo; mentre l'altro occorre che risulti libero e penzolante, a mo’ di briglia sciolta. Adesso che ogni cosa ti è stata chiarita per bene, non devi fare altro che invitare i tuoi uomini a darsi da fare e ad eseguire quanto ti ho appena ordinato! Per il momento, questo è tutto!»

Il giorno successivo, prima di condursi tra i mandriani, Lucebio, a buon diritto, consigliò alla madre di non parlare con nessuno dello strano ordine impartito dal capo Kodrun al loro congiunto. Secondo lui, la gente avrebbe fatto presto a chiacchierarci sopra, fino a farsi venire le più strane idee, a tale proposito. Inoltre, era opportuno perfino nascondere la malattia del padre, ad evitare che dalla visita di qualche ficcanaso spuntasse fuori involontariamente la verità. A suo parere, perciò, la cosa migliore era quella di simulare un improvviso viaggio d'affari del capofamiglia. Il quale, prima di partire, aveva voluto dare al figlio, cioè a lui, disposizioni precise attinenti alla mandria. Iterna, da parte sua, non sospettando alcunché circa le intenzioni del figlio e condividendo le di lui preoccupazioni, ne approvò l'iniziativa. Perciò, considerandolo giustificato, decise di seguirne il consiglio. Ciò, perché ella era completamente ignara che esso tendesse ad attuare uno stratagemma personale.

L'appoggio materno fece illuminare di gioia il volto di Lucebio. Allora, dopo aver consumato voracemente la colazione che la madre gli aveva preparata, si recò alla casa del funaio. Così gli fece presente che, a causa della perdurante assenza da casa del genitore, della quale lo aveva messo già a conoscenza nel precedente incontro, non era possibile per il momento estinguere il debito. Ma gli garantì che avrebbe riscosso il suo credito, non appena il padre fosse ritornato da Terdiba. Quell'evenienza, che poteva apparire seccante, non rappresentò invece alcun problema per il funaio, poiché egli conosceva il cliente con cui stava avendo a che fare. Secondo lui, siccome il suo debitore era il possidente Chiorro, poteva ritenere già al sicuro nelle sue tasche la somma che egli gli doveva.

Quando Lucebio si ripresentò sull'altopiano, era da poco passato mezzogiorno. In quel luogo, con somma soddisfazione, egli prese atto che il lavoro era stato completato. Per questo, oltre a ringraziare il capomandriano, ne lodò pure le spiccate doti di ubbidienza e di prontezza nel fare portare a termine gli ordini da lui impartiti. Ma dopo aver posto fine alle sue parole elogiative all’uomo, gli aggiunse:

«A questo punto, Cleto, è da ultimarsi un altro lavoretto, che di sicuro ti risulterà strano ed incomprensibile. Purtroppo, esso dovrà essere eseguito, senza che tu mi opponga alcun "ma" o mi chieda alcuna spiegazione. Ti ho reso bene l’idea? La cosa importante è che tu non dimentichi che si tratta di un comando perentorio di mio padre, il quale te lo trasmette espressamente per il mio tramite! Se ci tieni al tuo lavoro, abbilo a mente! Lo sai pure tu che sono in molti i disoccupati del nostro villaggio, i quali farebbero i salti mortali, pur di venire a lavorare alle dipendenze di mio padre, al posto tuo e degli altri mandriani al tuo comando!»

«Certo che lo so benissimo, Lucebio, come lo sanno pure i miei subalterni! Ecco perché siamo molto riconoscenti al tuo generoso genitore. Ma vuoi riferirmi adesso quale sarebbe il nuovo lavoro che, risultandoci strano, non dovrebbe garbarci? Ti assicuro che, dopo averlo vagliato con cura, mi adopererò per farlo compiere a puntino!» Gli rispose il capomandriano, che questa volta si mostrava più incuriosito che sospettoso.

«Ebbene, i tuoi uomini hanno due giorni di tempo per disfare le varie staccionate che delimitano i recinti delle mandrie. Per l'esattezza, dovete prima slegare i pali orizzontali e poi sconficcare quelli verticali piantati nel terreno. Alla fine di tale lavoro, vi affretterete a raccogliere e a mettere insieme gli uni e gli altri, formando due cataste distinte e separate. Esso è il nuovo ordine che vi viene dato da mio padre.»

Le staccionate dei recinti erano state costruite con pali verticali e con traverse orizzontali. I primi, che erano lunghi tre metri, erano conficcati nel terreno e distavano l'uno dall'altro due metri e mezzo. Le seconde, invece, che erano di uguale lunghezza, formavano tre file orizzontali ed erano legate ai pali verticali con spezzoni di resistenti corde. Queste ultime, non dovendo più servire, dopo andavano buttate via.

Il nuovo ordine di Lucebio mise in imbarazzo il capomandriano, il quale cercò di convincersi che il figlio del padrone aveva scherzato. Egli, ritenendolo frutto di una indubbia dissennatezza, dichiarò al padroncino che il sagace Chiorro non poteva aver dato un comando simile. Vedendo poi che il ragazzo faceva sul serio ed era categorico, cercò a tutti i costi di farlo riflettere su quanto gli aveva ordinato.

«Padroncino,» si diede a dirgli «perché vuoi che si esegua tale lavoro, che ritengo irragionevole e forse anche azzardato? Esso mi preoccupa non molto! Ma tuo padre ne è davvero al corrente? Secondo il mio parere, dopo che verrà portato a termine un lavoro del genere, i cavalli potranno scorrazzare liberamente per l'altopiano. Allora si correrà il rischio che essi imbocchino lo stradone e si precipitino giù a valle, sbandandosi per la vasta pianura. E con i Tangali che stanno per sopraggiungere, sai dirmi come faremo ad andare a recuperarli? L'inconveniente ci risulterà una fatica esorbitante, oltre che un serio pericolo per noi!»

Allora Lucebio, mostrandosi infastidito, lo riprese con i dovuti modi.

«Stanne certo, Cleto, che il nuovo incarico, che vi ho dato, è l'esatta volontà di mio padre! Da parte tua, cerca invece di limitarti unicamente ad eseguire gli ordini del tuo datore di lavoro, evitando sia di chiederti il perché ti vengono impartiti sia di preoccuparti delle conseguenze che potrebbero derivare dalla loro esecuzione. Dopotutto, non è mica la tua proprietà che è in gioco: non ti sembra? Inoltre, come hai potuto pensare ad una fuga dei nostri cavalli verso valle, se sai benissimo che a metà stradone si incontra il terrapieno che mio padre vi ha fatto improvvisare per ingannare e fuorviare i Tangali, se tentassero di salire quassù? Esso è disseminato di arbusti, appunto per nascondere a qualunque altra persona ciò che si svolge su questa media altura.»

«Anche se è come dici, Lucebio, circa una improbabile fuga dei cavalli verso valle, ciò non significa che il nuovo lavoro che vuoi farci eseguire non sia da folle. Perciò questa volta sono quasi tentato a non ubbidirti.»

«Cleto, sei libero di fare ciò che consideri giusto, poiché nessuno te lo impedisce. Ma poi sei certo di riuscire a sfamare in altro modo la tua famiglia, siccome un tuo rifiuto ti costerebbe il licenziamento su due piedi? Quindi, decidi tu per quale delle due soluzioni intendi optare: o ubbidisci agli ordini del babbo oppure ritieniti licenziato in tronco!»

La ferma determinazione di Lucebio spense sul nascere ogni perplessità e ogni resistenza di Cleto. Così il duro uomo, anche se in modo mogio e restio, alla fine si piegò al volere del ragazzo. In cuor suo, però, egli si riprometteva di inviare l'indomani una persona di fiducia a casa del padrone, allo scopo di accertarsi di come stavano realmente le cose nella sua famiglia. Difatti fu ciò che egli fece il giorno dopo. Ma il mandriano, che aveva contattato di persona la madre di Lucebio, al suo ritorno non poté fare altro che confermargli quanto già gli aveva riferito il ragazzo. Ossia che Chiorro era partito per affari e che prima aveva lasciato al suo unigenito le istruzioni da trasmettere al suo personale.

A tale conferma inoppugnabile del suo uomo, il capomandriano non poté fare altro che stringersi nelle spalle e sollecitare i suoi uomini a completare il lavoro, entro il termine perentorio indicato dal figlio del padrone. Anzi, egli si tranquillizzò, soltanto quando vide le staccionate dei recinti interamente disfatte e le relative traverse ammucchiate in posti separati. Esse dopo formavano tanti grossi cumuli alti due metri e allogati sopra una superficie di trecento metri quadrati. Allora alla vista delle sbarre ammassate nei posti che egli stesso aveva scelto, l’adolescente Lucebio esultò di gioia incontenibile. Ma poi si affrettò ad impartire un ulteriore ordine al capo dei mandriani, il quale, dopo la conferma materna, si mostrava definitivamente ammansito e per niente renitente ad ogni sua ulteriore richiesta.

«Vedi quante sbarre abbiamo ottenuto, Cleto?» egli cominciò a dirgli «Devi sapere che il solo numero delle traverse supera quello dei cavalli! Ebbene, è volontà di mio padre che ne venga regalata una a ciascuna delle bestie. Perciò hai altri due giorni di tempo per far legare dai tuoi uomini una sbarra ad ogni corda che risulta attaccata al collo di ogni cavallo. Tieni presente che il capo libero della fune deve essere legato nella parte mediana della traversa. Mi sono spiegato sufficientemente? Oppure c’è bisogno di un supplementare mio chiarimento, affinché tu mi comprenda ancora di più?»

«Sei stato così chiaro, padroncino, che meglio non avresti potuto!» gli rispose il capomandriano, che adesso si era riproposto di non volerci più capire niente in quella faccenda, ma di ubbidire soltanto «Ma voglio sperare che non si facciano errori madornali a causa dei tuoi ordini, dei quali ci si debba poi pentire in avvenire!»

Cleto, che Lucebio aveva anche invitato a serbarsi con cura lo scritto del padre stilato sopra la pergamena, da poter esibire un domani come pezza giustificativa del suo operato che egli riteneva irragionevole e rischioso, continuò ad ubbidirgli in modo remissivo. Così pure quel nuovo lavoro, che era l'ultimo per il momento, alla fine fu messo in atto dai mandriani nei modi e nei termini precisati dalla volontà del padroncino.

A quel punto, Lucebio chiamò a raccolta gli zelanti mandriani e li ringraziò per l'ottimo lavoro svolto. Dopo esserci stato il suo ringraziamento, si affrettò a parlare loro così:

"Ora dovete vigilare al massimo, perché i cavalli non vi sfuggano e non scappino giù per lo stradone. Anche se non c'è il rischio che essi possano superare il terrapieno, però i loro nitriti di certo richiamerebbero l'attenzione di quei Tangali che potrebbero trovarsi in avanscoperta da queste parti. Lo sappiamo benissimo che, se dovesse accorgersi che su questo altopiano ci sono tanti cavalli, l'esercito tangalo sarebbe ben lieto di razziarli. Perciò vi esorto a tenerli il più possibile in mezzo al pianoro. In questo modo terrete anche più al sicuro la vostra vita. Aggiungo che, da oggi e fino a quando l'esercito tangalo non sarà passato da queste parti, quassù non sarà più ammesso accendere fuochi, potendo essi segnalare ai nemici in arrivo la vostra presenza sull'altopiano. Ecco: è quanto intendevo raccomandarvi! Ma restate in attesa degli altri miei ordini, che sono prossimi ad arrivarvi!"

Fatte le sue debite raccomandazioni ai mandriani, Lucebio li salutò cordialmente e si congedò da loro. Pervenne alla casa paterna, quando dappertutto già incominciava ad imbrunire. Il giorno dopo, però, di buonora, Lucebio era già di nuovo sull'altopiano, avendo intenzione di affidare una successiva incombenza al capomandriano. In cuor suo, per la verità, prevedeva che questa volta egli non sarebbe stato affatto d'accordo con essa, anche se non glielo avrebbe fatto intendere in modo manifesto. Così, quando se lo trovò davanti, Lucebio si mise a riferirgli:

«Cleto, è volontà di mio padre che nei prossimi tre giorni ammassiate quante più cataste di fascine possibili e formiate poi, con esse e con le sbarre rimaste, una lunga siepe circolare. Essa dovrà fare da unico grande recinto alle bestie. Tanto non vi manca il cordame per legare le fascine, visto che potete disporre di quello che era servito a tener legate le traverse dei vecchi steccati disfatti! In più, desidero che da tale recinto circolare se ne diparta un altro a forma di imbuto, il quale dovrà essere separato dal primo con delle solide transenne. Quest'ultimo, che all'inizio dovrà essere largo una ventina di metri, via via dovrà poi restringersi opportunamente, fino ad assumere nella sua parte terminale la stessa larghezza dello stradone, nel quale dovrà confluire perfettamente. Perciò mettetevi all'opera, evitando di commentare quanto vi ho appena ordinato! Ciò vi permetterebbe di conservare il posto di lavoro.»

Anche se si era proposto di attenersi pedissequamente a tutti i comandi del figlio del padrone, dentro di sé Cleto non accolse di buon grado l'incarico appena ricevuto. Il suo disaccordo stavolta non era dovuto a qualche motivo valido, che lo facesse opporre al medesimo. Ormai gliene importava ben poco, dopo che la madre aveva garantito che il figlio si atteneva scrupolosamente alle disposizioni paterne. Invece adesso, più che dal suo contenuto lo stesso opinabile in qualche modo, il suo dissenso gli proveniva dal fatto che esso veniva ad oberare ulteriormente i suoi uomini. I quali erano stati già sovraffaticati dalla gigantesca quantità di lavoro dei giorni precedenti, che li aveva stremati fino all'inverosimile! Alla fine, pur temendo che un'altra fatica avrebbe suscitato del malcontento fra di loro, egli non si azzardò a far presente a Lucebio quel suo timore. Perciò gli promise che se ne sarebbe incaricato subito. Solo così, dopo tre giorni di lavoro, i mandriani riuscirono a portare a termine i due recinti di fascine che erano stati loro ordinati, convogliando le numerose mandrie in quello più grande. Naturalmente, nessuno di loro comprendeva il perché di tanti lavori, all'apparenza del tutto illogici e perlopiù insensati!

All'alba del quarto giorno, Lucebio era già nuovamente sull'altopiano, poiché voleva controllare se i lavori erano stati terminati ed effettuati, secondo le disposizioni da lui emesse il giorno precedente. Dopo aver constatato che ogni cosa aveva avuto il suo svolgimento come da lui espresso, se ne ritornò a sbrigare alcune impellenti faccende di casa. Esse erano rimaste trascurate, da quando aveva obbligato il proprio genitore a restare a letto con l'abile marchingegno che conosciamo. Il quale, in un certo senso, aveva richiesto anche la collaborazione indiretta dell'ignaro capo del villaggio.


Nel primo pomeriggio di quello stesso giorno, l'esercito tangalico era già a vista d'occhio. Esso era composto da ottantamila fanti e ventimila cavalieri; mentre quello litiosino era formato da quindicimila fanti e cinquemila cavalieri. Quest'ultimo, secondo le previsioni, siccome risultava la quinta parte di quello tangalo, ne sarebbe stato sconfitto senza dubbio alcuno. Ricnos, venuto a sapere dai suoi perlustratori che il suo avversario Kodrun aveva piantato il campo a due miglia di distanza, decise di accamparsi pure lui per un motivo molto valido. Al momento di dare battaglia, egli voleva avere a sua disposizione soldati in piena efficienza psicofisica. Per questo non intendeva assalire i Litiosidi nelle ore notturne, le quali potevano soltanto consigliare un attacco intempestivo e favorevole esclusivamente al nemico. Il capo tangalo invece era persuaso che sarebbe stato imprudente, oltre che da inesperto, intraprendere un'azione bellica di notte in un luogo che era ben noto ai suoi nemici e del tutto sconosciuto ai suoi soldati. Inoltre, data la superiorità numerica dell'esercito al suo comando, esso aveva soltanto da guadagnarci da una battaglia campale diurna.

Quindi, Ricnos rimandò lo scontro al giorno seguente, di preciso all’ora di mezzogiorno. Così avrebbe evitato ogni insidia di Kodrun, che stimava un rivale piuttosto scaltro, per avere già sconfitto suo padre anni addietro. Egli, invece, lo avrebbe schiacciato come si faceva con le cimici, distruggendo subito dopo anche il suo villaggio. Alla luce dei ragguagli presentati dai suoi tre esploratori sulle diverse zone circostanti, il capo tangalo ritenne opportuno collocare il proprio accampamento ai piedi dell'altopiano di Chiorro. Per l’esattezza, stabilì di farlo accampare proprio davanti allo stradone che portava su. Il quale, com’era stato appurato, ad una certa altezza si presentava sbarrato da un costone impervio ed inaccessibile. Perciò, secondo lui, almeno da quel lato, egli non avrebbe dovuto temere nessuna sorpresa da parte Litiosidi!

Sull'altopiano, nel frattempo, i mandriani erano divenuti trepidanti, apparendo in preda ad una grande agitazione, specialmente dopo che avevano appreso che i Tangali si erano accampati proprio ai piedi del loro altopiano. Essi si immaginavano già il terribile volto della morte, che andava a visitarli; perciò, come se fossero degli autentici bambini, ne provavano un immenso spavento. Non la stessa cosa si poteva dire di Lucebio, che era ritornato da poco in mezzo a loro. Egli, ripensando a come le cose si erano messe bene e totalmente a favore dei suoi celati disegni, si mostrava con un animo pervaso di insolita giocondità. Essendosi poi accorto della paura che soggiogava i cinquanta dipendenti del padre, il figlio di Chiorro intervenne a rivolgere loro il seguente sermone:

"Non immaginavo che in voi si annidasse tanta pusillanimità, mandriani. Eppure so che un tempo avete combattuto con onore nell'esercito di Kodrun! Trovandovi così cambiati in peggio, il grande stratega non vi riconoscerebbe più e si vergognerebbe di voi. Ma che cosa vi incute un terrore così grande nell'animo, che quasi vi sprizza dagli occhi? Forse la morte? Invece essa non dovrebbe spaventarvi in questo modo; al contrario, dovreste affrontarla a viso aperto, soprattutto in questi momenti difficili! Se saremo costretti a difenderci, lo faremo con ardimento e con tutte le nostre forze, affinché nessuno tra i nostri amici e conoscenti abbia a darci del codardo! Come sapete, è quanto già si stanno preparando a fare Kodrun e i suoi soldati. Indomiti e sprezzanti di ogni pericolo, essi sono pronti a sacrificarsi, pur di non consentire all'aggressore tangalico di calpestare impunemente il loro patrio suolo e pur di non far correre alcun pericolo ai loro familiari. Il pensiero della Patria oltraggiata, al posto del timore, susciti in voi il rancore per il nemico e il fermo proposito di farlo pentire della sua tracotanza senza limiti! Vi do assicurazione che esclusivamente in questo modo ritornerete ad essere dei veri uomini, onorati e riveriti da tutti i Litiosidi!"

Le parole del giovinetto, il quale mostrava ancora due guance rosee e quasi glabre, a causa della sua età ancora immatura, indussero quegli uomini adulti a provare vergogna di sé stessi e a farsi della morte una diversa opinione, quella che non li spaventava più. Per questo motivo, essi stabilirono di non temerla come vilmente stavano facendo fino a quel momento, ma di affrontala con coraggio e con animosità. Dopo il suo discorso fatto agli uomini del padre, il quale era riuscito a trasformarli in meglio, Lucebio chiamò in disparte il capomandriano e gli spiegò con animo sereno:

«A questo punto, Cleto, mi restano ancora da darti gli ultimi due ordini, la cui esecuzione è prevista verso la mezzanotte. Spero che tu non voglia opporti ad essi! Il primo riguarda la rimozione del terrapieno, nonché dei vari elementi arborei ed arbustivi che vi sono stati piantati sopra. Come ben sai, mio padre ve lo fece improvvisare più di un mese fa a metà stradone, allo scopo di ingannare i Tangali invasori e far credergli che questo altopiano fosse un luogo tutto bosco impraticabile e mai battuto da anima viva. Il secondo riguarda i cavalli. A un mio segnale, dopo essere stata rimossa la transennatura che li separa, dovrà essere appiccato il fuoco ai due recinti, in modo che le fiamme terrorizzino il più possibile le bestie e le facciano scappare con irruenza giù per lo stradone. Ecco: questi sono i restanti miei ordini! Sono sicuro di essere stato abbastanza chiaro e mi auspico che tu e i tuoi uomini vogliate continuare ad ubbidirmi senza la minima opposizione, se ci tenete a conservare l’attuale impiego. Il quale vi permette di sfamare le vostre famiglie numerose e voi medesimi!»

In verità, già prima di impartirli, Lucebio era convinto che gli uomini del padre avrebbero opposto un reciso diniego ai suoi due ultimi ordini. Il motivo? Ebbene, essi sarebbero stati dell'avviso che la loro esecuzione avrebbe messo a repentaglio la loro incolumità e la loro sopravvivenza. Infatti, il capomandriano, appena il giovinetto ebbe finito di comunicarglieli, prima si infuriò e poi lo aggredì in malo modo, usando tali parole:

«Non ci sono dubbi che la tua sia pura follia, Lucebio! A questo punto, mi sorge anche il sospetto che l'avveduto tuo padre sia stato sempre all'oscuro degli ordini che ci hai dati fino ad oggi e che la stessa pergamena da te attribuitagli non sia autentica, ma opera di una tua mistificazione. Mentre io, ingannato anche dall'atteggiamento corrivo della tua genitrice, la quale è sicuramente tua complice, ci sono cascato come un grullo. Alla faccia della mia fama di tipo difficile ed intransigente! Mi sai dire chi, avendo un briciolo di cervello, penserebbe ad appiccare quassù un falò del genere, il quale avviserebbe immediatamente i Tangali della propria presenza quassù? Essi, come noi sappiamo, adesso sono accampati proprio ai piedi del nostro altopiano.»

«Senza un valido motivo, Cleto, non si permetterebbe precisamente nessuno!» gli rispose Lucebio «Ma, nel nostro caso, fare ciò che vi ho ordinato non corrisponde a pura follia. Per questo è vostro dovere ubbidirmi alla cieca, siccome la vostra ubbidienza risulterà unicamente un bene per il nostro villaggio e per tutti i suoi abitanti!»

«Invece, Lucebio, tu non solo desideri che i Tangali ci avvistino, ma vuoi anche sgomberare la strada di ogni impedimento. Così essi potranno raggiungerci il più velocemente possibile e farci la pelle prima del tempo. A mio avviso, i tuoi ordini possono trovare riscontro soltanto in decisioni puramente demenziali. Ma se credi che io sia disposto ad assecondarti ancora, come se avessi perduto totalmente il prezioso lume della ragione, te lo puoi pure scordare, figlio del mio padrone! Inoltre, sono convinto che anche il restante personale dell'insigne tuo genitore, pensandola allo stesso modo mio, non vorrà più offrirti la sua collaborazione. Devi convincertene!»

Stando così le cose, Lucebio prese coscienza che, da quel momento in poi, non avrebbe più ottenuto né ubbidienza né collaborazione da Cleto e dai mandriani suoi subalterni. Ciò, perché il timore della morte li aveva mutati in tenaci oppositori dei suoi ordini. Allora, per mettere in atto la parte finale del suo progetto, era obbligato a ricorrere al capo del villaggio, il quale, avrebbe dovuto mutare le sorti dell'imminente battaglia. Così avrebbe chiesto a lui l'aiuto necessario che gli occorreva in quella circostanza. Per fortuna, Kodrun era accampato con il suo esercito a meno di due miglia dall’accampamento nemico e poteva essere raggiunto in poco tempo. Ammesso che egli ce l'avrebbe fatta a superare la sorveglianza tangalica e ad allontanarsi dall’altopiano senza prima venirne scoperto ed ucciso!