46-I FIGLI DI TIO NELLE MANI DEI PREDONI DI KUERCOS
Un'ora prima che giungesse la sera, quando nel cielo iniziò a spargersi una stravagante policromia, essa fece anche pensare che ben presto i dintorni si sarebbero immersi in una mesta coltre di ombre. In quel momento, però, il bel colore rosseggiante del tramonto aveva appena cominciato a predominare dappertutto. Ma solo più tardi, quando le cicale avrebbero smesso il loro noioso frinire, un clima di pace si sarebbe diffuso sull'intera natura. Nello stesso tempo, il suo vistoso abito si sarebbe opacizzato attraverso tinte che tendevano a sfumare sempre di più, celandosi infine in un marcato nerofumo. Allora, conoscendo a memoria quel fenomeno di ogni giorno, le pazienti pecorelle non fecero fatica a leggere in tale mutamento naturale l'ora della partenza e del ritorno al loro riposante stabbio. Per questo quelle solitarie si affrettarono a raggiungere il grosso del gregge. Il quale, con ripetuti e prolungati belati, da poco si era dato ad esternare una certa impazienza di godersi al più presto il riposo notturno.
Era ovvio che le pecore non c'erano venute da sole in quel luogo deserto; ma erano stati due giovani pastori a condurcele. Si trattava di due fratelli, i quali potevano considerarsi più mansueti di loro. Essi in quel tardo pomeriggio non si decidevano ancora a prepararsi per il loro ritorno a casa, benché fossero un po' in ritardo. Il motivo? Erano impegnati a discutere su un fatto di cronaca, il quale suscitava nel loro animo molta preoccupazione, oltre che un comprensibile timore. Il più grande dei due si chiamava Zelio ed aveva compiuto da un mese ventotto anni; mentre quello più giovane, di nome Ucleo, aveva un anno meno di lui. Per la precisione, era stato quest'ultimo ad aprire il discorso sull'argomento. Il quale lo faceva impensierire parecchio, poiché trattava di una questione piuttosto seria, oltre che raccapricciante. In quell'istante, egli, sempre in merito ad esso, rivolgendosi al germano, era intento a fargli la seguente considerazione:
«Zelio, speriamo che il buon Matarum ci eviti di imbatterci nei predoni di Kuercos! Se avessimo la disavventura di incontrarli mentre siamo di ritorno a casa, stanne certo che non rivedremmo più la nostra dolce madre, poiché verremmo assaliti ed uccisi da loro! Mi dici come farebbe dopo la mamma a vivere senza di noi? Sono sicuro che ella ne morirebbe di dolore, nell'apprendere la nostra barbara uccisione avvenuta per mano dei predoni assassini!»
«Non temere, Ucleo, perché noi non incontreremo Kuercos sul nostro percorso: né oggi né mai! Nostra madre ha già sofferto abbastanza per la scomparsa del babbo. Per cui le basta già la tremenda sventura, che le ha portato via il marito, a farla soffrire immensamente! Sono convinto che il benigno dio Matarum non sarà così ingiusto, da arrecarle anche un'altra atrocità, quale sarebbe appunto la nostra uccisione. Inoltre, devi sapere che il feroce predone ama fare le sue scorrerie esclusivamente nelle zone che sono attraversate dai ricchi mercanti. Infatti, gli interessano soprattutto gli opulenti mercanti, perché le loro carovane viaggiano colme di merci preziose. Al contrario, noi due non abbiamo né monili d'argento né bracciali d'oro né anelli inzaffirati né diademi ingemmati, perché egli e i suoi uomini si interessino a noi. Tali oggetti preziosi, nel caso che li avessimo avuti, sì che avrebbero potuto spingerli ad assalirci! Per questo non ti devi preoccupare di loro.»
«Hai dimenticato, fratello, che il mandriano incontrato ieri all'abbeveratoio ci ha riferito che il giorno prima, ad appena poche miglia da questo posto, la sua banda aveva assalito tre pastori e si era impadronito del loro gregge, che contava quasi duecento pecore. Secondo lo stesso uomo, solo perché essi gli si erano ribellati, il feroce Kuercos li aveva fatti prima uccidere e poi squartare a metà. Non bastando ciò, il predone aveva anche ordinato ai suoi uomini di appenderli ad un albero. A parere dell'infame predone, uno scempio di quel genere sarebbe stato di monito a quei pastori che erano intenzionati a non cedergli le loro pecore oppure a fare qualche discussione, prima di cedergliele!»
«A mio avviso, sono solo fandonie, Ucleo! Il mandriano, al quale ti sei riferito, non sapeva ciò che diceva. Non ti sei accorto che egli era alquanto alticcio? Infatti, quando parlava, barbugliava le parole. Se poi non lo era, egli se lo sarà inventato per burlarsi di noi, allo scopo di spaventarci! Adesso, però, è tempo di occuparci del nostro gregge, poiché esso si è già radunato autonomamente. Così dopo, senza perdere altro tempo, ce ne ritorneremo dalla nostra mamma. La poveretta è un tipo molto apprensivo e potrebbe incominciare ad impensierirsi, se non ci vede ritornare a casa al solito orario. Oggi ci siamo attardati un po' più del solito, per cui il nostro inconsueto ritardo di sicuro la metterà in ansia e la farà stare sulle spine, fino a quando non l'avremo raggiunta nella nostra abitazione e non l'avremo abbracciata e tranquillizzata!»
Una volta che ebbero rimosso l'ovile ed ebbero anche intrapreso la via di casa, Zelio ed Ucleo procedevano silenziosi per un sentiero, il quale era poco frequentato dall'uomo. Essi, che già abitavano in un luogo remoto e lungi da ogni agglomerato urbano, si spingevano tre miglia ancora più lontano dalla loro casa, dove la presenza umana era difficilmente rintracciabile. Le quali terre erano situate in prossimità di un bosco, che diventava presto foresta, senza che il suo frequentatore neppure se ne accorgesse. A ogni modo, se la coppia di giovani pastori si spostava in quella zona deserta, lo facevano perché essa abbondava di ottimi pascoli. Difatti, in quei luoghi piuttosto erbosi, le loro lanose bestiole vi potevano brucare e nutrirsi abbondantemente per molte ore del giorno. Adesso, a quella tarda ora della giornata, i due fratelli procedevano alquanto spediti verso la loro casa, volendo recuperare almeno una parte del loro tempo perduto. A un dato momento, però, il preoccupato Ucleo ruppe il silenzio, facendo presente al fratello:
«Oggi, Zelio, nel rientrare non dovevamo attardarci così tanto. Perciò questa sera costringeremo la mamma a fare chissà quali cattivi pensieri su di noi! Ieri sera non avremmo dovuto parlarle dei tre pastori trucidati dalla banda di Kuercos. Non hai visto che stamani non voleva farci condurre le pecore alla pastura? Sono certo che ella starà alquanto in pensiero e non si sentirà affatto tranquilla, fino a quando non ci avrà riavuti fra le sue braccia! Tu non la pensi allo stesso modo mio, fratello?»
«Hai proprio ragione, Ucleo. Ieri, al nostro ritorno a casa, abbiamo senz'altro sbagliato a rapportare a nostra madre quanto appreso sul sanguinario predone. Anch'io sono convinto che ella, già da stamattina, ha cominciato a trepidare per noi due e lo stesso farà in tutti gli altri giorni avvenire, dopo che saremo partiti con le nostre pecore. Si tormenterà per l'intero tempo che staremo lontani da lei! Vedrai, fratello, che, da oggi in poi, inizierà a stare in grande pena per la nostra vita. Anzi, in ogni istante la ossessionerà il pensiero che Kuercos possa aggirarsi nei nostri paraggi e che noi finiremo un giorno per cadere nella rete della sua banda. Inoltre, sono persuaso che un fatto del genere le farà vivere quotidianamente molte ore di attesa spasmodica, le quali potrebbero anche ridurla in breve tempo allo stremo delle forze!»
Ucleo, nel quale si andava accentuando una insolita inquietudine, che ben presto sarebbe sfociata in autentico panico, cercava di liberarsene col tirare in ballo sempre un nuovo argomento. Soltanto il conversare con il fratello lo distraeva un poco, gli consentiva di vincere ogni timore e, in un certo senso, riusciva a tranquillizzarlo alla meglio. Poco dopo, per la stessa ragione, egli riprese a dire al fratello maggiore:
«Zelio, sono sicuro che, se nostro padre non fosse stato costretto ad abbandonarci e fosse vissuto sempre sotto il nostro tetto, adesso non ci troveremmo a vivere la grama esistenza attuale. Anzi, immancabilmente ci avrebbe procurato un avvenire migliore, risparmiandoci l'attuale vita di stenti e di sacrifici, quella che oggi siamo costretti a sopportare contro le nostre aspettative. Secondo quanto afferma nostra madre, egli era impareggiabile nelle armi e nelle arti marziali, oltre che essere esemplarmente colto e buono. Perciò possiamo essere certi che, se il nostro genitore fosse vissuto sempre nella nostra famiglia, oggi non staremmo conducendo la misera vita da pastori. Inoltre, saremmo diventati degli ottimi combattenti e oggi non avremmo paura neppure del predone Kuercos e della sua banda! Non la pensi anche tu come me, fratello?»
«Ucleo, secondo quanto ci ha raccontato la mamma, a proposito del nostro validissimo genitore, non sarebbe potuto essere diversamente, se lo avessimo avuto accanto, vivendo con noi ogni ora della giornata!»
«Cambiando discorso, Zelio, a tuo avviso, nostro padre è ancora vivo oppure lo consideri già morto da tempo? Se lo vuoi sapere, fino a pochi giorni fa, io l'ho creduto ancora vivente. Ma poi, tutto all'improvviso, ho perso ogni speranza di rivederlo vivo e vegeto, siccome ho cominciato a considerarlo morto. A tale riguardo, fratello, vuoi dirmi tu cosa ne pensi? Credi forse che io mi sbagli a pensare che egli sia ormai perduto per sempre per la nostra famiglia? Mi esprimi il tuo pensiero, in merito?»
«Caro Ucleo, convinciti che nostro padre è morto e non può essere altrimenti! Forse ignoro quando e come egli sia morto; ma posso garantirti che la sua morte avvenne nei primi otto anni dalla sua scomparsa. Se non fosse stato così, il babbo sarebbe ritornato in mezzo a noi, approfittando delle disgrazie capitate a Dorinda e al suo re Cloronte. Non trovi logico pure tu pensare che egli, dopo avere appreso tali notizie brutte per il re Cloronte, si sarebbe precipitato a rintracciarci? Allora perché non lo ha fatto? Secondo me, solo perché egli era già morto.»
«Che almeno nostro padre avesse trasmesso, prima della sua morte, a qualcun altro la sua formidabile perizia d'armi e lo avesse poi incaricato di venirci a fare da provetto maestro! Così avrebbe fatto qualcosa di buono per noi suoi figli! Invece la mia convinzione è che il nostro defunto genitore non avrà avuto una opportunità del genere oppure non gli avrà ubbidito l'allievo da lui egregiamente istruito.»
Mentre Ucleo andava cercando argomenti di ogni genere, pur di avere lo spunto per una nuova chiacchierata con il fratello, poiché essa avrebbe dovuto distoglierlo dal pensiero di Kuercos, qualcosa gli fece tendere bene l'orecchio. Nello stesso tempo, intanto che lanciava di qua e di là occhiate rapide e guardinghe, si avvertì in lui un'alterazione psichica. Pure la lingua, ad un certo punto, si diede a non funzionargli più con le sue normali articolazioni, facendolo perciò perfino balbettare e farfugliare. Il suo volto, oltre ad apparire pallido e smorto, a un tratto rivelò che egli era in preda ad una grande agitazione, la quale era oramai da considerarsi incontrollabile. Infine, non riuscendo più a tollerare il suo aggravato stato psichico, visto che esso si avviava al collasso, il giovane cercò di reprimerlo nell'unico modo che gli riusciva meglio. Così decise di rivolgere al germano una ennesima domanda:
«Zelio, non ti è parso di udire qualcosa di anormale proveniente da poco lontano? Cioè, per caso, un minuto fa non hai avvertito qualche rumore, come è successo a me? Oppure devo convincermi di essermi sbagliato nel percepirlo? Allora cosa mi rispondi, a tale proposito?»
«Ucleo, non mi sembra affatto di aver sentito qualche movimento sospetto nelle vicinanze. In questo istante, invece, sto cominciando a sentire una specie di strepitio. Si direbbe che dei cavalli si stiano avvicinando a noi. Il calpestio dei loro zoccoli adesso comincia a farsi percepire netto, poiché riproduce il ritmo di un'alacre cavalcata. A ogni modo, fratello, cerca di mantenere la calma e di non pensare al peggio! Anzi, ti suggerisco di non fasciarti la testa, prima di rompertela! Mi hai sentito come ti devi comportare, mentre procediamo per la nostra strada?»
«Se è come tu affermi, Zelio, possibile che i cavalli in avvicinamento non ti procurano alcuna ansia ed alcuna preoccupazione? Neppure ti viene da pensare che potrebbe trattarsi della banda di Kuercos?»
«Perché dovrei mostrarmi ansioso e preoccupato, Ucleo, per qualcosa che per il momento non mi minaccia? Il fatto che dei cavalieri si stanno aggirando da queste parti perché dovrebbe farmi pensare allo spietato predone ed infondermi quindi qualche apprensione o inquietudine? Può darsi pure che essi tra poco cambino addirittura direzione. Nel qual caso, non li vedremo passare dalle nostre parti!»
«Non mi riferivo a questo, fratello, e tu sai benissimo a cosa stavo pensando! Secondo me, i cavalli potrebbero essere proprio quelli della banda di Kuercos! Altrimenti, non si spiega la presenza in questi luoghi di un numero di cavalieri così consistente! Perciò incomincio ad averne un tremendo timore. Povera la nostra cara mamma, la quale questa sera potrebbe invano vederci tornare alla nostra dimora!»
Come gli aveva rinfacciato il fratello minore, anche in Zelio c'era il fondato sospetto che si trattasse addirittura di quella banda malfamata. Ma era altrettanto persuaso che, se le cose stavano così, non c'era modo alcuno di sfuggire ad essa. Né potevano attendersi qualche aiuto da parte di persone estranee, per due motivi: primo, nessuno frequentava tali terre sperdute; secondo, ognuno faceva il possibile per tenersi il più lontano possibile dalla feroce banda di Kuercos. Inoltre, potevano mai sperare che sarebbero potuti giungere i loro salvatori da quell'immenso bosco, il quale era stato sempre il loro terrore, poiché un giorno si era inghiottito il loro babbo e non glielo aveva più restituito? Assolutamente no! Altrimenti, la loro sarebbe stata una pretesa impossibile, se non proprio assurda! Anche se, volendo essere un po' ragionevoli, in talune circostanze giova più credere in una assurdità che non avere la speranza in nessuna cosa! Dentro di sé, adesso il demoralizzato Zelio implorava con fervore il divino Matarum per la loro salvezza. Lo pregava non tanto per sé, quanto per la scalognata madre e per l'infelice fratello, siccome il dolore dell'una e dell'altro non poteva che arrecargli nell'animo la massima sofferenza. Infine, messe da parte quelle sue tristi considerazioni che lo incalzavano e non intendevano lasciarlo più, il giovane badò solo a fare accettare al germano la triste realtà dei fatti con più rassegnazione e coraggio. Così, pur di ridurgli al minimo il senso della paura, cercò di distrarlo con un discorso adeguato. Per questo si diede a dirgli:
«Ucleo, a mio parere, ti stai comportando proprio come una femminuccia. Tremi già, prima ancora di essere certo del pericolo, il quale potrebbe anche essere inesistente! Ammesso pure che siano gli uomini di Kuercos coloro che stanno venendo a farci visita, c'è forse bisogno di fare quella faccia da funerale? Cosa direbbe nostro padre, se venisse a sapere che i suoi figli non hanno per niente imparato a morire? Infine, chi ci dice che il temuto predone vorrà anche ucciderci, oltre che derubarci? Noi gli daremo le nostre pecore, senza né contestare il suo operato né opporgli alcuna resistenza. In tal modo, egli non avrà alcun motivo di ammazzarci. Vorrà dire che poi la nostra famiglia si arrangerà in maniera diversa! Stanne certo, fratello mio, che in seguito un espediente riusciremmo a trovarlo senza meno per sopravvivere alla meglio!»
«Zelio, temo che Kuercos ci assegnerà la stessa fine che ha fatto fare agli altri tre pastori, pur non opponendoci al suo latrocinio!»
«Ricòrdati, Ucleo, che non bisogna mai aver paura della morte, specialmente se ci si presenta, quando stiamo compiendo il nostro dovere di uomini onesti. Nell'altra vita, ci sarà chi ci ricompenserà della grande ingiustizia subita. Dunque, mostriamoci forti ed ignoriamo il pericolo, che pare ci stia venendo incontro! Soltanto comportandoci in questo modo, moriremo da veri uomini! Allora nostro padre, il quale di certo già si trova nell'altra vita, ci guarderà dall'aldilà con orgoglio e con fierezza. Molto probabilmente, egli ci renderà la morte meno dolorosa, inviandoci il suo paterno sorriso dall'altro mondo!»
«Forse hai ragione tu, Zelio. In questa circostanza, aver paura non serve a niente, ci rende soltanto la morte più atroce e più ingloriosa. Se invece l'affrontiamo con animo fiero, in questo caso ci sentiamo senza meno dei grandi uomini e non degli esseri meschini! Per cui il passaggio all'altra vita avverrà senza nemmeno accorgercene, proprio come in un sogno. Per quanto riguarda la nostra cara mamma, lo sappiamo molto bene che ella ne soffrirebbe più di quando nostro padre fu costretto ad abbandonarla. Ma nessuno più di noi può essere al corrente che la poveretta saprebbe reggere anche questa volta alla nuova scudisciata, se il crudele destino a torto decidesse di infliggergliela in modo disumano. Esclusivamente noi due sappiamo di quale forte tempra sia dotato il suo animo. Infatti, esso è stato già duramente provato dalla sofferenza in tanti anni di privazioni, di ansie, di tribolazioni e di tristi ricordi!»
Solo quando vide il fratello minore mutare atteggiamento nei confronti della morte, Zelio si rasserenò. Dopo invece si andò domandando che cosa mai si andava preparando di brutto per loro due. In verità, anche se non era in grado di spiegarsi come sarebbe successo, in cuor suo vedeva rafforzarsi la convinzione che essi pure quella volta se ne sarebbero ritornati sani e salvi tra le affettuose braccia della loro amorevole genitrice e non l'avrebbero perciò fatta morire di crepacuore.
Pochi attimi dopo, furono scorti degli uomini armati fino ai denti, i quali si mostravano ritti sui loro cavalli frenetici. Essi, emettendo un vociare chiassoso e volgare, raggiunsero subito i due giovani. Uno di loro, che cavalcava un ombroso corsiero nero e manifestava uno sguardo ferocemente arcigno, urlò con tono irascibile agli altri: "Avanti, allargatevi e formate un serrato accerchiamento intorno a loro due, badando che non vi sfuggano! Su, fate presto, emeriti rammolliti, se non volete suscitare la mia rabbia! E voi sapete a menadito di cosa essa sia capace, quando diventa furiosa!" Allora quei truci cavalieri, che in totale potevano essere una cinquantina, si affrettarono ad ubbidirgli, disponendosi senza indugio in cerchio. Dopo costrinsero i due giovani pastori e le loro pecore a restarvi giusto nel mezzo. Una volta assunta quella posizione, i predoni si diedero a lanciare ai loro prigionieri occhiate talmente torve, da fare accapponare la pelle a chi veniva costretto a subirle. Un istante più tardi, lo stesso uomo, che prima aveva impartito l'ordine a tutti gli altri, si fece avanti, facendo inalberare la propria bestia tra acuti nitriti.
Quando infine si avvicinò a Zelio, per la precisione a mezzo metro di distanza da lui, prima di iniziare a parlargli, gli allungò un poderoso calcio ad una spalla. Soltanto dopo gli gridò visibilmente stizzito:
«Se ci tieni alla tua pelle, lurido bifolco, dimmi con sollecitudine a quanto ammonta il numero delle vostre pecore! Per il vostro bene, spero che esso non sia troppo esiguo, cioè tale da scontentarci!»
Il giovane, senza lasciarsi intimorire dal suo modo di fare ed ignorando perfino il forte calcio da lui ricevuto, pensò di dargli una risposta adeguata. Così, mostrando parecchia calma, gli rispose:
«Si dà il caso che non me le sia mai contate, sporco ladrone. Perciò, se ci tieni a conoscere l'esatto loro numero, ti toccherà contartele da te, una per una. Ammesso che tu sia andato a scuola da ragazzo e sappia fare qualche conticino! Ma ho i miei dubbi che tu ci riesca, dal momento che un malfattore come te non può non essere anche analfabeta!»
Alle parole del giovane, il predone si alterò più di quanto non lo fosse già. Perciò, esternando una espressione truculenta, si affrettò a dirgli:
«Questo è un conteggio che non mi dà alcun gusto, verme schifoso. A occhio e croce, comunque, il numero delle vostre pecore è tale che, quando io e i miei uomini ce le spartiremo, ci consentirà di averne appena due ciascuno. Ma devi sapere che io preferisco altri conteggi. Fra poco, ad esempio, i miei uomini si divideranno in due gruppi, ad ognuno dei quali consegnerò uno di voi, affinché vi tagliuzzino e ricavino da voi il più gran numero di pezzetti minuti carne e di ossi. Così premierò con una lauta ricompensa il gruppo che sarà stato in grado di ricavare il maggior numero di brandelli dai vostri corpi, mediante un piacevole sminuzzamento. Allora, in qualità di giudice di gara, io sarò obbligato a controllare, per cui dovrò contare con cura meticolosa le vostre ossa stritolate e le vostre carni sbrindellate. In questo caso, vi garantisco che la conta riuscirà di mio sommo gradimento. Anzi, essa mi divertirà così tanto, che voi non potete neppure immaginarlo! Ve lo assicuro!»
Al sadico linguaggio del predone, fu Ucleo a reagire con sdegno:
«Soltanto un mostro come te, Kuercos, poteva ideare e perpetrare delle crudeltà di tal genere. Tu sei abituato ad approfittare di quelle persone che, come noi, sono del tutto inesperte delle armi, per cui non possono difendersi in modo ardimentoso. Inoltre, osi inveire contro quelli che hanno del fegato, quando ti senti al sicuro da pericoli oppure ci sono i tuoi uomini a spalleggiarti e a proteggerti. Altrimenti, hai paura di affrontare un vero guerriero ad armi pari!»
Le parole di Ucleo sorpresero il capo della banda e, a un tempo, lo fecero infuriare tantissimo. Egli non aveva mai incontrato persone che, pur trovandosi di fronte alla morte, adoperassero un linguaggio così altero e mordace. Prima che le facesse martoriare a morte, aveva sempre visto le sue vittime strisciare ai suoi piedi ed implorare pietà con il terrore negli occhi. Adesso, invece, quei due giovani fratelli, i quali dovevano avere meno di una trentina d'anni, lo sfidavano a viso aperto, con intrepido coraggio e sprezzanti della morte. Oltre a ciò, essi gli avevano anche affibbiato degli epiteti dispregiativi, alla presenza dei suoi uomini. Secondo lui, il loro ardimento però non li avrebbe risparmiati, avendo già assegnato ad entrambi la stessa fine miseranda che già era toccata agli altri pastori come loro, dopo averli incontrati sui propri passi!
Quindi, celando abbastanza bene la sua grandissima rabbia, la quale lo divorava intimamente, egli si rivolse ad Ucleo e gli domandò:
«Mi spieghi come hai fatto ad indovinare che ero Kuercos? Da quali indizi lo hai dedotto? Inoltre, visto che ci sei, mi dici anche quale incosciente ti ha dato di me un concetto totalmente errato? Senza meno sarà stato qualche mentitore verace, il quale, pur non avendomi mai conosciuto personalmente, ha voluto infangare il mio nome!»
«Non occorreva mica la scienza infusa per capire chi tu fossi! Chi, se non il predone Kuercos, capeggiando una numerosa banda di criminali e percorrendo in lungo e in largo queste contrade deserte, va razziando bestiame ed altro? La tua grandezza, però, sta tutta nell'assalire degli inermi pastori e nel sottoporli alle tue crudeli sevizie!»
«La tua è stata una giusta osservazione, pastore,» osservò il capo dei predoni «visto che anche con il vostro gregge tra poco ricorrerò al medesimo sistema. In questo modo, almeno non perderò l'abitudine di farlo. Da questo momento, perciò, cominciate a considerare mie anche le vostre pecore, il cui numero trovo discreto!»
«Se non sbaglio, illustre sterminatore, un giorno le tue ambizioni erano rivolte a bottini assai più preziosi, poiché osavi assaltare le carovane dei ricchi mercanti. Come mai adesso ti sei ridotto a cercare prede ben più misere, accontentandoti di pochi capi di bestiame minuto? Così in basso è scesa la tua quotazione, da farti paragonare a un ladro di polli? Secondo me, avrai ricevuto una sonora e indimenticabile batosta dalla scorta di qualche carovana, se oggigiorno ben te ne guardi dall'assaltarne altre; ma ti accontenti di ovini senza valore! Allora cosa mi rispondi a tale riguardo, Kuercos? Ammetti che ho ragione, dato che le cose stanno esattamente come ti ho rinfacciato!»
«Devi sapere, disinformato pastore, che sono i carovanieri a stare alla larga da me e non io da loro!» replicò il predone «Quanto a ciò che hai asserito prima, non sei stato altrettanto preciso sul mio conto. Nella mia vita, ho avuto infiniti scontri individuali e tutti i miei avversari non hanno mai retto ai miei colpi poderosi e li ho sempre ridotti in poltiglia. C'è forse qualcuno di tua conoscenza che potrebbe dimostrarmi il contrario? Non lo credo affatto, se egli si considera sano di mente!»
«Invece ci sono io a pensarla diversamente, Kuercos!» Zelio intervenne ad esclamargli «Stanne certo che sono pure in grado di dimostrare a tutta la tua banda, oltre che a te, che non hai avuto sempre la meglio nei tuoi scontri individuali. In uno almeno, le cose non andarono come hai affermato poco fa. Sono sicuro che non hai ancora dimenticato la batosta che in esso ricevesti, la quale con molte probabilità ti starà ancora scottando, visto che ne uscisti vergognosamente battuto! Tu, però, te ne sei ben guardato dal raccontarlo ai tuoi uomini: non è vero? Ma ti è andata male, fanfarone di un predone, siccome oggi ci sono io a svergognarti in pubblico con delle prove inconfutabili!»
Allora, prorompendo in una risata a squarciagola, Kuercos cercò di ironizzare le affermazioni di Zelio, allo scopo di farle apparire infondate. Per questo si diede anche a gridargli:
«Ah, ah! Magari sarai stato tu a battermi in passato, per cui devo scappare di corsa, se non voglio essere sconfitto da te una seconda volta! Oppure quest'oggi intendi farmela passare liscia, a patto però che io rinunci alle vostre pecore? È forse così, miserabile pastore? Ma te ne pentirai amaramente di avermi contraddetto davanti ai miei uomini, i quali giammai prenderebbero sul serio una baggianata del questo tipo!»
Un attimo più tardi, invece, senza neppure attendere la risposta da parte del suo giovane interlocutore, egli mutò l'espressione del volto, a causa della rabbia che se lo divorava. Dopo averla fatta diventare gelida e terrificante, proprio come quella di un incallito nevrastenico sanguinario, rabbiosamente volle fargli presente:
«Maledetto pastore, bada che, se hai mentito oppure non avrai prove convincenti che mi dimostrino ciò che hai asserito un attimo fa, peggiorerò il sistema della tua pena di morte, la quale è già stata da me decretata! Ne studierò uno apposta per te e per tuo fratello. Ti garantisco che esso vi procurerà tanta sofferenza, quanta nessun uomo ne ha mai provata fino ad oggi! Ti sentirai spegnere, ma non morirai; tu stesso mi invocherai di darti la morte, ma non l'avrai. Al contrario, creperai, solamente dopo che lo avrò stabilito io! Adesso mi sono spiegato per bene, sporco mentitore, che con me non si scherza in nessuna maniera?»
Zelio non si impaurì alle nuove minacce di Kuercos. Tanto ormai si era già rassegnato alla morte, in un modo o in un altro che essa gli si volesse presentare! Prima di morire, però, cercava di screditare la personalità di quell'odioso criminale davanti a tutti i suoi uomini. Intendeva creargli un vuoto nella sua banda e porre quindi quel manipolo di malviventi sulla via della insubordinazione e della disgregazione. Ma poi gli avrebbero creduto gli uomini del ribaldo Kuercos? A quel punto, secondo lui, tentare non gli costava proprio niente.
A ben rifletterci, quello del giovane si rivelava un generoso tentativo, dal fine preminentemente umanitario e giovevole alla collettività. Quel suo tentare di scompigliare la solida compagine di quell'accozzaglia di pendagli da forca poteva essere considerato un gesto altruistico altamente nobile. Difatti essi arrecavano degli strazi incredibili a quanti avevano la sventura di incontrarli! Ma Zelio poteva fare a meno di quel suo filantropico tentativo di rendersi utile in qualche modo alla società. Altri più giovani di lui, che stavano per sopraggiungere, molto presto avrebbero provocato a quella esecrabile banda non la disgregazione, bensì la distruzione totale. Essi l'avrebbero stritolata senza alcuna fatica!
Ritornando a Zelio, egli si diede allora ad affermare a Kuercos:
«Io non mento mai, predone della malora. Per cui, quando asserisco una cosa, vuol dire che ne ho le prove. Tanto per cominciare, vuoi dirmi dove hai perso l'orecchio che ti manca? Non vorrai mica farci credere che te lo abbia rosicchiato qualche topo, mentre eri intento a dormire! In questo modo, di sicuro non la daresti a bere né a me né a quanti ti spalleggiano. Anzi, ci faresti soltanto ridere tutti: ne sono sicuro! Quindi, vuoi dare in merito a me e ai tuoi uomini una risposta che sia plausibile? Oppure non ti va di farlo, considerato che essa nasconde una verità, la quale ti ha sempre scottato e continua a farlo tutt'oggi?»
La domanda di Zelio mise il capo dei briganti in grandissimo disagio, visto che non sapeva cosa rispondergli. Egli temeva di cadere in contraddizione, rispetto a ciò che aveva dichiarato in precedenza. Perciò non intendeva che una cosa del genere avvenisse, non volendo fare una figuraccia. Ma dopo una pausa di chiara indecisione, con la quale aveva cercato una risposta verosimilmente credibile, con disinvoltura gli gridò:
«Si vede che ignori che fu il mio fratello maggiore a tagliarmela nel sonno, quando avevo poco più di cinque anni. Per questo motivo, non appena fui in grado di reggere e di maneggiare un'arma, volli vendicarmi subito di lui. Così un giorno, approfittando anch'io del suo profondo sonno, gli squarciai la gola. Eccoti spiegato il mio incidente!»
Lo scettico giovane, accogliendo la risposta del capo dei predoni con un'aria perlopiù sardonica, in un primo momento si fece una risata. Subito dopo si diede a domandargli ancora:
«Avresti qualcosa in contrario, Kuercos, se ti chiedessi di riferirmi come finisti nel carcere di Dorinda? Ma non raccontarmi che ti consegnasti di tua spontanea volontà alla gendarmeria di Dorinda, per avere avuto un improvviso rimorso di coscienza! Lo sai anche tu che nessuno ti crederebbe, se tirassi fuori un racconto simile!»
Per Kuercos, la nuova domanda di Zelio risultò ancora più imbarazzante di quella precedente, con la quale essa aveva una certa attinenza. Egli, però, sebbene fosse in preda ad una furia feroce che lo spingeva a tutti i costi a togliere il freno a quel poco di sopportazione che gli rimaneva, ugualmente non perse l'autocontrollo. Allora, pur di non rimetterci la reputazione davanti ai suoi uomini che ascoltavano, cercò di dare pure alla propria cattura una giustificazione onorevole, oltre che plausibile.
«Certo che non fui io a costituirmi di mia volontà alla giustizia di Dorinda!» egli tentò di far valere la sua versione dei fatti «Ricordo benissimo il giorno che venni catturato dalle guardie del re Cloronte. Quel giorno inseguivo un tale di nome Tio, il quale aveva tentato di uccidermi a tradimento, assalendomi alle spalle. Non essendoci riuscito, egli si era dato alla fuga, rifugiandosi tra le mura di Dorinda. Così mi diedi ad inseguirlo fino in città per fargliela pagare a caro prezzo. Ma quando varcai la soglia di una delle sue porte, un centinaio di soldati mi piombarono addosso da tutte le parti. Dopo avermi immobilizzato, essi mi legarono e mi condussero in fretta nelle carceri. Se allora avessi avuto a disposizione i miei validi e coraggiosi uomini di oggi, sono convinto che i gendarmi non sarebbero stati capaci di prendermi e di imprigionarmi! Pur essendo in cento, lo stesso li avremmo annientati. Fortunatamente, me la cavai, solo grazie a quello scimunito del sovrano di Dorinda, il quale il giorno precedente aveva abolito la pena capitale nel suo regno!»
Udito il nuovo assurdo racconto del predone, il quale, a suo avviso, faceva acqua da tutte le parti, siccome era zeppo di bugie, il giovane con coraggio decise di contrattaccarlo all'istante:
«Lo sai, Kuercos, che sei il più grande mentitore che io abbia mai conosciuto? Dalle nostre parti c'è un tale di nome Sciscì, il quale vive solo di pane e menzogne, poiché non riesce a fare a meno di mentire. Perciò le bugie gli sono indispensabili per sopravvivere, allo stesso modo del pane. A mio parere, tu lo superi di gran lunga nel raccontare frottole. Perché non ammetti davanti ai tuoi uomini che è tutto falso quanto hai dichiarato sul conto di Tio, non avendoci detto l'intera verità? Suvvia, dì loro che fu proprio Tio, da solo, a mozzarti l'orecchio con un colpo di spada. Allora tu, trovandolo molto forte per te, a buon diritto cercasti di sfuggirgli con la fuga! Ma egli non te lo permise e ti immobilizzò, configgendoti una saetta in una gamba. In questo modo, egli poté consegnarti pure alla giustizia di Dorinda, dalla quale non venisti punito adeguatamente. Ti saranno rimaste senz'altro anche le cicatrici delle due ferite. La prima è quella che nascondi con una ciocca di capelli. Se la scopri, essa potrà comprovare che quanto ho detto è vero. La seconda è quella che hai sopra il polpaccio della tua gamba destra. Tutti possono vederla, se guardano nella zona dell'arto inferiore da me citata. Dunque, come puoi negare l'evidenza dei fatti, che si dimostrano incontestabili?»
Kuercos, in un primo momento, cercò di contraddirlo e di far prevalere con la forza la versione da lui data alla vicenda di Tio, pur di non far venire a galla la verità. Ma poi si accorse che il suo luogotenente Murzo non era bendisposto a bersela. Egli, con il suo sguardo penetrante, pareva rinfacciargli ciò che aveva udito dall'indovino Serienno, quando entrambi erano ospiti del carcere di Dorinda. Allora asserì al giovane:
«Pastore, sarà stato un farnetico quello che ti ha imbottito la testa di simili sciocchezze! Non può essere altrimenti, considerato che le cose andarono come le ho raccontate io!»
«Invece mia madre era presente, ribaldo Kuercos! Se ci tieni a saperlo, Tio, colui che ti inflisse la sonora sconfitta e ti umiliò come non ti era mai capitato prima, per l'esattezza era nostro padre. Dunque, come puoi negarlo così sfacciatamente davanti ai suoi figli, che siamo io e mio fratello? Adesso sono venuti a saperlo anche i tuoi uomini!»
Quella notizia, che il diabolico predone aveva cercato di ottenere in tanti anni e che non era mai riuscito ad avere, giunse graditissima all'orecchio di quella mole di brutalità. Anzi, egli sembrò illuminarsi di una gioia satanica e di una gran voglia di vendicarsi del suo vecchio nemico. Kuercos si convinse che era giunta finalmente l'ora della sua vendetta personale, la quale si sarebbe attuata assai presto! Comunque, poiché era Tio la persona che gli interessava in maniera particolare, prima cercò di avere notizie del padre dei due pastori. Perciò, rivolgendosi gioioso e trionfante al giovane, gli domandò:
«Dove si trova adesso vostro padre? Perché non si precipita a salvarvi con quella sua bravura che hai tanto decantata, dal momento che ne avete un sacco di bisogno? Non mi dire che, essendo scappato con un'altra donna, vi ha lasciati soli con la vostra madre infelice! Sai, al tempo d'oggi tutto può succedere in questo mondo!»
«Perdemmo nostro padre, il giorno dopo che ti ebbe consegnato alle guardie di Cloronte. Da allora mai più niente abbiamo saputo di lui. Credi tu, Kuercos, che, se lo avessimo avuto vicino, oggi saremmo dei pastori ridotti in miseria? Saresti uno stupido, se credessi a qualcosa del genere! Inoltre, sotto la sua guida, avremmo raggiunto quel perfetto maneggio delle armi, da dare molto filo da torcere a te e alla tua banda. Perciò adesso non saresti stato all'altezza di sfidarci a singolar tenzone, poiché ne saresti uscito senz'altro sonoramente battuto, come quando combattesti contro nostro padre!»
Deluso amaramente da Zelio, avendogli costui tolto ogni speranza di rintracciare il suo acerrimo rivale Tio, Kuercos si affrettò ad ordinare l'esecuzione dei due giovani. Ma siccome il suo sguardo si incontrò di nuovo con quello del suo luogotenente, intuì subito che c'era qualcosa in lui che non andava. Egli comprese che il suo uomo appariva in preda ad una strana inquietudine; sembrava un uomo che si aspettasse da un momento all'altro la visita di chi gli avrebbe recato la morte. Non riuscendo poi a comprendere il suo atteggiamento, tramite un cenno, lo fece avanzare presso di sé. Dopo, parlandogli sottovoce, gli chiese:
«Perché, Murzo, a un tratto sei diventato così agitato? Non ti ho mai visto ridotto in questo stato infelice! Mi dici cosa ti infonde tanto sciocco timore? Stanne certo che da queste parti non ci possono essere grandi rischi per noi! Perciò, se vuoi farmi stare tranquillo, parlami chiaramente e riferiscimi ciò che adesso ti impensierisce così tanto!»
Allora il suo vice, continuando a mostrarsi inquieto, gli confidò:
«Kuercos, se tu hai scordato il nostro passato, io lo ricordo benissimo. Non rammenti più la chiromanzia di Serienno? Egli ti predisse che un giorno i figli di Tio si sarebbero fatti riconoscere da te, però tu non avresti avuto il tempo di abusarne. In loro difesa sarebbero intervenuti dei veri principi, i quali avrebbero sgominato la tua banda ed ucciso perfino te stesso. Poiché i due giovani oggi ti si sono rivelati, ciò vuol dire che già dovremmo essere sotto il controllo dei soldati al sèguito dei prìncipi menzionati dal chiromante. Se dobbiamo credere alla sua chiromanzia, presto dovremmo essere assaliti ed annientati da loro. Adesso ti è venuta in mente ogni cosa di quel giorno, mio capo smemorato?»
Le parole di Murzo apportarono un grande sollievo negli animi dei due giovani fratelli, i quali, essendo vicini ai due predoni che parlavano fra loro, erano riusciti ad ascoltarle, rallegrandosene. Essi cominciarono a fare mille congetture intorno a quei principi valorosi, che a momenti sarebbero intervenuti a loro difesa e li avrebbero salvati dalle grinfie del feroce predone. Al contrario, le parole del suo vice infusero parecchio veleno nell'animo di Kuercos e lo resero molto esagitato. Per cui egli subito si mobilitò e cominciò a dare ordini a destra e a manca, assegnando ad ognuno un compito preciso. Così facendo, il capo dei predoni intendeva evitare sorprese da parte di quei misteriosi principi, dei quali non si conosceva né il numero né quanti soldati fossero al loro seguito. Egli ordinò anche ai suoi uomini di scendere da cavallo, di appostarsi tra i cespugli e di tenervi gli occhi bene aperti. In ultimo, non si astenne dall'inviare quattro dei suoi uomini in perlustrazione nelle zone circostanti, allo scopo di raccogliervi il maggior numero possibile di indizi circa la presenza nei dintorni di soldati oppure di altri contingenti armati.
Quando poco tempo dopo tornarono dalla loro ispezione dei dintorni, i perlustratori gli diedero delle ottime informazioni. Tre di loro gli riferirono che potevano stare tranquilli, poiché non c'era anima viva entro un raggio di due miglia. Invece il quarto gli portò la bellissima notizia che altri tre pastori provenienti dal bosco, si dirigevano dritti verso di loro. Essi guidavano un paio di centinaia di ovini, tra pecore e capre. Allora i rapporti dei quattro predoni abbatterono il morale dei figli di Tio. Anzi, i due fratelli furono assaliti da un profondo scoramento, siccome la forte delusione spense in loro l'iniziale euforia che vi avevano suscitato le parole di Murzo. Al contrario, essi instillarono dell'ottimismo nel capo dei briganti, il quale già si pregustava il nuovo bottino in avvicinamento. Esso, secondo quanto appreso da uno dei perlustratori, si presentava doppio di quello che avevano a portata di mano e che poteva considerarsi già loro a tutti gli effetti. Infine, indicando Zelio ed Ucleo con l'indice destro, esclamò ai suoi uomini:
«Imbavagliateli e legateli ad un albero! Essi saranno torturati domattina insieme con gli altri tre pastori in arrivo. Vedrete che supplizio sarò in grado di escogitare per loro cinque! Sono sicuro che domani se ne meraviglieranno perfino gli avvoltoi che volano nel cielo di questi luoghi, quando si presenteranno per divorare le loro carni sanguinolente!»
Dati quegli ordini, Kuercos si rivolse al suo secondo e gli ordinò:
«Murzo, scegli un uomo in gamba da mettere a guardia dei prigionieri e fagli sapere che, se incautamente dovesse farseli scappare, egli andrebbe incontro a dei grossi guai! Se per sua disgrazia ciò dovesse verificarsi, mi vedrei costretto ad assegnargli il medesimo trattamento che ho già stabilito di riservare ai cinque pastori domattina. Anche a te conviene stare parecchio all'erta, onde evitare che nel nostro campo accadano fatti spiacevoli. Solo così continuerai a farti stimare da me e manterrai pure la carica di mio vice, che per il momento ancora detieni. A tale riguardo, sappi che essa è ambita fortemente da tempo anche da qualcun altro. E tu sai bene a chi mi riferisco!»