352-ZURLOF CONTINUA A MOSTRARSI OSTILE VERSO IVEONTE
Keuatok non era un castello come tutti gli altri, specialmente per ciò che concerneva le sue parti interne. Se nell'aspetto esteriore la sua costruzione muraria poteva anche non differenziarsi eccessivamente dagli altri manieri di una certa importanza; invece la sua parte interna era da definirsi un'opera edile di eccezionale valore. Il riferimento, però, non veniva fatto soltanto all'insieme delle sue parti vestibolari, delle sue spaziose sale, dei suoi ampi e lunghi corridoi, dei suoi disimpegni ben posizionati, delle sue varie scale e scalee, come pure dei suoi anditi e sotterranei. Ma vi erano comprese anche tutte le altre opere edili non suaccennate e quelle di diverso tipo, come le suppellettili e l'oggettistica. Queste, a parte il fatto che erano sovrabbondanti e pregevoli, andavano considerate avveniristiche. Comunque, non stiamo qui a descriverle singolarmente, siccome manca il tempo necessario per farlo e ci sono da far presenti altre cose, su cui vale di più la pena soffermarsi, se vogliamo andare avanti nel nostro infinito racconto, senza che sorgano difficoltà.
Ebbene, l'intera fortezza era stata ideata dallo stesso mago, il quale prima ne aveva costruito il modellino con un materiale plasmabile e poi lo aveva reso reale con un semplice comando, in virtù della sua prodigiosa onniap. Perciò adesso, in ogni parte di essa, c'erano da attendersi una infinità di postierle e di trabocchetti, oltre ad alcune pareti mobili segrete, le quali diventavano apribili mediante leve tenute ben nascoste. Non era possibile fidarsi neppure dei gradini delle diverse scale e delle mattonelle dei pavimenti, siccome gli uni e le altre spesso celavano un pericolo mortale. Ad esempio, un determinato gradino, sollecitato dal peso di una persona in transito, anche nel caso che risultasse leggero, poteva far crollare l'intera rampa di scala. Essa poi, insieme con lo sventurato, finiva nel vuoto di una cavità sotterranea, la quale era situata a venti metri di profondità e non lasciava intravedere uscite. A volte un quadrello marmoreo, quando risultava truccato, se vi si esercitata sopra la pressione del piede, spingeva verso l'alto lo sfortunato che incappava nel micidiale tranello. Così lo faceva sbattere con violenza contro il soffitto, procurandogli la rottura dell'osso occipitale.
C'erano poi alcune piastrelle manomesse, che entravano in azione, solamente quando venivano calpestate da un ospite indesiderato. In quel caso, il malcapitato veniva raggiunto e trafitto da una freccia oppure da una lancia. L'una o l'altra scattava all'istante da una delle pareti laterali, dopo essersi aperto e richiuso su di essa un finestrino che prima non era visibile in nessun modo. Invece qualche mancorrente in ferro battuto, una volta impugnato, non permetteva più di staccarsi da esso alla mano dello sventurato che vi si appoggiava. In pari tempo, trasmetteva al suo corpo un tipo di scossa elettrica non mortale, che gli procurava un forte tremore senza fine. In ultimo, occorreva stare attenti, quando si aprivano certe porte, considerato che chi le spingeva in fretta poteva correre il rischio di essere colpito in testa da un macigno durante l'atto stesso di apertura, andando incontro anche così a morte immediata. Una insidia del genere, come possiamo renderci conto, ci ricorda l'odierno gavettone, il quale viene praticato in certi ambienti militari dalle reclute anziane a scapito di quelle alle prime armi. Con la notevole differenza, però, che oggi in esso è l'acqua a colpire la vittima del nonnismo e non qualcosa di molto nocivo. Purtroppo ci sono anche dei nonnisti che a volte esagerano con i loro stupidi scherzi, mettendo a repentaglio la vita dei propri commilitoni. In questa circostanza, il loro atteggiamento può essere solo deprecabile e deve essere bandito dalla collettività. In quanto esso, prescindendo da ogni regola di convivenza civile, finisce per calpestare il valore e il rispetto della persona umana.
A questo punto, visto che glielo dobbiamo, è opportuno ritornare al nostro eroe, il quale sicuramente avrà già iniziato ad ispezionare la dimora del mago, dopo aver scardinato i due enormi battenti del portone di ingresso, che erano fissati a degli stipiti di granito. In questo modo, continueremo a seguirlo passo passo nelle sue imminenti peripezie castellane, alle quali sta andando incontro. Infatti, dopo essersi introdotto nel vestibolo del castello, il nostro eroe si era già dato alla ricerca del mago. Adesso lo si poteva scorgere, mentre procedeva guardingo attraverso un corridoio del seminterrato della fortezza, il quale si presentava poco illuminato, poiché vi giungeva appena un tenue chiarore. Il suo nuovo percorso, però, lasciava supporre che ci fosse stata una ragione, per cui egli non si era lanciato direttamente per l'ampia scalinata principale. La cosa più logica, da parte sua, sarebbe stata quella di utilizzare quest'ultima, se intendeva raggiungere in brevissimo tempo i piani superiori del castello, dove molto probabilmente avrebbe trovato anche il mago. Allora, allo scopo di soddisfare la grande curiosità di qualche lettore puntiglioso, gli facciamo presente che era stato il suo anello a fargli cambiare tragitto, siccome esso aveva subodorato con largo anticipo un esiziale tranello lungo l'ampia scala marmorea. Ma come aveva fatto l'oggetto di fattura divina a dirottare il suo protetto per la nuova destinazione? Semplicemente creando tra lui e l'inizio della scala una barriera invisibile. La quale non si lasciava attraversare, impedendogli così di andare avanti in quella direzione. L'episodio aveva fatto anche innervosire parecchio Zurlof, poiché il mago, non volendo rinunciare ad ogni costo ad averlo sott'occhio attraverso la sua sfera di cristallo, si dava a seguire con l'amico Ghirdo i circospetti movimenti del giovane.
Ora Iveonte, dopo aver aggirato il primo pericolo grazie al suo anello, si apprestava a raggiungere il primo piano della costruzione di pietra, procedendo attraverso un accesso secondario. In verità, quella parte sotterranea del castello era costituita da un ginepraio di anditi semibui. Essi, diramandosi in varie direzioni, non permettevano a nessuno di conoscere la loro esatta destinazione. Ma siccome era l'anello a decidere al posto suo il cammino da seguire, Iveonte non doveva occuparsi di niente. Infatti, esso gli indicava ogni volta, con un proprio raggio luminoso, il giusto corridoio da imboccare. Secondo il suo ragionamento, l'eroico giovane si andava convincendo che l'anello non lo stava ancora indirizzando verso i piani superiori. Egli era propenso a credere che la nuova meta fosse un luogo differente ed ignoto. Ne ebbe la certezza più tardi, ossia quando l'anello lo accompagnò davanti alla porta metallica di una cella. Davanti ad essa, dietro sollecitazione del prezioso oggetto, egli dovette mettere fuori uso il chiavistello, al fine di fare spalancare l'unica imposta che ne impediva l'accesso. Lo spazio interno dell'umido ambiente fece trovare il giovane di fronte ad un uomo, il cui corpo versava in totale abbandono ed incuria. Per il qual motivo, il suo aspetto scimmiesco, orribile e malandato, rendeva dubbia anche la sua natura umana. Anzi, facilmente lo faceva scambiare per un autentico primate. Quando gli si trovò davanti, Iveonte, stupendosi a non dirsi, gli chiese:
«Mi dici chi sei e da quanto tempo il mago ti tiene rinchiuso in questa cella semibuia? Scorgendoti nello stato odierno, posso soltanto commiserarti ed avere pietà di te! Allora mi dici a quale famiglia appartieni?»
«Sono in grado di dirti solo il mio nome e la mia casata, sconosciuto; ma non il tempo che sono stato trattenuto qui dentro! Pur potendo rendermi conto dell'inizio e della fine dei vari giorni, attraverso la grata che vedi lassù in alto da dove mi proviene la scarsa luce diurna, non avevo niente con me per registrarli. Perciò non ho potuto raggrupparli prima in mesi e poi in anni. Adesso conosci anche la ragione per cui non sono in grado di rispondere alla seconda domanda, che mi hai rivolta!»
«Ti capisco, essere sventurato! Adesso mi riferisci le altre cose che ti riguardano, compresa la tua venuta su Tasmina? Di me, per il momento, posso solo dirti che mi chiamo Iveonte. Le altre cose a me attinenti mi accingo ad apprenderle in questa isola, perché dovrà essere il mago Zurlof a rivelarmele. Perciò lo costringerò a farlo, se necessario!»
«Invece il mio nome è Deloz e sono il figlio quintogenito di Nurdok, il leggendario superum della Berieskania. Penso che tu abbia già sentito parlare di mio padre, considerata la sua notorietà nella mia regione e nelle zone viciniori! Mi meraviglierei del contrario, giovane valoroso! Comunque, ti ringrazio per essere venuto a liberarmi!»
«Certo che ho sentito parlare del tuo genitore, Deloz! La sua fama di eroe e di eccellente condottiero di eserciti è arcinota anche nell'Edelcadia, la remota regione dalla quale io provengo, dopo aver fatto un interminabile viaggio tra genti dalle consuetudini molto diverse fra loro.»
«Beato te, Iveonte, che vivi in quella parte del mondo, dove ci sono città bellissime! L'ho sentito raccontare sia da mio padre che da suo cugino Pluo. Essi fecero la loro esperienza diretta di qualcuna di esse, ossia di Actina, durante la guerra da noi condotta contro gli Edelcadi senza successo. Invece mio padre ebbe la fortuna di visitare anche Dorinda, per i motivi che tra poco ti riferirò. Tu la conosci? Mi dici anche, Iveonte, se ci sei mai stato in quella stupenda città? Io avrei voluto tanto visitarla, per cui avrei fatto meglio a raggiungere Dorinda, anziché venire su questa isola maledetta!»
«Come potrei non conoscerla, Deloz, se stai parlando proprio della città che mi è particolarmente cara? Sappi che sono partito da essa per arrivare fin qui, dopo infinite peregrinazioni. Le quali mi hanno fatto conoscere molti popoli, che ho dovuto togliere dalle loro sofferenze!»
«Sono orgoglioso, Iveonte, di farti sapere che la mia unica sorella, il cui nome è Elinnia, andò in sposa al re di tale città, il quale si chiamava Cloronte! Puoi dirmi qualcosa in merito ai due regnanti dorindani e se essi hanno avuto figli, i quali sarebbero miei nipoti e cugini dei miei figli? Mi piacerebbe tantissimo avere notizie anche di loro!»
«Deloz, posso darti solo brutte notizie sul loro conto. Dorinda una notte fu presa a tradimento dagli altri sovrani edelcadici, fatta eccezione di quello di Actina. I malfattori sciacalli, dopo aver spodestato il suo re ed averlo rinchiuso in una cella insieme con la moglie, si spartirono i suoi territori! Un fatto da considerarsi davvero abominevole!»
«Nella Berieskania, Iveonte, non ci è mai pervenuta alcuna voce di un simile abominio commesso ai danni di Dorinda e del suo re. Altrimenti mio padre subito sarebbe corso nell'Edelcadia ed avrebbe vendicato l'onta subita dal genero e dalla figlia, da parte degli altri sovrani! Ma ti garantisco che, quando ne verrà a conoscenza, nonostante la sua tarda età odierna, vorrà vendicarli senza meno!»
«Ne sono più che convinto anch'io, Deloz! Adesso però mi devi dire perché mai ti trovi in questa cella dell'isola, che appartiene al Mago dei maghi? Ti premetto che già ho sentito parlare vagamente di te, che avevi voluto sfidare le insidie dell'isola insieme con un manipolo di altri sconsiderati come te! Consentimi il termine piuttosto offensivo, Deloz! Se non mi sbaglio, perfino il tuo mitico genitore era contrario a ciò che ti eri proposto di fare. Egli cercò di dissuaderti dal compiere un viaggio del genere, essendo convinto che si trattava di un atto irriflessivo al massimo, equivalente ad un autentico suicidio!»
«Questo è vero, Iveonte! Ma ci rendemmo conto troppo tardi che quanto si diceva sull'Isola della Morte corrispondeva al vero! Il mago Zurlof, che è l'autoritario dominatore di Tasmina, fece annientare i miei compagni dai suoi mostriciattoli saltatori, i quali ne fecero una strage orrenda. Solo a me fece dono della vita, rinchiudendomi in questa cella, senza che venissi a sapere come mi ci avesse sbattuto. Lo sai qual è stata la cosa più strana, Iveonte, in questa mia lunghissima prigionia?»
«Posso solo ignorarlo, Deloz! Ma se ti va, fammelo presente tu. Comunque, so che da Zurlof ci si può aspettare di tutto, essendo egli un mago straordinario, al quale nulla è impossibile!»
«Ebbene, Iveonte, nei numerosi anni che sono vissuto in questa cella, non ho mai avvertito né la fame né la sete. L'una e l'altra mi hanno abbandonato per sempre in questo posto, il quale, volendo essere obiettivo, non può considerarsi abbastanza malsano! Non avendo mai mangiato e bevuto, di conseguenza ho fatto anche a meno di soddisfare i miei bisogni fisiologici! A proposito, Iveonte, quando poco fa hai affermato che io e i miei compagni eravamo stati dei veri incoscienti a venire su questa isola stregata, non ho osato darti torto. Allora cosa dovrei dire io nei tuoi riguardi? Vuoi negare forse che pure tu ci sei sbarcato senza timore alcuno, pur essendo a conoscenza della nostra precedente impresa fallita? In merito a ciò, cosa puoi rispondermi a tua difesa?»
«Deloz, io non sono venuto sull'isola senza un motivo, come faceste voi! Neanche c'è stata in me la velleità di misurarmi con il mago Zurlof e di dimostrargli di essere più forte di lui. Come pure non ci sono venuto per far sapere al mondo intero di aver sfidato e vinto l'essere più potente della terra. Non ci sono venuto neppure per provare a me stesso il mio valore e il mio coraggio. Infatti, molti sono i popoli ai quali, lungo il viaggio che mi ha condotto a Tasmina, ho già dato ampie garanzie di possedere tali requisiti in me! Perciò non sono sbarcato in questa isola per fare sfoggio del mio eroico valore!»
«Allora, Iveonte, vuoi dirmi qual è stato lo scopo della tua venuta in questa isola stregata? Presumo che esso per te sia di importanza capitale, se lo hai fatto! Inoltre, devo ammettere che, se sei stato in grado di accedere incolume al castello del mago, puoi considerarti un essere speciale e un grande eroe, perfino superiore al mio genitore!»
«Certo che è così, Deloz, nel senso che è stata una ragione molto seria a farmi mettere piede sull'Isola della Morte! Devi sapere che, quando ero bambino, rimasi vittima di un'amnesia, la quale mi cancellò completamente dalla memoria ogni fatto, che concerneva la mia precedente esistenza. Da allora, sono rimasto senza la conoscenza della mia famiglia, dei miei genitori, della mia città natale e del mio popolo. Da grande, poi, sono venuto a sapere che soltanto venendo su questa isola, aiutato dal mago Zurlof, avrei potuto avere illuminato l'angolo della mia memoria rimasto al buio. Altrimenti, non avrei potuto portare alla luce le persone e gli episodi che vi si annidavano nascosti, nonostante un tempo le une e gli altri lo avessero affollato. Devo poi precisarti che, venendo qui, non correvo i rischi nei quali tu e i tuoi compagni vi siete imbattuti sopra l'isola. Ti stai domandando perché mai? Ebbene, al contrario di voi, ho dalla mia parte delle divinità che mi proteggono. Adesso, Deloz, comprendi quali sono state le ragioni, per cui non ho potuto fare a meno di degnare il Mago dei maghi di una mia visita? Vedrai che riuscirò anche ad ottenere quanto mi sono proposto!»
«Adesso ti capisco, Iveonte! Per questo motivo, ti chiedo scusa di averti considerato uno scapato come me e i defunti miei compagni. A questo punto, mi dici cosa facciamo? Se non sbaglio, non sei riuscito ancora ad avere dal mago le notizie che cercavi; ma ti stai adoperando per averle, dopo che avrai fatto la sua benevola conoscenza! Ti auguro che ciò avvenga al più presto e senza pericoli!»
«È proprio così, Deloz! Ma non posso affermarti che la nostra conoscenza sia stata gradevole fino a questo momento, considerato che il mago non ha smesso di tentare di sopprimermi ad ogni costo! Ma ti garantisco che, in un modo o nell'altro, mi farò dare le notizie che mi abbisognano! Prima che riesca nel mio intento, prevedo che dovrò attendermi da lui ancora alcuni momenti difficili. Quanto a te, ti consiglio di lasciare all'istante il castello e di raggiungere al più presto la riva del mare. Sono sicuro che il mago, occupato com'è a perseguitare me, non farà caso alla tua fuga attraverso la sua isola!»
«Ti ringrazio, Iveonte, per ciò che hai fatto per me! Prima di lasciarti, però, voglio abbracciarti ed augurarti tutta la fortuna di cui necessiterai tra poco. Arrivederci a presto, amico mio! Spero di poterti ospitare un giorno nella mia casa di Geput. Se ciò accadrà e il mio genitore starà ancora in piedi a contendersi il tempo, ti consentirò di stringere la sua mano. Ma l'onore sarà reciproco, considerato il tuo insuperabile valore!»
Così, dopo aver fornito a Deloz le indicazioni esatte per facilitargli l'uscita dalla fortezza e il raggiungimento dello scoglio dove l'imbarcazione di Arupio era solita attraccare, il giovane eroe riprese le sue ricerche. Egli non vedeva l'ora di trovarsi faccia a faccia con l'avverso mago Zurlof. Come aveva sospettato Iveonte, oramai il mago dell'isola aveva il capo per aria e si sentiva del tutto svagato, nel vedersi incapace di controllare la risolutezza e l'intraprendenza combattiva del proprio avversario. La sua incapacità non gli permetteva più di ragionare; anzi, non gli faceva avere altro per la testa che il chiodo fisso di piegare la sbalorditiva imbattibilità del rivale. Perciò, grazie al momentaneo stato psicologico del padrone dell'isola, che si presentava molto confuso, in un primo momento, Deloz superò facilmente i vari ambienti interni che lo separavano dal portone. In un secondo momento, invece, egli raggiunse la piccola darsena naturale, dove si mise ad attendere con impazienza il ritorno del traghettatore Arupio, considerato che esso, prima o poi, ci sarebbe ritornato senza meno.
Nel frattempo, per Iveonte le cose si erano alquanto impantanate, pur essendo pervenuto al primo piano del castello. Egli vi era giunto, dopo essere andato incontro ad alcune difficoltà oggettive lungo il suo ostinato avanzare. Nel condursi ad esso, non gli erano stati risparmiati pericoli di ogni sorta, una parte dei quali erano stati combattuti con le sole sue forze. Per averla vinta con quelli di natura soprannaturale, logicamente, era dovuto ricorrere al suo prezioso anello per sbloccare la situazione. Comunque, la sua presenza al primo dei due piani superiori ugualmente lasciava le cose ad un punto morto, poiché da Zurlof non gli veniva offerta la possibilità di incontrarlo e di parlargli. Al contrario, egli, senza mai smettere, preferiva tramargli contro nell'ombra. Ritenendo il giovane intruso un profanatore della sua dimora, con tale sua profanazione, giustificava le sue deleterie macchinazioni contro di lui.
I locali del primo piano erano molti e si presentavano differenti per forma e per dimensione. Ma essi, pur essendo l'espressione di un gusto raffinato, erano da considerarsi soprattutto inaffidabili. In qualunque attimo, i diversi vani potevano trasformarsi in una trappola esiziale per quei visitatori che non avevano il beneplacito del mago. Iveonte ne era consapevole e non si sognava neppure di abbassare la guardia in un luogo, che si presentava oltremodo infido. Il primo piano, quindi, abbondò di casi di pericolo sempre in agguato, i quali si manifestarono in continuazione con minacce dissimili e quando meno se li aspettava. Così successe che un gradevole ambiente, il quale mai avrebbe fatto sospettare un rischio imminente, ad un tratto diventò della massima pericolosità. Prima si videro i suoi vari ingressi chiudersi ermeticamente e subito dopo iniziò a sgorgare dal suo pavimento tantissima acqua, il cui livello si diede poi a salire, fino a farle toccare il soffitto. In quel caso, l'anello ordinò ad un suo raggio di praticare un grosso foro nella parte bassa di una delle pareti. Così esso in poco tempo riuscì a smaltire l'intera acqua che si era accumulata all'interno della stanza. Un'altra volta, il pericolo di un ambiente fu rappresentato da serpenti velenosi, i quali all'improvviso sbucarono a centinaia dal pavimento. Allora l'anello, via via che essi facevano la loro repentina ed aggressiva comparsa, li fece arrostire con le potenti fiamme generate dai suoi raggi brucianti. Tra le numerose insidie, ci fu anche quella che fece fuoriuscire dall'impiantito un composto colloide espanso, il quale si mise a distribuirsi uniformemente sulla superficie del pavimento. Si trattava di un legante molto potente, per cui chiunque vi mettesse i piedi sopra non era più in grado di staccarsene. Allora l'anello, versandoci sopra un potente prodotto schiumogeno, che rendeva nulle le sue proprietà adesive e costrittive, lo fece diventare una sostanza quasi simile alla mota di una strada sterrata, dopo essersi formata in seguito ad una pioggia abbondante.
Infine Iveonte, tra peripezie di ogni sorta, riuscì a raggiungere il secondo piano; ma il suo arrivo era stato preceduto dal frettoloso sloggiamento dei due maghi dall'ampia sala ovale. Zurlof vi aveva voluto sgomberare anche le proprie apparecchiature, quelle che gli consentivano di agire contro il giovane invadente e di controllarne i passi in ogni parte del castello e dell'intera isola. Nella fretta, però, egli non aveva fatto caso al sarcofago della madre, dimenticandolo lì dove si trovava. Perciò, quando Iveonte vi fece il suo ingresso, non poté fare a meno di avvicinarsi ad esso per dargli un'occhiata. Quella cassa di vetro, infatti, presentandosi finemente decorata e fregiata sulla sua superficie laterale, risultava la cosa più di rilievo ed appariscente, in quella grande sala dove egli si trovava adesso. Per cui non smetteva di osservarla. Allora, davanti al corpo imbalsamato della giovane Keuà, Iveonte si sentì prendere da una profonda compassione per quella donna. La poveretta, con il suo volto cereo e con le sue palpebre socchiuse, appariva come se dormisse. La compostezza del suo corpo, nella sua immobilità mortuaria, gli ispirava rispetto e venerazione. Per cui il nostro eroe si andava chiedendo a chi potesse appartenere quella salma e perché il mago ne custodisse il sarcofago nella sua sala principale. Alla fine, però, si convinse che essa poteva essere unicamente della madre del mago, se non proprio della sua dipartita consorte.
Adesso quel corpo, rimasto a lungo senza vita e sfiorato dai millenni, riusciva a calamitare la sua attenzione, fino a mettergli in trambusto la folla dei pensieri e dei sentimenti. Soprattutto infondeva nel suo animo una sorta di ansia esoterica, la quale lo sollecitava a conoscere ogni cosa di lei. Perciò Iveonte si sedette ai piedi del marmoreo sarcofago e si rannicchiò per terra, per sprofondare meglio nella meditazione a cui si era dato intimamente. Allora l'anello, dandogli una mano a tale proposito, lo fece ritrovare mentalmente in una caverna. Essa era la stessa, dove il mago Zurlof era riuscito a far ricomporre e a richiamare in vita le ceneri della madre, dopo aver indotto le forze della natura a mettersi a sua disposizione. Insomma, gli era stato permesso di seguire l'intera vicenda della resurrezione di Keuà da parte del figlio; la quale poi aveva cominciato a subire una regressione genetica. Questa, oltre a riconsegnarla alla morte, nel giro di qualche ora, l'avrebbe anche fatta ritornare polvere come prima, se Zurlof non avesse provveduto a mummificarla in tempo, sottraendola alle ingiurie del tempo. Così, per un fatto inspiegabile, per dieci giorni pieni Iveonte restò in tale posizione. Nel frattempo, però, era rimasto applicato con la mente alle varie vicissitudini che erano appartenute all'esistenza del mago Zurlof. In verità, non erano state poche quelle che lo avevano interessato parecchio, poiché gli avevano dato modo di conoscere il mago dell'isola sotto tutt'altra luce, per certi suoi aspetti familiari. Perciò, in un certo qual modo, glielo avevano anche fatto ammirare.
Quando infine il giovane eroe rientrò in sé e nella sua realtà presente, non sospettava minimamente che fosse trascorso un tempo così lungo, poiché egli non aveva avuto vicino nessuno che glielo facesse presente, neppure la sua divina Kronel. Ma se il nostro eroe era uscito dalla sua meditazione con una deficitaria cognizione del tempo, era pur vero che egli si ritrovava con la consapevolezza che il mago non era totalmente il tristo personaggio, come lo si voleva dipingere. Il suo viscerale amore verso la madre, il quale poteva essere rinvenuto solo in persone fondamentalmente buone, si rivelava davvero incredibile. Per il nostro integerrimo giovane, il filiale sentimento amorevole ed affettuoso verso la propria genitrice era il più grande ed ammirevole dei sentimenti. Perciò lo caldeggiava e lo considerava insuperabile, anche nel caso che lo si vedesse coltivare e fiorire in persone caratterialmente perfide e scontrose. Fermo restando che esse andavano lo stesso condannate, se la rimanente parte del loro comportamento si dimostrava sleale e marcia!