6-LA DISFATTA DELL'ESERCITO TANGALICO

Quando il preoccupato figlio di Chiorro ridiscese il fianco transitabile dell'altopiano e pervenne all'inizio dello stradone, anche l'ultima traccia di crepuscolo si era dileguata, essendo scomparsa nell'ombra della sera. Fu in quella zona che egli scorse due sagome umane, le quali si muovevano sotto il chiarore lunare. Esse, facendo e rifacendo sempre lo stesso percorso, si davano ad un guardingo andirivieni, che le obbligava ad incrociarsi in continuazione nel suo punto medio. Con molte probabilità, si trattava di sentinelle tangaliche, le quali erano state poste a sorvegliare lo stradone e a prevenire qualche eventuale sorpresa proveniente dalla sommità dell'altopiano. Ma tale sorveglianza, da parte dei sospettosi Tangali, doveva considerarsi soltanto un semplice provvedimento prudenziale, se non proprio una misura cautelativa. Essi, infatti, già si erano accertati della inaccessibilità del rilievo, la quale non faceva giungere alla sua cima, da qualunque lato lo si prendesse in considerazione.

Alla vista dei due Tangali, Lucebio non perdette tempo a convincersi che, se voleva passare per quella parte, doveva prima riuscire a far fuori i due soldati nemici, che erano stati messi lì di guardia. Così non esitò a raccattare con entrambe le mani un sasso non troppo pesante. Poi con quello aggredì alle spalle il Tangalo più vicino, colpendolo all'occipite, facendolo stramazzare al suolo tramortito. Ma il tonfo, che derivò dalla caduta del commilitone svenuto o privo di vita che fosse, all'istante destò l'attenzione dell'altro Tangalo. Egli allora, avendo preso coscienza di ciò che era accaduto al compagno, si propose di reagire senza perdere tempo. Perciò, mulinando con rabbia la sua spada, l'energumeno si scagliò contro l'imberbe adolescente con la chiara intenzione di trafiggerlo a morte, volendo vendicare l'aggressione subita dal compagno d'armi.

Lucebio, alla palese minaccia del soldato nemico, anziché attendere la sua brutale aggressione colma di sete vendicativa, giustamente preferì darsela a gambe levate, ad evitare di correre il temuto pericolo. La sua corsa, quindi, durava da poco tempo, allorché si trovò davanti ad una buia spelonca. A tale occasione propizia, egli vi si introdusse senza pensarci due volte con l'intento di nascondersi nella sua cavità. Il poveretto, pur di sfuggire all'infuriato suo inseguitore che si presentava in carne ed ossa, scelse di andare incontro a mille pericoli di dubbia esistenza. I quali potevano essere puri prodotti della sua immaginazione. Ma, qualche minuto più tardi, anche il Tangalo raggiungeva tutto ansante la medesima caverna. Allora, preso dal forte sospetto che l'adolescente vi si fosse celato all'interno, non esitò ad infilarsi nel buio pesto dell'antro. In verità, essendo esso ampio e tetro, sfumava l'eventualità che lo scaltro Lucebio potesse essere scorto ed agguantato da colui che lo inseguiva. Data la circostanza, la sua furia si mostrava assai imbestialita, probabilmente maggiore di quella di un toro inferocito.

Scrutandosi bene l'interno della spelonca, veniva notato in un suo angolo un soffuso chiarore, il quale era prodotto da un esile raggio di luna. Esso, che proveniva dalla parte soprastante alla fenditura d'ingresso, attraverso una sottile crepa, procedeva di sbieco e andava a posarsi sopra la scabra parete opposta, in un punto che si situava ad un metro da terra. Al tocco dell'argenteo segmento luminoso, la sporgente roccia, anziché mostrare il suo strato grezzo, dava luogo al fenomeno della riflessione. Il quale si manifestava con l'emanazione di un luccichio giallognolo, che faceva pensare più all'oro che a qualche altro elemento. Allora tale fenomeno fisico immediatamente attirò l'attenzione del soldato, il quale decise di studiarlo più da vicino, facendo alla fine una straordinaria scoperta. Essa, colmandolo di gioia, lo indusse ad esclamare: "Questa è una miniera d'oro!" Ma un attimo dopo aver pronunciato la sua frase gioiosa, la sentinella tangala emise un urlo disperato di dolore, il quale risultò essere anche il suo ultimo segno di vita.

A quel grido, Lucebio si convinse che dentro quella spelonca si nascondeva una presunta insidia mortale, forse dovuta ad uno scorpione velenoso, la quale aveva fatto fuori il suo inseguitore. Perciò l'abbandonò sollecitamente per non subire la stessa sorte di lui. Così, dopo esserne venuto fuori ed avere recuperato il proprio cavallo, egli si diresse verso l'accampamento litiosino. Quando vi giunse, si fece ricevere dal figlio di Ursito, con cui si intrattenne una mezzora. Essi, durante tale tempo, ebbero a discorrere su problemi di vitale importanza per il loro villaggio e per i suoi abitanti, che nessuno si sarebbe mai immaginato.

Dopo breve tempo, i pochi soldati, che bivaccavano nelle vicinanze, poterono scorgere Kodrun allegro e soddisfatto come non mai, mentre usciva dalla sua tenda in compagnia dello smilzo giovinetto. Gli stessi notarono pure il caloroso affetto che il loro capo riservò al ben noto ragazzo, al momento del suo commiato. Non sfuggì agli stessi nemmeno il fatto che egli, dopo aver consegnato un plico al suo ospite, ordinò al suo braccio destro di accompagnarlo e di badare a lui, proprio come se fosse stato il figlio Cloronte. Sull'affettuoso e tenero commiato che c'era stato tra il loro capo Kodrun e il figlio dell'allevatore Chiorro, uno di loro desiderò perfino fare una battuta di spirito. Improvvisando una mimica convincente, la quale doveva lasciar credere ai suoi camerati che stesse dicendo sul serio, egli si espresse a tutti loro in questi precisi termini: "A quanto pare, amici, il nostro capo ha il volto della felicità! Scommetto che il glabro Lucebio sarà andato a proporgli di combattere gli invasori tangali al posto nostro! Magari, gli avrà anche esibito delle credenziali che neanche ci sogniamo! Anzi, esse saranno state di prima scelta, a considerare i fatti che si sono svolti sotto i nostri occhi!"

A quelle parole divertenti, i suoi commilitoni proruppero in risate talmente fragorose, che attirarono perfino l'attenzione di Kodrun. Costui, da parte sua, mentre rientrava nella sua tenda, poté solamente compiacersi dell'eccellente stato d'animo che aleggiava tra i suoi soldati. Di conseguenza, anch'egli si rincuorò parecchio e sperò che l'atteso miracolo, quale gli aveva fatto sperare Lucebio, si compisse per davvero. Ma a quale evento miracoloso egli stava pensando? Lo sapremo in seguito.

Dopo che il suo luogotenente Tedo e Lucebio furono partiti, Kodrun ordinò ai suoi soldati di munirsi di scuri e di ammassare quanta più legna possibile. Per fortuna quella notte c'era una biondeggiante luna piena, la quale rischiarava a sufficienza i campi circostanti. Essa, inoltre, permettendo ai soldati litiosini di lavorare con minori difficoltà, li faceva anche sbrigare nel lavoro che gli era stato affidato dal loro capo. Prima, però, aveva dovuto fare eliminare quei soldati tangali che erano stati posti a sorvegliare il loro accampamento.

Sulla strada che conduceva all'altopiano delle mandrie di Chiorro, Lucebio e il suo protettore Tedo si imbatterono in una terna di cavalieri tangali, dai quali furono costretti ad incrociare le spade. Infatti, non appena li ebbero avvistati, due di loro assalirono il prode Tedo e il terzo si avventò contro Lucebio, cercando di assestargli un micidiale fendente. Il Tangalo, però, riuscì solo a scaraventarlo da cavallo, poiché l'adolescente avversario era riuscito a parare in tempo il colpo mortale da lui inferto con violenza. Una volta a terra, senza perdere tempo, il figlio di Chiorro si impossessò di un sasso e con esso colpì la fronte del quadrupede del Tangalo. Al colpo, la bestia si imbizzarrì e, tra frenetiche impennate, fece balzare di sella il suo cavalcatore. Costui allora, avendo avuto spezzato l'osso cervicale nella brutta caduta, finì per spirare in meno di un istante. Il corpo esanime del suo aggressore svelò a Lucebio una terribile verità. Sul petto del Tangalo intravide il medaglione che il buon Chiorro portava sempre appeso al collo, come se fosse un prezioso amuleto. Quella scoperta lo convinse che i tre cavalieri dell'esercito nemico erano di ritorno da qualche depredamento operato in Litios. Con molte probabilità, anch'essi erano stati incaricati dal loro capo di sorvegliare l'accampamento nemico, ad evitare che da esso, in piena notte, si avessero sorprese di qualsiasi tipo. Invece, di propria iniziativa, essi si erano spinti fino al loro villaggio con l'intento di compiervi razzie. invece, come Lucebio notava, in esso c'erano andati di mezzo unicamente i suoi genitori, per due evidenti motivi: primo, tutti gli abitanti di Litios, a parte i suoi genitori, lo avevano evacuato da tempo; secondo, la sua casa era situata in periferia. Se così non fosse stato, il medaglione non si sarebbe trovato al collo del Tangalo, che giaceva al suolo privo di vita.

Tra singhiozzi sommessi, Lucebio, dopo averlo tolto al barbaro assassino, si impossessò dell'amuleto. Esso per l'impagabile genitore aveva sempre avuto un immenso valore affettivo. Infatti, si trattava di un caro oggetto che nella sua famiglia i primogeniti si trasmettevano da varie generazioni, ricevendolo ciascuna da quella che l'aveva preceduta e destinandolo poi al primogenito di turno. Soltanto dopo averlo baciato ed esserselo conservato con devozione, l'afflitto e provato adolescente si rimise in groppa al suo cavallo, in preda ad una grande tristezza. Ma in lui dominava l'ansia di raggiungere l'altopiano insieme con il luogotenente del valoroso capo litiosino. Infatti, anch'egli, nel frattempo, aveva eliminato i suoi due assalitori, colpendoli a morte l'uno dopo l'altro.

Ripreso il cammino alla volta dell'altopiano, essi lo raggiunsero dopo non molto tempo. Quando poi furono tra i mandriani, costoro all'istante riconobbero Tedo e se ne stupirono parecchio, non sapendo dare un significato alla sua presenza tra di loro. Per tutti, comunque, risultava innegabile il fatto che era stato il figlio del loro padrone a condurlo sull'altopiano, anche se non riuscivano a spiegarsene il motivo. Lucebio, dal canto suo, volendo prendersi la rivincita contro il capoccia del padre, siccome egli si era rifiutato di dargli ascolto, corse a consegnargli il plico di Kodrun, facendogli presente in pari tempo:

«Cleto, se credi che anche questa pergamena sia ugualmente opera dei miei maneggi, come hai definito i miei precedenti ordini, in questo caso il valoroso Tedo, che è qui per conferire ad essa una indubbia autenticità e la dovuta rilevanza, dovrebbe convincerti del contrario. A meno che tu, negando l'evidenza, non voglia comportarti da vero folle!»

Il capomandriano, dopo aver letto il plico del capo di Litios, apparve confuso e sconcertato, nonché pentito di aver immeritatamente maltrattato con varie offese l'adolescente Lucebio. Egli si amareggiava ancora di più, nel vedersi fissare dallo sguardo grave e fiero del luogotenente di Kodrun. Costui, stando alla sua palese impressione, sembrava che volesse rimproverargli la scarsa fiducia avuta nei confronti del sagace figlio del proprio padrone. Lucebio, avendo colto il suo stato di intontimento, il quale gli si leggeva benissimo in volto, senza dargli tregua, si diede ad incalzarlo:

«Cleto, non dirmi che sei ancora dell'avviso che i miei ordini hanno fatto parte di un piano cervellotico ed irrazionale, dopo che lo stesso nostro capo li ha riconosciuti degni della massima considerazione! Spero che adesso tu sia rinsavito, se non vuoi mostrarti ridicolmente patetico di fronte a quanti ti stanno osservando in questo momento, condannandoti per l'affronto che hai arrecato e me e alla mia genitrice!»

«Adesso non più, Lucebio, anche se con molta franchezza continuo a non comprenderli.» gli rispose il capomandriano «Ciò che conta è che li ha intesi nel modo giusto il nostro capo Kodrun! Approfitto per chiederti umilmente perdono, a causa dell'ingiusto torto che ti ho fatto; ma soprattutto desidero ricredermi pubblicamente sul conto tuo e di tua madre, avendo mosso anche contro di lei accuse infamanti. Perciò ti prego di commiserare questo ignorante che hai davanti, il quale può soltanto vergognarsi della diffidenza mostrata nei tuoi confronti. Comunque, mi risolleva il pensiero che forse qualcun altro, al posto mio, non avrebbe eseguito neppure uno degli ordini da te impartiti. Ciò mi allevia in parte il dolore e l'angoscia, che in questo istante si danno ad affliggermi e a farmi pentire. A questo punto, però, bando alle chiacchiere e cerchiamo di badare alle sole cose importanti ed utili! Non è forse vero, padroncino, che quei lavoretti, che conosci e che sono sempre in lista di attesa, cercano le persone che li portino al più presto a compimento?»

«Certamente, Cleto: adesso più che mai!» gli rispose prontamente Lucebio «Ti faccio presente che ci occorrerà altresì una grande disponibilità di torce. Se le loro scorte giacenti nel deposito dovessero risultare insufficienti, bisognerà approntarne altre in gran fretta, appunto per averle disponibili qui sull'altopiano tra brevissimo tempo!»

Il capomandriano, dopo aver preso nota con chiarezza dei vari lavori che erano da espletarsi nel più breve tempo possibile, si studiò di predisporli con cura e di farli eseguire in modo ineccepibile dai suoi uomini, durante la loro effettuazione. Da parte loro, i mandriani, lieti di essere utili al loro capo Kodrun e dimenticando ogni stanchezza fisica, si diedero a lavorare di buona lena, fino a quando ogni cosa non fu predisposta, secondo i piani del figlio del loro padrone. Giunta poi la mezzanotte, tutti si adoperarono con accanimento per portare a termine il primo dei due ultimi rilevanti lavori. Si trattava dello sgombero dello stradone da qualsiasi elemento arboreo ed arbustivo che avesse potuto ostacolare e disturbare la rapida discesa delle mandrie dall'altopiano. Per ottenerlo, fu necessaria la rimozione del terrapieno e del suo manto vegetativo, entrambi innalzati in precedenza in via provvisoria.

Un paio di ore più tardi, anche quel lavoro poteva essere considerato concluso dagli indefessi mandriani. In quella circostanza, essi avevano operato con mani di velluto e stando attenti a non fare alcun rumore, ad evitare di destare l'attenzione dei Tangali sottostanti. Anche se poi costoro, a quell'ora della notte, se la dormivano profondamente nel loro accampamento. Alla fine, quando ebbero termine le operazioni di rimozione, ogni mandriano, come da comando ricevuto, si munì di due fiaccole, delle quali una era accesa. Poi andò a sistemarsi presso il rispettivo recinto, occupando l'esatto posto che gli era stato assegnato già la sera prima dal suo capo. A quel punto, tutti quanti attesero l'ordine di dar fuoco ai recinti. Esso, come Kodrun e Lucebio si erano messi d'accordo, sarebbe stato dato durante la notte mediante il segnale convenuto fra le parti. Il quale consisteva in una freccia incendiaria lanciata nel buio cielo da ambo le parti, l'una dopo l'altra.


La snervante attesa di tale ordine durò circa due ore, ossia fino a quando non si vide la prima freccia di fuoco fendere il cielo notturno, la quale proveniva dall'accampamento di Kodrun. Nel medesimo tempo, Lucebio fece scattare contro la tetraggine celeste anche la sua saetta, a cui era stato legato un tizzone ardente. Con quel lancio, egli segnalò a Kodrun che poteva agire e ai mandriani che era giunta l'ora di incendiare le molte cataste di legna che formavano i due recinti. Inoltre, essi dovevano darsi da fare per aizzare i quadrupedi a lanciarsi a valle con furia, perché la loro avanzata risultasse catastrofica al massimo.

A quel punto, sull'altopiano i mandriani con sollecitudine iniziarono ad appiccare il fuoco all'ingente quantità di legna secca dei recinti. Allora essa subito cominciò ad ardere, dando origine a volubili fiamme rossastre e ad incessanti crepitii. Quella notte, c'era anche un moderato vento a dare una mano ai mandriani, siccome esso, alimentandone le voraci fiamme, permetteva al fuoco di espandersi intorno più rapidamente del normale. Inoltre, le lingue di fuoco, che si andavano sprigionando dai brucianti recinti, infusero negli agitati cavalli una forte dose di ombrosità. Solo così essi, a guisa di una valanga irrefrenabile, si diedero ad una pazza corsa e dilagarono per l'ampio stradone. Il quale digradava a valle con moderata pendenza e sfociava nell'accampamento nemico.

I Tangali, che se la dormivano serenamente, sognando magari di essere già i vincitori della battaglia, oltre ad essere dediti a razzie e a saccheggi di ogni sorta, si svegliarono di soprassalto. Lo strepitoso fracasso originato dalla travolgente fiumana delle bestie equine, che si precipitavano a valle con una corsa frenetica e vertiginosa, li sottrasse ai loro beati sogni di vittoria, di devastazioni e di rapine. Anzi, in preda ad un grande panico, si andavano chiedendo cosa fosse mai quel fragore, il quale uguagliava quello di un vulcano in piena attività eruttiva. A loro parere, l'altopiano doveva essere un attivo focolaio di forze endogene, per cui di tanto in tanto si dava a disastrosi fenomeni sismici. Difatti la terra si presentava così scossa in quel luogo, da far credere che si stesse avendo davvero un terremoto! Perfino Ricnos ne rimase sgomento. Venendo rintontito da quell'inspiegabile frastuono, si dimostrava completamente irresoluto sul da farsi. Perciò appariva incapace di prendere una qualsiasi decisione od iniziativa. Solamente quando scorsero una valanga interminabile di cavalli imbizzarriti, i quali venivano giù per lo stradone con una irruzione inaudita, i Tangali si resero conto che non si trattava affatto di un fenomeno naturale; bensì essa era opera probabilmente architettata da senno umano. Ma una tale consapevolezza arrivò loro troppo tardi, cioè quando l'irreparabile gli era ormai addosso e non si poteva più far niente per evitarlo oppure per arginarlo in qualche modo, pur volendo attivarsi in tal senso.

Adesso i cavalli, in grandi schiere ostinate, già si stavano sparpagliando per l'intero accampamento tangalo ed avevano già iniziato a seminarvi uno sfacelo di enormi proporzioni. Non tanto le bestie colpivano in modo catastrofico e micidiale, quanto invece erano le grosse sbarre di legno, che si traevano dietro con impeto, ad arrecare danni non di poco conto. Esse si davano a buttare giù tende, ad accoppare e a mutilare persone, a cospargere ovunque schianti e ad originarvi incendi. Insomma, ogni cosa ed ogni essere all'interno dell'accampamento venivano strapazzati da loro nel modo più distruttivo! Per i malcapitati Tangali, a dire il vero, i guai si moltiplicarono a dismisura, quando i loro cavalli, nella loro opera di devastazione e di strage, si aggregarono a quelli del defunto Chiorro. Allora il loro scombussolato accampamento si trasformò in un orribile crogiolo di spasimi, di urla forsennate e di schianti; ma soprattutto vi predominavano le fiamme e il fumo, che si andavano impadronendo di vaste zone. Tutto veniva causato dalle ripetute ondate di sfacelo da parte dei cavalli, i quali andavano abbattendo le numerose tende, nonché falcidiavano ingenti vite umane. Una marea ciclonica sembrava che avesse investito il campo tangalo, per cui lo teneva imprigionato nelle tumultuose spire di un turbine impetuoso e caotico, il quale non accennava a venir meno.

Logicamente, ciò che risultò più a detrimento dei Tangali fu il fatto che Kodrun, di concerto con Lucebio, nelle precedenti ore notturne aveva fatto accatastare intorno al loro accampamento molta legna. La quale era stata poi data alle fiamme, subito dopo che entrambi si erano dati i segnali stabiliti. Perciò le bestie, nella loro corsa sfrenata, non ardivano scavalcare la siepe di fiamme che circondava l'intero accampamento nemico, come in una grande morsa, sia pure ad una certa distanza da esso. Allora, anziché forzare il blocco di fuoco dei Litiosidi, esse preferivano ogni volta invertire il senso di marcia e ricaricare con maggiore furia l'accampamento tangalo, che ormai si presentava in totale sfascio. In quel modo, esso ebbe a subire parecchie incursioni da parte dei focosi destrieri, restandone alla fine prima devastato e poi radicalmente distrutto. Quanto ai malcapitati invasori, se qualcuno era riuscito a farla franca oppure era rimasto solo ferito nella prima incursione equina, dopo lo si era visto ricevere il colpo di grazia in quelle che erano risultate la seconda e la terza. Altrimenti egli perì nelle altre che erano seguite alle precedenti nella medesima maniera, ossia abbattendo cose o ferendo gravemente altre persone, quando non riusciva ad ammazzarle.

Alle prime luci dell'alba, dopo essersi spenti i pochi fuochi residui, si smorzarono anche gli ultimi fiochi lamenti nell'accampamento tangalo, che adesso suscitava un orrore impressionante. Infatti, la distruzione e la morte gli davano un aspetto incredibilmente raccapricciante. Basti pensare che giacevano al suolo centomila salme e numerose carogne. Le une e le altre venivano rese irriconoscibili dai ripetuti colpi di zoccoli inferti loro dagli scatenati cavalli. I quadrupedi, da parte loro, non avevano voluto risparmiare niente e nessuno nella loro corsa pazzesca, disseminando con essa ogni angolo del loro campo di orrore e di ingenti apporti mortali. Era avvenuto come se il letale soffio della parca si fosse levato sopra quel luogo, esclusivamente allo scopo di estinguervi la vita e di trasformarlo in un cimitero di corpi straziati e maciullati, per cui adesso essi si presentavano lacerati e irriconoscibili.


Al mattino, quando i soldati litiosini si furono resi conto di ciò che era accaduto all'esercito tangalo, si diedero ad incontrollate effusioni di gaudio. Si sentivano quasi risuscitati da una morte che, se non si era manifestata a tutti loro in modo concreto, essi l'avevano senz'altro vissuta psicologicamente. Prima di ogni altra cosa, perciò, si mostravano riconoscenti verso il loro capo Kodrun. Egli, a loro parere, era riuscito ad operare un miracolo talmente eccezionale, che andava ben oltre un'abile strategia militare! Grazie a lui, il soverchiante ed agguerrito esercito nemico, che quel giorno sicuramente li avrebbe travolti e stritolati in massa, invece iniziava ad imputridire davanti ai loro occhi, frammisto a luride carogne di cavalli e di muli. Inoltre, quello straordinario prodigio si era compiuto, senza che fosse stato necessario il sacrificio di un solo Litioside! Tale loro logica constatazione li faceva andare in visibilio ed esultare a non dirsi. Soprattutto li riportava a quella vita, dalla quale la scorsa notte già credevano di essersi congedati in modo definitivo, avendo disperato in anticipo della loro salvezza. Perciò adesso essa faceva nascere in loro il forte desiderio di esprimere la loro gratitudine a colui che era stato il realizzatore di un così magico evento.

Allora Kodrun decise di raccontare la verità ai suoi soldati, rivelando il nome dell'unico artefice dello spaventoso sterminio dei nemici. I quali non rappresentavano più alcun pericolo per gli abitanti di Litios, dopo che la genialità di un adolescente era riuscita ad infliggere agli invasori una punizione esemplare. Ecco il discorso, che egli fece ai suoi uomini:

"Miei coraggiosi soldati, da parte dei Tangali, come potete rendervi conto voi stessi, non abbiamo più nulla da temere. Essi ormai sono stati avvolti dalle tenebre della morte e fanno parte del tempo che è stato. Perciò ci consoli e ci risollevi il pensiero che le nostre famiglie non hanno dovuto subire dai nostri nemici né prepotenze né vessazioni né stupri! Naturalmente è fuori dubbio che questo giorno verrà tramandato ai posteri, essendone degno; invece noi oggi lo festeggeremo come si conviene in occasione di eventi memorabili. Dunque, formeremo un corteo e, tra inni patriottici, ritorneremo a Litios con la bella nuova, anche se non vi troveremo nessuno per le ragioni che conoscete! Prima di incamminarci verso il nostro villaggio, è nostro sacrosanto dovere onorare con le lodi più confacenti al caso colui che è stato il vero artefice della totale disfatta dei Tangali. Il quale, ci tengo a puntualizzare, non sono io, anche se avete immaginato che lo fossi. Egli ce l'ha servita sopra un piatto d'argento e senza neppure permettere di impugnare le armi ad uno solo di noi. Sì, se nella data odierna possiamo ancora ritenerci vivi e il popolo litiosino può ancora contendersi il tempo, il merito va interamente a Lucebio, il geniale figlio di Chiorro, poiché è stato lui l'autore della nostra vittoria. Si inneggi, quindi, al nostro eroe e all'intera sua progenie passata e futura, augurandoci che a Lucebio, come a tutti i suoi discendenti, siano sempre riservati gli onori più grandi e la gloria più duratura!"

Alle esortazioni di Kodrun, nell'accampamento litiosino si levò un coro unanime di somma riconoscenza verso il prodigioso adolescente. Nel contempo, l'esercito l'osannava, lo benediceva e gli tributava onori grandissimi. Le grida dei soldati, che lodavano il loro eroe minorenne, echeggiavano dappertutto e non volevano più smettere, dopo che erano cominciate. Da parte sua, il capo del villaggio, intanto che gli inni patriottici si andavano diffondendo ovunque, preferiva avere Lucebio al suo fianco. Tenendogli appoggiato il braccio destro sulla spalla, si complimentava con lui, per il perspicace ingegno dimostrato in quella gloriosa circostanza. A suo parere, i Litiosidi avrebbero fatto bene a tramandarsi quel giorno da non dimenticare, poiché esso si era guadagnato il diritto di essere celebrato come un grande avvenimento storico.

L'euforica manifestazione di giubilo dei soldati durava da qualche ora e tendeva a protrarsi ancora per molto tempo, allorquando giunsero da Litios dei messaggeri trafelati. Essi, chiamato in disparte il loro capo, iniziarono a parlargli sottovoce e in modo palesemente convulso. Perciò gli astanti, se non potevano udire le loro parole, si rendevano perfettamente conto che il loro contenuto non doveva essere buono e forse rasentava il tragico. Lo confermava il volto di Kodrun, il quale, mentre li ascoltava, era divenuto all'improvviso livido e quasi stravolto. La sua stessa espressione suffragava le loro ipotesi, le quali facevano pensare che a Litios fosse accaduto qualcosa di tremendamente spiacevole. Essi, in verità, non riuscivano a spiegarsi in altro modo i continui cangiamenti che andava assumendo il viso del loro preoccupato capo e che senza dubbio facevano pensare a fatti più luttuosi che rasserenanti.

Che cosa, quindi, poteva essere successo nel loro villaggio di tanto brutto, da indurre Kodrun a reagire con la massima preoccupazione? Non potendo nessuno darsi una risposta almeno probabile, allora un profondo silenzio si andò via via impadronendo dell'intero campo. Esso si comportò simile ad una onda che in uno specchio d'acqua si propaga circolarmente dal centro alla periferia, dopo che vi è stato gettato un corpo solido. Intanto che si diffondeva per il campo, il silenzio si lasciava dietro un ammutolimento generale. Adesso una grande trepidazione e un'attesa spasmodica si leggevano sui volti della totalità dei soldati, poiché essi bramavano conoscere al più presto ciò che i messaggeri stavano comunicando al loro capo, il quale non riusciva a nascondere la propria collera e la propria disperazione, ma le palesava visibilmente.

Dopo che le comunicazioni dei nunzi ebbero avuto termine, fu scorto Kodrun ritornarsene assai turbato presso Lucebio. Quando poi lo ebbe raggiunto, con passi visibilmente indecisi e malfermi, lo abbracciò come se l'adolescente fosse stato il proprio figliolo. Infine, mostrandosi amareggiato nel modo che non lo era mai stato prima, egli si diede a balbettargli le seguenti frasi:

«Ragazzo mio, non avrei mai pensato che il più avente diritto ad essere felice in questo giorno, che è per tutti fausto, dovrà invece assaporare l'amarezza del pianto. Quest'oggi avrei preferito che le forze avverse avessero travolto me, anziché procurare a te il più piccolo rimpianto. Invece la cieca sorte, ahimè, andando ingiustamente contro ogni logica, ha voluto punire colui che se lo meritava di meno fra tutti noi!»

Così dicendo, il capo Kodrun faceva accompagnare le sue commoventi parole da lacrime di profonda costernazione. Ma il giovinetto, essendo già a conoscenza prima di qualunque altra persona del contenuto della luttuosa notizia, non trovò difficoltà alcuna a comprimere dentro di sé il dolore e il pianto. Inoltre, esternando un atteggiamento incredibilmente sereno, si preoccupò invece di risollevare l'afflitto figlio di Ursito dal penoso patema, dandosi a rispondergli in questo modo:

"Mio buon Kodrun, non è forse vero che mi stai annunciando la morte dei miei cari genitori? Credevi che ne fossi all'oscuro? Ebbene, a questo riguardo, sappi che chi li ha assassinati ha anche trovato poco dopo in me il loro vendicatore. A rivelarmi la verità è stato questo medaglione del babbo, che ieri sera ho recuperato, togliendolo dal collo del suo uccisore! Devi sapere che durante l'intera notte ho rimuginato la loro orribile fine con un cuore straziato e con un animo abbattuto. In questo momento, però, tale acerbo dolore è praticamente sbollito in me. Oggi sono invaso unicamente da un inesprimibile senso di vita gaudiosa, il quale trabocca dai cuori di tanti scampati a morte certa! Si sa che ogni guerra, per quanto possa volgersi al meglio, comporta sempre una perdita di vite umane, grande o piccola che sia. Così pure la difesa del patrio suolo ha sempre il suo prezzo, ma quello da noi pagato è stato decisamente irrisorio. Tutti devono essere coscienti che, prima degli affetti familiari, viene l'amore per la Patria, dal quale derivano il rafforzamento e l'inviolabilità agli stessi diritti della famiglia e del singolo individuo! La morte di un nostro parente o dell'intero nostro nucleo familiare, sebbene ci costerni gravemente, non ci trascina nell'avvilente baratro della schiavitù, dove invece ci condurrebbe senza meno la rovina della Patria. Quindi, amico mio Kodrun, cerca di stare tranquillo, poiché oggi l'unico sentimento che ferve in me è la felicità per la Patria salvata. Per questo motivo la perdita di entrambi i miei genitori, pur rappresentando la mia massima sofferenza, in questo giorno solenne non riuscirà ad annebbiarne neppure una minima parte! Te lo garantisco!"

Le parole del giovinetto sorpresero e stupirono moltissimo il maturo capo dei Litiosidi. Egli non riusciva a capacitarsi come in quell'adolescente, il quale mostrava delle guance ancora prive di peluria, allignassero dei sentimenti così nobili. Inoltre, come si rendeva conto, vi erano maturate idee profonde proprie di un uomo adulto e di una persona sommamente saggia. Secondo il suo parere, quella fermezza e quella esemplarità, con le quali il ragazzo elogiava gli intrinseci valori dell'umano spirito, potevano essere attribuite soltanto ad un autentico prodigio, come lo era appunto il nobile e sagace Lucebio! Da quel giorno, Kodrun stravide per il figlio adottivo del defunto Chiorro e il suo affetto verso di lui si rafforzò ulteriormente. Anzi, si poteva affermare che esso accrebbe oltre ogni misura, poiché scorgeva in Lucebio il salvatore di Litios e una mente prodigiosa. In quel momento, però, vedeva in lui, prima di ogni altra cosa, un orfano che si mostrava agli occhi di tutti bisognoso di un focolare domestico, per cui non esitò ad offrirgli il suo. Egli era convinto che avrebbe ricavato più vantaggio la sua famiglia dall'ospite Lucebio che non lui da essa.

Ad evitare malintesi, va fatto presente che il capo di Litios non aveva accolto Lucebio nella sua dimora per interessi o per secondi fini. Invece ve lo aveva ospitato per due particolari ragioni, che per lui risultavano molto importanti: prima, perché adesso lo venerava sommamente; seconda, perché non voleva fargli mancare l'affetto della famiglia, dopo che la dolorosa perdita di entrambi genitori lo aveva privato di ogni valore affettivo. Va chiarito altresì che il capo litiosino, dopo quanto Lucebio era stato capace di fare per parecchie migliaia dei suoi compatrioti, salvandoli da morte certa, si mostrava disposto a sottostare ciecamente ai suoi savi giudizi e ad accettarne incondizionatamente i consigli. Quel suo atteggiamento, improntato senza dubbio a sincera umiltà, nasceva soprattutto dalle ceneri di quello stupido orgoglio e di quella vuota alterigia, che molti uomini superbi si davano ad idolatrare con la più smaliziata spregiudicatezza! Perciò Kodrun era spinto a venerare Lucebio per il fatto che egli poneva in lui la massima fiducia e lo vedeva perfino come un astro splendente, il quale era giunto tra i Litiosidi per mutare il corso della loro storia. Essa, grazie a lui, pur facendosi prevedere ad un certo punto negativa, si sarebbe poi trasformata brillantemente positiva, essendo ora aperta a sviluppi che si annunciavano colmi di ottimismo!

Ma sarebbe stato in seguito proprio così, ossia come il capo litiosino, da casuale preveggente, si immaginava anzitempo? Da parte nostra, non possiamo dargli né torto né ragione, essendo imperscrutabili i destini delle città e dei loro popoli, poiché essi non si rivelano uguali per tutti. In questo caso, ci tocca sperare che, almeno nell'attuale circostanza, ci sia stata una benefica divinità a passare dalle sue parti e ad ispirarlo senza errori. Così gli avrebbe fatto presagire la verità sul futuro della storia del villaggio di Litios e del suo orgoglioso popolo.

A questo punto, possiamo sapere come si erano attuati sia il massacro di uomini e di animali sia lo scompiglio distruttivo di cose, senza che nemmeno un soldato di Kodrun fosse stato costretto a ricorrere alle armi? Quale diavoleria aveva contribuito a fare realizzare l'uno e l'altro evento, senza che l'esercito litiosino vi si impegnasse, non diciamo a fondo, ma almeno in piccola parte? Per renderci conto come si erano svolti i fatti, bisognerà venire a conoscenza del tipo di colloquio che c'era stato la sera precedente tra Kodrun e Lucebio. Come qualche lettore pensa, soltanto in esso si possono rintracciare le cause dell'eccidio di tante migliaia di Tangali e di un cospicuo numero di bestie, oltre che della distruzione di una esorbitante quantità di tende e di masserizie. Per questo ci conviene venire a conoscenza al più presto del contenuto di tale incontro a due, per meglio comprendere i cruenti eccidi che dopo si erano verificati nell'accampamento dei Tangali invasori.


Ebbene, una volta che il giovinetto era stato introdotto nella sua tenda da Tedo, il capo di Litios, scorgendolo, gli si era mostrato con un'aria sorpresa. Ma dopo, volendo approfondire la causa della sua nuova visita imprevista, si era affrettato a domandargli:

«Come mai ti trovi ancora in mia presenza, figlio di Chiorro?! Adesso che cosa sei venuto a pretendere da me? Forse il tuo capriccioso genitore si rifiuta di fare qualcos'altro, che dovrebbe risultargli salutare? Magari non gradisce le medicine che il medico gli ha prescritto? Ma sono più del parere che egli si sia stancato di rimanere a letto, come sarebbe ovvio per un lavoratore indefesso come lui! Lucebio, sbrìgati a motivare la tua nuova venuta presso di me, poiché subito dopo dovrò dedicarmi a cose ben più importanti! Lo sai anche tu che l'esercito tangalo è a un tiro di arco dal mio campo ed io ho da preparare il mio piano strategico per l'imminente conflitto! Allora mi fai questo favore?»

«Illustre Kodrun, stavolta mio padre non c'entra. Egli sta facendo il bravo, come tu gli avevi ordinato. Dovresti vedere come il poveretto se ne sta buono buono rannicchiato nel suo letto! Il tuo ordine è risultato molto efficace; anzi, ha operato un vero miracolo! Devo però confessarti che allora si trattò di una pura menzogna da parte mia, poiché egli non era affatto ammalato, come ti avevo fatto credere. Perciò ti prego di scusarmi, per averti mentito quel giorno!»

«Vorresti asserirmi, Lucebio, che in quella circostanza ciò che venisti a raccontarmi su tuo padre fu soltanto una messinscena, da parte tua? Vorrei sapere a quale scopo. Ma ti rendi conto che allora mi spingesti a prendere l'ingiusto provvedimento che conosci nei confronti di un uomo, il quale, essendo sano, giustamente mi considerò un malato di mente, per avergli inviato un simile ordine? Quindi, se non ti dispiace, vorrei capire a cosa fu dovuta la tua strampalata idea! Spero almeno che lo facesti per delle valide ragioni, se non vuoi costringermi a sculacciarti!»

«Quel giorno, capo Kodrun, se ci tenni a fare rimanere il mio genitore a letto per trenta giorni, un motivo c'era senz'altro! Infatti, soltanto se lui ci fosse restato per il tempo necessario, avrei avuto piena libertà d'azione, della quale avevo un grandissimo bisogno. Altrimenti egli non mi avrebbe permesso di portare a termine il mio geniale disegno, il quale prevedeva grandi cose per il nostro villaggio e per tutta la nostra gente. Se invece mio padre avesse svolto regolarmente la sua attività, stanne certo che non mi avrebbe consentito di realizzare i piani che avevo in mente e che sono stati quasi attuati. Egli avrebbe agito in buona fede, siccome di sicuro li avrebbe ritenuti roba da folle, per la qual cosa non mi avrebbe permesso di realizzarli.»

«Vuoi palesarmi, Lucebio, quali erano i tuoi disegni di allora e se oggi, non avendo avuto tuo padre tra i piedi ad intralciarteli, puoi affermare che sei riuscito ad attuarli? Oppure essi sono rimasti ugualmente inattuati, nonostante i tuoi trucchetti?»

«Mio capo valoroso, intendevo far fuori l'intera armata dei nostri nemici, salvando il nostro villaggio dalla loro minaccia! Fino ad ora ci sono riuscito in gran parte, visto che ci tieni a saperlo. Ma restano ancora gli ultimi ritocchi, i quali, grazie al tuo aiuto, saranno anch'essi completati assai presto. Ti garantisco che, dopo che mi avrai assecondato, i miei piani riscuoteranno un enorme successo a tutto vantaggio dei Litiosidi!»

A quel punto, Kodrun, aveva accantonato per alcuni istanti i gravi pensieri e i seri problemi che gli turbinavano nella mente e gliela frastornavano. Essi gli provenivano dal conflitto che molto presto i Litiosidi avrebbero affrontato contro i Tangali. Così, con la mente libera da ogni fosco pensiero che la circostanza gli infondeva, non aveva perso tempo a domandare al figlio di Chiorro:

«Lucebio, adesso come dovrei aiutarti a rendere concreti i tuoi piani rimasti in sospeso? Non ti è bastato l'avermi spinto a ordinare a tuo padre di mettersi a letto senza un serio motivo? Sono sicuro che, a causa del mio ordine insensato, egli mi diede perfino del farnetico. Ma è meglio che io lasci perdere, per non arrabbiarmi davvero con te! A questo punto, suppongo che sia sorto un nuovo problema che ti impedisce di realizzarli. Spero che non sia assai serio, per il bene del nostro villaggio!»

«Non ti sei sbagliato, sagace capo di Litios! I miei piani in questo momento segnano il passo, a causa di un problema sorto all'ultimo momento. Esso può essere risolto soltanto da te senza alcuna difficoltà. Perciò, se mi asseconderai una seconda volta, daremo ai Tangali una batosta, quale mai hanno subito da molte generazioni! Quindi, sei disposto a concedermi ancora il tuo efficace aiuto o sei contrario? Ma ti avverto che faresti un gran torto alla tua gente, se tu me lo rifiutassi!»

«Mi chiedi di esserti di nuovo solidale, Lucebio, dopo che la prima volta mi hai mentito spudoratamente e mi hai costretto a commettere un autentico abuso nei confronti del tuo genitore? Non posso crederci! Comunque, sentiamo cosa pretenderesti oggi da me, che non mi hai ancora specificato. Scommetto che si tratta di un'altra tua stravaganza, che qualcuno, il quale non è tuo padre, ha voluto negarti!»

«Invece, mio accorto capo, come non fui folle allora così non lo sono neppure adesso. Passo subito a spiegarti ogni cosa. Devi sapere che sull'altopiano di mio padre ci sono cinquemila cavalli, i quali tengono tutti appesa al collo una corda resistente, alla cui estremità si trova legata una sbarra di tre metri. Se essi verranno spinti contro il sottostante accampamento tangalico, si provocherà ad esso un danno catastrofico. Prova ad immaginare le tante sbarre trascinate con veemenza da un numero di cavalli così ingente! Senz'altro esse devasteranno ogni cosa nel campo dei nostri nemici e maciulleranno pure i loro corpi. Alla fine, incendi, rovine e morte finiranno per spadroneggiare tra gli odiosi nostri nemici. Non pare anche a te che accadrà esattamente quanto ti ho detto? Oppure irragionevolmente oseresti asserire il contrario?»

Stavolta le parole di Lucebio avevano attratto il prode Kodrun non più con il solito sorrisetto di svago e di incredulità, ma con particolare interesse. Nella sua mente si erano messi in moto mille pensieri, i quali morivano dalla voglia di crederci ad ogni costo. Da una parte, si era andato stupefacendo della geniale trovata di Lucebio. Dall'altra, aveva pregato il buon Matarum perché facesse risultare il racconto del ragazzo, oltre che lusinghiero, anche del tutto veritiero. Secondo il suo parere, se il figlio del suo ex soldato non stava fantasticando, molto presto i Tangali sarebbero stati per lo meno dimezzati. Ma prima di spingersi più avanti con la sua ansia gioiosa, ad evitare di andare incontro ad una delusione maggiore, egli aveva voluto convincersi che l'adolescente non stava abbacando neppure un poco. Perciò aveva cercato di accertarsi che egli questa volta stesse dicendo cose che risultavano conformi al vero almeno per una buona parte di esse. Così, volendo saggiare meglio i fatti, mostrandosi abbastanza serio, non aveva esitato a chiedergli:

«Mi chiarisci, Lucebio, come avresti fatto a procurarti in poco tempo un numero ragguardevole di corde e di sbarre, le quali, secondo quanto affermi, sarebbero già state aggiustate al collo dei cavalli di tuo padre? Non ti nascondo che io stesso non avrei saputo cavarmela facilmente nel reperirle in qualche posto qualsiasi, in così poco tempo! Quindi, ti invito a spiegami ogni particolare a tale riguardo, se desideri che io ti creda e ti venga incontro, offrendoti ciò di cui vorrai farmi richiesta!»

«Per prima cosa, capo di Litios, ho acquistato le corde dal funaio Escurio, a nome di mio padre; in seguito ho ottenuto le sbarre, facendo smontare dai mandriani gli interi recinti dei cavalli. Come puoi renderti conto, non mi è stato difficile procurarmi le une e le altre, allo scopo di usarle nella realizzazione dei miei disegni!»

«Non posso ammettere nel modo più assoluto, Lucebio, che i mandriani sono stati tanto folli, da ubbidirti senza opporsi ai tuoi ordini! Se non vado errato, essi hanno anche per capoccia un certo Cleto, il quale è un tipo dal carattere ostico. Io lo conosco molto bene, poiché un tempo egli ha militato nel mio esercito. Pensa che, già a quel tempo, era un soggetto niente affatto malleabile e si mostrava sempre pronto ad attaccare brighe con chiunque. A volte, si rivoltava perfino contro la propria ombra! Ecco perché stento a convincermi che proprio lui, il sofistico per eccellenza e il rompiscatole della situazione, ti ha secondato nel tuo progetto, il quale era da considerarsi pazzesco oltre ogni limite! Dunque, mi dici come hai fatto ad ammansirlo e a farti ubbidire da lui?»

«Egli non ha avuto altra scelta, prode Kodrun, dopo che gli ho imposto il seguente aut aut: o faceva quello che gli ordinavo oppure sarebbe stato licenziato su due piedi. Insomma, il poveretto non ha potuto fare altrimenti, proprio allo stesso modo di mio padre, quando gli intimasti di mettersi a letto per un mese senza un valido motivo! Adesso trovi ancora strano un fatto del genere?»

«Certo, Lucebio! Il tuo genitore aveva ubbidito a un mio preciso ordine scritto, anche se era da considerarsi folle. In merito, prendo atto della sua incondizionata fedeltà, la quale gli fa moltissimo onore! Cleto, invece, avrebbe dato retta ad un adolescente come te, nonostante egli gli avesse chiesto di fare cose che erano davvero assurde e, per questo, inaccettabili! Oppure c'è dell'altro sotto, che non mi hai ancora riferito?»

«Infatti, capo Kodrun! Il capomandriano, attenendosi ai miei comandi, inconsapevolmente ha creduto di ubbidire a mio padre. In effetti, egli era all'oscuro dei miei reconditi disegni e della verità e non poteva immaginare che essi partissero da me e non dal mio genitore, che avevo fatto risultare assente da casa, con la connivenza involontaria di mia madre. Ella, che aveva accolto un certo mio suggerimento, era all'oscuro dei miei propositi circa quanto avevo intenzione di fare sull'altopiano!»

«Spiégati meglio, Lucebio, perché a questo punto non mi riesce più di seguirti senza qualche difficoltà. Non hai detto che tuo padre ignorava ogni cosa del tuo piano, dal momento che noi due lo avevamo obbligato a fare l'ammalato? Ti domando, perciò, come faceva Cleto ad essere sicuro che gli ordini che riceveva da te venivano impartiti dal suo padrone, anziché dal figlio? Mi spieghi anche questo particolare, che mi risulta incomprensibile, per non dire assurdo?»

«Come già ti ho fatto presente un attimo fa, illustre capo Kodrun, mio padre non aveva la più pallida idea del progetto che avevo nel cassetto ed intendevo realizzare! Se non fosse stato così, giammai avrei potuto avere carta bianca e mettercela tutta nel fare eseguire dai suoi dipendenti i lavori, dei quali già ti ho parlato precedentemente.»

«Allora come mi giustifichi il fatto che il capomandriano non discuteva i tuoi ordini, ma li eseguiva pedissequamente, come se fosse il tuo genitore a darglieli di persona? È questo il punto che mi risulta oltremodo oscuro, mio caro Lucebio! Perciò vuoi farmelo comprendere tu in maniera più chiara possibile, per favore? Altrimenti mi fai diventare pazzo e mi obblighi a congedarti all'istante, senza più darti ascolto!»

«Esimio Kodrun, prima di venire da te a chiederti di ordinare a mio padre di mettersi a letto, io già ero in possesso di un altro ordine scritto e firmato da lui, con il quale egli imponeva ai suoi mandriani di fare ogni cosa che avrei comandato loro. Naturalmente, egli era ignaro delle mie reali intenzioni! Per ottenerlo, avevo dovuto riferirgli tutta una serie di restrizioni e di atteggiamenti irriguardosi, di cui ero rimasto vittima da parte dei suoi mandriani. Ma si era trattato solo di calunnie che avevo fabbricato sul loro conto, poiché venivo adorato da quei poveretti. Essi in quell'occasione erano stati ingiustamente accusati da me!»

«Ti do atto che ogni tua spiegazione sull'argomento non fa una grinza ed è supportata da elementi concreti, i quali fino adesso si presentano indubbiamente plausibili. Comunque, continuo a chiedermi: Come mai Cleto, dopo i primi ordini ricevuti da te, i quali erano tutt'altro che canonici, non si è insospettito? Al posto suo, prima di ubbidirti ciecamente nell'eseguire determinati lavori, avrei cercato di contattare tuo padre, siccome era questa la cosa più giusta da farsi!»

«Per una ragione molto semplice, egregio Kodrun. Io gli avevo premesso che il mio genitore aveva intrapreso un improvviso viaggio per affari, per cui il suo ritorno ci sarebbe stato soltanto trenta giorni dopo. Se ricordi bene, era questa la durata di tempo che noi due lo avevamo obbligato a restarsene a letto. Oppure te ne sei già dimenticato?»

«Certo che me ne rammento, Lucebio! In presenza di forti sospetti, però, egli poteva sempre inviare qualcuno a casa tua per approfondire meglio la situazione e verificare tutto ciò che non gli quadrava. In questo modo, la verità sarebbe venuta subito a galla!»

«Difatti Cleto, preso dal sospetto, non si è dispensato dal fare una cosa simile, valoroso Kodrun. Dopo appena un paio dei miei ordini di una certa criticità, egli non ha esitato ad inviare dalla mamma Ruppo, il quale è il suo uomo fidato, con l'intento di saperne di più sull'assenza del babbo. Ma soprattutto intendeva accertarsi se effettivamente egli, prima di intraprendere il suo lungo viaggio di affari per Terdiba, mi aveva lasciato delle disposizioni scritte per i suoi mandriani.»

«Allora come è andata a finire la cosa, Lucebio? Suppongo che egli non sia riuscito a parlare con tuo padre e che abbia avuto un incontro soltanto con la tua genitrice. Perciò mi dici cosa ella gli ha risposto in merito e come ha giustificato il tuo operato, il quale non poteva essere più dissennato? Attendo, dunque, con impazienza le risposte a queste altre mie domande!»

«Il mandriano ha potuto accertare e riferire poi a Cleto che quanto da me asserito era tutto vero, avendoglielo confermato mia madre. Ti stupisci di ciò? Naturalmente, anch'io avevo previsto quella mossa del capomandriano ed avevo cercato di porvi il rimedio più idoneo. Avevo consigliato in famiglia di non parlare con nessuno del tuo ordine strambo (scusami l'attributo!) impartito al nostro capofamiglia, ad evitare che nella testa della gente venissero ad aversi degli strani grilli e si facessero in giro i più svariati pettegolezzi. Perciò la cosa migliore era quella di tener nascosta a tutti, perfino al suo personale, la finta malattia del babbo e di giustificare la sua assenza con un viaggio per affari alla città che prima ti ho menzionata. Allora ti hanno finalmente soddisfatto appieno queste altre mie risposte, capo Kodrun? Penso proprio di sì!»

Le delucidazioni fornite da Lucebio, oltre che sbalordire il capo dei Litiosidi, erano pure risultate delle ottime rassicurazioni perché egli non avesse più alcun dubbio su quanto l'adolescente gli aveva fatto presente in quel colloquio. Ma nonostante la sua convinzione, la quale per il momento poteva essere soltanto cauta, volendo sentirsi con l'animo tranquillo fino in fondo, alla fine aveva deciso di chiedergli ulteriormente:

«Figlio di Chiorro, vorresti anche rendermi noto cosa ti aveva indotto a pensare che l'esercito tangalo, durante la sua avanzata, si sarebbe accampato proprio ai piedi del vostro altopiano, ossia davanti all'imbocco dello stradone che conduce sopra di esso? A mio avviso, neppure un bravo indovino sarebbe stato in grado di prevedere un fatto del genere, se lo vuoi sapere! O forse tu ti sei dato pure alla chiaroveggenza, per venirne a conoscenza in tempo utile?»

«Non lo avevo affatto previsto, grande Kodrun. Avevo solo immaginato che esso sarebbe passato sicuramente dalle parti del nostro altopiano, se voleva distruggere il nostro villaggio, come lo stesso Ricnos aveva fatto spargere la voce. Perciò, durante il suo passaggio, mi ero ripromesso di farlo investire dai cinquemila quadrupedi di mio padre, aggiustati come ti ho detto poco fa. Invece, con l'aiuto della provvida fortuna che ha voluto darci una mano, le mie previsioni si sono avverate oltre ogni aspettativa. Infatti, adesso i venti ci sono tutti propizi e le condizioni per noi sono le più ideali per non approfittarne! Abbiamo dalla nostra parte sia le tenebre della notte che il torpore della sonnolenza. Le une e l'altro soggiogheranno i nostri nemici, quando verranno svegliati dal profondo sonno. Direi che tornerà a nostro vantaggio pure il disordinato ammassamento in cui versano i Tangali in questa occasione. Vedrai che l'irruenta valanga dei cavalli di mio padre li travolgerà come se fossero degli autentici fuscelli e farà di loro una strage immane!»

«Ne sono convinto anch'io, Lucebio!» Kodrun era stato obbligato dalle varie circostanze favorevoli a dargli ragione «Perciò sono d'accordo con te che bisogna assolutamente approfittarne. Ma ritornando al nostro discorso, vorrei sapere che cosa, a questo punto, ha smesso di filare dritto nei tuoi disegni, per cui sei venuto di nuovo da me per chiedermi l'aiuto che non conosco ancora? Vuoi rivelarmelo, Lucebio?»

«Cleto e i suoi mandriani, capo Kodrun, si rifiutano categoricamente di eseguire i restanti miei ordini, i quali rappresentano la parte migliore del mio piano! Dunque, per il bene del nostro popolo, dovrai essere tu a farglieli eseguire, intervenendo con la tua autorità! Adesso conosci il motivo della mia seconda venuta da te!»

«Perché mai, Lucebio, gli uomini di tuo padre non vogliono più ubbidirti? Mi domando cosa mai tu abbia potuto ordinare loro di tanto impossibile, per opporsi al tuo nuovo ordine! Eppure essi non ti avevano già negato delle cose, a dir poco, irresponsabili! Allora mi dici come stanno effettivamente i fatti che desidero conoscere?»

«Le mie ultime disposizioni da realizzarsi dopo la mezzanotte sono state le seguenti: lo sgombero dello stradone dal terrapieno, per farlo ritornare ad essere transitabile, e l'incendio dei nuovi recinti, il quale dovrà atterrire i cavalli e spingerli giù a valle contro i nostri nemici. La difficoltà è sorta appunto a causa di tali lavori, poiché essi si rifiutano di eseguirli e hanno dichiarato di non volerne sapere!»

«Ma Cleto e i mandriani a lui subordinati con quale pretesto hanno giustificato il loro risoluto diniego? Per favore, Lucebio, mi vuoi riferire anche questo dettaglio?»

«A loro parere, capo di Litios, una volta dati alle fiamme i recinti, i bagliori dei fuochi attirerebbero l'attenzione dei Tangali. Allora essi prima accorrerebbero sull'altopiano e dopo li ucciderebbero. Come vedi, è una questione più di paura e di autodifesa che non di disubbidienza vera e propria. Ecco perché, nobile Kodrun, sono stato costretto a venire a chiedere il tuo prezioso aiuto, poiché sono certo che tu me lo darai!»

«Adesso comprendo, Lucebio, il rifiuto opposto dai mandriani alle ultime tue richieste. Ma non preoccuparti di ciò, poiché ti aiuterò io a superare l'ostacolo che mi hai fatto presente. Così il tuo problema, anzi il problema di tutti i Litiosidi, sarà definitivamente risolto. Anche se noto che il tuo stratagemma è indubbiamente geniale e che comunque dovrà giungere in porto, però non posso fare a meno di muovergli la seguente obiezione. Dopo aver invaso l'accampamento tangalo, chi ci assicura che in seguito i cavalli non assaliranno anche il nostro campo? In questo caso, non ti pare che ci andremo di mezzo pure noi, al pari dei Tangali? Avevi pensato pure a questo inconveniente per il nostro esercito?»

Al rilievo fatto dal suo interlocutore, Lucebio lì per lì era rimasto un po' perplesso, per cui aveva cercato di trovare al più presto una soluzione al nuovo inatteso problema. Invece poco dopo, come se la sua mente fosse stata improvvisamente illuminata da un lampo di genio, egli aveva esclamato con esultanza al capo litiosino:

«Sia benedetta la tua osservazione, Kodrun, la quale è venuta a schiarirmi meglio le idee. Essa, spingendomi a trovare un rimedio a quello che rappresentava l'unico neo del mio piano, all'istante mi ha fatto porre riparo a quest'altro problema, che tu hai fatto sorgere!»

«Mi riferisci in che modo, mio genio? Voglio sperare che si tratti di un'altra tua luminosa trovata, poiché ne abbiamo un grandissimo bisogno, in questo momento assai difficile per la nostra gente! Allora mettimi subito al corrente di cosa si tratta!»

«Quanto hai osservato, eroico Kodrun, mi ha fatto ideare ciò che adesso passo ad esporti con chiarezza. Mentre io e i miei uomini baderemo a portare a termine i lavori che sono da compiersi ancora per la buona riuscita del mio piano, tu farai assiepare dai tuoi soldati quanta più legna possibile tutt'intorno all'accampamento tangalo. Essa, una volta data alle fiamme, impedirà ai cavalli di mio padre di allontanarsi e li costringerà ad assaltare più volte gli stessi Tangali. Così i nostri nemici saranno massacrati totalmente, dal primo all'ultimo, e non se ne salverà nemmeno uno! La cosa non potrà andare diversamente!»

«Questa, ragazzo, è senz'altro un'altra tua brillante idea, la quale ci voleva proprio per il nostro bene!» Kodrun aveva allora esultato ebbro di gioia «Le cose, per tale motivo, abbiano lo svolgimento esatto che tu hai suggerito, mio caro Lucebio!»

Detto ciò, il capo di Litios aveva stilato sopra una pergamena il seguente messaggio: "Mandriani di Chiorro, siete da me precettati ad eseguire ciecamente gli ordini del figlio Lucebio, offrendogli la piena disponibilità a collaborare con lui. Chiunque oserà contestarli, sarà processato alla stessa stregua di un disertore! Invio con lui il mio intrepido luogotenente, di modo che la sua presenza conferisca al giovinetto la massima autorevolezza. Un cordiale saluto dal vostro capo Kodrun!"

Pochi istanti dopo, chiamato presso di sé il suo braccio destro, gli si era espresso con queste parole:

«Mio prode Tedo, accompagna l'adolescente Lucebio presso i mandriani del padre, dove farai in modo che tutti i suoi ordini vengano eseguiti da loro, senza discussione e con il massimo scrupolo. Mi raccomando, lungo il percorso che conduce all'altopiano, vigila con grande cura che non gli accada niente di brutto. Sì, proteggilo come se fosse il mio Cloronte, poiché adesso lo considero come un altro mio figlio!»

«Sarà fatto senza meno, mio illustre capo!» gli aveva risposto il suo subalterno, prendendo sotto la sua protezione il giovinetto.

Kodrun, prima di congedare il suo protetto, gli aveva rammentato:

«Dunque, Lucebio, come ci siamo accordati, una mia freccia incendiaria vi segnalerà che quaggiù la nostra opera è stata ultimata e che voi potete procedere all'incendio dei recinti e all'incitamento dei cavalli a lanciarsi per lo stradone. Prima di ordinare ai miei soldati di dar fuoco alla legna ammassata intorno all'accampamento nemico, anch'io attenderò di scorgere nel cielo la tua freccia di conferma. In tal modo, entrambe le nostre azioni procederanno di pari passo e alla grande!»

Il resto della vicenda, che riguarda lo stratagemma di Lucebio e i risultati da esso conseguiti, ci è noto. Ogni suo particolare è stato da noi seguito con una certa apprensione all'inizio e con una grande soddisfazione alla fine. Per questo ora possiamo andare avanti nella nostra storia, dalla quale continueranno ad affiorare i numerosi episodi che ne fanno parte. Essi calamiteranno sempre di più il nostro interesse e ci avvinceranno, come nessun altro racconto è riuscito mai ad interessare il lettore.