354°-IVEONTE APPRENDE NEL DEOBLION CHI SONO I SUOI GENITORI

Prima di seguire Iveonte e il mago Zurlof fino alla loro destinazione, che era il deoblion, cerchiamo di apprendere le caratteristiche di natura tecnica che lo riguardavano. Ma possiamo anticipare che il suo secondo nome era Tempio del Passato, poiché esso faceva recuperare ad una persona il ricordo della parte di vita dimenticata. Esso si trovava al centro di un’ampia sala rotonda, la quale era formata da un’unica parete circolare di colore azzurro e da una volta cupoliforme a mo’ di firmamento. Su quest'ultima, alcuni elementi vi riproducevano degli astri che caracollavano in continuazione. Visto dall’esterno, il deoblion appariva una semplice costruzione edile di forma prismatica, a pianta esagonale. Le sue facce laterali erano dei quadrati aventi il lato uguale al raggio di base, che misurava tre metri. Esse si univano a due a due nel senso dell’altezza, senza formare degli spigoli. Al loro posto, ci stavano delle semicolonne rudentate e svasate, con la superficie mosaicata e i capitelli dorati. Ma soltanto cinque di tali superfici quadrate erano di colore gialloverde, poiché la sesta era adibita come porta d’ingresso. La sua copertura riproduceva una piramide avente gli spigoli laterali doppi di quelli del prisma sottostante ed era formata da sei triangoli isosceli di colore indaco. Ciascuno di loro, oltre ad avere una stella d’argento dipinta nella sua parte centrale, emanava una strana luminescenza. Essa finiva per infastidire la vista, se qualcuno cercava di affissarvi gli occhi.

Quando il nostro eroe e il mago raggiunsero la sala rotonda, Zurlof, indicandogli la costruzione che è stata appena descritta, fece presente al giovane accompagnatore:

«Quella specie di chiosco, Iveonte, è il deoblion, il cui significato etimologico è "soppressore dell’oblio". Perciò, una volta che ci sarai entrato, avverrà nella tua memoria la restitutio ad integrum di tutto quanto adesso non ricordi. Per la verità, non saprei dirti cosa vi si celi all’interno, poiché le poche volte che sono capitato in questa sala, mi sono limitato unicamente a guardarlo dall'esterno di sfuggita. Inoltre, se avessi tentato di entrarvi, non saprei riferirti se la sua porta d’ingresso me lo avrebbe consentito oppure no, pur ricorrendo alla mia onniap. Ma per noi la cosa importante è che io sono al corrente dei preliminari d’ingresso che permettono di entrarvi. Essi vanno seguiti alla lettera, se non si vuole andare incontro ad un insuccesso. Dunque, incominciamo subito ad assolvere tali compiti, poiché essi dovranno metterti in condizione di accedere al deoblion!»

«Zurlof, io sono già pronto ad attenermi alle norme che costituiscono il cerimoniale previsto. Attendo soltanto che tu me le faccia conoscere per seguirle alla lettera! Quindi, cominciamo?»

«Allora iniziamo pure, Iveonte! Ma prima di condurti davanti alla porta d’ingresso del Tempio del Passato, devi privarti dei calzari, dell’anello e di ogni arma che hai addosso. Dopo essertene liberato, dovrai andare ad inginocchiarti dinanzi alla sua porta. Restando poi genuflesso e con le braccia alzate, dovrai recitare questa breve supplica: "Signori degli astri, sto per venire a farvi visita. Per questo vi supplico di mostrarvi bendisposti nei miei confronti e di accogliermi con favore, siccome venirvi a trovare per me è stato necessario ed inevitabile." Incrociate poi le braccia sul petto, senza abbandonare la stessa posizione, starai in attesa delle mie nuove disposizioni.»

Iveonte non perse tempo a condurre a termine ciò che il mago gli aveva suggerito come prima cosa da fare. In quella occasione, la sua spada si era tramutata in Kronel, la quale aveva preso in custodia l’anello del padre. Allora Zurlof, constatato che il giovane era già pronto per la sua missione, si affrettò a rendergli noti i successivi compiti che lo attendevano, mettendosi a dirgli:

«Adesso àlzati, Iveonte, e avvicìnati alle due imposte di bronzo, che formano la porta del deoblion. La superficie di ciascuno di esse, come puoi vedere, riporta il calco di una mano. Entrambi, essendo allineati e simmetrici, hanno i pollici rivolti verso il centro. Quello di ponente corrisponde alla tua mano sinistra, mentre quello di levante alla tua mano destra. Quando sarai pronto a farlo ed io te lo avrò ordinato, ci farai combaciare le tue mani, gridando: "Spalàncati, Porta della Verità!"»

Iveonte, avendoci già dato un'occhiata veloce, gli fece presente:

«Zurlof, ti metto al corrente che sotto i calchi scorgo una frase scritta a piccoli caratteri, la quale si estende dall’una all’altra imposta! In passato non ti era mai capitato di leggerla e di comprenderne il contenuto? Oppure non ci avevi mai fatto caso?»

«La ignoravo completamente, Iveonte! Se lo vuoi sapere, solo in questo momento ne sto apprendendo l'esistenza da te. Me la leggi, per favore, in modo che io venga a conoscenza del suo contenuto e, in base ad esso, possa dopo guidarti nella giusta maniera?»

«C’è scritto quanto segue, Zurlof: "Le imposte di questa porta si apriranno soltanto ad una particolare persona, la quale dovrà avere per nonni, ossia quello paterno e quello materno, due valorosi guerrieri. I cui nomi non possono non soddisfare la seguente relazione: la lettura inversa di ciascuno dovrà dare il nome dell’altro. Qualunque altro essere umano tenterà di accedervi sarà folgorato all'istante!"»

«Ci voleva anche questa scalogna, Iveonte! Se tu non dovessi essere la persona giusta e tentassi l’impresa, periresti sul colpo e io non riavrei più mia madre resuscitata dal tuo anello! Che ne dici, se pensiamo prima a fare resuscitare la mia genitrice e poi riprenderai la tua missione? Così eviterai di trovarti in cattive acque, quando non hai ancora riportato in vita colei che mi diede i natali alcuni millenni or sono!»

«Non scoraggiarti, Zurlof! Se sono giunto fin qui, sopravvivendo alle tue esiziali insidie, ciò vuol dire che sono io l’unica persona ad avere le carte in regola per l’accesso al deoblion! Ma se proprio lo desideri, possiamo anche fare come hai detto, non avendo difficoltà ad accontentarti subito, facendo tornare in vita tua madre! Così facendo, in caso di un mio insuccesso, almeno lei sarà viva e tu sarai felice accanto a lei!»

«Invece ci ho ripensato, Iveonte: vai avanti nella tua impresa! Sono convinto che tu solamente potrai fare aprire la porta del deoblion. In teoria, dovrebbe essere così, dato che da tutti gli elementi a nostra disposizione si desume che sei tu il predestinato a fare spalancare le sue imposte. Il sorriso della tua dolce diva protettrice, siccome ella conosce già la verità sui tuoi genitori, anche se non le è stato possibile rivelarteli, pare che voglia avallare quanto ti ho dichiarato. La qual cosa m’incoraggia ad aver fiducia nel tuo destino. Prima però di consegnare le tue mani ai due calchi per compiere il tuffo nell’ignoto, voglio ringraziarti per il tuo altruismo, che hai messo ancora a disposizione della mia genitrice!»

«Non preoccuparti, Mago dei maghi, perché ho sempre creduto pure io nella mia buona sorte. Sono nato vincente e non morirò perdente, grazie anche ad alcune potenti divinità benigne che vegliano su di me. Tra poco, dopo che ne avrai la conferma, ti convincerai che tua madre è destinata a risuscitare ad opera mia. Naturalmente, grazie al miracoloso intervento del mio anello, il quale compirà senz'altro su di lei la resurrezione della carne, come ti ho promesso!»

Mentre parlava in quel modo, Iveonte badò subito a poggiare le mani aperte sopra i due calchi, facendole così combaciare con essi. Allora, subito dopo che gli organi appendicolari delle sue braccia vi si sistemarono perfettamente, dei luminosi segmenti azzurrognoli iniziarono a saettarli e ad attraversarli, come se si fosse trattato di vere scariche elettriche! Quando infine quel fenomeno visivo venne meno, nella sala azzurra subentrò ad esso un rotolio di tuoni cavernosi, i quali all'istante vi si propagarono, raggiungendo ogni sua parte. Terminato poi anche lo strano fenomeno sonoro, le imposte della porta incominciarono ad arretrare e ad allontanarsi l’una dall’altra, fino a raggiungere i rispettivi stipiti. I quali erano distanti circa un metro l'uno dall'altro ed avevano un’altezza di due metri. Una volta che ci fu la loro apertura, dall’interno del deoblion provenne uno sbuffo di vento. Esso, mentre usciva ed investiva il giovane, era accompagnato da un urlio impazzito. Ma Iveonte non si lasciò impressionare da quella folata rabbiosa; anzi, superata la sua soglia, fece il suo impavido ingresso nel Tempio del Passato. Solo quando egli vi ebbe posto piede, le due imposte si chiusero di nuovo dietro di lui bruscamente. In quel modo lasciarono fuori la diva Kronel e il mago Zurlof, i quali vi restarono alquanto impensieriti. Adesso entrambi erano ansiosi di scorgere Iveonte venir fuori dal deoblion con le belle notizie, che egli aveva desiderato ottenere da lunghissimo tempo.


Una volta pervenuto dentro l'arcano luogo, l’eroe si meravigliò a non dirsi nel trovarlo di una spaziosità infinita, anche perché, visto dal difuori, la sua superficie interna si faceva immaginare inferiore ai trenta metri quadrati. Invece il suo spazio al massimo si lasciava considerare di centoquindici metri cubi. All’esterno, infatti, il Tempio del Passato si presentava come una piccola e graziosa costruzione; mentre, nella sua parte interna, si ampliava a dismisura, con le sue bellezze naturali e con il suo sterminato cielo chiaro e splendente. Su quest’ultimo, non si adagiava mai l’ombra della notte, con l’obiettivo di annerirlo e di renderlo stellato. Il suo stato di luminosità perenne restava sempre quello che poteva intravedersi nel tardo mattino di un giorno primaverile. Per la qual cosa, anche i paesaggi circostanti, i quali vi si scorgevano sotto il velo di un nitore celeste, apparivano più limpidi e più gai alla vista di coloro che avevano la fortuna di poterli osservare. Intanto che Iveonte faceva le sue osservazioni e considerazioni sul luogo in cui stava, all’improvviso gli apparve uno gnomo, il quale gli recò il seguente messaggio: "Se vuoi sapere chi sei, devi raggiungere la collina che si erge davanti a te. In prossimità di essa, troverai una polla, la cui acqua zampilla fino a due metri di altezza. Essa è la Sorgente della Memoria. Dopo che l’avrai attraversata, non ti sfuggirà più niente della tua trascorsa fanciullezza, per cui verrai a sapere pure chi sono i tuoi genitori!"

Un istante dopo che si era espresso in quel modo, lo gnomo fu visto sparire nel nulla. Allora il nostro eroe, essendo impaziente di conoscere le sue origini, immediatamente si precipitò a raggiungere il colle. Esso, elevandosi non molto lontano dal luogo in cui era lui, si presentava di media altezza. Davanti alla scaturigine, però, Iveonte trovò ad attenderlo una specie di colosso, il quale era alto due metri e mezzo. Egli aveva le braccia conserte e gli si mostrava con uno sguardo grave. Sebbene quello avesse una gigantesca corporatura, che poteva incutere parecchio timore ad ogni uomo, Iveonte non ne ebbe affatto paura. Perciò fu lui a domandargli per primo in modo risoluto:

«Chi sei, essere dalla complessione smisurata, la quale non è proprio quella di un essere umano? Cosa ci fai davanti a quest’acqua, che continua a sgorgare abbondante dal terreno? Non mi dire che rappresenti il guardiano della sorgente e vuoi impedirmi di attraversare la sua acqua! Se così fosse, sarebbe inutile da parte tua cercare di vietarmelo, poiché nessuno è in grado d'intralciare il mio passo!»

«Invece non sono il guardiano della fonte, valoroso guerriero! Se il deoblion ti ha aperto la sua porta e ti ha permesso di entrare senza impedirtelo, ciò vuol dire che hai tutto il diritto di bagnarti con l’acqua della Sorgente della Memoria. Comunque, non ti nascondo che stavo aspettando appunto te! Tra poco ti dirò anche il motivo.»

«Se attendevi la mia venuta in questo luogo misterioso dove tu risiedi, allora saprai anche chi sono, uomo a me sconosciuto, del quale vorrei conoscere il nome per rivolgermi a lui senza difficoltà. Allora ci presentiamo e la facciamo così finita?»

«Invece non ho avuto ancora l’onore di conoscere né te né il tuo nome. d ogni modo, io non sono un uomo, ma un essere astratto. Per l’esattezza, sono il genio Vuriez e sono il residente onorario di questo deoblion. Vuoi dirmi adesso anche il tuo nome?»

«Io invece mi chiamo Iveonte e sono incline sia a combattere il male che a difendere la giustizia. Ecco perché, Vuriez, se tu dovessi avere dei principi opposti ai miei, sarei costretto ad affrontare pure te per sentirmi in pace con la mia coscienza! Ma perché mi hai fatto presente che stavi aspettando la mia venuta qui, se non mi conoscevi?»

«La ragione è molto semplice, Iveonte. Se sei stato capace di sopravvivere alle insidie del mago Zurlof e di averlo anche forzato a mettersi a tua disposizione, non puoi che essere una persona eccezionale! Gli uomini come te m’interessano in modo particolare, poiché mi piace sfidarli, cimentarmi con loro e misurarne il valore. In questo modo, posso dare anche una stima alle mie doti di grande guerriero. Inoltre, tengo a precisarti che il nostro scontro, se accetterai la mia sfida, non potrà essere che amichevole. Ossia, non avrebbe come risultato l’uno che perisce e l’altro che sopravvive; ma ci sarebbero soltanto un vincitore ed un vinto, senza danni per quest'ultimo. Obiettivamente parlando, non si correranno pericoli soltanto da parte tua, siccome io sono astratto ed indistruttibile!»

«Mi dici, Vuriez, come farò a scontrarmi con te, se sei un essere, la cui astrattezza m'impedisce di colpirlo concretamente, come mi è permesso fare con un essere che ha la mia stessa natura?»

«Non preoccuparti di ciò, Iveonte! Se fosse come hai immaginato, neanche io potrei colpirti: non ti pare? Perciò, perché il nostro amichevole scontro abbia dei presupposti e dei risultati reali, ti affronterò in carne ed ossa. In questo modo, entrambi assaporeremo la soddisfazione dei nostri colpi portati a segno e l’amarezza di quelli dell'avversario che non siamo riusciti a schivare, per cui ci hanno arrecato solo dolore!»

«Allora, Vuriez, dopo che mi hai chiarito come avverrà il confronto tra noi due, esso ci sarà senz’altro, se proprio lo desideri! Io non sono il tipo che è abituato a tirarsi indietro!»

«Iveonte, in relazione al nostro scontro, ho scordato di dirti le due seguenti novità importanti: 1) qui tutti possono volare, a condizione che essi lo vogliano; 2) il teatro della nostra competizione verrà ad interessare pure lo spazio aereo, oltre che il suolo sotto i nostri piedi. Dopo averti fatto presenti tali particolari, sei ancora disposto a confrontarti con me, senza temere il fatto che probabilmente ricorrerò pure al volo?»

«Certo che lo sono, genio Vuriez! Anzi, non vedo l’ora di batterti!»

«Quindi, Iveonte, che si dia subito inizio alla nostra disputa! Anche se ci vedrà scambiarci botte da orbi, essa non dovrà farci ritenere in nessun caso l'uno nemico dell'altro!»

Fu così che poco dopo tra loro due prese il via una contesa dai toni molto accesi e combattivi. Nella quale, più che vederli darsele alla cieca, si assistette ad un corpo a corpo studiato ed intelligentemente condotto tanto in campo offensivo quanto in quello difensivo. Invano il genio cercò di prendere l’imbattibile giovane alla sprovvista, poiché l’eroe ogni volta riusciva ad eludere i suoi colpi mirati. Quando poi gli era impossibile evitarli, glieli rendeva inefficaci mediante delle parate reattive, le quali avevano il compito di attutirli. Iveonte, da parte sua, ricorrendo al meglio delle sue arti marziali, lo assaliva da ogni parte con salti repentini e scattanti. A più riprese, lo investiva con i suoi arti inferiori, imprimendo su di essi l’intero peso del corpo. Non erano rari i casi in cui Vuriez ne restava sorprendentemente atterrato, benché la sua enorme stazza si presentasse davvero mastodontica. La qual cosa sbalordiva l'astratto genio, che adesso vestiva l'abito della concretezza. Anche se la sua bravura era indiscussa, poiché gli proveniva dalle sue facoltà trascendentali, egli si vedeva mettere in grande disagio dal rivale, il quale si mostrava una furia scatenata ed irriducibile.

Se vogliamo essere obiettivi, anche se si combatteva amichevolmente, senza nessuna punta di cattiveria, c’era sempre l’orgoglio ad oscurare un po’ la sportività della gara. Per tale motivo, era consequenziale che Vuriez non accettasse di buon grado di venire battuto da un essere umano. Allora, vedendo che al suolo non ci stava facendo una bella figura nella sua lotta con il campione umano, egli cercò di capovolgere le sorti del combattimento, cambiando il campo del suo svolgimento. Perciò, ad un certo punto, si sollevò dal suolo ed iniziò a volare nell’aria, invitando il suo avversario a comportarsi allo stesso modo. Così avrebbero seguitato a combattersi nello spazio celeste. Il genio era convinto che Iveonte avrebbe incontrato varie difficoltà nel volo, siccome gli sarebbero derivati da esso dei movimenti timidi ed impacciati. A quel punto, venendo a calare parecchio il suo alto livello battagliero, egli ne avrebbe approfittato per disputare il bell'incontro agonistico del tutto a suo favore. Invece, per sua sventura, le cose non andarono come lui aveva previsto. L’eroe umano, infatti, continuò a dargli prova di un valore eccezionale; anzi, anche in quanto a volare, gli dimostrò che sapeva fare meglio e più di lui. Le sue aggressioni risultavano più incalzanti, colpivano più a fondo. Manovrando con le braccia e con le gambe, procuravano all’avversario delle forti sbandate da capogiro. Inoltre, i suoi artifici acrobatici erano tanti e tali, da rivelarglisi di una maestria sorprendente, quella che egli non si sarebbe mai aspettata da un essere umano. A volte con cabrate, altre volte con picchiate, altre ancora con piroette, il giovane fu in grado di mettere in serie difficoltà il genio, facendolo trovare spesso facilmente alla sua mercé.

Alla fine, sentendosi stremato al massimo, da non potercela più fare a continuare a darsi botte da orbi, il genio Vuriez fu indotto a desistere dalla dura lotta, per cui propose ad Iveonte l'immediata cessazione del confronto che c’era fra loro due. Allora l’eroico giovane accolse la proposta del suo antagonista, non volendo vederlo umiliato di più. Rimesso poi entrambi piede al suolo, Vuriez si congratulò con l'eroico Iveonte, per l’ottima prestazione esibita durante il loro scontro amichevole. Di lì a poco, lo esortò ad attraversare la Sorgente della Memoria e a lasciarsi bagnare dalle sue acque zampillanti.

Naturalmente, essendo stato quello l’unico scopo del suo ingresso nel deoblion, Iveonte all'istante entrò nel grande zampillo della prodigiosa sorgente in movimento. Ma dopo averla attraversata ed essere uscito dall’altra parte, l'eroe non era più bagnato, come si era sentito mentre vi passava attraverso. Inoltre, i suoi occhi erano assenti alla realtà circostante, poiché stavano ripercorrendo i remoti sentieri di un pezzo del suo passato, quello che era andato misteriosamente perso. Quando lo ebbe recuperato, l’intera sua esistenza trascorsa gli diventò chiara e nitida come uno specchio, siccome adesso poteva ripercorrerla in lungo e in largo e vederla come in uno specchio. Così di essa recuperò molte cose che, per un arcano fenomeno, si erano smarrite in lui.

Alla fine apprese che egli era il figlio primogenito degli ex regnanti di Dorinda, ossia del re Cloronte e della regina Elinnia; nonché era il nipote dei leggendari strateghi Kodrun e Nurdok. Adesso si rendeva pure conto che tali nomi erano come la porta del deoblion li aveva pretesi per aprirsi, cioè il contrario del nome di ciascuno dava esattamente il nome dell’altro. In quell’istante, allora, si diedero a fervere in lui il forte desiderio di fare giustizia e quello di riportare la sua Dorinda all’antico splendore, quello che essa aveva vissuto durante il regno del nonno paterno. Ovviamente, l’eroe tralasciò di tuffarsi a capofitto nella folla dei sentimenti che avevano iniziato a pullulare nel suo animo, siccome non erano quelli né il momento né il luogo per farlo. Perciò, una volta scoperte le sue origini, Iveonte salutò cordialmente il genio Vuriez e se ne ritornò dalla diva Kronel e dal mago Zurlof. Essi stavano fremendo per l’impazienza di vederlo uscire dal chiosco ed attendevano con ansia che le sue imposte si aprissero e gli permettessero di venirne fuori trionfante di gioia.


Quando il giovane si ripresentò ad entrambi, apparendo con il volto immerso nella massima felicità, il mago Zurlof fu il primo a rivolgersi a lui, domandandogli:

«Iveonte, nel Tempio del Passato ti è andato tutto bene come speravi oppure no? Che stupido che sono! Certo che sì, a guardarti in faccia!»

«Ogni cosa è filata liscia come l’olio, Zurlof! Perciò adesso sono venuto a conoscenza di coloro che sono i miei veri genitori; ma mi sono anche reso conto che mi toccherà faticare sodo, se voglio rimettere tutte le cose al loro posto nella mia lontana terra!»

«Mi fa molto piacere, Iveonte, che sei riuscito a raggiungere il tuo scopo, dopo un'infinità di peripezie! Kronel mi ha messo al corrente di una parte di esse. Ma sono convinto che sarai in grado di superare anche i restanti ostacoli che ti si presenteranno in avvenire, se sei riuscito a difenderti da quelli che ti ho posti io! Il loro superamento ti darà modo di riportare la giustizia e il benessere in seno alla tua famiglia e al tuo popolo! Te lo auguro di cuore, generoso eroe!»

«Grazie, Zurlof, per la stima e per la fiducia che mi stai dimostrando, anche se ce l'ho messa tutta per meritarle da te. Adesso, però, devo riappropriarmi del mio anello per riportare in vita tua madre. La poveretta, da alcuni millenni, continua a vivere l'eterno sonno della morte. Ciò ti procura un dolore così immenso ed un’angoscia così tremenda, da avvelenarti l’esistenza!»

A quel suo manifestato desiderio, la diva restituì all’eroe il suo anello e si tramutò di nuovo in spada, la quale fu subito impugnata da lui. Poco dopo Iveonte e Zurlof si trasferirono nella sala ovale e si avvicinarono al sarcofago. Allora, senza perdere altro tempo, il mago provvide a privarlo del suo coperchio trasparente per consentire al protetto degli eccelsi gemelli di prodigarsi a favore dell’estinta genitrice. In quel modo, Iveonte poté prendere entrambe le mani gelide della madre morta, dandosi poi a fregargliele. Mentre trasmetteva al corpo di lei il proprio calore, Iveonte sussurrò all’anello: "Permetti a questa donna di resuscitare, facendole riacquistare la vita!"

Non appena Iveonte ebbe pronunciato quella frase, fu visto il corpo cereo di Keuà riacquistare il colorito, aprire gli occhi ed iniziare a respirare, come qualunque altro essere umano vivente. Infine, sbadigliando e strofinandosi gli occhi a lungo, sollevò la schiena e si pose a sedere; però si mostrava ancora molto confusa. Il Mago dei maghi, da parte sua, non credeva ai propri occhi, davanti al miracolo operato da Iveonte. Perciò, preso da un empito di gioia, se lo abbracciò e lo ringraziò. Dopo l’abbraccio di Zurlof, il giovane preferì lasciarlo solo con la madre rediviva, salutandolo e congedandosi da lui. Mentre si allontanava dalla sala ovale in modo spedito, Zurlof si diede a gridargli alle spalle:

«Iveonte, non hai al mondo un nemico più avverso e più implacabile del mago Ghirdo, il quale è un essere abietto ed infido! Per questo ti suggerisco di guardarti sempre da lui, anche se non ho dubbi che egli non potrà mai prevalere su di te e sul tuo glorioso destino! Quando lo rincontrerai, trattalo come si merita, facendolo sparire per sempre dalla faccia della terra, poiché una fine del genere è ciò che il farabutto si merita da parte tua!»

A dire il vero, il giovane eroe captò distrattamente le parole del Mago dei maghi. Per questo, senza dare ad esse alcun peso, tirò diritto per la sua strada. Raggiunta poi la riva del mare e fattosi traghettare da Arupio, che proprio in quel momento stava giungendo alla riva, Iveonte raggiunse la terraferma, nel punto esatto in cui aveva lasciato Tionteo e i Lutros. In quel luogo, però, non trovò più né l’uno né gli altri. Allora, da un esame approfondito del suolo, egli si rese conto di un’amara verità, ossia che essi erano stati fatti prigionieri e condotti via. A quella scoperta, l'umano eroe non poté fare a meno di chiedersi con insistenza chi ne fossero stati i responsabili e dove li avessero condotti. Poco dopo, però, ritenendo che la loro vita potesse essere messa in pericolo dagli autori della loro cattura, pensò di mettersi subito sulle loro tracce, ad evitare che gli venisse fatto un male irreparabile. Ma prima che egli si desse a ricercarli, gli apparve la diva Kronel e gli fece presente:

«Iveonte, l'ultima volta che mi hai impugnata come spada, sono stata messa al corrente da mio padre che sta per raggiungermi mio fratello Luciel, dovendo egli diventare il dio protettore dei Lutros. Io devo condurmi ad accoglierlo, per non farlo trovare a disagio, dopo il suo trasferimento nel territorio lutrosino. Intendo aiutarlo ad ambientarsi in quel luogo, mettendolo a conoscenza di ogni cosa riguardante i Lutros.»

«Fai bene, Kronel, a raggiungere il tuo germano, poiché non puoi fare altrimenti. Allora ti auguro un bell'incontro con lui e salutalo anche da parte mia! Nel frattempo, mi darò a rintracciare i miei amici e i Lutros nostri accompagnatori, che sono spariti da questo luogo.»

Quando la diva lo ebbe lasciato solo, il giovane eroe stabilì di raggiungerli al più presto, senza risparmiarsi fatiche ed affanni attraverso la sterminata Berieskania. Ma aveva iniziato a muovere i primi passi, allorquando gli apparve davanti Speon, il quale lo stava aspettando. Avendo così appreso ogni cosa dall'amico, egli immediatamente si lanciò insieme con lui alla volta del remoto borgo di Geput. Anche perché era già sua intenzione pervenirvi, essendo desideroso d'incontrarvi il mitico nonno materno. Avendo recuperato a Tasmina la sua identità, adesso sapeva che egli era il grande Nurdok.

I lettori, a loro volta, giustamente si staranno chiedendo che fine avevano fatto Tionteo e i Lutros che stavano con lui, i quali erano stati lasciati in quei paraggi da Iveonte. Invece adesso non si scorgeva neanche l’ombra di loro. Allora, pregandoli di non agitarsi troppo per la loro misteriosa scomparsa, gli promettiamo che lo sapremo presto. Per la precisione, quando ci daremo a narrare la nuova coinvolgente vicenda, la quale è imminente a venire alla luce e a farsi seguire da noi.

Erano trascorsi cinque giorni, da quando Iveonte e Speon avevano intrapreso il loro cammino verso Geput, allorché il suo anello si era messo a lampeggiare con intermittenza. A suo parere, quel luminoso messaggio discontinuo poteva solamente segnalargli che la diva Kronel era venuta a trovarsi di nuovo in una situazione molto critica, probabilmente insieme con il fratello Luciel. Per questo era suo dovere raggiungerli al più presto, tralasciando il suo viaggio verso l'importante borgo beriesko, che era stato appena intrapreso. Anche Speon si accorse del lampeggiamento dell'anello. Allora domandò all'amico:

«Come mai, Iveonte, il tuo anello seguita a lampeggiare? Fino ad oggi, mi capita la prima volta di vederlo fare così. Significa forse qualcosa per te quella sua luce intermittente, la quale sembra non voglia più smettere? Vorrei saperlo anch'io, amico mio!»

«Mio caro Speon, il mio anello si comporta in questo modo, ogni volta che la mia diva protettrice si trova in uno stato di disagio, che può esserle causato da una divinità malefica più potente di lei. Perciò me lo segnala in simultaneità per spronarmi a raggiungerla e a toglierla dalla sua precaria situazione. In verità, non saranno le sue sollecitazioni a farmi accorrere da lei per recarle il mio aiuto, poiché in me c’è già una viva brama di prodigarmi in questo senso. E lo farò con tutte le mie forze tra breve, avendo ella bisogno con urgenza del mio soccorso!»

«Mi dici, Iveonte, come farai a battere una divinità, della quale nemmeno la tua divina protettrice è stata in grado di avere ragione? Inoltre, desidero sapere come faresti a raggiungerla, se ella dovesse trovarsi ad una distanza enorme da dove siamo in questo momento? Spiegami queste due cose, purché mi sia facile comprenderti!»

«Rispondendo alla tua prima domanda, Speon, ti faccio presente che il mio anello dispone di un'energia più potente di quella posseduta da tutte le altre divinità esistenti nell’universo. Quindi, nessuna di loro può competere con me, quando mi servo di tale energia e la contrappongo alla loro, al fine di ridurle all’impotenza, visto che esse non possono essere distrutte. Infatti, le divinità, sia quelle benefiche che quelle malefiche, sono indistruttibili; ma possono essere costrette ad un'esistenza inattiva, cioè tale da non poter più esprimersi nocivamente contro gli umani od altre divinità di grado inferiore. Anche il dio malefico Kustoz era superiore alla mia diva protettrice. Ma come sai, sono riuscito lo stesso a neutralizzare i suoi poteri, intanto che lei si trovava a molta distanza dai territori degli Zeiv, avendo ella da compiere una propria missione altrove!»

«Lo dici davvero, Iveonte, che il tuo anello ti rende più potente di tutte le divinità malefiche esistenti nell'universo? Ma mi dici perché mai esso si trova al tuo dito?»

«Certamente, Speon! Perciò tali divinità dovranno ben guardarsi da me! Rispondendo poi alla tua seconda domanda, devo svelarti un segreto. Sempre grazie all’anello, sono in grado di volare ad una velocità che neppure ti sogni! Perciò posso raggiungere il tuo villaggio Borchio in meno di un’ora. Ma che dico? In un tempo ancora minore! Non sai che ho dovuto affrontare gli Anacundios e il loro divino genitore nello spazio aereo, essendosi svolto in tale area celeste il nostro combattimento? Come vedi, non ti devi preoccupare per me, amico mio, dal momento che ho tutte le carte in regola per superare anche gli ostacoli più insormontabili di natura sia umana che divina! Esso mi è stato inviato dal padre della mia diva protettrice, appunto per farmi difendere con esso la figlia, ogni volta che ella diventa vittima di una divinità malefica più potente di lei.»

«Adesso sì che mi sento abbastanza rassicurato, Iveonte, dopo quanto mi hai riferito, per cui non ho più motivo di dubitare delle tue prodigiose potenzialità. Come mi rendo conto, ciò vale anche quando ti tocca fronteggiare delle situazioni che richiedono da te delle capacità che vanno ben oltre le umane possibilità! Ad ogni modo, amico mio, di qualcosa del genere mi ero già accorto. Per cui mi ero perfino chiesto tra me perché mai non te ne servivi in tutte quelle situazioni che avrebbero potuto agevolarti il compito nel perseguire determinati obiettivi. A proposito, perché non c'è stato da parte tua l'istantaneo raggiungimento dell’isola di Tasmina con un bel volo, al fine di accelerare i tempi per conoscere i tuoi genitori? Mi spieghi perché non lo hai fatto?»

«A tale riguardo, Speon, voglio farti una precisazione. Io ricorro alla mia spada e al mio anello, esclusivamente quando, per raggiungere un mio obiettivo umanitario, le mie sole forze umane non me lo consentono. Dopo averti chiarito quest'ultimo particolare, devo troncare qui la mia conversazione con te, siccome il mio dovere è correre in soccorso della mia diva tutelare e liberarla dalla divinità negativa che perfidamente la tiene prigioniera. Ora rimarrai qui ad aspettare il mio ritorno, quando verrò a ripescarti in questo posto.»

Nel frattempo che Iveonte si precipita a raggiungere la sua diva protettrice, noi lo anticiperemo per cercare di capire cos'era effettivamente accaduto alla figlia del dio del tempo. La quale si era allontanata dal suo pupillo per andare incontro al suo caro fratello, il quale era in arrivo su Geo, come le aveva comunicato Kron, il suo divino genitore.