58-CON LA MORTE DEL RE KODRUN, TRAMONTA IL PRESTIGIO DI TIO

Terminate le gare, il re Kodrun senza indugio aveva voluto conoscere l'ormai famoso Tio per congratularsi con lui il campione per le ottime prestazioni fornite nelle quattro gare da lui disputate. Dopo aver fatto la conoscenza dello straordinario giovane ed essersi complimentato con il campione per le sue eccellenti prestazioni, egli aveva iniziato a stimarlo più di tutti i dignitari di corte, anteponendo a lui il solo amico Lucebio. La sua stima era stata totale per lo sconosciuto giovane, il quale era apparso agli occhi dei Dorindani una vera rivelazione nel campo delle armi e della lotta libera. Perciò, già tre giorni dopo che c'erano state le gare del circo, egli gli aveva affidato la sovrintendenza alla gendarmeria di corte. Inoltre, gli aveva conferito l'incarico di aprire una scuola d'armi presso la caserma della reggia e di prepararvi degli ottimi maestri in materia. Tra le altre cose, il valente Tio avrebbe dovuto impartire lezioni di scherma a quanti appartenevano alla casa reale, a cominciare dalle persone a lui più care, ossia da Lucebio e dal figlio Cloronte.

Nel quarto giorno, però, come aveva promesso al suo caro pupillo, il sovrano di Dorinda si era dato ad interessarsi personalmente del caso riguardante Tedo, essendo intenzionato a scoprire la verità su ciò che era accaduto presso la sua scuderia. Egli non intendeva che restassero impunite la rappresaglia subita dal suo luogotenente e l'uccisione dei suoi cavalli da corsa. A suo parere, la persona, che aveva tramato contro il prestigio della regina, non doveva sfuggire alla sua giustizia; invece andava condannata per i suoi gravi reati. Di chiunque si fosse trattato! A tale scopo, si era fatto indicare dal maestro d'armi di corte, che adesso era Tio, il palazzo in cui aveva visto rifugiarsi l'uomo che nella scuderia era riuscito a sottrarsi alla sua spada. Allora, con sua sgradita sorpresa, l'edificio, a cui avevano condotto le sue indagini, era risultato quello del fratello. Un fatto del genere, naturalmente, lo aveva assai rammaricato.

In verità, il sagace Lucebio, basandosi sulle ipotesi che aveva formulato al suo sovrano durante lo svolgimento delle gare, aveva già sospettato da chi fosse provenuta l'incursione operata presso le stalle regie, prima ancora che venissero esperiti i vari mezzi legali. Ma si era astenuto dal manifestare il proprio sospetto all'amico sovrano, poiché non se l'era sentita di dargli un dispiacere così grande in anticipo. Perciò aveva atteso che egli scoprisse da sé stesso la verità, come appunto era avvenuto dopo. Quella brutta scoperta, come previsto dal sagace Lucebio, aveva avvelenato la vita del re Kodrun, il quale, a causa di essa, si era fatto venire le caldane. Allora, in preda ad una stizza furibonda, non aveva voluto perdere altro tempo. Così, già in quella stessa giornata, aveva invitato a corte l'unico suo fratello. Quando poi costui gli si era presentato davanti, egli si era dato a parlargli in questo modo:

«Eminto, mi risulta che hai fatto assalire Tedo presso la mia scuderia da uomini senza scrupoli, i quali, per fortuna, adesso sono tutti morti, per essere stati uccisi da Tio. Non bastando ciò, hai anche fatto ammazzare da loro i miei due cavalli migliori, quelli che egli avrebbe dovuto guidare nella gara della corsa delle bighe. Quindi, fratello, cos'hai da dirmi a tua discolpa? Secondo me, ben poco, siccome le prove in mano mia ti inchiodano incontestabilmente!»

«Ignoro quanto mi hai riferito, mio caro fratello! Possibile che io mi sarei macchiato delle enormi colpe, delle quali vengo accusato da parte tua? Vuoi chiarirmi come si è giunti a sospettare della mia onorabile persona, accusandomi di tali gravissimi reati?»

«Tio, il sovrintendente alla gendarmeria di corte, seguendo uno degli uomini che avevano fatto irruzione nella mia scuderia, lo ha visto trovare rifugio nel tuo palazzo. Non credi che ciò possa bastare ad incolparti? Come puoi constatare, le prove a tuo carico sono incontrovertibilmente schiaccianti ed io non posso ignorare un fatto che ti condanna senza che tu possa discolparti! Tu sei al corrente che i miei principi perseguono gli ideali di giustizia e di integrità morale.»

«Non puoi, fratello mio, prendere seriamente le parole di uno sconosciuto, le cui origini si ignorano del tutto. Così pure non può un uomo qualunque venire a raccontarti frottole di questo tipo, specialmente se sono lesive dell'onorabilità del tuo unico germano, e fruire poi anche della tua incondizionata fiducia! Da parte mia, ti garantisco la mia completa estraneità ai reati che mi vengono ingiustamente ascritti. Inoltre, ti faccio presente che il delatore, il quale ti ha riferito quanto mi hai comunicato, deve essere considerato un emerito mentitore. Per questo, se veramente vuoi bene a tuo fratello, punisci chi ha tentato di metterlo in cattiva luce ai tuoi occhi, gettando del fango sulla nostra rispettabile famiglia! Anzi, lo esigo, se vuoi che io continui a considerarti mio leale consanguineo! Questa è la mia risposta, dopo quanto mi hai esposto senza alcun criterio!»

«Mi dispiace, Eminto; ma non posso accogliere la tua richiesta. Per me, Tio non è un uomo qualunque; ma rappresenta una persona di grandissimo valore e di inestimabile pregio. Perciò, come tale, può essere solo un uomo d'onore e non un bugiardo, come tu vorresti dipingerlo. Mi domando a che fine egli avrebbe dovuto avercela con te, se soltanto cinque giorni fa ha messo piede per la prima volta in Dorinda. Ciò dimostra che egli non poteva conoscerti e, di conseguenza, neppure sapere quale fosse la tua abitazione! Inoltre, egli ha seguito il tuo uomo, perché Tedo gli aveva consigliato di farlo e non per sua iniziativa!»

«Se vuoi vedere le cose alla tua maniera, fratello,» Eminto aveva concluso la sua perorazione «ho ragione di credere che risulterà senz'altro vano ogni mio ulteriore sforzo a difendere la mia causa. Allora, siccome mi viene preclusa immotivatamente ogni autodifesa, non mi resta che congedarmi da te, re di Dorinda. Ma già da adesso ti preannuncio che domani mattina avrai mie notizie: te lo assicuro, mio ex fratello!»

Così dicendo, Eminto aveva preso commiato in modo brusco dal suo interlocutore e si era allontanato di corsa, manifestando molta rabbia e borbottando frasi convulse e del tutto incomprensibili.

Il mattino seguente era pervenuta al re Kodrun la triste notizia che il suo unico fratello si era impiccato nella sua scuderia durante la notte. Ve lo avevano trovato morto in quel modo la moglie Clinta e il figlio quattordicenne, il cui nome era Iveonte. In merito a tale circostanza, si vociferava che la donna, davanti al cadavere del marito, si fosse fatto giurare dall'adolescente figlio che egli in avvenire si sarebbe sempre adoperato per danneggiare Tio, essendo stato il responsabile della morte del padre. Allora il figlio non aveva avuto alcuna difficoltà ad assecondare il desiderio materno, siccome egli ignorava come stavano realmente i fatti. Il re Kodrun aveva pianto con infinita costernazione quella che poteva definirsi una morte annunciata, da parte del fratello. Egli, stimandolo un uomo dal carattere debole, non lo considerava colpevole in quella sporca faccenda. Il sovrano di Dorinda era convinto che era stata la moglie Clinta a metterlo in quel brutto guaio e a spingerlo al suicidio. La cognata aveva sempre nutrito una morbosa gelosia verso la sua amata consorte Lurella. Inoltre, era stata sempre arcinota ad ogni cortigiano la negativa influenza della donna sul fratello. Per cui, fin dal giorno del loro matrimonio, il poveretto aveva continuato a dimostrarsi un autentico burattino nelle mani di lei, la quale non aveva mai smesso di intossicargli l'esistenza.

Nei dieci anni che erano seguiti, a corte la posizione di Tio era andata migliorando sempre di più. Specialmente dopo che il suo inestimabile valore di schermitore e di arciere aveva contribuito ad evitare che l'Edelcadia venisse conquistata dai Berieski! Si era trattato di un popolo bellicoso guidato dal leggendario Nurdok, il quale aveva deciso di assoggettare al suo dominio i nove popoli dell'Edelcadia. Nel frattempo la sua Luta aveva compiuto cinque lustri e perciò erano state stabilite le nozze per fine estate. Infatti, si aspettava soltanto che il mercante Aiburno ritornasse dall'ultimo viaggio che aveva intrapreso, come sempre a scopo commerciale. Invece il ritorno del ricco mercante era stato atteso invano. Poiché la sua carovana aveva subito un ennesimo assalto da parte di una banda di predoni, egli aveva perduto la mercanzia, il personale e la sua stessa vita. La qual cosa aveva fatto rinviare di un altro lustro le loro agognate nozze. Trascorsi anche i cinque anni di lutto, essi si erano sposati. Così, in poco tempo, i due felici consorti avevano avuto due bellissimi bambini. Il più piccolo dei quali era nato nello stesso giorno della morte di Kodrun, il magnanimo re di Dorinda.


Il settennio, che era seguito alla morte del re Kodrun, per Tio e la sua famiglia, aveva segnato la fine della fase di ascesa e l'inizio di quella calante. Il figlio Cloronte, salito al trono di Dorinda e succeduto all'insigne suo genitore, aveva voluto cambiare politica nella sua città. Secondo lui, il suo regno, oltre a continuare a fondarsi su sani principi morali, avrebbe dovuto perseguire con ogni mezzo l'ideale di pace e di giustizia. Per questo egli aveva relegato in soffitta la vecchia mania paterna, la quale era quella della supremazia militare di Dorinda sulle altre città edelcadiche. Lucebio, da un lato, aveva condiviso le sane idee innovative del novello re; dall'altro, però, gli aveva espresso il suo parere contrario. Soprattutto si era opposto alla sua idea fissa di volere ridurre in modo rilevante i contingenti effettivi del regno. Il sovrano, addirittura, aveva inteso portarli ad un numero molto al disotto della soglia di difendibilità. Così facendo, egli avrebbe messo a repentaglio le stesse reali possibilità di difesa di Dorinda, in caso di un attacco da parte di un'altra città edelcadica. Inoltre, l'avrebbe messa in difficoltà, nel difendersi dalla dilagante delinquenza, la quale in quel periodo era iniziata ad espandersi dappertutto a macchia d'olio.

Alla fine, anche le scuole d'armi erano state prese di mira dai propositi pacifisti dell'ingenuo figlio del re Kodrun. Perciò egli aveva in mente di porre in atto al più presto la loro definitiva chiusura, contro il parere avverso di Lucebio. Allora l'illustre suo consigliere aveva cercato di fare ragionare il suo sovrano, adducendo vari motivi a difesa delle idee per le quali egli si batteva. A suo avviso, il proporsi di eliminare le tanto preziose scuole d'armi poteva rivelarsi solamente una mossa avventata. Come pure era da giudicarsi un'altra leggerezza il dispensarsi dal disporre in Dorinda neppure di un contingente di armati. Almeno quello, per ragioni di ordine pubblico, doveva essere mantenuto in città, anche perché esso sarebbe stato necessario per tutelare la sovranità e la sicurezza dello Stato. Altrimenti, chi avrebbe salvaguardato il suo regno sia dalle aggressioni esterne sia da eventuali torbidi interni? In un certo senso, il re Cloronte si era capacitato che le osservazioni del pupillo del suo defunto genitore, il quale era anche suo grande amico, erano giuste. Per cui si era mostrato alquanto perplesso nel dare il via alle sue decisioni già prese. Ma il cugino Iveonte, cioè il figlio del defunto suo zio Eminto, senza alcuna fatica, gli aveva fatto cambiare idea in proposito. Egli aveva avuto sempre un forte ascendente su di lui, fin da quando erano ragazzi. Il parente lo aveva convinto che, se ci teneva seriamente ad attuare il suo piano di pace, avrebbe dovuto decretare la chiusura delle numerose scuole d'armi. Le quali costituivano unicamente delle autentiche fucine di furore guerresco e di odio. Inoltre, sempre secondo lui, il sovrano avrebbe dovuto abolire le forti pene, le quali venivano inflitte a quelli che si macchiavano dei reati più gravi.

A dire il vero, l'unigenito di Eminto, già intimo amico del re Cloronte dalla sua più tenera età, successivamente era divenuto anche il suo secondo consigliere, quasi come Lucebio. Ma egli, al di là di ogni sua fede politica e di ogni suo credo ideologico, in effetti aveva mirato ad uno scopo ben preciso. Mascherando le sue vere intenzioni, aveva sempre agito in malafede nei confronti del cugino re, che ingenuamente non se ne avvedeva. Difatti, ritenendo il valoroso Tio il vero colpevole della morte del povero genitore, come la madre gli aveva fatto credere, aveva seguitato a serbargli rancore fin dalla sua adolescenza. Per esattezza, la sua avversità all'illustre campione d'armi e di arti marziali era iniziata da quando, dietro istigazione materna, il giovinetto aveva giurato a sé stesso che si sarebbe dato finalmente pace, soltanto quando fosse riuscito a gettare sul lastrico l'acerrimo nemico Tio e la sua famiglia.

Ricorreva il settimo anniversario della morte del suo grande protettore, quando Tio, vista la mala parata, si era rivolto al suo amico Lucebio. Egli lo aveva pregato vivamente di intervenire presso il re Cloronte, al fine di convincerlo a recedere da quanto stava per attuare su consiglio del cugino. A suo parere, l'atteggiamento di quest'ultimo, non era dovuto a nessuna sua convinzione politica, come lasciava credere al suo sovrano. Invece scaturiva dall'odio implacabile che nutriva verso di lui, fino a togliergli il saluto. Quel suo comportamento metteva in evidenza la sua intenzione di vendicarsi del prestigioso Tio e dare così sfogo alla vecchia ruggine che gli aveva sempre dimostrata. La quale durava dal giorno in cui il suo sventurato genitore si era impiccato nella sua scuderia, non avendo retto alla vergogna che gli aveva procurato il suo illecito agire contro il fratello re. Egli si era comportato in quel modo, pur di contentare la moglie, che lo trattava come un autentico burattino.

Pochi giorni dopo, Tio e Luta avevano perfino invitato il buon Lucebio ad una gita in campagna. Per loro due, egli rappresentava l'uomo che, più di ogni altro, aveva donato il proprio amore ed aveva prodigato le proprie ricchezze alla città di Dorinda. Per questo un tempo aveva goduto il maggior favore del re Kodrun ed ora godeva anche quello del figlio re Cloronte. Quell'invito gli era stato rivolto dalla coppia di coniugi, allo scopo di essere ragguagliati sulle recenti decisioni prese dal re Cloronte e per sapere se il suo interessamento fosse riuscito a dare qualche frutto. Nel caso di un insuccesso, i due coniugi volevano essere messi al corrente se egli fosse riuscito almeno a fare aprire qualche spiraglio di un diverso tipo di speranza dentro di loro. Allora, in mezzo all'amenità dei campi, mentre Luta era intenta a fare svagare le sue piccole creature, Lucebio aveva esposto a Tio i fatti salienti di corte, quelli che avevano caratterizzato la giornata precedente. Perciò, senza perdersi in chiacchiere inutili e venendo subito al sodo, egli si era messo a fare il seguente discorso al carissimo amico:

"Tio, fratello mio caro, sono spiacente di annunciarti che è stato assolutamente vano ogni mio tentativo di convincere il re Cloronte a ripensarci, circa gli obiettivi formulati nel suo nuovo programma politico, poiché egli è rimasto fermo, anzi direi irremovibile, sulle decisioni da lui prese. Per altro, essi erano già stati annunciati e dati per scontati da tempo. Così ieri ha pure ratificato i due principali di essi. Perciò, a partire da tale data, sono state abolite ogni pena corporale e quella di morte. Invece, con provvedimento odierno, oltre ad essere chiuse tutte le scuole d'armi statali, è in vigore il divieto di aprirle anche privatamente. Inoltre, saranno licenziati i tre quarti degli effettivi dell'attuale esercito dorindano. Il motivo del mio fallimento non è stato tanto avere avuto dalla parte opposta un tenace oppositore, quale si è dimostrato il cugino Iveonte, al quale forse sarei anche riuscito a dare scacco matto. Ma è stato il fatto di avere avuto contro un re Cloronte che, indipendentemente dalle pressioni del caro consanguineo, è andato sempre coltivando quelle sue imprudenti idee pacifiste.

Devi sapere che anche il suocero Nurdok l'anno scorso non ebbe a nascondergli il proprio disappunto, nell'apprendere quelle sue ingenue idee politiche, le quali non si reggevano né in cielo né in terra. Anch'egli, però, non ebbe successo sul caparbio genero, che non volle ascoltarlo. Comunque, se non siamo riusciti ad ottenere quello che noi due ci proponevamo, ciò non vuol dire che per te e la tua famiglia tutto è perduto, considerato il fatto che il tuo prestigio resta sempre alto in Dorinda, come nell'intera Edelcadia! Si sa che la tua bravura non è limitata al solo campo delle armi e a quello delle arti marziali; essa sconfina anche nel campo umanistico e letterario. Ciò mi lascia sperare che non mi sarà difficile invogliare il re Cloronte ad assegnarti un altro onorevole incarico, degno della tua benemerita persona. Ti suggerisco di partecipare domani alla battuta di caccia, che è stata indetta dal sovrano. Così ne approfitteremo per parlargli della tua situazione poco felice e lo pregheremo di venirti incontro, assegnandoti un incarico diverso."

In quella circostanza, era avvenuto anche che Kuercos aveva tentato di violentare la moglie Luta. Ma Tio, essendo intervenuto in sua difesa con tempestività, lo aveva ferito ad una gamba. Dopo lo aveva legato e consegnato ai gendarmi di Dorinda. Comunque, la fortuna aveva arriso al predone, poiché egli aveva evitato la pena di morte, grazie al re Cloronte, il quale l'aveva abolita il giorno prima nel suo regno. Invece non altrettanto fortunato sarebbe stato il giorno dopo per il suo catturatore, incorrendo egli in una brutta disgrazia. L'indomani, infatti, durante la partita di caccia, era accaduto che Tio, per uno scherzo del destino, aveva colpito a morte proprio colui che l'odiava per i motivi che conosciamo abbastanza bene. Accidentalmente il poveretto gli aveva trapassato il collo con una saetta, la quale lo aveva fatto morire in brevissimo tempo. Allora il funesto episodio aveva mandato a monte il loro incontro con il re Cloronte ed aveva fatto svanire la prospettiva di un suo impiego a corte, come educatore dei suoi tre figli. Nulla di certo si era mai appreso su quel delitto, tranne che esso aveva fatto scappare dalla zona il valoroso Tio, facendolo addentrare nella folta foresta. Egli, da quel giorno infausto, come se tale luogo lo avesse inghiottito, non ne era mai più ritornato e nemmeno aveva fatto avere alcuna notizia di sé. Agendo in quel modo, l'uomo aveva lasciato i suoi familiari in grosse difficoltà di tipo affettivo ed economico. Ma anche gli aveva fatto mancare la sua valida difesa, esponendoli senza volerlo ad una probabile vendetta. La quale sarebbe potuta partire da Kuercos, nel caso che costui si fosse messo sulle loro tracce con la chiara intenzione di vendicarsi per via trasversale.