360°-IVEONTE A GEPUT PER INCONTRARE L'EROICO NONNO MATERNO

Nel frattempo che l'eroico Iveonte tardava a farsi vivo nel borgo di Geput insieme con Speon, siccome egli lo considerava un dovere presentarsi al nonno materno, Tionteo, per espresso desiderio del mitico stratega, si era messo a raccontare le tante imprese compiute dall’amico. Le quali, durante il tempo trascorso, erano state da lui affrontate, allo scopo di abbattere le varie sopraffazioni riscontrate presso taluni popoli, privando così i medesimi delle loro afflizioni. Il giovane ne raccontava una o due al giorno, sempre di pomeriggio, come aveva preteso il grande eroe beriesko. Perciò ogni volta, durante le ore pomeridiane, Nurdok aveva dato ordine di non essere importunato da alcun parente, a meno che non fosse stato Iveonte in persona a farlo. Invece la mattina egli aveva sempre ricevuto regolarmente la visita dei numerosi figli e nipoti. I quali, dopo che il suo quintogenito Deloz ne aveva parlato con tutti loro, venivano a chiedergli del prodigioso parente in arrivo e cercavano a tutti i costi di avere più notizie possibili su di lui.

Così, intanto che il Terdibano era andato avanti con il suo racconto, ravvivandolo con la facondia che gli era connaturale, si era visto Nurdok parimenti emozionarsi ed inorgoglirsi, poiché si rendeva conto di avere un nipote singolare, straordinario ed impareggiabile. Egli era diventato esattamente come era stato vaticinato in due distinte epoche nell’Edelcadia e nella Berieskania. Inoltre, si andava convincendo che il nipote faceva impallidire tutti coloro che giustamente venivano stimati dei grandi eroi dagli altri esseri umani. Nello stesso tempo, non erano venute a mancare da parte sua la massima stima e l’immensa considerazione verso il quintogenito di suo figlio Celton, che pure gli aveva dimostrato di essere uno straordinario guerriero ed un combattente dalle rare qualità, ma non della portata di Iveonte. Perciò, mentre l'ospite aveva seguitato la narrazione delle prodigiose imprese del loro congiunto, Nurdok non si era astenuto dal dimostrarglielo. Pur di non fare ingelosire il valoroso Leruob, si era dato a continui interventi comparativi, che tendevano a paragonarlo in parte al suo prestigioso cugino dorindano.

Volendo essere obiettivi, il superum della Berieskania poteva fare a meno di preoccuparsi per il nipote Leruob, non essendo egli una persona che si lasciava prendere facilmente da un simile sentimento negativo. Difatti, via via che lo si era visto crescere, il suo carattere era stato forgiato dai grandi sacrifici e dalla costanza nel perseguire la vetta del successo. In conseguenza di ciò, adesso l’eccezionale giovane suo parente era abituato ad assumere atteggiamenti ben diversi nei confronti di chi rivelava in sé eccellenti doti nel destreggiarsi nelle armi e nelle arti marziali, nonché nell’arte della guerra. Di fronte alle eroiche imprese del cugino dorindano, Leruob non poteva che far nascere nel proprio intimo ammirazione, rispetto e simpatia verso chi le esternava con somma bravura, senza far mancare in sé neppure il desiderio di emularle. Specialmente, se prendeva in considerazione il fatto che quel campione unico ed inimitabile dalle mille risorse risultava essere un suo consanguineo! Per questo, mentre la narrazione riguardante il grandioso Iveonte era proceduta per strade sempre più colme di gloria e solcate da strabilianti successi, ne era stato affascinato ed aveva tifato per l’eroe che si era ritrovato a compiere quelle infinite gesta travolgenti. A volte si era sentito perfino trascinare ad immedesimarsi con lui, come se ci fosse anch'egli a compierle insieme con l'eroico parente.

Solo adesso Leruob si rendeva conto perché l’ineccepibile Touk si era dovuto piegare davanti ad un guerriero che aveva il talento del cugino Iveonte. La cui perfezione nell’uso delle armi e nelle arti marziali si dimostrava assoluta e sovrana su quella di qualunque altro combattente. Grazie alla sua differente preparazione tecnica, che riusciva a far eseguire a chi se ne impadroniva azioni incontrastate ed indefettibili, egli non poteva avere rivali. Se l’arresto in volo di una saetta per lui già rappresentava un fenomeno incredibile; invece era ben altro che adesso lo lasciava attonito ed incredulo. L’invisibile trottola, che il suo eroico parente collaterale riusciva ad eseguire in campo come la più micidiale delle macchine da guerra, lo aveva incantato particolarmente ed aveva trovato difficoltà anche a comprenderla nella sua reale effettuazione. Perciò, dopo esserne venuto a conoscenza, Leruob non vedeva l’ora di incontrarsi con Iveonte e di farsi spiegare da lui la sua esecuzione in battaglia. Egli, però, intendeva avere alcune delucidazioni anche su tantissime altre cose che, almeno per il momento, restavano in lui decisamente impraticabili o si rendevano inattuabili nel modo più assoluto.

Anche adesso che siamo ritornati nel presente della nostra storia, Nurdok continuava ad ascoltare dalle labbra del suo ospite le imprese compiute dal figlio della sua ultimogenita, seguendole assai sbalordito e compiacendosene tantissimo in pari tempo. Alla fine di una di esse, egli si sentì in dovere di chiedere all'amico del nipote:

«Mi sai dire, Tionteo, chi è stato l’insuperabile maestro che ha messo Iveonte in condizione di conseguire una preparazione impeccabile nell’uso delle armi e nelle arti marziali? Tenuto conto di come ha preparato il suo bravissimo allievo, di sicuro egli non può temere confronti, anche se ci riferiamo ai meritevoli maestri dei Kulten!»

«Se non erro, Nurdok, mi pare che il suo maestro si chiamasse Tio. Ma mi duole aggiungere che il poveretto è passato da poco a miglior vita. Egli fece da maestro anche al suo amico fraterno Francide, il quale oggigiorno si ritrova ad essere il re di Actina. Per diventarlo, ha dovuto uccidere il malvagio zio fratricida, vendicando così il padre Godian.»

«Ora comprendo, Tionteo, perché il figlio della mia Elinnia ha raggiunto la perfezione che si ritrova nelle varie discipline del sapere! Sapendo che egli ha avuto un maestro eccezionale come lui, il quale impedì anche a noi Berieski di diventare i padroni dell’Edelcadia, adesso tutto si spiega facilmente. Beninteso, mio nipote non sarebbe diventato più bravo del suo maestro, se nelle sue vene non fosse circolato il sangue dei suoi due leggendari nonni, che eravamo io e il defunto Kodrun!»

«Parli di lui, Nurdok, come se lo avessi conosciuto! Posso sapere, per favore, quando facesti la sua conoscenza e ti rendesti conto del suo inestimabile valore?»

«Certo che è stato così, giovane terdibano! Lo conobbi durante gli scontri tra gli Edelcadi e i Berieski, ossia quando decidemmo di invadere l'Edelcadia. Ricordo ancora che allora egli, sebbene fosse un giovane ancora imberbe, fece mangiare la polvere a tanti miei prodi guerrieri, pur avendo costoro nelle armi un’annosa esperienza! Tio, agli occhi di tutti, si rivelò un vero portento nelle armi da lui conosciute, le quali erano l’arco e la spada, e nella lotta a corpo libero! Avresti dovuto vederlo combattere! Egli si dimostrò un vero fenomeno!»

«Concordo con te, valoroso Nurdok, nell'affermare che tuo nipote Iveonte è diventato l’eroe che sappiamo, superando perfino il suo maestro, per un motivo molto importante. Egli, a differenza di Tio, aveva avuto come nonno paterno, che era già morto, e come nonno materno, che era vivente, dei guerrieri che, presso i loro popoli, erano stati considerati dei mitici eroi! La differenza consistette esattamente in ciò.»

«Di sicuro, Tionteo, avrà influito pure tale fattore nella sua brillante formazione.» Leruob intervenne a dire la sua «Ma sono della convinzione che è stata principalmente l’attitudine ad apprendere di mio cugino, se egli ha ottenuto la perfezione che ora si ritrova! Se l’egregio maestro Tio non avesse avuto un allievo come Iveonte, oppure come Francide, che anche l’ha appresa ai massimi livelli, secondo quanto mi affermi, non sarebbe stato capace di trasmettere ad entrambi la sua preparazione con gli eccellenti risultati che conosciamo. Quindi, le loro doti congenite, che gli sono state trasmesse ereditariamente, hanno avuto un ruolo molto importante, rendendo la loro preparazione priva di qualsiasi lacuna e portata esclusivamente a vincere contro tutti gli altri guerrieri!»

«Te ne do atto, Leruob, dal momento che entrambi gli amici fraterni hanno dimostrato di possedere innate in loro sia la predisposizione ad apprendere l’uso delle armi e le arti marziali sia la tenace combattività, la quale è propria di un campione autentico! In riferimento al sovrano di Actina, mi sono ritrovato a combattere con lui fianco a fianco contro le centinaia di soldati dello zio Verricio. In quella occasione, ebbi modo di conoscere la sua bravura di eccezionale combattente, la quale mi salvò anche la vita, per cui oggi posso stare a parlare con voi.»

Oramai si era alla quindicesima giornata, da quando Tionteo si era messo a riferire con passione sulle avventure dell'eroico amico, dandosi a raccontarle in pieno meriggio. Al termine del racconto dell'ennesima avventura del glorioso nipote, anch'essa risultata molto avvincente, il superum ci tenne a far presente un particolare:

«Per fortuna di Leruob, suo cugino Iveonte avrà altre mire, poiché giustamente gli interesserà la corona regale spettante ai regnanti di Dorinda! Perciò egli vorrà riscattarla ad ogni costo, essendo sua intenzione venirne in possesso per naturale diritto!»

«Nonno, non capisco cosa c’entra l’interesse di mio cugino con la mia fortuna. Per favore, vuoi aiutarmi a comprendere meglio il nesso logico esistente tra le due cose?»

«Tra breve tempo, Leruob, non ci sarò più, poiché partirò per l'altra esistenza. Allora chi aspira a diventare mio successore dovrà guadagnarsi a colpi di spada la carica di superum della Berieskania. Fino ad un mese fa, ti vedevo come il sicuro capo dei Berieski, non avendo tu rivali in grado di batterti. Invece adesso la presenza di Iveonte in Geput non ti farebbe più apparire come l’aspirante imbattibile, se egli, dopo essersi radicato qui, risultasse tra i candidati al titolo di superum. Entrambe le cose avrebbero compromesso il mio pronostico, azzerando tutte le mie previsioni ottimistiche a te favorevoli. Ma di ciò, come è prevedibile, non dobbiamo più preoccuparci, siccome il futuro vedrà te come superum della Berieskania ed Iveonte come sovrano incontrastato di Dorinda. Naturalmente, Leruob, non avrei trovato nulla da ridire contro Iveonte, sapendo quale personaggio carismatico egli rappresenta! Solo che vedo più te il naturale superum della nostra gente, poiché la rappresenti più di lui in senso appropriato! Mi sono spiegato adesso?»

«Lo sai anche tu, nonno, che per me la mancata nomina a superum della Berieskania non avrebbe costituito alcun problema per la mia esistenza. Ciò che sarebbe stato importante per me è che non sarebbero venute meno, in tale eventualità, sia la mia integerrima condotta di guerriero coraggioso e leale sia la mia dignità di uomo! Se lo vuoi sapere, la mia amicizia con il mio ottimo cugino mi avrebbe dato più soddisfazione che ritrovarmi ad essere il prestigioso superum beriesko!»

Leruob aveva appena finito di esprimere la sua opinione sulla parentesi aperta dal nonno, circa la nomina del suo futuro successore nel comando della Berieskania, allorquando dall’esterno del padiglione provennero uno strano fermento di persone ed un chiacchiericcio insistente. Poco dopo proruppero nell’interno di esso Iveonte e Speon, i quali erano accompagnati da Deloz e da una decina di nipoti di Nurdok.

Ma prima di proseguire nel nostro entusiasmante racconto, cerchiamo di apprendere cosa era successo al nostro eroe, da quando aveva fatto ritorno presso l'amico Speon, fino al suo arrivo alla dimora del nonno, la quale si trovava nel borgo di Geput. Ebbene, quando l'amico gli era apparso all'improvviso, Speon gli si era espresso così:

«Già qui, Iveonte? Allora sei riuscito a salvare la tua diva protettrice e suo fratello? Ma non ho dubbio che avrai messo fuori combattimento il dio malefico che li aveva fatti prigionieri, liberando i due divini germani! Non è stato forse come ho detto?»

«Senz'altro è stato così, Speon! Ho dovuto impartire la lezione che si meritava al dio negativo Vernuk, il quale aveva preteso di farsi adorare dai Lutros, al posto loro. Comunque, trovandomi lì, ho fatto anche la conoscenza del fratello di lei, che è il divo Luciel.»

«Adesso cosa si fa, Iveonte? Già, bisogna continuare la nostra galoppata in direzione di Geput, dove ci attendono Tionteo, i Lutros e quelli che li hanno costretti a seguirli fino all'importante borgo beriesko. Non è forse vero che faremo quanto ho detto?»

«Senza meno, Speon! Ma io sono lieto di andarci, poiché non vedo l'ora di incontrare il longevo superum della Berieskania e di abbracciarmelo con grandissimo affetto!»

«Come mai, Iveonte, tanto interesse per il leggendario Nurdok, tutto all'improvviso? Prima non lo avevi mica mostrato, quando si è parlato di lui. Sono forse in errore?»

«Non ti sbagli, Speon! Ma adesso devi sapere che, dopo avere appreso chi sono i miei genitori, nello stesso tempo sono venuto a conoscenza che il glorioso Nurdok è il mio nonno materno, essendo egli risultato nel deoblion il padre di mia madre!»

«Come mi avvedo, la vita è una continua sorpresa! Essa è capace di toglierti le persone più care, come pure ti fa ritrovare accanto parenti che non avresti mai immaginato che lo fossero. Buon per te, Iveonte, anche se per me è stato l'inverso, come già sai! Comunque, dopo pranzo, ci converrà rimetterci subito in cammino.»

Dopo aver ripreso il viaggio, Iveonte e Speon avevano dovuto darsi a correre per tre giorni ancora, prima di pervenire alla periferia del borgo beriesko. Quando poi vi erano giunti, si erano affrettati ad entrare in Geput. Ma al loro ingresso nel villaggio del superum, per puro caso si erano imbattuti in Deloz e in tre dei suoi figli, i quali lo accompagnavano in una delle vie geputiane. Nello scorgerlo da lontano, lo zio materno, facendo grandi salti di gioia, lo aveva raggiunto, lo aveva abbracciato e lo aveva anche presentato alla sua prole accompagnatrice. Questa volta, però, il loro incontro era avvenuto nelle vesti di zio e nipote, per cui i figli di Deloz gli si erano presentati timidamente come cugini. In seguito, il quintogenito del superum si era messo a sua disposizione, facendogli da guida fino alla dimora del padre. Lungo il tragitto, però, si erano uniti a loro altri sette cugini dell’eroe dorindano. Essi si erano mostrati altrettanto lieti di presentarsi a lui e di fare la sua personale conoscenza.


L’ingresso di Iveonte nel padiglione del nonno avvenne sia in forma solenne che in modo commovente. Da una parte, egli fu ricevuto con tutti gli onori da colui che adesso rappresentava un mito in declino, prossimo ad intraprendere il suo viaggio del non ritorno; dall’altra, invece, tra loro due le emozioni si moltiplicarono. Si può affermare che, esplodendo con la loro carica emotiva, si dimostrarono di una pateticità fuori del comune. Anche gli abbracci calorosi espressero l'intera loro emozionante affettuosità e permisero ad entrambi di avvertire quanto di eroico e di guerresco era nell’altro. Il primo a parlare fu Nurdok, la vecchia quercia ultracentenaria che contendeva ancora alla morte la spinta ad esistere. Inoltre, egli stava sfidando il tempo, che ora si faceva sentire più agguerrito nei suoi confronti. Ma anche gli faceva mostra della sua riverenza, mentre si accingeva ad avvilupparlo con le sue spire annientatrici. I suoi occhi appannati, essendo molto vecchio si mostravano lacrimosi, mentre si esprimeva ad Iveonte con le seguenti parole:

«Nipote mio, non sai di quale gioia incommensurabile è stracolmo il mio animo, intanto che, tenendoti vicino, posso toccarti ed abbracciarti. Se tua madre Elinnia è sempre stata la mia figlia prediletta, in questo momento tu sei diventato il mio nipote più amato. A tale riguardo, affinché tutti i tuoi cugini non se la prendano a male, voglio precisare che la mia preferenza per te non scaturisce dal fatto che vai dimostrando di essere il più grande di tutti gli eroi. Essa, invece, mi proviene dalla tua passata condizione in termini di affetto, la quale di certo non ha avuto il bel ciel sereno dalla sua parte, siccome sei stato il più sfortunato di loro in tal senso. Per moltissimi anni, sei vissuto senza le cure premurose dei tuoi genitori, siccome non ti veniva concesso di conoscerli dal destino. Quando poi sei venuto a sapere chi erano, in pari tempo hai scoperto che gli sventurati stanno marcendo in una lurida prigione. Prima essi erano già stati privati del trono e defraudati di ogni loro avere da ignobili sovrani senza scrupoli. I quali, perciò, a causa delle loro ignominiose malefatte, adesso meritano il capestro!»

«Grazie, nonno, per l’affetto particolare che mi stai dimostrando; però devi sapere che anche in me ferve una felicità incontenibile, mentre mi trovo vicino a te. Ma anche perché sono con i miei zii e i miei numerosi cugini materni, che è mio desiderio conoscere tutti, uno per uno. Tu e loro, essendo il mio genitore figlio unigenito, rappresentate gli unici miei parenti stretti. Non mi ritrovo neppure a godermi un fratello, essendo stati uccisi entrambi durante l’occupazione della mia città. Mi rimane la sola Rindella, la sorella che il provvido destino ha voluto risparmiare. Per fortuna esso ha voluto anche che ella si legasse con il re Francide, il mio amico fraterno, il quale, una volta che è diventato sovrano di Actina, l’ha pure sposata. Adesso non c’è dubbio che dovrà seguire la mia vendetta per tutti i torti subiti dalla mia famiglia contro quei sovrani che ne furono responsabili. Unicamente in questa maniera, quelli che causarono le sventure dei miei familiari pagheranno salatamente il tradimento e il depredamento, oltre ai danni fisici e morali che hanno arrecato ad ognuno dei miei consanguinei!»

«Hai ragione, Iveonte! Dovrai punire quei sette re edelcadici, essendosi essi macchiati di tradimento a danno di tuo padre e del tuo popolo. Inoltre, dovrai riprenderti i territori e i beni che gli sciacalli traditori osarono spartirsi senza un minimo di dignità. Per questo, perché ciò avvenga con la massima certezza, porrò al tuo comando un esercito capace di sconfiggere i sette sovrani che detronizzarono il mio genero Cloronte, il quale è tuo padre, e lo spogliarono di ogni suo possedimento!»

«Saggia decisione, nonno!» approvò Leruob «Io sarò al fianco del mio leggendario cugino Iveonte, offrendomi di fargli da vicecomandante. Sempre ammesso che egli sia d’accordo! Combattendo al suo fianco, mi sentirò molto onorato e felice di farlo!»

«Certamente sarai tu il suo vice, figlio del mio quintogenito Celton. Eccettuato Iveonte, tutti gli altri tuoi consanguinei sono al corrente che, tra i Berieski, sei secondo solo all’eroico tuo cugino ritrovato! Perciò spetta a te essere il suo vice, quando vi recherete nell’Edelcadia a fare pulizia nelle corti dei sette sovrani edelcadici traditori!»

Subito dopo, rivolgendosi al nipote dorindano, Nurdok aggiunse:

«Iveonte, ti presento tuo cugino Leruob. Sappi che anch’egli ha la stoffa dell’eroe! Ti assicuro che è un guerriero eccezionale, maturato con i più sani principi, proprio come è successo a te! Non per niente, la metà del suo sangue è uguale al tuo!»

«Ah, sei tu Leruob, cugino mio?» gli disse Iveonte «Speon mi ha già parlato del tuo grande valore! Per cui speravo al più presto di fare la tua conoscenza! In verità, all'inizio ti volevo conoscere solo per darti una lezione; ma dopo ci ho rinunciato. Come vedo, adesso non ce n'è più bisogno, essendosi create le nuove circostanze, le quali sono più favorevoli a vederci amici, anziché nemici!»

«Certo che sono io, Iveonte! Invece, se tu sapessi quante cose ci ha raccontate di te il tuo amico Tionteo! Mettendole insieme, non avremmo la misura di tempo capace di contenerle tutte! Perciò sono orgoglioso di esserti cugino, avendole ammirato da vero guerriero! Scusami, se all’inizio, quando Tionteo continuava a parlarmi di te, ero convinto di batterti e non vedevo l’ora di darti una lezione coi fiocchi, pur di convincere il tuo amico che ero più bravo di te!»

Alle ultime parole di Leruob non ci fu alcuna replica, da parte del suo interlocutore. Si preferì invece dare sfogo ai sentimenti momentanei. Tra i due coetanei consanguinei, perciò, seguirono una stretta di mano ed un forte abbraccio: l'una e l'altro furono esternati molto calorosamente. Quanto allo zio Deloz e agli altri cugini presenti, essendo esse già avvenute per strada, non ci fu bisogno che Iveonte esprimesse le stesse dimostrazioni affettuose elargite a Leruob. Avendo poi l’eroe manifestato il desiderio di conoscere gli altri zii e cugini, sia maschi che femmine, il celebre superum pensò di radunarli tutti insieme nella propria casa. Naturalmente il raduno ci sarebbe stato intorno ad una tavola imbandita. Perciò decise di offrire all'intera numerosa parentela un lauto e piacevole banchetto.


Correva voce che le più desiderose di conoscere il nuovo parente fossero le sedici cugine, le quali avevano sentito dire sul suo conto che si trattava di un giovane aitante ed eccellente in ogni cosa. Perciò tutte si erano proposte di prendere parte alla preparazione delle pietanze da servire a tavola e all’allestimento di quest’ultima. Avevano pure stabilito che due di loro, durante il convito, avrebbero occupato a tavola i suoi lati, l'una quello di destra e l’altra quello di sinistra. Per scegliere le due fortunate, esse si erano affidate al sorteggio, senza immaginare lontanamente che stavano facendo i conti senza l’oste, il quale era rappresentato dal loro nonno Nurdok. Le due prescelte dalla sorte, infatti, erano rimaste con un palmo di naso all'insù, quando si videro ignorare dall’autorevole e longevo parente. Il vecchio superum volle che i due nipoti campioni sedessero accanto a lui, Iveonte alla sua destra e Leruob alla sua sinistra. Invece fece sedere Tionteo alla destra del primo e Speon alla sinistra del secondo. Perciò a nessuna donna fu permesso di sedersi a tavola, per cui le nuore e le nipoti di Nurdok furono assegnate ad altri compiti: le prime a cucinare e le seconde a servire le pietanze, come appunto esse desideravano. Ma prima che si desse inizio al sontuoso pranzo, egli ci tenne che Iveonte facesse la conoscenza pure delle cugine, ritenendolo un atto dovuto ed una loro legittima aspirazione. Così, avendo dato loro il contentino, le aveva fatte sentire un po' più serene e risollevate durante l'intero svolgimento del lauto pranzo. Anzi, in quella maniera, si era evitato di scorgerle imbronciate e predisposte a combinare soltanto guai nel servire, unicamente per puro dispetto!

Avvenuta la consumazione anche della frutta e del dolce, Leruob, quando i commensali sedevano ancora intorno alla tavola, si alzò in piedi ed invitò gentilmente i suoi parenti a fare silenzio. Quando tutti tacquero e posero orecchio alle parole che stava per pronunciare, Leruob si diede a parlare a tutti loro nel modo seguente:

"Se mi concedete la vostra attenzione, miei cari ed affezionati zii e cugini, avrei qualcosa da farvi presente. Quando ritornai a Geput, dopo molti anni di assenza, vi stupii moltissimo con la mia nuova tecnica che riguardava l'uso delle armi. In special modo, vi strabiliai con le mie arti marziali, delle quali eravate del tutto all’oscuro. Sappiate che, in entrambe le cose, anche Iveonte possiede una sua tecnica, la quale, attenendoci ai fatti, è risultata essere superiore alla mia. Infatti, sono venuto a conoscenza che egli ha battuto uno dei massimi rappresentanti della scuola in cui mi sono formato. Ebbene, in questo giorno di festa, il quale è tutto in suo onore, se il nostro Iveonte non avrà nulla da eccepire, avrei pensato di affrontarci, lui ed io, in un combattimento, il quale dovrà essere senz’altro amichevole. Di conseguenza, la palma della vittoria sarà di colui che sarà in grado di disarmare il proprio avversario. Chiarisco, però, che la mia proposta non vuole essere una sfida, ritenendomi il sicuro perdente del futuro scontro, già prima di iniziarlo. Comunque, sono convinto che darò molto filo da torcere al mio validissimo cugino. La gara da me proposta, al contrario, avrà il solo scopo di deliziare la totalità dei miei parenti qui riuniti con la nostra arte della scherma e con quella della lotta libera. Infatti, esse saranno espresse da noi ai più alti livelli delle due tecniche conosciute al mondo. Ma prima del nostro certame con finalità assolutamente dilettevoli, il nostro prestigioso parente, il quale è stato l’unico al mondo a dimostrarsi superiore al signore dell'isola di Tasmina, dovrà esibirsi in due esternazioni portentose, ossia l’arresto di una freccia in volo e l'arma micidiale dell'invisibile trottola. Fino ad oggi, invano i grandi perfezionisti della mia scuola hanno tentato di conseguire questi due eccezionali risultati con la loro arte applicata alla difesa e all'offesa. Alla fine, con grande loro delusione, hanno dovuto rinunciarci."

Dopo aver terminato il suo breve discorso, Leruob, per esserne certo, domandò al cugino:

«Allora, Iveonte, sei d’accordo con la mia iniziativa, la quale permetterà alla nostra parentela di concedersi quello svago, di cui mai fruirebbero in una maniera diversa?»

«Lo sono senza meno, mio caro cugino Leruob; però ad una condizione, sulla quale non transigo! Perciò, tu e gli altri consanguinei presenti, dovete decidere se prendere o lasciare!»

«Se ci dici qual è la condizione che vuoi dettarci, Iveonte, sono convinto che non potrà esserci alcun motivo per non accettarla. Infatti, siamo convinti che, poiché sei tu a dettarcela, essa potrà avere esclusivamente un fine nobile! Non può essere altrimenti, cugino mio! Quindi, rendicela palese, se vuoi che l'accettiamo con l'intera nostra simpatia!»

«Dimentichi, Leruob, che nella Berieskania non sei tu ad impersonare la legge, ma è nostro nonno. Perciò solo lui può garantirmi che sarà accolta qualunque mia condizione, anche se essa dovesse contravvenire alle vostre leggi e alle vostre consuetudini! Ma voglio ammonirvi che, per me, prima vengono i miei principi morali e poi le leggi vigenti presso il vostro popolo. Soprattutto non sono disposto ad accettare quelle che calpestano la dignità della persona umana e favoriscono i vari tipi di discriminazioni in ogni campo!»

«Hai perfettamente ragione, cugino mio, riguardo all’uso dell’autorità. Hai fatto bene ad aprirmi gli occhi, poiché solo adesso mi sto rendendo conto di essermi arrogato un diritto che non mi competeva, essendo esso esclusivo del superum della Berieskania. Adesso, però, provvedo a porvi riparo, facendo intervenire la persona che è stata investita dal popolo di tale potere, cioè il nostro caro nonno!»

Dopo, rivòltosi all’autorevole congiunto, Leruob gli parlò così:

«Mi devi scusare, nonno, per l’imperdonabile errore da me commesso. Nello slancio di soddisfare qualunque richiesta proveniente da Iveonte, il quale per noi è un parente speciale, non mi sono accorto che stavo scavalcando la tua autorità, prendendo al posto tuo delle indebite decisioni. Ad ogni modo, adesso rimetto nelle tue mani ogni provvedimento in merito alla condizione che egli vorrà dettarci. Così sarai tu a deliberare sul caso, dopo aver valutato ragionevolmente i suoi vari contenuti!»

«Non devi scusarti, Leruob, per aver cercato di metterti a disposizione del nostro ritrovato parente. Il tuo è stato solo un atto stracolmo di chiara generosità, nonché meritevole di stima. Ma adesso mi incarico io di trattare con tuo cugino la questione che egli ha posto in essere. Vedrai che al termine ci sarà di sicuro una intesa tra noi due e il fine nobile delle tue proposte iniziali non sarà disatteso!»

Passando poi ad esprimersi al figlio della sua ultimogenita Elinnia, il vecchio Nurdok, del tutto in linea con la precedente condotta assunta dal nipote Leruob, gli assicurò:

«Sono d’accordo con te, Iveonte, quando affermi che alcune leggi calpestano la dignità umana e che ciò non dovrebbe verificarsi. Sono sicuro che la tua condizione riguarda appunto una di esse, dopo averla riscontrata presso il nostro popolo ed averla trovata offensiva dei tuoi sani principi. Ebbene, ritenendoti sommamente giusto, poiché tutti gli eroi lottano sempre dalla parte della giustizia, ti garantisco che essa sarà accettata da me senza alcuna riserva. Perciò, a questo punto, puoi porci la tua condizione con animo sereno, dal momento che essa non riceverà opposizione da parte di noi tutti, a cominciare da me!»

«Grazie, nonno, per essere intenzionato ad anteporre a qualche tua legge i miei principi civili e morali. Come pure ringrazio Leruob per la sua totale condiscendenza dimostrata in precedenza nei miei confronti. Venendo al sodo, io mi oppongo ad ogni genere di discriminazioni, poiché propugno l’uguaglianza fra tutti gli esseri umani, a prescindere da ogni specie di diverso, compreso il sesso. In base a tale principio, le persone, siano esse di sesso maschile oppure di sesso femminile, hanno uguali diritti; ne consegue che non è giusto vietare alle donne ciò che è consentito agli uomini. Non mi riferisco alle differenze già stabilite da Madre Natura tra i due sessi e alla necessità di mantenerle. Invece mi richiamo a quelle distinzioni introdotte dall’uomo a discapito della sola donna. Tra le quali, è compresa anche la limitata libertà che le viene imposta in taluni rapporti sociali, interdicendola dalla partecipazione ad essi. Una volta che vi ho fatto presente ciò, non mi resta che annunciarvi che le proposte di mio cugino diventeranno anche mie, solo se si permetterà pure alle vostre donne di assistere sia al mio combattimento con lui che alle mie dimostrazioni! Questa è la condizione che vi pongo!»

Dopo il chiarimento di Iveonte, fatta eccezione di Nurdok e di Leruob, i restanti commensali rimasero attoniti, come se fossero stati scandalizzati dalle sue parole. Ma l’intervento del loro genitore e nonno, il quale stava per seguire tonante e convincente, avrebbe fatto cambiare atteggiamento ad ognuno di loro. L’autorevole congiunto, infatti, mostrandosi per niente risentito, intervenne a rispondere al nipote:

«Oggi, Iveonte, ho deciso di esaudire ogni tuo desiderio, proprio come se fosse una nostra legge. Anzi, farò qualcosa di più: nella Berieskania, lo farò diventare legge, se non lo è ancora! A ben rifletterci, il problema della donna, da te sollevato e valutato secondo la tua ottica, viene ad offrirci spunti per approfondirlo secondo parametri più improntati a giustizia. In un certo senso, non hai tutti i torti, nipote mio, visto che da lei ci provengono cose di grande utilità e momenti di ineffabile dolcezza. Con accanto la nostra compagna, in casa non ci sentiamo impacciati ed inconcludenti, poiché ella vigila di continuo, perché nessuno dei nostri bisogni resti inappagato. Ci cucina, ci lava, ci pulisce, rassetta i nostri abiti, mette ordine nella nostra abitazione. Inoltre, non si rifiuta mai di addolcire la nostra vita frenetica con le sue carezze e la sua passione, della quale non riusciamo a dispensarci. Almeno ciò capita a me; ma non so se succede anche agli altri!»

«Questa è la pura verità sulle nostre donne, mio caro nonno, anche se i maschi si ostinano a non riconoscerglielo! Come ringraziamento della loro massima dedizione nei nostri confronti, invece, cosa facciamo noi per tutte loro? Puoi dirmelo tu!»

«Esattamente niente, Iveonte! Anzi, ricambiamo i loro favori, trattandole come oggetti e non come esseri umani uguali a noi. Ritenendole esclusivamente le procreatrici dei nostri figli, le releghiamo in uno spazio esistenziale angusto e privo di soddisfazioni. Vietiamo ad esse perfino ogni azione che esorbiti dalle loro mansioni domestiche. Anzi, le confiniamo in una realtà, la quale è la diretta conseguenza della nostra concezione maschilista e schiavista nei loro confronti. Solo adesso me ne sto rendendo conto, nipote mio da poco ritrovato, grazie anche a te, che hai voluto portare la loro questione in questa riunione familiare. La quale quest’oggi è intenta a festeggiare la tua venuta a Geput!»

«Hai parlato con la bocca della verità, nonno! Ma voglio apprendere da te a quale conclusione ti condurranno alla fine queste tue giuste osservazioni sul gentil sesso!»

«Mi fanno comprendere, nipote mio, che sul concetto della donna vanno riviste tante nostre posizioni arbitrarie, ampliando le nostre vedute sul suo conto. Occorre che ci mostriamo più liberali, assegnando al sesso debole anche altri ruoli importanti, oltre a quello che la vedono come un giocattolo nelle nostre mani, senza una propria libertà di pensiero e di azione! Da domani in poi, presso il nostro popolo, i riflettori della civiltà dovranno farci considerare la donna sotto una luce diversa, la quale sia rischiaratrice della sua nobile missione nel nostro contesto sociale. Fatta questa necessaria premessa a favore della donna, decreto che anche alle nostre consorti, sorelle e figlie venga data la possibilità di assistere allo spettacolo che tra poco ci offrirete tu e tuo cugino Leruob, in qualità di guerrieri eccezionali e di formidabili combattenti!»

Dopo le sagge parole di Nurdok, i suoi due prediletti nipoti lo applaudirono, volendo dimostrargli di aver gradito moltissimo ciò che egli aveva dichiarato a difesa della donna. Anche gli altri cugini si unirono alle loro espressioni di assenso e di gradimento. I loro padri, invece, anche se non si mostravano entusiasti del pensiero paterno, ben si guardarono dal contestarlo. Perciò, pur di non apparire invisi al loro autorevole genitore, furono obbligati ad allinearsi alle sue rivoluzionarie parole e ad esternare il loro tiepido consenso. Soprattutto le donne accolsero con entusiasmo il cambio di rotta annunciato da Nurdok, che si sarebbe avuto nel pianeta donna già da quel giorno. Grazie al quale, esse non avrebbero più dovuto patire una esistenza limitata ed insoddisfacente, rispetto a quella più piena e più gratificante riservata ai soli maschi.


Alle spalle dell’abitazione del superum della Berieskania, c’era un pezzo di terreno con rari alberi da frutta, il quale era di sua proprietà. Di forma rettangolare, esso era lungo una cinquantina di metri e largo non più di venti. Inoltre, era quasi interamente protetto da una recinzione di piante arbustive alte più di due metri, con la sola esclusione di quei pochi metri che lo mettevano in comunicazione con il padiglione adibito ad abitazione. Era stato in tale campetto che si era svolto il solenne convito tra i molti parenti, al quale avevano partecipato cento persone, tra maschi e femmine, anche se queste ultime avevano dovuto solo apparecchiare la tavola, preparare le pietanze e servirle ai loro congiunti maschi. In vista delle strabilianti esibizioni da parte dei loro due familiari con la stoffa del campione, le donne avevano badato anche a sparecchiare l’interminabile desco, dandosi a togliere di mezzo ciò che era servito a metterne in piedi la struttura lignea e ad imbandirlo con grazia e gusto prettamente femminili.

Come inizio della competizione, Iveonte e Leruob vollero misurarsi in due gare di tiro con l’arco, la prima con bersaglio fermo e la seconda con bersaglio mobile. In quest’ultima gara, l’oggetto da colpire doveva essere un’altra saetta, cioè quella scagliata in alto dall’avversario. Ebbene, mentre nella prima prova si ebbe un pareggio, poiché entrambi i contendenti fecero centro con tutti e dieci i loro tiri a disposizione; nella seconda, fu Iveonte ad aggiudicarsi la vittoria. Infatti, a differenza di Leruob, che era riuscito ad intercettare e a colpire sette frecce in volo, egli non aveva fallito neppure un tiro. Trovandosi poi già a maneggiare gli archi, Iveonte invitò il cugino a colpirlo con il proprio arco. Ma la freccia, che Leruob fece scattare dal suo arco, non raggiunse il bersaglio, poiché il suo destinatario l’arrestò a mezzo metro dal suo corpo, sbalordendo tutti coloro che facevano da spettatori. Più tardi, seguì, da parte di Iveonte, l’esecuzione dell’invisibile trottola. Dopo aver impugnato la spada con tutte e due le mani ed averla protesa al massimo davanti a sé, egli iniziò a girare intorno al proprio corpo, facendolo prillare a guisa di una trottola. Ad un certo momento, egli velocizzò talmente la rotazione, che alla fine sia il suo corpo che la sua arma divennero invisibili, scomparendo agli occhi degli stupefatti astanti. Si sentiva solo provenire dall’uno e dall’altra il movimento dell’aria accompagnato da un sordo sibilo. Quando Iveonte ebbe posto termine alla sua dimostrazione, che si era fatta stimare la più tremenda delle macchine da guerra, i vari parenti, ad iniziare da Nurdok e Leruob, vollero complimentarsi con lui.

Anche le donne, superando ogni ritrosia e non mostrandosi avare di complimenti, si diedero ad abbracciarselo. Ma una volta che nella totalità dei parenti si fu esaurita l’esuberanza dei sentimenti ammirevoli a favore dell’eroico Iveonte, ognuno attese con ansia il fenomenale incontro che i due assi della scherma e delle arti marziali stavano per disputarsi. Pur non facendosi il tifo per nessuno dei due, da parte dei loro congiunti, si era concordi nel ritenere che esso li avrebbe incantati e fatti beare sommamente. Essi erano convinti che sarebbe stato messo in campo dai due protagonisti il meglio delle loro prodezze e dei loro artifici schermistici. Non poteva essere altrimenti, considerati gli autori che avrebbero dovuto far mostra delle une e degli altri, divertendoli a non dirsi. Perciò, quando i due famosi cugini stavano per dare l’avvio al loro supercombattimento, la totalità dei presenti erano rimasti completamente muti. Anziché mettersi a pensare al vincitore di esso, le loro attese erano concentrate sulla spettacolarità del suo svolgimento. Essa, secondo il loro parere, ne sarebbe derivata senza meno, essendo tutti convinti che così sarebbe stato.

Avvenuto l’approccio iniziale da parte dei due campioni, il quale era stato dedicato al loro vicendevole studio, avvennero i primi loro affondi, i quali furono seguiti da spostamenti acrobatici finalizzati a schivarli. Ma poi essi li adoperarono anche per assalire l’avversario con delle volute deconcentranti. Allora la fiumana dei loro attacchi e contrattacchi, che non avevano nulla a che vedere con la tradizionale scherma, si sbizzarrì con le sue molteplici varianti schermistiche e di lotta libera. Esse, a un tempo, venivano eseguite senza esclusione di colpi. I diversi strategici spostamenti aerei, come pure le incursioni al suolo, le quali erano condotte con eccellente maestria, adesso miravano al primato della singolarità e del prestigio. Esclusivamente in quella maniera, ciascuno dei due poteva dimostrarsi il migliore e l'indubbio vincitore del cimento.

Seguirono dopo gli pseudoassalti, le agili giravolte, i balzi tigreschi e gli allunghi penetranti, i quali avevano tutti l’obiettivo di sbandare la difesa avversaria e di renderla in quel modo vulnerabile. Ovviamente, la professionalità di ognuno di loro era insita in ogni azione che eseguivano, fosse essa offensiva oppure difensiva. Soprattutto si scorgeva nelle loro egregie abilità tecnico-tattiche. Ma si riusciva ad intravederla perfino nei loro attenti sguardi, poiché essi si rivelavano in pari tempo indagatori e sospetti. Perciò tendevano a prevenire pericoli, a celare intenzioni e a dissuadere l’antagonista dall’intraprendere mosse dal fine palesemente minaccioso. Anche senza togliere alcun merito all’eccezionale valore di Leruob, la durata del galvanizzante duello non convinceva. Essa, a parere di Tionteo, stava andando troppo per le lunghe. Perciò egli la giustificava con il fatto che l’eroe dorindano era intento più ad offrire spettacolo alla schiera dei parenti che non a vincere rapidamente l’incontro con tutte le proprie forze e risorse. Da parte sua, lo stesso cugino, che era ugualmente impegnato in quella esemplare tenzone, era persuaso che Iveonte non ce la stava mettendo tutta, allo scopo di concludere il loro scontro prima possibile. Invece egli badava soltanto a ritardare l’esito finale dello scontro, essendo desideroso di divertire al massimo i numerosi parenti che aveva appena ritrovati.

Dunque, il combattimento durava da un’ora, quando Iveonte decise di approfittare di una cavazione eseguita allo scopo di svincolare la propria arma dal legamento dell’avversario cugino. Facendo leva sul medesimo movimento rotatorio di svincolo, egli fu in grado di strappargli la spada dal pugno e di disarmarlo. In quel modo, la competizione ebbe termine e sancì la vittoria del nostro imbattibile eroe. A conclusione di essa, non mancò un affettuoso abbraccio tra i due cugini, i quali ricevettero infiniti applausi dalla loro parentela ed un encomio solenne da parte del loro leggendario nonno.

Il giorno successivo, per ordine del superum, nell'intera Berieskania furono avviati i preparativi rivolti ad armare l'esercito più grande che fosse mai esistito. Esso, che sarebbe stato comandato da Iveonte e dal cugino Leruob, quest’ultimo in qualità di secondo, avrebbe dovuto raggiungere di nuovo la remotissima Edelcadia. Nella quale avrebbe dovuto punire severamente quei sovrani, i quali avevano preso parte al tradimento perpetrato ai danni della città di Dorinda e del suo re Cloronte. Così, in capo ad un trimestre esatto, l’atteso esercito era già pronto ed organizzato, secondo lo schema del grande stratega Nurdok. Per la verità, si trattava dello stesso che abbiamo conosciuto nella sua prima invasione della regione edelcadica, per cui non serve ritornare a descriverlo al nostro lettore. A quel punto, poté anche avvenire la sua partenza alla volta della fiorente regione degli Edelcadi. Ma prima di mettersi in viaggio a capo del loro esercito, Iveonte e Leruob vollero incontrarsi con il nonno per abbracciarselo con immenso affetto, come fecero quando ci fu il loro incontro. Il mitico e longevo parente, dal canto suo, augurò ad entrambi i nipoti una ingente fortuna, oltre che una serie di successi e di trionfi degni del loro eroismo.

Alla fine Iveonte lasciò la Berieskania, stando a capo dello sterminato esercito che il nonno Nurdok aveva voluto mettergli a disposizione. Lo affiancava il valoroso cugino Leruob, il quale si sentiva molto fiero di essere al suo fianco e di avventurarsi insieme con lui in quella guerra che, secondo le previsioni, sarebbe stata sicuramente la madre di tutte le guerre. Comunque, entrambi i cugini sapevano pure che il tragitto, il quale avrebbe dovuto condurre il loro esercito nell'Edelcadia, sarebbe stato interminabile ed insidioso. Ma noi, in attesa del suo arrivo nell’Edelcadia, ci daremo a ripercorrere gli avvenimenti accaduti in tale regione durante l’assenza del nostro eroe, specialmente quelli più pertinenti alla storia che stiamo raccontando. Per la precisione, ci interesserà conoscere i soli fatti avvenuti in Dorinda e in Actina, siccome in tali città risiedevano le persone che ci stanno maggiormente a cuore, come Francide, Astoride, Lucebio, Lerinda e Rindella. Le loro vicende, come sappiamo, sono venute ad intrecciarsi con quella del nostro eroe, durante il suo breve soggiorno nella regione edelcadica. Perciò ci conviene riallacciarci immediatamente al loro passato, a cominciare dal rientro di Rindella nella propria abitazione. Difatti, Iveonte e il suo nuovo amico Tionteo, al loro ritorno da Actina, erano passati per Casunna, dove Lerinda e Rindella si erano unite a loro due, dovendo essi riaccompagnarle a Dorinda, l’una alla reggia del fratello e l’altra al palazzo del possidente Sosimo, presso la sua tutrice Madissa.