49°-ELOST INIZIA A RACCONTARE AL DIO IVEON LA STORIA DEL SUO POPOLO

Anche se la mia città Salunna vanta vari millenni di storia sul suo pianeta Suliut, la sua sventura risale a mezzo millennio fa, quando erano cinquecento anni che la dinastia della mia famiglia aveva iniziato a governare su di essa. Era stato il mio progenitore Liosor ad aprirla, dopo che quella precedente era rimasta senza eredi. Per un fatto inspiegabile, tutti i membri della vecchia casa reale, a un certo punto, erano stati colpiti dalla sterilità, senza avere più la possibilità di procreare ed assicurare discendenti allo loro morente dinastia. Allora, alla morte dell'ultimo di loro, non essendoci alcun erede che potesse far valere i propri diritti dinastici, il popolo di Salunna volle che fosse il mio illustre avo a prendere lo scettro regale della città. Ciò avvenne, quando il mio antenato era il comandante supremo dell'esercito salunnese. Egli era benvoluto dai suoi concittadini, i quali erano convinti che lo stimato Liosor, come loro sovrano, li avrebbe governati con saggezza e con giustizia. Il mio antenato, ringraziandoli vivamente, si dichiarò disponibile ad accettare il governo della città e diede pure inizio ai preparativi per la propria incoronazione. Così, dopo appena un mese, fu incoronato re dai sacerdoti del tempio, essendo quella la prassi per l'investitura di un sovrano.

A quell'epoca, nella nostra città si adorava da tempo immemorabile la divina Laxen, la quale era la dea del parto. A lei, in qualità di protettrice delle partorienti, era stato dedicato il sacro edificio, che si presentava spazioso e di rara bellezza. La divinità benefica si mostrava generosa verso il nostro popolo, che l'adorava e le si rivolgeva con fervide preghiere, ogni volta che intendeva chiederle benessere e prosperità.

Messi in chiaro questi pochi particolari, dio Iveon, adesso ritorno al mio illustre progenitore Liosor, il quale fu il primo della mia casata a diventare un monarca nella nostra città. Egli, se lo si giudica dal suo retto operato, indubbiamente meritò il titolo regale. Tu stesso te ne persuaderai, dopo che sarò andato avanti con la triste storia del mio sventurato popolo. Non c'è dubbio che ancora oggi l’illustre mio antenato viene ricordato nella nostra città come il più celebrato dei re salunnesi, grazie alla sua condotta integerrima e al suo governo improntato a giustizia. Ma egli vive ancora nella memoria della nostra gente, in special modo perché si offrì in olocausto alle divinità benefiche per cercare con esso di far mutare le cose nella sua città, dopo che le vide cambiare in peggio. Comunque, il suo tentativo, per le ragioni che ti riferirò in seguito, risultò vano e non riscosse il successo che aveva sperato per il bene del suo popolo e della sua città.

Durante il primo decennio del suo regno, a beneficio della sua Salunna, il re Liosor prese alcuni interessanti provvedimenti, quelli che i precedenti sovrani non si erano mai sognati di realizzare neppure lontanamente. Oltre a mettere in cantiere alcune opere mirabili e grandiose da eseguirsi nell'area cittadina, con l'intenzione di eliminare la povertà e la galoppante disoccupazione, mirò a sollevare il suo popolo dal grave stato di degrado etico-sociale, nel quale versava da varie generazioni. Agendo in quel modo, il mio regale ascendente rese la sua città assai splendida e più vivibile; soprattutto si adoperò per tenere ancorato il suo popolo ai sani principi morali e religiosi. Così, per merito suo, Salunna raggiunse i fastigi di uno splendore e di una civiltà che non aveva mai conosciuto prima di allora. Quanto ai suoi abitanti, i quali erano stati riscattati finalmente dalla poltroneria e dall'indigenza, essi si diedero a godersi la loro nuova esistenza, che questa volta poteva considerarsi serena e spensierata sotto ogni aspetto dell’esistenza.

Il nobile sovrano Liosor, essendo molto religioso, volle anche che all'interno del tempio ci fosse una statua della loro dea tutelare. A tale scopo, egli commissionò l'opera marmorea al suo concittadino Elpisio, il quale era considerato un provetto scultore. La statua della dea, una volta ultimata, si presentava nel tempio con una grandezza doppia di quella di una donna normale. Inoltre, poggiava sopra un basamento di marmo circolare alto un metro e cinquanta centimetri. Mentre l'ammiravano, i Salunnesi potevano rendersi conto che essa la rappresentava seduta, con le gambe divaricate e nell'atto di partorire. Perciò mostrava la testa di un putto, il quale le era appena uscita dall'orifizio vaginale. Ella la teneva tra le mani, come se volesse aiutare la restante parte del corpo a venirne fuori. A tale proposito, si vociferava che fosse stata la stessa divinità a suggerire allo scultore Elpisio l'atteggiamento in cui ella desiderava essere scolpita e che avesse perfino posato per l'artista. Alcuni narravano addirittura che, al compimento dell'egregia scultura marmorea, la dea, essendo stata rapita dalla perfezione che la sua statua esprimeva, si era innamorata dell'esperto artefice. Costui, da un pezzo di marmo grezzo, era riuscito a ricavare le sue forme impeccabili. Perciò la divina Laxen, dopo essersi umanata, aveva iniziato ad amarlo con accesa passione e ad avere con lui perfino dei rapporti intimi.

Dall'undicesimo anno in poi, però, per il popolo di Salunna e per il suo re, incominciò ad aversi una inversione di tendenza. Per cui tutto ciò che di positivo era stato conquistato fino allora, a un tratto, iniziò a sfumare sotto gli occhi increduli e sdegnati dei Salunnesi e del loro sovrano. In verità, il susseguirsi degli eventi negativi nella nostra città non era da imputarsi ad una improvvida gestione di governo da parte del re Liosor. Né era dovuta ad una condotta insana della cittadinanza, la cui morigeratezza non era mai venuta meno. Come pure era da escludersi ogni tipo di calamità naturali, poiché nessuna di esse si era messa a tramare contro Salunna senza un minimo di considerazione. Volendo dare una giusta interpretazione a tali disgrazie, bisognava additare una divinità malefica come l'unica vera responsabile di tanti loro mali. Essi, infatti, senza una misura, si diedero a piovere interminabili sul popolo salunnese. Adesso, allo scopo di illustrarteli, passo a raccontarti nel loro ordine di svolgimento i cinque funesti episodi che l'avevano colpita

Il primo di loro già venne a turbare tremendamente la nostra città e la totalità dei suoi abitanti. L'evento negativo ebbe a compiersi nel tempio, nella notte a cavallo tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno. Esso ci fu perché qualcuno o qualcosa, tramando nell'ombra, voleva far dare dal nuovo equinozio il suo tragico saluto a tutti loro, dal primo all’ultimo. Divino Iveon, se vuoi sapere come mai la divinità malefica scelse proprio quel giorno per dare inizio alle sue vessazioni contro il mio popolo, ti accontento subito. Ma prima intendo farti presente che Liosor, l'anno precedente alla sua nomina a re di Salunna, aveva sposato la bella Esilda, dalla quale aveva avuto tre figli, i quali erano nati nei primissimi anni del suo regno. Essi, in ordine di nascita, erano stati la femminuccia Lezia e i due maschietti Fedio e Gisio.

Ora, al fine di ricollegarmi a quanto ti stavo dicendo sull'equinozio d'autunno, ti faccio presente che da oltre un millennio tale giornata veniva consacrata alla nostra dea Laxen. Per questo motivo, fin dal mattino, il popolo di Salunna le dedicava un triduo di preghiere, affinché ella vegliasse sui nascituri che si trovavano nel grembo materno. Inoltre, venivano celebrati dei festeggiamenti solenni in onore della loro divinità prediletta. Durante i quali, i Salunnesi avevano l'opportunità di divertirsi e di mangiare più di quanto non facessero nella restante parte dell'anno. Nei tre giorni di devozione e di festa che si celebravano, il fatto, che assumeva maggiore rilevanza, era un'annosa cerimonia, la quale vedeva sfilare le sole donne gravide di Salunna davanti all'altare della loro dea propiziatrice. Al lento passaggio delle gestanti, che avanzavano una di seguito all'altra, i sacerdoti, indossando dei paramenti sfarzosi, le incensavano con i loro turiboli dorati. Soprattutto intercedevano presso la munifica dea per il benessere delle creaturine, che presto sarebbero nate. Per tale ragione, nel corso della solennità religiosa, tutte le donne incinte e quelle che sospettavano di esserlo avevano la possibilità di ricevere la benedizione della divinità. Ciò, perché la durata della loro gravidanza superava di poco quella del nostro planeriv, che è il tempo impiegato dal nostro pianeta a compiere un'orbita completa intorno alla propria stella Xant. Quanto a quelle donne che andavano incontro a parto prematuro e non ricevevano la benedizione divina, secondo la credenza popolare, per i loro neonati non ci sarebbe stata fortuna. Al contrario, nel futuro essi avrebbero ricevuto solo disgrazie dal loro destino.

Adesso ti parlo di ciò che avvenne in uno di quei remoti equinozi autunnali. Allo spuntare dell'alba, i sacerdoti si condussero nel tempio per dare gli ultimi ritocchi alla funzione religiosa, che ci sarebbe stata l’indomani in mattinata, ma che già era stata preparata la sera prima. Nel suo interno, però, li attendeva una brutta sorpresa imprevista. Osservandola dalla parte posteriore, essi si accorsero all'istante che la statua marmorea della loro dea si presentava mutila, poiché qualche profanatore l'aveva resa acefala. A loro parere, a profanare l'opera scultorea poteva essere stata unicamente l'azione vandalica di qualche scapestrato sacrilego. Perciò, a loro giudizio, il suo grave affronto presto sarebbe stato punito dalla vilipesa dea. Invece i ministri del culto smisero di ragionare in quella maniera, non appena si trovarono ad osservare la parte anteriore della statua tronca, dove qualcosa di immensamente raccapricciante li fece rabbrividire. Anzi, la nuova grande sorpresa li fece rimanere impietriti, poiché il fenomeno, a cui assistevano allibiti, non poteva spiegarsi come uno sfregio umano arrecato alla scultura. Inoltre, era da escludersi nel modo più categorico che fosse stata la dea a dare origine ad esso. In verità, dio Iveon, non mi riferisco alle due amputazioni che conoscerai per prime, bensì a ben altro di inaudito.

Una volta che si furono condotti nella parte anteriore della statua, i sei religiosi scoprirono che anche i suoi arti superiori si presentavano monchi, avendo subito l'amputazione sia delle mani che degli avambracci. Ma, a farli impallidire, non erano state queste nuove ingiurie effettuate sull'opera d'arte di Elpisio; bensì qualcosa, che poteva essere definito esclusivamente di natura soprannaturale. Infatti, dall'orifizio vaginale della dea, non fuoriusciva più la scolpita testa di un bambino, nell'atteggiamento di venire alla luce, essendo stata anch'essa avulsa. Al posto suo, si scorgeva invece il capo ancora in vita dello scultore, il quale veniva considerato l'amante della dea Laxen. Mentre egli se ne restava in tale posizione, il suo volto si mostrava sofferente al massimo. A quella visione innaturale, da parte dei sacerdoti, ci si chiedeva dove fosse finita la rimanente parte del suo corpo, dal momento che non la si poteva scorgere all'esterno della statua. Allora, per come si presentavano le cose, si era costretti a pensare che essa fosse addirittura dentro la statua, pressata nella sua massa marmorea. Un fatto da considerarsi davvero inconcepibile! Di fronte a quell'evento anomalo, essi giustamente si allarmarono a non dirsi. Anzi, decisero di metterne al corrente il loro sovrano, nonostante l'ora fosse inopportuna, poiché avrebbero potuto trovarlo ancora a letto.

A quella notizia, che gli era stata recata da Inkio, il sommo dei sacerdoti, il re Liosor, accompagnato dalla sua scorta personale, volle subito raggiungere il tempio della dea. Egli intendeva accertarsi di persona quanto gli era stato riferito dall'autorevole religioso. Così, una volta nel tempio e davanti alla statua della dea, anch'egli fu dell'idea che il terrificante spettacolo, che adesso poteva scorgere con i propri occhi e che chiaramente si dipingeva di soprannaturale, era da considerarsi opera di una divinità malefica più potente della loro dea tutelare. A differenza dei sacerdoti, però, il sovrano pensò di chiedere spiegazioni di quella situazione assurda a colui che si trovava ad essere la vittima principale di un simile scempio sacrilego. Per questo, dopo essersi avvicinato alla testa dello scultore, cercò di apprendere da lui com'erano andati effettivamente i fatti nella notte appena trascorsa.

«Che cosa è successo stanotte qui nel tempio, Elpisio?» iniziò a domandargli «Sai dirmi chi è stato a mutilare la statua della nostra dea Laxen? Inoltre, tu come ci sei finito nel suo marmo, restandoci adesso dentro fino al collo? Se non hai difficoltà a rispondere a queste mie prime tre domande, ti esorto a farlo. Così dopo saprò come regolarmi e quale iniziativa prendere, in merito ad un simile paradosso incomprensibile!»

All'esortazione del sovrano, il sofferente scultore, pur di accontentarlo come meglio poteva, con voce strozzata si prestò a dargli le tre risposte che egli si attendeva, iniziando a dirgli:

«Mio re Liosor, non è semplice farti un resoconto di ciò che è successo stanotte nel tempio; ma ugualmente ci proverò, essendo cupido di soddisfare le tue richieste. Da certe vociferazioni, che mi è capitato di udire per caso, so per certo che tutti in Salunna erano a conoscenza della mia relazione amorosa con la dea Laxen, la quale mi aveva prescelto come suo dolce amante. Ebbene, ogni volta che desiderava congiungersi con me carnalmente, ella diventava carne ed ossa, cioè si umanava, come potremmo dire noi esseri umani. Per suo volere, ciò avveniva sempre di notte ai piedi della sua statua, poiché la dea non voleva sentire parlare di congiungersi carnalmente con me altrove e in una diversa parte del giorno. Io ho sempre accettato tali sue condizioni, poiché le ritenevo più che legittime, in qualità di mia divina partner.»

«Mica eri un mattoide, Elpisio, per permetterti di contraddirla! Siccome non sono uno squinternato, se fossi stato al posto tuo, mi sarei comportato allo stesso modo tuo! Comunque, anch'io ero venuto a sapere della vostra relazione, al pari di tutti gli altri nostri concittadini, mostrandomi però scettico sul vostro rapporto. Ma ti prego di andare avanti con il tuo racconto, mio egregio scultore, perché non vedo l'ora di conoscere il suo seguito misterioso!»

«Certo che lo farò, mio illustre re, perché desidero che in Salunna ogni cittadino sappia ciò che è successo qui stanotte e la canagliata che è stata compiuta ai danni della nostra dea, da parte di un dio sconosciuto più potente di lei! Ebbene, avendomi la divinità espresso l'ennesimo desiderio di dare sfogo alla sua passione amorosa e avendo ricevuto da me un immediato consenso, noi ci eravamo appartati nel luogo sacro, al fine di consumarvi un nuovo incontro galante. Quindi, ci stavamo già possedendo a vicenda ai piedi della statua e mancava poco perché raggiungessimo l'acme prorompente del piacere, allorché intorno a noi l'aria ha cominciato a scoppiettare tra nuvolette di fumo. Allora quel fenomeno paranormale subito ci ha distratti dal nostro rapporto intimo. Per cui dopo, anziché continuare a possederci carnalmente, abbiamo deciso di spiegarci chi o che cosa lo facesse avverare ai nostri occhi stupefatti.»

«Alla fine, Elpisio, almeno ci siete riusciti a conoscere l'origine dello scoppiettamento aereo oppure ne avete soltanto subìto le conseguenze, senza nemmeno rendervene conto? Ci tengo a sapere anche questo particolare, provetto scultore, se non ti dispiace!»

«Mio sovrano, c'è stata negata l'opportunità di conoscere chi gli aveva dato origine. Anzi, a un certo momento, mi sono ritrovato anche privo della compagnia della mia dea. Perciò, da quell’istante in poi, ho dovuto gestire da solo la situazione, la quale non si lasciava prevedere affatto promettente. Difatti poco dopo, almeno nei miei confronti, l'ho vista trasformarsi in una circostanza agghiacciante. Della dea, invece, non avrei più saputo alcunché, come tuttora continuo ad esserne all'oscuro, identicamente a tutti quanti voi che siete presenti qui nel tempio e che vorreste saperlo senza meno da me.»

«Insomma, Elpisio, la nostra dea si è volatilizzata all'improvviso, senza avvertirti che se ne andava da questo luogo e senza spiegarti il motivo del suo improvviso allontanamento!»

«Esatto, mio re: è avvenuto proprio così! Ora, però, fammiti raccontare ciò che nel tempio è seguito successivamente. A un tratto, l'aria ha smesso di scoppiettare e, nel medesimo tempo, sono cominciati a farsi sentire una miriade di rumori fragorosi e una turba di urla inferocite. I primi, esprimendosi con toni molteplici e con intensità incredibile, assordavano; mentre le seconde schiamazzavano. Queste ultime a volte imitavano dei piagnistei, altre volte si trasformavano in risate sarcastiche. Nel contempo, scorgevo un dimenarsi di lampi, i quali apparivano con varie tonalità di colori. Soprattutto largheggiavano in tinte fosche e bluastre, rendendo il sacro ambiente in un luogo macabro e spaventevole. Esso, perciò, riusciva ad incutere terrore al mio animo turbato.»

«Mi immagino, illustre scultore, il grande spavento, da cui sei stato assalito in un frangente del genere! Perciò giustamente non avrei voluto trovarmi al tuo posto! Ma adesso vai avanti nella descrizione degli eventi che hanno segnato la tua allucinante e diabolica nottataccia. Devi sapere che mi preme apprendere in che modo tu sia finito nel marmo e come abbia fatto a giungere a tale risultato colui che lo ha preteso!»

«Come ti stavo dicendo, mio sire, il tempio ormai era diventato una congerie farraginosa di rumori, di schiamazzi e di lampeggiamenti, i quali non mi davano tregua e mi tartassavano con gli spaventosi fenomeni più inusitati. Sembrava che essi volessero indurmi ad annegare nell'orrida turbolenza dagli indigesti ingredienti, che venivano fatti scatenare nel tempio da una ignota forza oscura. La quale, a quanto pareva, qui dentro aveva preso le redini del comando. Da parte mia, non potevo oppormi a tale forza e fronteggiare da vincitore quella situazione arcana, siccome essa di sicuro veniva originata da una divinità terribilmente potente. All'inverso, il sottoscritto rappresentava un essere umano insignificante e del tutto inetto a competere con tale entità divina.»

«Lo puoi ben dire, Elpisio! Quindi, ti è toccato solo subire l'arroganza della nuova divinità, mentre seguitava a bersagliarti nel modo che mi hai descritto poco fa; ma senza darsi ancora ad infierire fisicamente sul tuo corpo. I fatti però dimostrano che in seguito essa non si è astenuta dal farlo, punendoti come ognuno degli astanti può rendesi conto da vicino. Allora raccontaci come essi si sono svolti, per favore!»

«L'atmosfera nel tempio, re Liosor, si era oramai surriscaldata fino all'inverosimile, per cui non ne potevo più, allorché essa è sfociata in un qualcosa di più orrendo, che ha interessato innanzitutto la statua della dea e subito dopo la mia persona. Prima di ogni cosa, ho visto frantumarsi e polverizzarsi la testa della mia opera scultorea, nonché parte dei suoi arti superiori. Appena un istante dopo, invece, ho assistito anche allo sbriciolamento del capo appartenente al putto. Come sei al corrente, io lo avevo scolpito tra le divine cosce, allo scopo di fargli rappresentare l'esaltante parto della feconda dea. A ogni modo, dopo avere mutilato la statua in quel modo orribile, la ignota divinità è passata ad infierire anche contro il mio corpo in maniera differente.»

«Ecco ciò che voglio aver raccontato da te, Elpisio! Sbrìgati a farlo!»

«All'improvviso, mio illustre sovrano, mi sono visto bistrattare da forze invisibili, le quali seguitavano a strattonarmi e a comprimermi, come se mi trovassi in una morsa. Quando infine la stretta è diventata tale da arrecarmi un male insopportabile in ogni parte del corpo, allora non sono stato più in grado di tollerarla e sono svenuto. Mi hanno svegliato stamani all'alba i lamenti dei sacerdoti, i quali, senza accorgersi ancora del mio stato, oltre a costernarsi per la dea Laxen, condannavano severamente gli autori dell'atto blasfemo.»

«Adesso, però, mio rinomato artista, ho bisogno di sapere da te come avverti la restante parte del tuo corpo, quella che è dentro il marmo. Tu riesci a fartene almeno una idea? A tuo modesto parere, essa continua ad appartenerti o non la senti più in nessuna maniera, come se l'avessi perduta definitivamente? Ecco: delucidami su questo particolare!»

«Mio sovrano, magari potessi non avvertirla! Invece, a causa della scomoda ed immobilizzante posizione, dal collo in giù, mi sento tutte le membra totalmente rattrappite. Le percepisco, come se fossero rimaste incastrate in uno spazio così angusto, da venirne quasi schiacciate. A volte me le sento pungere e pizzicare; altre volte ho la sensazione che dei punteruoli me le trafiggano, arrecandomi dei dolori lancinanti. Ecco come stanno le cose dentro di me ed io non so in che modo cavarmela!»

«Se provassimo a frangere e a stritolare quanto ancora resta della statua, inclito maestro, allo scopo di liberarti dal solido blocco di marmo, sapresti dirmi in quel caso cosa ti succederebbe? Se ho il tuo permesso e i sacerdoti mi assicurano che il mio provvedimento non risulterà un atto empio, darò immediatamente l'ordine di agire in tal senso sulla statua! Allora come ti pronunci in merito al mio pensiero, mio scultore?»

«Anch'io, mio saggio re, ritengo che la miglior cosa sia provare, non essendoci un'altra maniera di liberarmi da questo marmo; però non voglio che si compia un sacrilegio. Piuttosto preferisco continuare a soffrire, anziché far dipendere la mia liberazione da una profanazione, la quale risulterebbe invisa alla nostra divinità! Per questo, se ci sarà il nulla osta dei sacerdoti per la mia estrazione dalla statua, l'artigiano invitato a farlo dovrà stare attento nel maneggiare lo scalpello e il martello, poiché essi devono essere adoperati con la massima cura!»

Una volta che si fu consultato con Inkio, il sommo dei sacerdoti, ed ebbe la sua autorizzazione a procedere, il sovrano di Salunna mandò a chiamare il migliore allievo dello scultore, cioè Scundo, al quale assegnò il delicato incarico. Il giovane, da parte sua, prima di dedicarsi all'opera di scalpellatura sulla statua, volle consultarsi con il suo maestro. Allora egli lo istruì su come condurre meglio il delicato intervento. Invece l'allievo non poté portarlo in porto, poiché sopravvenne un altro fenomeno impressionante. Esso prima atterrì la totalità dei presenti e poi fece venire a ciascuno di loro il voltastomaco. Ma ora te lo faccio conoscere.

Dopo che Scundo ebbe dato la sua prima scalpellata sulla regione addominale della scultura, l'intera statua della dea si ridusse in mille frammenti. Con la frammentazione dell'opera scultorea, però, si ebbe anche il dilagamento dei visceri di Elpisio sul basamento di granito e sul pavimento. Quanto alla testa dello scultore, essa rotolò subito sull'impiantito senza vita. La qual cosa fece ritenere che i suoi vari organi interni, in seno alla massa marmorea, fossero stati privi del proprio corpo contenitore e stessero a diretto contatto con il marmo.

Nessuno degli astanti gradì lo spettacolo nauseabondo, che ne era scaturito. Lo schifarono specialmente coloro che, essendo deboli di stomaco, non tardarono a mettersi a vomitare e ad insozzare l’impiantito. Di fronte ad esso, infatti, i loro volti divennero lividi e cadaverici, intanto che il terrore e la confusione si impossessavano dei loro animi, facendoli naufragare in un pantano di orribili sensazioni. Quando infine da parte di tutti si riuscì a reggere in qualche modo all'orrida situazione, il re Liosor fece arrivare dalla reggia le persone idonee a nettare l'ambiente templare. Così esse lo riportarono al precedente stato di nettezza. Per volontà del loro sovrano, inoltre, le persone incaricate furono attente a tenere separati i frantumi della statua e i resti mortali di Elpisio. In quel modo, a quest'ultimo si poterono rendere le estreme onoranze, oltre che tributargli i dovuti onori, per la sua prestigiosa carriera di scultore.

Il giorno seguente fu anche rimosso il basamento della statua, siccome esso non serviva più al suo scopo e quindi risultava nel tempio soltanto un ingombro. Ma la sfilata delle donne in stato interessante avvenne ugualmente nel sacro edificio, anche se si dovette fare a meno dei previsti festeggiamenti in onore della dea, per i motivi che si possono bene immaginare. Allora quello che sarebbe dovuto essere per l'atterrita popolazione un gaudioso giorno di festeggiamenti si era tramutato in una circostanza di dolore e di mestizia. Difatti i Salunnesi continuarono a piangersi per l'intera giornata la loro benefica divinità, la quale si era dimostrata sempre generosa nei loro confronti.