451°-IL DIO IVEON COMUNICA AD IVEONTE LA SUA NUOVA MISSIONE

Ritorniamo adesso al recente passato del nostro eroe per apprendere quando e come egli era dovuto allontanarsi dal suo accampamento, per espresso invito delle due eccelse divinità di Luxan. Nello stesso tempo, verremo a conoscenza dei vari incontri da lui avuti con chi aveva il diritto di saperlo, per avvisarli del suo nuovo improcrastinabile viaggio, che stava per intraprendere al di là del confine del loro mondo. A tale riguardo, era previsto che esso lo avrebbe sottoposto a fatiche incredibili, le quali si sarebbero rivelate superiori ad ogni possibilità umanamente intesa, pur di fargli conseguire il nobile scopo che si era proposto.

Riconducendoci presso di lui, troviamo Iveonte nel suo accampamento, mentre discute con il cugino Leruob e l'amico Tionteo, circa l'imminente arrivo del loro esercito in prossimità dei territori edelcadici. A suo avviso, esso doveva prepararsi a tale evento nella forma dinamica più adeguata possibile e con la dovuta cautela, considerato che Actina, la città del suo amico fraterno, veniva sottoposta ad un martellante assedio. Quello era il giorno, che avrebbe preceduto l'apparizione della divina Kronel a Leruob per invitarlo a correre in soccorso degli Actinesi. I quali stavano per essere intercettati ed annientati dal convoglio degli eserciti alleati. Ebbene, nel mezzo della loro discussione a tre, la quale si stava avendo all'esterno della sua tenda, ad un certo punto, Iveonte aveva scorto il divino Iveon a poca distanza da lui. Il dio gli aveva anche fatto cenno con la mano di avere bisogno di lui. Ma era stato permesso soltanto a lui di scorgere la presenza del dio dell'eroismo in quel luogo. Allora, pur di non farlo attendere molto, subito si era congedato per il tempo necessario dai suoi due interlocutori, dovendo incontrarsi nella propria tenda con la prestigiosa divinità.

Quando vi era entrato con una certa sollecitudine, il giovane aveva trovato in essa il dio dell’eroismo, il quale già lo stava aspettando con una certa impazienza. Perciò, non appena l'eroe umano vi aveva fatto il suo ingresso, lo aveva accolto con le seguenti parole:

«Iveonte, non c'è altro tempo da perdere! Per volere degli eccelsi gemelli, sei chiamato a compiere una missione, che solo da te essa potrà avere il risultato da loro sperato! Essi ne sono convinti!»

«Com’è possibile, dio Iveon, che, proprio ora che qui c'è un gran bisogno di me, mi si comunica che devo lasciare ogni cosa nello stato attuale per affrontare un viaggio, la cui conclusione non si sa neppure quando ci sarà! Adesso mi sentivo anche orgoglioso di accompagnare i miei genitori a casa loro trionfalmente! Ciò non è proprio giusto!»

«Non ti do torto, Iveonte: hai tutta la mia comprensione! Ma qualora tu ci rinunciassi, credi poi che dopo ti verrebbe permesso di ottenere quanto oggi ti sei ripromesso? Se ne sei certo, è perché non immagini neppure cosa di estremamente terribile sta per accadere nell'intero universo! Devi sapere che, se non ci porrai in tempo riparo con il tuo intervento, fra non molto qui tutto cesserà di esistere. Non ci sarete più né tu, né la tua famiglia, né i tuoi amici, né l'Edelcadia, né il tuo mondo intero, né il resto degli altri astri appartenenti a Kosmos!»

«Perché dovrebbe succedere tutto questo, dio Iveon? E da parte di chi? Se si tratta di qualcosa spaventoso e letale, perché non intervengono direttamente il padre e lo zio della mia protettrice, che sono le divinità più potenti dell'universo? Inoltre, ci sei anche tu, che potresti benissimo prendere il mio posto. Perciò non riesco a spiegarmelo perché devo essere proprio io a portare a termine tale straordinaria missione! Quindi, sei pregato di darmi le risposte giuste alle mie domande.»

«Iveonte, tu già sai dell'esistenza dell'Imperatore delle Tenebre, che è il dio Buziur. Come pure mi hai già sentito parlare della Deivora in altra circostanza, la quale aveva avuto origine da un Simbios. Ebbene, l'autorevole divinità di Tenebrun è stata in grado di trasformarsi in un'altra Deivora, alla quale è stato dato il nome di Kosmivora, poiché essa non solo imprigiona le divinità benefiche, ma anche va distruggendo quella parte di Kosmos in cui essa viene a trovarsi, quando l’attraversa. Perciò, se la Deivora, la quale ebbe origine da un insignificante Simbios, costituì per le due eccelse divinità un vero problema, figuriamoci adesso che essa è stata originata da un dio della potenza di Buziur! Per questo la Kosmivora non può essere attaccata da nessun'altra divinità, neppure dall'onnipotente Splendor. Egli, per poterla annientare, dovrebbe far ritornare nel nulla l'universo da lui creato. Solo così Buziur smetterebbe di essere Kosmivora e sarebbe costretto a ritornarsene in Tenebrun, insieme con tutte le altre divinità negative. Invece quelle positive farebbero ritorno in Luxan, ridandosi a vivere come prima.»

«Ma se il dio Kron e il dio Locus sono ricorsi a me, ciò vuol dire che c'è qualcosa che non mi hai riferito ancora, divino Iveon. Non è forse vero? Altrimenti come potrebbe un essere umano conseguire quanto neppure al creatore di tutte le divinità è possibile ottenere?»

«Iveonte, non ti sei sbagliato. Sto qui da te, appunto per rendertene partecipe. Esiste in Kosmos un potere, il quale supera qualunque altro potere, fosse esso anche quello di Splendor, pur essendo costui il creatore dell'universo e pur potendo distruggerlo a suo piacere. Tale potere, denominato Potere Cosmico, non solo riesce a distruggere tutto ciò che fa parte del male, ma ha anche la facoltà di far tornare alla sua precedente efficienza quanto nello spazio cosmico è stato rovinato o distrutto, ad opera di qualcuno oppure di qualcosa.»

«Allora come mai, divino eroe, nessun dio positivo è ricorso ad esso per usarlo contro la Kosmivora? C'è forse una ragione, la quale vieta a tutte voi divinità di fare anche un tentativo d’impossessarvene?»

«Altroché se essa c'è, Iveonte! Potrà provarci a venirne in possesso esclusivamente un Materiade, di qualunque specie risulti. Ma per impadronirsi del Potere Cosmico, non è un'impresa facile, perché chi tenterà l'impresa dovrà avere tutte le carte in regola. Altrimenti non ci riuscirà e potrebbe anche rimetterci le penne! Nel caso tuo, però, questo problema non si pone, considerato che moriresti lo stesso, nel caso che nessuno intervenisse a fermare la divoratrice Kosmivora, ponendo termine alla sua distruzione di galassie. Nelle quali caracollano senza cessazione miliardi di stelle, di pianeti e di satelliti, insieme con altri astri dalle forme più disparate.»

«Bella prospettiva è quella che mi poni davanti, dio Iveon! Allo scopo di favorire quanti risultano abitatori di Kosmos, siano essi divinità, Materiadi od animali, sono obbligato a cimentarmi nell'impresa. Anche perché essa mi viene proposta direttamente dalle due eccelse divinità del Regno della Luce. Ma posso sapere dove si trova questo Potere Cosmico e in quali mani in questo momento viene esso custodito?»

«Iveonte, lo si può trovare soltanto in Potenzior, che è il suo luogo di residenza. Riguardo poi ai suoi detentori, costoro sono cinque e ciascuno ha il controllo sulla quinta parte di esso, per questo prendono il nome di Guardiani del Potere Cosmico. In riferimento a Potenzior, va chiarito che si tratta della terza realtà metafisica, la quale si è autocreata insieme con la creazione di Kosmos; mentre le altre due sono Landipur ed Animur. L'insuperabile potere vi si costituì pure autonomamente; anzi, vi si trovò ad esistere già bell'e pronto per essere adoperato, ma s'ignorava chi sarebbe dovuto essere a farlo.»

«Vorrei saperlo anch’io, dio Iveon, poiché sono sicuro che alla fine intervenne qualcuno a dichiararsi il suo padrone!»

«Invece, Iveonte, ci fu l’intervento di sé medesimo in tal senso, stabilendo che a nessun Materiade sarebbe stato concesso di disporne, se ne avesse posseduto solo una parte. Perciò, non vedendo la necessità che si ricorresse ad esso nella sua totalità per qualche ragione importante, anzi non la prevedeva neppure in un lontano futuro, decise di non dare a nessuno di loro la possibilità di farne uso. Così si frazionò in cinque parti uguali e si fece possedere da cinque Materiadi, che definì suoi guardiani, i quali erano risultati presso i loro popoli degl'invincibili eroi. Inoltre, ognuno non avrebbe dovuto cedere a nessuno la sua parte, ma avrebbe combattuto strenuamente perché essa restasse sempre nelle proprie mani e non di altri.»

«Divino Iveon, conosci anche i nomi di questi Guardiani del Potere Cosmico, unitamente al loro mondo di origine e alla loro razza?»

«Ne sono venuto a conoscenza da poco tempo, Iveonte, dopo che ne sono stato informato dall'eccelso Kron. Adesso te ne faccio un quadro sinottico, il quale è quello che ti riporto qui appresso; ma non ci sarà bisogno, da parte tua, di memorizzarlo.»

Dopo che il dio del coraggio aveva finito di riferirgli l'intero quadro, l'eroe umano gli aveva detto:

«Ti ringrazio, dio Iveon, per avermeli elencati tutti e cinque, con le principali notizie che li riguardano. Ma adesso mi dici anche come farò a pervenire in Potenzior, se in me c'è l'ignoranza più assoluta della sua posizione in Kosmos e del modo di accedervi?»

«Di questo non ti devi preoccupare, Iveonte. Devi sapere che neppure io so come raggiungere Potenzior, pur dovendo essere il tuo accompagnatore fino alla sua porta d'ingresso. Infatti, sarà l'eccelso Kron, quando saremo pronti per partire, a farci viaggiare in un suo raggio temporale fino all'asteroide Tibos, sul quale è situata la porta d'ingresso a Potenzior. Vedrai che egli ci farà trovare in un attimo sul piccolo astro, che è situato nella galassia di Abrep e si dà alla sua corsa interminabile all'interno del sistema stellare di Nuber. Altrimenti non ci sarebbe il tempo per farti compiere la missione che dovrà farti prima impadronire del Potere Cosmico e poi affrontare la Kosmivora per dare ad essa scaccomatto e metterla fuori gioco.»

«Almeno, divino eroe, prima della mia partenza, mi sarà concesso d'incontrare i miei parenti e i miei amici, per avvertirli di questa mia nuova missione, giustificandomi con tutti loro di non poter fargli compagnia nei grandi momenti che stanno per sopraggiungere e che considero davvero cruciali per i miei genitori e per la mia gente?»

«Lo potrai fare senza meno, Iveonte, poiché gli eccelsi gemelli vogliono vedere in te un combattente privo di rammarichi e di rimorsi, mentre ti prepari alla tua ardua lotta contro i Guardiani del Potere Cosmico, essendo essi degli eroi d'indubbio valore. Anzi, da questo momento, sei libero da ogni impegno e potrai dedicarti ai tuoi parenti e ai tuoi amici ed appagare il loro desiderio di abbracciarti e di parlarti.»


A quell'annuncio del dio Iveon, Iveonte aveva voluto incontrarsi subito con il cugino, che s'intratteneva ancora a parlare con Tionteo. Non appena li aveva scorti poco distante, li aveva chiamati ed invitati a raggiungerlo nella propria tenda. Quando vi erano entrati, anziché lui, era stato Leruob ad aprir bocca per primo, dandosi a chiedergli:

«Non è vero, Iveonte, che prima hai dovuto lasciarci solo perché qualche essere divino, che non si è fatto scorgere da noi, ti ha fatto intendere che aveva bisogno di abboccarsi con te per importanti comunicazioni? Ormai sappiamo che hai delle aderenze tra le divinità!»

«Non posso negarlo, cugino. Se lo facessi, dopo non potrei comunicarvi le cose che sto per riferirvi. Prima è stato il dio Iveon, che Tionteo ha avuto modo di conoscere di recente, a farmi cenno che aveva urgenza di contattarmi per delle ragioni molto serie, quelle di cui vi metto a conoscenza, senza entrare nei particolari. Dopo il vostro incontro, dovrò anche volare dai miei genitori, i quali si trovano nella reggia di Actina, ospiti del mio amico fraterno e di mia sorella Rindella. Sarà mio dovere avvisarli del mio nuovo viaggio, che sto per intraprendere, e giustificarmi con loro per non poter gestire in prima persona gl'importanti eventi che presto si avranno nella regione edelcadica e nel resto del mondo.»

«Quindi, Iveonte, devi riferirci che ti è stata affidata un'altra missione dalle divinità tue protettrici, proprio in un momento in cui la tua presenza fra noi risulta indispensabile?»

«Indispensabile non direi, Leruob, visto che mi fido di te come di me stesso. Perciò sono certo che te la caverai brillantemente, quando tali eventi si presenteranno nell'Edelcadia.»

«Ti ringrazio per l'immensa fiducia che riponi in me, cugino. Ti prometto che farò di tutto per meritarmela, quando sarò messo alla prova dai prossimi avvenimenti. Adesso, però, parlaci di questa tua nuova missione che ti è stata affidata e delle ragioni che hanno indotto le divinità a fartela affrontare. Mi chiedo come mai non sono state loro stesse a risolvere tale problema che riveste una grande importanza, anziché porne la soluzione nelle tue mani.»

«Rispondo prima alla tua domanda, mio caro cugino materno. Se le divinità sono ricorse a me, è perché il problema potrà essere risolto soltanto da un essere umano dotato di grandi capacità. Per esse, essendo il migliore fra tutti gli eroi del nostro pianeta, solo io potrei essere in grado di superare la difficile prova che mi si chiede di affrontare. Ma non è detto che la mia riuscita sia indiscussa, potendo anche rimetterci la pelle. In quel caso, si andrebbe incontro alla catastrofe dell'intero universo e alla morte di quanti vi esistono.»

«Allora, Iveonte, ce ne parli più in particolare, dicendoci anche contro chi dovrai combattere per superare questa difficilissima prova, dal cui cimento sono escluse le divinità?»

«Leruob, il dio Buziur, che è la divinità più autorevole delle divinità malefiche e si è pure autoinsignito del titolo di Imperatore delle Tenebre, è riuscito a trasformarsi in un mostro, chiamato Kosmivora, che perfino Splendor non può distruggere, sebbene sia il creatore di Kosmos, ossia dell'universo. Costui, perché il malefico dio smetta di essere un pericolo per le divinità benefiche e per tutte le cose esistenti in Kosmos, confinandolo di nuovo in Tenebrun, dovrebbe eliminare l’intero universo, nel quale adesso la Kosmivora continua ad operare con atti distruttivi. Allora, ad evitare di ricorrere ad una soluzione così drastica, che significherebbe la fine d'interi mondi e di creature intelligenti appartenenti alle varie razze, le due divinità benefiche più potenti dopo Splendor hanno deciso di ricorrere al Potere Cosmico. Solo se io riuscirò ad impossessarmene, dopo non avrei più difficoltà ad affrontare la mostruosa creatura e a sconfiggerla, costringendola a ritornarsene in Tenebrun.»

«Ma davvero, cugino, il Potere Cosmico ti darebbe una tale straordinaria potenza? Ma mi dici cosa dovresti fare per impadronirtene?»

«Certamente, Leruob! Si tratta davvero di una potenza incommensurabile e qualitativamente non plus ultra. Pensa un po' che esso può perfino restituire alle cose danneggiate la loro originaria integrità oppure richiamare all'esistenza le cose già fatte sparire nel nulla! Quanto poi al modo di conquistarlo, esso non è molto semplice. Pur di non diventare qualcosa in possesso di qualche Materiade, nome dato dalle divinità a qualsiasi essere dotato d'intelligenza e di ragione, si frazionò in cinque parti e ne consegnò una ad ogni suo guardiano. I Guardiani del Potere Cosmico, oltre ad appartenere a vari ceppi cosmici, ciascuno presso il proprio popolo, era risultato un eroe insuperabile e magnificato. Per cui adesso, se voglio diventare l’unico padrone del potere cosmico, mi toccherà affrontarli uno alla volta, batterli e venire in possesso della sua parte di Potere Cosmico. Tali guardiani si trovano in Potenzior ed io dovrò andarvi privato del mio anello e della mia spada, non essendo entrambi di fattura umana. Perciò dovrò procurarmi di una nuova spada, se voglio competere con loro. Adesso che vi ho riferito ogni cosa sul mio viaggio, è giunto il momento di salutarci e di lasciarci, siccome dovrò raggiungere i miei genitori, poiché non mi è stato ancora possibile incontrarli ed abbracciarli con tutto il mio amore filiale. A proposito di loro due, cugino, sarai tu a condurli a Dorinda, visto che non mi sarà possibile farlo da me. Così sarò certo di averli affidati ad ottime mani, le quali sapranno ben difenderli da qualsiasi pericolo.»

«Non preoccuparti, Iveonte, perché essi, come tu hai detto, davvero si troveranno in mani sicure. Guai a quelli che oseranno procurare ad entrambi la minima offesa o il minimo danno!»

Pochi attimi dopo, avvenuti gli abbracci con il cugino Leruob e con l'amico Tionteo, Iveonte aveva preso il volo alla volta della Città Santa. Avendola raggiunta in circa mezzora, dopo si era affrettato a pervenire a corte per presentarsi agli amici Francide ed Astoride, alla sorella Rindella, i quali gli avrebbero poi fatto incontrare i suoi genitori. Essi adesso erano ospiti del cognato e della sorella, dopo che il principe Raco li aveva fatti scarcerare dalla prigione di Casunna per affidarli a loro due.

Nel vederselo davanti all'improvviso, poiché essi non immaginavano che ciò potesse succedere, il re Francide ed Astoride erano rimasti di stucco, a causa della gioiosa meraviglia. Poco dopo si erano lanciati ad abbracciarselo e ad esprimergli le più felici espressioni di gratitudine. Anche Iveonte aveva reagito allo stesso modo, rallegrandosi con i suoi amici con grande soddisfazione. Quando infine si erano esaurite le loro effusioni di contentezza, specialmente da parte dei residenti a corte, essi si erano dedicati a farsi varie domande, gli uni sul suo arrivo repentino, che si presentava lontano da ogni rigido schematismo, e l'altro sui propri familiari, non potendo essere altrimenti. Naturalmente Iveonte, anche se questa volta in forma più succinta e veloce, aveva dovuto rispondere alle domande del cugino, giustificando in tal modo il nuovo viaggio che stava per intraprendere. Subito dopo si era fatto accompagnare dall’amico Francide presso la sorella, la quale in quel momento stava con la suocera, la nobildonna Talinda.

Anche le due donne, nello scorgerlo, erano rimaste stupefatte, comunque oltremodo liete di trovarselo davanti. Ma Rindella era stata quella che, oltre alla stupefazione, aveva voluto manifestargli anche la sua giocondità con un abbraccio interminabile. Profondendo lacrime di gioia sul suo petto, si era data ad esclamargli:

«Finalmente, carissimo fratello, ci viene data l'occasione di scambiarci il nostro affetto. In passato, pur stando qualche volta l'uno accanto all'altra, non abbiamo mai potuto farlo, per la semplice ragione che ignoravamo di essere fratelli. Non è vero che è stato così?»

«La cosa importante, sorella, è che alla fine ci è stato consentito di conoscere la verità, per cui potremo cominciare a gustarci il nostro affetto per il resto della nostra vita. Perciò accontentiamoci già di questo cambiamento di cose che c'è stato per noi, il quale, da oggi in poi, ci farà vivere le gioie che non ci siamo godute fino a questo momento.»

«Adesso, Iveonte, ti accompagno dai nostri genitori, i quali non vedono l'ora di vederti e di abbracciarti, da quando hanno appreso i tanti fatti straordinari sul tuo conto!»

«Allora non perdiamo tempo, Rindella, e conduciamoci immediatamente da loro, poiché non voglio che la loro attesa di avermi tra le loro braccia si prolunghi ancora per molto!»

Quando poi i due germani si erano ritrovati nel locale dove soggiornavano i loro genitori, d'istinto Iveonte si era buttato prima tra le braccia della madre, dandosi così in un vicendevole e tenero abbraccio, durante il quale non si lesinava sui baci che piovevano a iosa. Comunque, entrambi non manifestavano alcuna voglia di parlarsi; ma preferivano estasiarsi con quel loro mutismo, che riusciva a creare per loro due il massimo godimento. Solamente dopo che si era sentita massimamente appagata, la madre si era data a dire al figlio:

«Grazie, Iveonte, per essere ritornato tra noi, riempiendoci di una felicità sovrumana! Adesso, però, procura anche a tuo padre la stessa gioia che hai infuso in me con il tuo intenso abbraccio. Egli era più impaziente di me di ricevere il trattamento che mi hai elargito per prima.»

All'invito materno, il giovane all'istante si era lanciato tra le braccia paterne per condividere anche con lui quel sentimento profondo, che era in grado di suscitare nel loro animo la gioia più ineffabile e il gaudio più avvertito. Infine, pago di quella stretta filiale, il padre, in preda alla massima soddisfazione, si era rivolto al figlio, dicendo:

«Ti sono molto grato, Iveonte, per tutto il benessere che mi stai procurando in questo istante con la tua presenza. Come constato, la profezia dell'oniromante Virco si è avverata, nonostante le molte avversità abbiano cercato di sopprimerti ad ogni costo. Mi dici chi devo ringraziare, per averti fatto diventare quello che sei? Una persona ci sarà stata, figlio mio, la quale ti ha protetto ottimamente dalla barbarie della foresta e ti ha reso in gamba sotto tutti i punti di vista, ossia migliore di come saresti cresciuto presso la mia corte. Allora mi dici chi è stato?»

«Certo che qualcuno c'è stato, padre mio! Si dà il caso che essa sia proprio la persona, che non hai mai smesso di osteggiare, ritenendolo colpevole della morte di tuo cugino, che aveva il mio stesso nome. Invece egli era innocente, poiché il suo colpo era diretto ad un cerbiatto e non al nostro parente. Quindi, si trattò soltanto di una disgrazia non voluta da parte sua. Ad ogni modo, sono portato a credere che le cose dovessero andare proprio come avvennero, poiché il destino aveva già previsto che Tio, rifugiandosi nella foresta, in seguito sarebbe stato il mio maestro in ogni branca del sapere e nella mia formazione d'insuperabile guerriero. Perciò non si poteva contrastare l’ineluttabile destino.»

«Allora Lucebio aveva ragione, quando mi affermava che un giorno mi sarei pentito di pensare male di Tio e di accanirmi contro di lui, arrivando perfino a maledirlo e a perseguitare i suoi familiari. Ma adesso dove si trovano lui e la sua famiglia, poiché intendo farmi perdonare di tutto il torto che ho arrecato a tutti loro? Tu, Iveonte, sai niente dei familiari di Tio e del luogo dove trascorrono la loro esistenza?»

«Tio è morto, padre, e non puoi più farti perdonare da lui. Invece la sua famiglia, grazie al mio intervento, vive agiatamente. Ma in seguito proporrò ai suoi componenti di venirsene a vivere a Dorinda, dove saranno accolti da te e da me con il massimo rispetto.»

«Bravo, Iveonte, farai proprio come hai detto, poiché lo voglio anch'io più di te! Ma già ti anticipo che, quando ciò avverrà, io non sarò più il re di Dorinda, siccome ho deciso di abdicare in tuo favore, essendo tu il degno sovrano della Città Invitta. E poi il mio macilento stato di salute, che attualmente mi priva di ogni forza, non mi permetterebbe di seguitare a regnare! Perciò sarai tu a sedere sul trono di Dorinda, al posto mio, ricevendo anche la mia benedizione.»

«Quest'argomento, padre, lo tratteremo, quando arriverà il momento giusto. Adesso mi attende un nuovo viaggio, la cui durata non è possibile prevedere. Sono certo che, al mio ritorno, starai ad attendermi a Dorinda. Sarà allora che deciderai se continuare a regnare sulla nostra città o se vorrai abdicare in mio favore, per i motivi che mi hai fatto presenti.»

«Cosa mi dici mai, figlio?! Sei appena arrivato fra noi e già ci parli di ripartire, poiché un’altra missione ti aspetta? Vuoi dirmi chi ti ci manda e perché questa tua urgenza di compierla?»

«Spiegarti ogni cosa in merito ad essa, padre, non ti servirebbe a niente, siccome dopo lo stesso sarò obbligato a partire, non potendo io evitarla per il bene di tutti. Ti asserisco il vero, quando ti garantisco che la mia nuova missione riveste un’importanza capitale. Pensa che, se non andrò ad eseguirla, facendo andare le cose come stanno procedendo, l'universo intero sarà in pericolo e, con esso, morirà l'intera umanità. Tu vuoi che ciò accada, facendoci andare di mezzo tutti? Desideri la fine del nostro mondo e quella degli altri popoli sparsi nelle remote regioni cosmiche? Con la mia missione dovrò fare in modo che questo mondo non venga sommerso dal nulla, che lo trascinerebbe nella non-esistenza. Infatti, è ciò che avverrà, se io non corro a porvi i dovuti ripari!»

«Allora, Iveonte, fai il tuo dovere e non permettere che l'universo sparisca nel nulla, con tutti quanti noi che ci abitiamo! Dopo l'umanità te ne sarà riconoscente. Ora, però, mi devi chiarire chi sarà ad accompagnarci alla nostra Dorinda, se tu non potrai farlo. Mi hai detto anche che, quando ritornerai, tua madre ed io staremo ad attenderti con ansia nella nostra amata città. Dunque, conosci già la persona che vi ci condurrà. Perciò ci dici chi egli è?»

«Sarà mio cugino Leruob a condurvi a Dorinda con un centinaio dei suoi uomini. Di lui potete avere la massima fiducia, perché egli mi uguaglia nell'intraprendenza e nella preparazione d'armi.»

«Hai detto tuo cugino, figlio mio, se ho bene udito le tue parole? Egli chi sarebbe, se non ne hai neppure uno?»

«Se ti riferisci ai miei cugini paterni, padre, allora hai ragione. Ma Leruob è uno dei tantissimi miei cugini materni, ossia uno dei nipoti di mia madre, esattamente il figlio di suo fratello Celton. Scommetto che entrambi vi state chiedendo come mai egli si trova da queste parti. Ebbene, adesso vi spiego ogni cosa. Quando sull'isola di Tasmina sono venuto a sapere chi erano i miei genitori, automaticamente ho appreso chi era il padre di mia madre, ossia il leggendario Nurdok. La qual cosa, visto anche che la Berieskania si trovava vicina, mi ha spinto ad andare a trovare il mio nonno materno, raccontandogli i brutti fatti che nel frattempo erano accaduti nell’Edelcadia. Allora lui non ha esitato ad armare un grande esercito, a capo del quale ha messo me, come comandante supremo, e Leruob, in qualità di mio vice. Ora l'esercito beriesko e sul punto di giungere nell'Edelcadia e suo primo compito sarà quello di liberare Actina dagli eserciti alleati che l'assediano. Oltre a suo nipote Leruob, mia madre avrà anche il piacere d'incontrare suo fratello Allemb.»

Dopo quelle spiegazioni date ai suoi genitori sul cugino, Iveonte si era affrettato a congedarsi da loro due e dalla sorella, che erano presenti; ma prima li aveva abbracciati di nuovo, dimostrandogli il suo caloroso affetto. Più tardi, però, era stata la volta degli amici Francide ed Astoride, esprimendo ad entrambi i suoi affettuosi saluti. In pari tempo, aveva provato un immenso piacere nell'apprendere che l'amico fraterno ora aveva una sorella, che era andata in sposa ad Asroride. A proposito del quale, lui e Francide a torto avevano sempre pensato che sarebbe stata difficile una sua integrazione nella società.

A quel punto, ad Iveonte restavano da fare i restanti due incontri, quello con Lucebio e quello con la sua amata Lerinda, per cui era dovuto trasferirsi nella reggia di Dorinda, dove aveva avuto l'opportunità d'incontrarsi con l'uno e con l'altra, ma separatamente. Anche con loro due si erano avuti abbracci intensi e si erano vissute forti emozioni. Dopo però aveva dovuto spiegare al saggio uomo e alla sua fidanzata l'indispensabilità della nuova missione che gli era stata affidata dalle divinità benefiche. Quando infine si stava congedando da loro, non erano mancate lacrime di commozione, poiché la sua separazione li aveva rattristati tantissimo. Ma dopo quegli ultimi due incontri, il giovane stava per lasciare la raggia di Dorinda, allorquando il dio Iveon aveva fatto la sua apparizione improvvisa e gli aveva detto:

«Iveonte, se hai terminato di salutare i tuoi parenti, i tuoi amici e la tua amata, possiamo anche intraprendere il nostro viaggio verso Potenzior. L'eccelso Kron sta aspettando il mio segnale per inglobarci in un suo sguardo e spedirci in un attimo sull'asteroide Tibos.»

«Divino Iveon, allora puoi inviarglielo, poiché sono pronto per partire insieme con te. Adesso che mi ricordo, non mi sono ancora procurato una nuova spada, visto che con quella di Kronel non mi sarà consentito di entrare in Potenzior.»

«Di quella non ti devi preoccupare, Iveonte, perché ho pensato io a reperirla nel posto giusto. Vedrai che essa ti risulterà la più degna di essere maneggiata da te.»

«Perché, divino Iveon, tale spada dovrebbe essere come hai detto? Mi dici anche dove l'hai presa?»

«Iveonte, la spada è quella dell'estinto tuo nonno Kodrun. L'ho presa nel suo sarcofago. Adesso sai anche perché essa, più di tutte le altre, merita di stare in mano tua.»

Iveonte stava per ringraziare il dio, allorquando qualcosa, simile ad un soffio di vento, era intervenuto a rapirli insieme e a farli trovare in una spirale temporale. La quale si andava immergendo nei gorghi del tempo con una velocità impressionante. Quel fenomeno c'era stato, non appena il divino eroe aveva inviato all’eccelso Kron il segnale con cui lo avvertiva che poteva operare il suo intervento su di loro.

Nel momento stesso che essi avevano posto piede su Tibos, ci ritroviamo a seguire il nostro eroe nel presente della nostra storia. Perciò troviamo l'eroe divino e l’eroe umano davanti all'Antro dell'Accesso a Potenzior, poiché Iveonte vi doveva entrare. Allora, prima che ciò avvenisse, il dio Iveon invitò il protetto della diva Kronel a restituirgli l'anello degli eccelsi gemelli, altrimenti non gli sarebbe stato permesso di accedere nel Regno del Potere Cosmico. Inoltre, vi sarebbe dovuto entrare con la sola spada, quella che un tempo era stata del nonno paterno Kodrun. Una volta che Iveonte si fu sfilato il prodigioso talismano dal dito, il divino Iveon, prendendolo in consegna, gli fece presente:

«Adesso, per avere libero accesso a Potenzior, dovrai gridare forte: "Potere Cosmico, fammi entrare nel tuo regno, visto che il mio desiderio è conforme al bene, il quale è protetto da tutte le divinità benefiche!"»

Dopo che Iveonte l'ebbe ripetuto ad alta voce, sulla parete si aprì una grossa crepa, la quale gli permise di entrare. Mentre poi vi accedeva, il dio gli urlò alle spalle: "Umano eroe, che la buona sorte ti accompagni e il destino ti sia favorevole!” Da parte sua, lo squarcio, che prima si era aperto sulla parete rocciosa, si richiuse all'istante.