62-I TRE AMICI DENTRO LE MURA DI DORINDA

Raggiunte le maestose mura di Dorinda, Iveonte Francide e Astoride, prima di ogni altra cosa, si preoccuparono di condurre le loro bestie presso un pozzo sorgivo, allo scopo di farle abbeverare. Avendolo trovato nelle vicinanze, evitarono di affaticarsi ulteriormente nel cercarlo altrove. In quel luogo, essi vennero a contatto con alcuni carovanieri, che erano intenti a fare la medesima cosa con i loro animali, rappresentati da cavalli, muli, cammelli e dromedari. Essendo mattino presto, i dintorni si presentavano quasi deserti ed affogati nel sonno. Sparse qua e là, perciò, si scorgevano soltanto parecchie tende a forma di piramide, le quali erano addossate alle mura e facevano avere l'esatta cognizione della loro reale capienza. Esse appartenevano ai ricchi mercanti giunti da altre città dell'Edelcadia, al fine di vendere nella splendida Dorinda le loro preziose mercanzie di vario genere. Quelli che vi dormivano non erano ancora venuti fuori dalle loro tende lussuose. Né lo avrebbero fatto, almeno fino a quando ogni via di accesso alla città fosse continuata a restare sbarrata dalle sue gigantesche porte di bronzo. Nel frattempo, però, essi preferivano lasciarsi ancora soggiogare dal sonno, senza essere disturbati in alcun modo, e ritardare così il loro risveglio.

Intanto che non giungeva l'ora giusta per la loro apertura, le bronzee porte cittadine seguitavano a restare chiuse. In compenso, esse facevano ammirare alle persone mattiniere le loro mirabili incisioni in bassorilievo, le quali raffiguravano dei guerrieri armati di tutto punto, mentre erano dediti ad un'accanita e furiosa battaglia. Quanti si soffermavano ad osservarle potevano rendersi conto che si trattava di figure riprodotte con pregiata arte scultorea. Infatti, dando risalto perfino ai più piccoli particolari, esse presentavano le varie azioni belliche, come se si stessero svolgendo in quel momento sotto i loro occhi. Allora, visto che le porte della città non si decidevano a spalancarsi e a permettere l'accesso alle sue strade a coloro che attendevano fuori, i tre giovani amici pensarono di intrattenersi a conversare con le poche persone che si trovavano presso il pozzo. Ad alcune di loro essi provarono perfino a fare alcune domande sul conto sia della Città Invitta sia del suo sovrano.

Fu Astoride a rivolgersi per primo all'arzillo uomo che gli era al fianco, il quale dimostrava di avere almeno una ottantina d'anni. Inoltre, il vecchio sembrava bendisposto a colloquiare con lui e a rispondere alle sue varie domande. Così il giovane iniziò a chiedergli:

«Ci confermi, brav'uomo, che questa è la famosa città di Dorinda? Io e i miei amici non siamo di queste parti e non vorremmo aver sbagliato strada nel cercare di raggiungerla! Inoltre, devi sapere che è la prima volta che affrontiamo un lungo viaggio! Perciò sei pregato di scusarci, se ci siamo rivolti a te per importunarti con talune nostre domande, le quali potrebbero sembrarti perfino totalmente assurde! Allora ti fa piacere rispondere ad esse, prestandoci un po' del tuo tempo?»

«Non sono contrario alla tua richiesta, giovanotto!» gli rispose il rubicondo vecchietto, mentre gli abbozzava un lieve sorriso «Perciò mi do a rispondere alle tue domande. Ebbene, questa è proprio la bella città di Dorinda. Perciò tu e i tuoi amici potete stare tranquilli perché non avete sbagliato strada! Quanto alle domande, che intendi rivolgermi anche a nome dei tuoi amici, ti confermo che esse non mi recheranno alcuna seccatura; anzi, sono felice che me le facciate. Così potrò scambiare quattro chiacchiere con qualcuno ed ammazzare il tempo, senza lasciarmi sorprendere dalla pesante noia. Adesso, quindi, comincia pure a domandarmi tutto quello che vuoi su qualunque cosa che riguardi la rinomata città. Innanzitutto vi premetto che essa fu fondata dal glorioso suo re Kodrun. Se prima lo ignoravate, adesso siete al corrente che fu lui a farla sorgere in questo posto e a volerla così stupenda che nessun'altra città dell'Edelcadia può paragonarsi ad essa!»

«Invece ne eravamo già a conoscenza, simpatico vecchietto, per averlo già appreso da certi nostri amici. Adesso, dal momento che sei disposto ad accontentarci e non ti dispiace affatto rispondere alle altre nostre domande, perché non ci dici anche chi regna attualmente su Dorinda? In verità, anche i miei amici vorrebbero apprenderlo, essendo curiosi quanto me di ricevere una simile informazione da te. Ma non devi fraintendere la nostra curiosità con quella che è una comune dote prettamente femminile, la quale invece è tutt'altra cosa! Te lo posso anche giurare, se tu non volessi crederci sulla parola!»

«Non preoccuparti, baldo giovanotto, perché, arditi come siete, non oserei mai paragonarvi a delle femminucce pettegole, a causa delle domande che avete cominciato a rivolgermi. Ad ogni modo, rispondendo all'ultima di quelle che mi hai fatto, ti rendo subito noto che sulla città di Dorinda oggigiorno regna il crudele Cotuldo. Egli, se l'avesse, non esiterebbe perfino ad accoppare la madre, pur di estendere ulteriormente i confini del suo regno! Gli appartiene anche la città di Casunna, dove ha istituito un vicereame e vi ha messo a governare il fratello Raco, dopo averlo nominato suo viceré. Ma tu e i tuoi amici chi siete e da dove provenite? Non siete mica suoi parenti, magari alla lontana? Per il mio bene, Matarum non lo voglia!»

«Stai tranquillo, rubizzo e vispo vecchietto, e non impaurirti senza una ragione, poiché non siamo suoi parenti e neppure desideriamo esserlo, dopo quanto ci hai detto di lui!» cercò di rassicurarlo Astoride «A te non dispiacerebbe avere un consanguineo dello stampo del re Cotuldo? Certo che sì! La stessa cosa vale pure per me e i miei compagni. Quindi sbrìgati a dirci ciò che sai intorno a questo sovrano. Mi sa che egli non debba avere la coscienza completamente pulita!»

«Giovanotto, se tu e i tuoi amici pensate del sovrano di Dorinda proprio nel modo che hai detto,» gli rispose risollevato il vecchio «mi sento incoraggiato a dirvi ogni cosa su di lui. Altrimenti me ne sarei ben guardato dal parlarvene, poiché non sono nato ieri: sappilo!»

Poco dopo, prima di iniziare a raccontare tutto ciò che sapeva sul sovrano della città, indicandogli Iveonte e Francide, i quali gli stavano al fianco silenziosi, domandò al suo interlocutore:

«Mi garantisci che anch'essi sono persone dabbene, degne della fiducia che adesso sto riponendo in te? Sai, non vorrei trovarmi in cattive acque, in seguito alle mie confidenze fatte a persone che non conosco!»

«Certo che ti puoi fidare pure di loro due, brav'uomo! Dovresti sapere che le persone oneste non se la fanno con quelle disoneste. Essi mi sono talmente amici, che li considero come se fossero dei miei germani! Inoltre, posso assicurarti che con entrambi mi spartisco il sonno, come si suol dire. Quindi, puoi parlare liberamente del re di Dorinda, senza temere delle brutte sorprese da parte di nessuno!»

Incoraggiato dal giovane Astoride, il quale lo aveva rassicurato che poteva parlare sul conto del sovrano in piena libertà, il vecchio, pur manifestando ancora una certa titubanza, ugualmente si decise a farlo. Così si diede a narrare, in modo compendioso, i fatti che conosceva sulla città di Dorinda e sul suo nuovo monarca. Il quale era malvisto da tutti i Dorindani, per aver spodestato il loro generoso e giusto sovrano.

«Ebbene, come vi ho accennato, il re Cotuldo è un uomo malvagio e privo di scrupoli. Ecco perché commette ogni giorno nefandezze di qualsiasi tipo contro cittadini innocenti. Fino ad oggi, sono molti gli abitanti di Dorinda da lui mandati a marcire ingiustamente nelle sue prigioni. Negli anni passati, egli ebbe la fortuna dalla sua parte, grazie anche all'aiuto militare ottenuto da altri sei sovrani edelcadici. Manovrandoli con menzogne e con sospetti incredibili contro il re Cloronte, il despota se li fece suoi alleati con un unico scopo, ossia quello di convincerli ad assalire proditoriamente la città dorindana. Una volta che ebbero consumato insieme il turpe tradimento e conquistato la città, essi detronizzarono il suo re e lo imprigionarono, come se si fosse trattato di un volgare delinquente! Da allora, nessuno ha mai sentito parlare del legittimo sovrano di Dorinda. Egli, senza esagerazione, veniva stimato il più nobile e il più giusto fra tutti i re dell'Edelcadia, siccome se lo meritava.»

«Vecchietto, come mai i Dorindani in seguito non hanno mai fatto niente contro il re Cotuldo? Invece avrebbero dovuto ribellarsi e liberarsi di lui! Inoltre, vedo che al tempo d'oggi essi continuano a comportarsi vigliaccamente allo stesso modo di prima. Possibile che il legittimo re di Dorinda ha smesso di contare qualcosa per loro?»

«Se ti riferisci al passato, giovanotto, non c'è stata alcuna iniziativa in tal senso, da parte degli abitanti di Dorinda. In questi ultimi tempi, però, qualcosa è iniziato a fermentare tra la popolazione. I Dorindani, alcuni perché sono ancora fedeli al loro ex re, altri perché si sentono angariati da onerosi balzelli dell'attuale despota, gli si mostrano apertamente ostili. Comunque, ci sono anche quelli che tramano nell'ombra contro il feroce tiranno e, di tanto in tanto, si scontrano con i suoi soldati; ma essi hanno sempre la peggio negli scontri. Devo chiarirti che ogni cosa che ti ho riferita su di lui, mi è stata raccontata da alcuni miei conoscenti di questa città, che ho rivisto dopo anni. Infatti, sono venti anni che vado girovagando per la regione edelcadica e solo un mese fa ho rimesso piede nella città fondata dal grandioso re Kodrun. Adesso, però, sono costretto a lasciarvi, giovane amico mio, siccome mi stanno aspettando i miei familiari. Essi, non sapendo dove io mi sia cacciato in questo momento, mi staranno cercando di sicuro. Perciò intendo raggiungerli, prima che essi si preoccupino molto a causa mia!»

Vedendo il vecchio darsela a gambe levate, il Terdibano, in un certo senso, manifestò alcune perplessità sulle affermazioni che aveva fatto sull'attuale sovrano di Dorinda. Perciò volle esporre ai suoi amici qualche dubbio in merito ad esse, perché non si credesse ciecamente al suo interlocutore, potendo egli essere del tutto inaffidabile.

«Amici miei, non so fino a che punto possiamo considerare vero quanto ci ha riferito lo sconosciuto, che ci ha appena lasciati! Può anche darsi che egli apposta ci abbia voluto propinare un mucchio di fandonie. Altrimenti perché dopo si è allontanato in fretta e furia, come se volesse scappare da noi? A un certo punto, mi è sembrato proprio come se qualcuno o qualcosa lo avesse spaventato a morte! Non so riferirvi, però, chi o che cosa gli abbia procurato un grande spavento, amici!»

Allora l'amico Iveonte intervenne a contraddirlo, manifestando alquanta fiducia nel canuto uomo, il quale da poco si era congedato da loro, giustificandolo con le seguenti parole:

«Secondo me, ti stai sbagliando, Astoride. Egli è pur sempre un vecchio e si sa che le persone di una certa età non mentono! Mi sai dire perché mai egli avrebbe dovuto spacciarci delle frottole? Se a un certo momento lo abbiamo visto sgattaiolare repentinamente, secondo me, può esserci una sola spiegazione. Il poveretto, non fidandosi più di noi alla stessa maniera di prima, ha temuto che saremmo andati a rapportare al re Cotuldo le cose che egli ci aveva dichiarato. Un fatto del genere avrebbe indotto il tiranno ad infuriarsi così tanto, da istigarlo ad agire duramente contro di lui. Non rammenti che pure Luta, la vedova di Tio, ci ha fatto già degli accenni alle disgrazie di Dorinda e del suo re Cloronte? Ella, avendo abbandonato la città alcuni anni prima insieme con i suoi due figli, non ha saputo dirci nient'altro in merito, non essendo aggiornata sui recenti avvenimenti che si erano avuti in questa città.»

«Anch'io, Astoride, trovo giuste le considerazioni fatte da Iveonte.» Francide si accodò all'amico fraterno «A lui, perciò, adesso chiedo cosa ci converrà fare per giungere alla verità e discolpare l'onestuomo dalle tue accuse che, ad esserti sincero, trovo troppo esagerate. Sono certo che il tempo ci svelerà che il vecchio ci ha riferito solamente cose vere!»

«Francide,» aggiunse Iveonte «sono del parere che bisognerà fare a tutti i costi una visita al re Cotuldo. Soltanto in questo modo ci renderemo conto personalmente sia dell'esatto quadro della situazione dei Dorindani sia del loro sovrano. Quest'ultimo, secondo qualcuno, vi regna con un dispotismo eccessivo. Inoltre, potremo stabilire se è vero o falso ciò che il vecchio ci ha riferito qualche istante fa su di lui! Oramai tra poco Dorinda ci aprirà le sue porte e ci permetterà di valutare con obiettività le parole dell'impaurito vegliardo. Nello stesso tempo, la città ci farà mostra dei suoi sontuosi edifici, i quali sicuramente ci risulteranno magnifici e stupendi, oltre ogni nostra aspettativa!»


A un tratto, mentre ogni cosa era ancora immersa nella calma mattutina, la quale era da definirsi assai pacata, sulla torre più alta di Dorinda, la persona addetta a tale mansione cominciò a dare dei possenti colpi di mazzuolo sullo smisurato gong rotondo, che era sistemato nella guardiola. Esso aveva il diametro di due metri ed era appeso alla sua volta a cupola. Allora le vibrazioni sonore, traendo origine dai colpi distesi dati sul concavo strumento di bronzo, si diffusero per l'intera città addormentata ed echeggiarono fino a cinque miglia di distanza dalla città. In contemporaneità, le massicce porte di Dorinda si spalancarono e cominciarono a far entrare in essa le numerose carovane. Le quali risultavano piene zeppe di merci pregiate, la cui fattura appariva prettamente orientaleggiante. Presso le porte, adesso si scorgeva una calca di gente, la quale era intenta a riversarsi dentro le mura precipitosa, senza astenersi dall'originare una grande confusione e dal fare baruffa.

Ci stava chi urlava disperatamente, non trovandosi più addosso un oggetto personale. Ci stava chi incitava affannosamente il proprio cavallo, il quale, essendo divenuto ombroso a causa del fracasso indiavolato, seguitava ad impennarsi, accrescendo così il baccano tra la folla. Ci stava infine qualcuno che perseverava nel bastonare senza successo il proprio mulo. La bestia, dopo essersi arrestata con il suo carretto, testardamente si rifiutava di spostarsi anche di un solo metro. Fra tutti gli animali presenti, i cammelli e i loro cugini dromedari erano i soli a non dare problemi ai loro conducenti, nonostante si presentassero appesantiti da carichi quasi impossibili. Essi, non lasciandosi intimorire e scomporre da quel chiasso caotico, facevano il loro ingresso in città con la loro solita andatura, la quale appariva composta e fiera. Anzi, se la si inquadrava bene mentre le bestie avanzavano, essa sembrava ondeggiante, quasi volesse imitare una barca che galleggia sulle crespe acque del mare. I tre giovani amici si decisero ad entrare in Dorinda, soltanto dopo che vi si furono riversate le altre persone con le loro bestie e le loro cose. Ma una volta che si furono ritrovati all'interno delle mura della città e vi ebbero fatto appena pochi passi, essi, data una breve sbirciatina ai suoi edifici circostanti, domandarono a un viandante dove si trovava la reggia del re Cotuldo. Dopo averlo appreso da lui, vi si recarono senza perdere un attimo di tempo. Lungo le strade che percorrevano, Iveonte, Francide e Astoride non poterono fare a meno di rendersi conto della realtà cittadina. Le cui caratteristiche si manifestavano agli stupefatti loro occhi differenti e molteplici, a seconda delle diverse componenti sociali. Esse, dove più dove meno, vivacizzavano le numerose strade, fino a rendere ciascuna di loro briosamente colorita.

Nella superba città, concorrevano a comporre il suo stupendo scenario gli artistici e fastosi edifici, le lunghe e spaziose vie, l'ingente brulicare di genti di razze diverse, che indossavano vestiti multicolori. Inoltre, non mancavano altri particolari graziosi, peculiari dei vari modi di vivere e di esprimersi. In ogni strada, si scorgeva un continuo e rumoroso affaccendarsi di attivi ed operosi trafficanti. Essi, contendendosi senza tregua il primato dell'attenzione con i bottegai e i bancarellisti del luogo, non smettevano di agitarsi e di mescolarsi fra di loro. Così facendo, davano origine ad un intenso vibrare di vita gioiosa e al manifestarsi di una gaia atmosfera. Ma volendo essere obiettivi, senza dubbio erano i giocolieri quelli che riuscivano ad attrarre più gente, facendola ammassare numerosa intorno a loro, poiché essi soltanto si mostravano in grado di divertirla a più non posso. Nel medesimo tempo, la liberavano dai suoi pensieri e dai suoi affanni quotidiani, i quali spesso l'annoiavano oppure la travagliavano a non dirsi.

Mentre avanzavano lungo le strade di Dorinda, Iveonte e i suoi amici ne ammiravano le svariate bellezze che incontravano, godendosele e beandosene infinitamente. Presi dall'ammirazione per esse, non si rendevano conto che si andavano avvicinando sempre di più alla reggia. La quale, per tale motivo, finì per presentarsi loro, quando meno se lo aspettavano. Allora, dopo che la ebbero raggiunta, essi si trovarono di fronte ad un palazzo che si presentava favolosamente sontuoso, apparendo ai loro occhi come un'autentica meraviglia vivente. All'esterno, l'intera reggia era circondata da un parco incantevole, dove attecchivano le specie di fiori più sgargianti e profumati che potessero esserci nell'intera regione edelcadica. Essi emanavano degli aromi così acuti, che riuscivano ad espandersi con fragranza in tutte le stanze prospicienti le aiuole fiorite, inebriando gli animi di quanti vi trascorrevano ogni giorno la loro vita spensierata. Ma quanto prima sarebbe stato l'interno della reggia a rivelarsi ai tre giovani qualcosa di gradevole e di affascinante, come non lo era nessun'altra cosa al mondo. Da ogni suo angolo, infatti, gli sarebbero provenute le sorprese più strabilianti ed incantatrici. In virtù delle quali, essi si sarebbero ritrovati avvolti in un alone di stupore estasiante, che non li aveva mai circondati prima.