351-IVEONTE IN KEUATOK, IL CASTELLO DI ZURLOF

Iveonte sbarcò a Tasmina, esattamente durante l'ultima visita che il mago Ghirdo stava facendo al suo amico Zurlof. Un attimo dopo che egli si fu messo alla ricerca della dimora del signore dell'isola, nel castello di Keuatok scattò l'allarme. Infatti, nella grande fortezza i sensori della sfera di vetro incominciarono a segnalare la sua presenza, in quanto ospite sgradito, facendo lampeggiare in continuazione la spia rossa. La quale era situata all'estremità superiore di essa. Simultaneamente, anche un acuto bip bip proveniente dalla medesima fonte si diede ad espandersi tutt'intorno allo spento globo opaco. Allora il persistente e monotono fenomeno acustico attrasse l'attenzione dei due maghi, i quali così scorsero anche la segnalazione luminosa, che aveva la stessa origine. I due fenomeni, quello acustico e quello luminoso, non appena si furono fatti percepire da Zurlof, subito lo rallegrarono. Dopo, mentre si avvicinava alla sfera raggiante di gioia, egli si diede ad esclamare al suo ospite, il quale si trovava con lui:

«Finalmente un altro intruso visitatore è giunto sulla mia isola, amico mio! Ciò vuol dire che tra poco su di essa avremo qualcuno con cui divertirci, che noi due potremo seguire da questa sala! Ghirdo, prepàrati a gioire un mondo, poiché ti farò assistere ad uno spettacolo, il quale ti piacerà a non dirsi! Ti garantisco che ne sarai entusiasta al massimo e ti divertirai con sommo gradimento, mentre gli staremo dietro da questa sala, facendo da spettatori gaudenti!»

«Magari, Zurlof, egli fosse proprio il mio nemico Iveonte! In quel caso, per noi sarebbe una vera fortuna! Quanto a te, avresti così l'opportunità di misurarti con lui e di ridurlo malissimo, pur di rendermi felice! Dimmi che non mi sono sbagliato per niente in tutto quanto ti ho asserito, caro amico mio, se non vuoi farmi diventare in un attimo un essere miseramente distrutto nell'intimo!»

«Certo che sarebbe come hai detto, Ghirdo, se dovesse trattarsi proprio del tuo rivale in persona! Potresti stare tranquillo che protrarrei il più a lungo possibile la sua agonia e, nello stesso tempo, anche il nostro svago! Adesso, però, fammi mettere in funzione la mia sfera di vetro, poiché in questo modo ci accerteremo senza perdere altro tempo se si tratta o meno di Iveonte, ossia del tuo odiato nemico! Abbi pazienza qualche attimo, amico mio, poiché il mondo non fu fatto in un giorno!»

Quando la grande sfera di cristallo si illuminò per intero e, da un bianco opaco, divenne di un azzurro trasparente come il cielo, iniziò ad inquadrare l'intero angolo della boscaglia, dove il nostro eroe avanzava impavidamente. Scorgendolo, mentre egli veniva avanti imperterrito e coraggioso, il mago Ghirdo, mostrandosi giubilante ed ebbro di vendetta, si mise subito ad urlare gioioso:

«Si tratta proprio del mio nemico capitale, Zurlof! Promettimi che non gli permetterai di abbandonare la tua isola; ma ve lo farai crepare e marcire per sempre come un verme! Attendo la tua promessa, amico mio, adesso che Iveonte vi è sbarcato, come ho bramato da tempo!»

«Ebbene, Ghirdo, ti do la mia parola che egli si pentirà di aver messo piede sulla mia Tasmina. Vedrai che lo ridurrò peggio di tutti gli altri che lo hanno preceduto nello sbarco sulla mia isola! Così anche per lui essa si rivelerà l'Isola della Morte! A questo punto, mettiamoci comodi sui nostri sofà e diamo inizio al nostro diporto. Che un gran bene ci derivi da esso, amico mio, che non vedi l'ora di goderti lo spettacolo! Adesso stai a vedere come saprò accogliere il tuo nemico mortale!»

Da parte sua, Iveonte continuava ad avventurarsi nella foltissima vegetazione boschiva, la quale, per il momento, non lasciava intravedere nulla di buono. Infatti, ovunque si avvertiva nell'aria una specie di cupezza oppressiva, ossia quella che era solita accogliere i rari visitatori che mettevano piede sull'isola. Allora il giovane, volendo prevenire qualche temibile diavoleria del mago, sguainò la sua spada ed iniziò ad avanzare con la massima circospezione possibile. Più tardi, egli decise di scambiare qualche opinione con la sua protettrice Kronel, circa quella isola malfamata. Perciò, appoggiata la sua spada per lungo al tronco di un albero, la invitò a manifestarglisi. La diva, da parte sua, dopo aver sostituito la spada del giovane, gli si espresse con una certa fretta:

«Iveonte, qui non possiamo parlare, poiché veniamo sorvegliati visivamente ed auditivamente. Se vogliamo eludere la sorveglianza di chi ci sta controllando, dobbiamo trasferirci in una caverna vicina. In essa potremo darci al nostro colloquio, senza che ci siano occhi indiscreti a spiarci ed orecchie curiose a sentire ciò che ci diciamo!»

«Bene, Kronel! Essendo vero quanto hai voluto farmi presente, provvederò al più presto a cambiare posto! Per questo mi addentrerò nel primo antro che mi capiterà di incontrare!»

Le due trasformazioni, ossia prima quella della spada nella diva e poi quella della stessa in spada, non sfuggirono ai due maghi osservatori. Da parte sua, Zurlof commentò:

«Ghirdo, a quanto pare, la spada di Iveonte non è il prodotto di una divinità, ma è la stessa divinità! Chi lo avrebbe mai sospettato! Ad ogni modo, ciò che importa a noi è che ella non potrà essere di nessuno aiuto al suo protetto! Molto presto se ne accorgeranno entrambi; però chi ne farà le spese sarà unicamente il fruitore della protezione della diva. Il quale, come sai, non potrà affatto giovarsene sulla mia isola!»

«La tua è una giusta osservazione, Zurlof. Ma per come si stanno mettendo le cose qui sulla tua Tasmina, ricomincio a convincermi che l'immortalità mi si profila ancora davanti intramontabile. Tutti i pericoli in vista, che me la davano destinata a venir meno, tra poco li farai stramazzare sulla tua isola e anche ve li seppellirai! Sono convinto che saprai farti valere e sconfiggerai quel presuntuoso principe dorindano!»

Non appena raggiunse una spelonca profonda, Iveonte non esitò ad introdurvisi, dove già trovò ad attenderlo pure la diva. Ella, dovendo prendere parte alla conversazione con il suo pupillo, aveva smesso di essere spada. Poi, dopo averlo invitato ad avvicinarsi di più a lei, si diede a comunicargli con un tono quasi sommesso:

«Mio nobile eroe, non appena siamo approdati sull'isola di Tasmina, ho avvertito in me una strana sensazione; inoltre, mi sono accorta che qui i poteri del mago si dimostrano superiori a quelli delle divinità, anche se egli non può nulla contro di loro. Perfino i loro prodotti prodigiosi smettono di avere effetto! Quindi, pure la tua spada, sebbene materializzi me, è diventata un'arma comune, privata totalmente della prodigiosità che le proveniva dalla mia divinità prima dell'approdo. Perciò, essendomi resa conto che soltanto il mago Zurlof poteva fare uso dei suoi straordinari poteri, ho temuto per la tua incolumità. La qual cosa mi ha spinta a mettermi in comunicazione con mio padre Kron e a chiedergli delle notizie in merito a questa isola misteriosa. Inoltre, gli ho domandato quante possibilità avremmo avuto di averla vinta contro il famigerato padrone dell'isola, circa il tuo proposito di sfidare il mago.»

«Allora, Kronel, a tale riguardo, vuoi dirmi quante speranze ti ha dato il divino tuo genitore? Io sono fiducioso che esse sono moltissime!»

«Non ti sbagli, Iveonte, poiché, almeno per noi due, su questa isola è tutto sotto controllo! Ma adesso ti racconto quanto sono riuscita ad apprendere da mio padre, omettendo quei particolari che non ti riguardano personalmente. Devi sapere che al centro di Kosmos esiste una parte di spazio denominato Landipur, il quale rappresenta un frammento di Tenebrun ed è invisibile perfino alle divinità. Fin dal suo esistere, esso è stato la dimora di undici Forze Oscure, denominate pure Sortici. Si tratta di entità metafisiche neutrali, per cui non si schierano né dalla parte delle divinità benefiche né da quella delle divinità malefiche. Un tempo esse avevano in custodia l'onniap, una essenza che avrebbe dotato di poteri illimitati l'essere umano che se ne fosse servito. Ma poi essa sfuggì al controllo delle Sortici e si ritrovò casualmente in una delle pozioni magiche che stava preparando il mago Zurlof. Egli, dopo tale evento prodigioso, subito divenne il potentissimo mago che si ritrova ad essere ancora al tempo d'oggi. Mi hai intesa?»

«Certo che ho compreso ogni cosa che mi hai detto, Kronel! Ma dopo le Forze Oscure riuscirono a recuperarla, privandone così il mago, oppure la restituzione da parte del nuovo proprietario non è mai avvenuta? Ecco quanto mi interessa sapere sulla vicenda!»

«Nostro malgrado, Iveonte, essa non ci fu; ma ora ti spiego ogni cosa. Quando le cosiddette Sortici seppero dove l'onniap era finita, convocarono il mago di Tasmina nella loro dimora di Landipur, la quale era Sorticiep. In quel luogo, esse l'obbligarono a sottostare a tre condizioni, se voleva continuare a tenere per sé l'onniap. In cambio, gli concessero tre privilegi, tra i quali quello che gli garantiva la non ingerenza nei suoi affari sull'isola, da parte delle divinità di Kosmos e dei loro prodotti. Perciò tali esseri divini e le loro creature, una volta giunti sull'isola di Tasmina, automaticamente risultano impotenti a neutralizzare i poteri del mago; comunque, neppure lui può niente contro di loro. Il famoso accordo, conosciuto da pochissime divinità, prese il nome di Patto di Landipur. Perché esso avesse vigore, fu necessario il beneplacito anche delle massime divinità di Luxan e di Tenebrun. Quindi, anche mio padre, mio zio Locus e la dea Lux, per quieto vivere, diedero il loro assenso.»

«Ma se il tuo divino genitore aveva previsto il nostro arrivo su questa isola, Kronel, come mai accettò il patto in questione? Esso adesso, mentre rende il mago Zurlof inattaccabile ed inoffensibile, ci viene a privare di ogni mezzo per difenderci da lui! Scorgo in ciò una indubbia incoerenza! Non sembra anche a te che è come dico io?»

«È così che la pensi, Iveonte? Vuol dire che ti è sfuggito un particolare. Mio padre non avrebbe approvato alcuna cosa, pur sapendo che poi essa non mi sarebbe stata utile! Anche allora, quando non ero stata ancora concepita, egli pensò a me. Fu proprio il mio genitore a specificare quali divinità dovessero intendersi nel Patto di Landipur, per la qual cosa vi risultarono solo quelle esistenti in Kosmos. Di conseguenza, senza che il mago Zurlof ne prendesse coscienza, furono escluse quelle di Luxan e di Tenebrun. Ciò, perché egli aveva previsto la tua venuta sull'isola di Tasmina e il rischio che avresti potuto correre nell'affrontare il potente mago. Adesso comprendi come stanno realmente le cose?»

«Non del tutto, divina Kronel, anche se ci sto provando a rendermi conto della nostra situazione attuale! Lo stesso, quindi, non riesco ancora ad immaginare alcuna cosa che possa farmi comprendere quanto hai detto, al fine di farmi sentire più al sicuro su questa isola. Sei vuoi che ti segua nel tuo discorso, cerca di essere più sintetica ed esplicita!»

«Quando fu concluso quell'accordo, mio caro Iveonte, fu decretato che nessun prodotto di una divinità residente in Kosmos avrebbe mai avuto efficacia sull'isola di Tasmina. Perciò il tuo anello, essendo un prodotto di una divinità che risiede in Luxan, ossia di mio padre Kron e di mio zio Locus, conserva l'intero suo potere soprannaturale. Il quale è anche superiore a quelli che possono derivare al mago dalla prodigiosa onniap! Ora ti è tutto chiaro, mio pupillo?»

«Adesso sì, Kronel! Dunque, per come stanno le cose, sarà invece Zurlof ad avere la brutta sorpresa dalla nostra presenza sull'isola e non noi da lui, come egli è fermamente convinto!»


Per tutto il tempo che Iveonte e la sua protettrice si erano appartati nell'antro, dovendo la diva riferire al giovane le cose importanti che abbiamo conosciuto pure noi, i due maghi non si erano astenuti dal fare i propri commenti sul loro inatteso abboccamento. Il primo ad esprimersi su di esso era stato il mago Ghirdo, chiedendo all'amico:

«Secondo te, Zurlof, perché Iveonte, il quale prima aveva deciso di parlare all'aperto alla sua diva tutelare, dopo invece ha cercato un antro e vi si è rifugiato per conseguire lo stesso obiettivo? Sono convinto che è stata lei a suggerirglielo, non essendole sfuggita la nostra sorveglianza! Allora mi dici qual è il tuo pensiero, a tale riguardo?»

«Secondo me, Ghirdo, le cose sono andate come tu hai sospettato. Trattandosi di una dea molto sveglia, ella si è accorta all'istante che noi li stavamo controllando. Inoltre, si è resa conto che soltanto in una cavità rocciosa essi potevano sottrarsi alla nostra sorveglianza e parlare liberamente, senza venire visti ed ascoltati da nessuno. Bisogna dargliene atto, in questo ella è stata molto in gamba!»

«Almeno adesso riesci ad immaginare quello che loro due si staranno dicendo, Zurlof? Escludo, nella maniera più categorica, che si stiano amando, dopo essersi compenetrati!»

«Su ciò sono anch'io d'accordo con te, Ghirdo. Ma se sono nel giusto, la dea lo sta mettendo al corrente che sulla mia isola non potrà essergli di nessuno aiuto, avendolo compreso subito dopo che vi sono sbarcati. Non voglio apparire presuntuoso, Ghirdo; però questa è la sola cosa che si possa pensare sul loro abboccamento nascosto. Secondo me, non può esserci un'altra spiegazione che possa giustificarlo in modo differente!»

«Se io avessi i tuoi poteri, mio caro Zurlof, all'istante sbarrerei l'ingresso dell'antro con un macigno di enormi proporzioni e ne impedirei per sempre l'uscita al mio odiato rivale. Così facendo, lo aggiusterei bene per le feste, quell'eroe da strapazzo! Dopo la dea non potrebbe aiutarlo a sottrarsi a tale sua perniciosa disgrazia!»

«Purtroppo, quanto mi suggerisci non dipende da me, Ghirdo! Io potrei far sorgere anche una intera montagna in qualunque altro luogo lo volessi. Adesso, però, mi è assolutamente impossibile far trovare un grosso masso davanti all'ingresso dell'antro, sapendo che all'interno di esso c'è anche la dea positiva. La mia azione sarebbe considerata ostile nei confronti di una divinità, per la qual cosa verrei meno ad una delle tre condizioni che mi sono state imposte dalle Forze Oscure, alle quali mi sono impegnato a sottostare. Inoltre, non sei d'accordo anche tu che, prima di vederlo stramazzare al suolo, ci conviene far soffrire il più possibile l'antipatico Iveonte, allo scopo di scorgere nei suoi occhi il folle terrore della morte? Ed è ciò che intendo ottenere nella sua persona!»

«Forse hai perfettamente ragione, Zurlof! Lasciarlo crepare al buio di fame e di sete non sarebbe per noi per niente divertente. Anzi, in questo modo non potremmo spassarcela con lui, intanto che tenterà invano di mettersi al riparo dai nostri capricci! Allora sai cosa ti dico? Scegli tu la maniera con la quale intendi castigarlo, grande amico mio, poiché, da questo momento in poi, mi rimetto alla tua discrezione!»

Il mago Ghirdo aveva appena finito di pronunciare le sue ultime parole, allorché Iveonte fu visto venir fuori dall'antro e riprendere il suo percorso interrotto, il quale aveva come meta la dimora di Zurlof. Egli era all'oscuro di come essa fosse fatta. Perciò ignorava se risultasse costruita simile ad un castello o si trattasse di un diverso genere di costruzione muraria, che non aveva mai avuto l'occasione di vedere prima.

«Eccolo di nuovo fuori!» esclamò il Mago dei maghi «Il tuo rivale ha ripreso a dirigersi verso il mio castello, avvicinandosi maggiormente a noi! A questo punto, possiamo iniziare a farlo ballare come gli si conviene, intanto che noi due ci divertiamo a seguirlo!»

«Quale ballo gli hai riservato, amico mio? Spero uno assai movimentato! Mi piacerebbe vedere il mio nemico fare i salti mortali, nell'intento di sfuggire a qualcosa di impegnativo, dopo che lo avrai preparato apposta per lui! Allora vuoi accontentarmi, riferendomelo in questo istante, poiché desidero pregustarmelo in anticipo?»

«Ghirdo, comincerò col farlo assalire dai miei Saltiuz, i quali sono una specie di cavallette giganti, grandi come le capre. Essi non lo uccideranno, ma si limiteranno solamente a cozzare contro il suo corpo. Così, atterrandolo e ributtandolo giù ogni volta che egli si rialzerà da terra, disturberanno il suo spostamento verso la mia dimora e gli vieteranno di guadagnare terreno nel suo avanzare!»

«La ritengo una trovata degna di te, Zurlof! Quindi, sbrìgati a fare entrare in azione i mostri ai quali hai accennato, anche se li avrei voluti più grandi e non di media grandezza. Comunque, per adesso godiamoci il primo spettacolo da questo posto tranquillo del castello!»

Mentre procedeva per un sentiero di quella zona boschiva, ad un tratto, Iveonte avvistò delle cavallette enormi. Il mago gliele aveva inviate contro con il solo scopo di impedirgli una normale avanzata. Perciò presto lo avrebbero assalito. In realtà, si trattava di mostriciattoli, i quali procedevano verso di lui a balzi e non erano organismi viventi. Ogni osservatore poteva rendersi conto che la loro struttura era costituita da materia inorganica. Allora, vedendoli andargli contro, il giovane eroe, che aveva già la sua spada in pugno, all'istante si preparò a riceverli, a combatterli e a sterminarli tutti. L'assalto dei Saltiuz ebbe inizio poco dopo, ossia quando essi si diedero a saltare e ad attaccarlo da ogni parte. Il coraggioso giovane, però, non permetteva a nessuno di loro di collidere con il proprio corpo. Ricorrendo alla sua formidabile scherma e alla sua fantastica tecnica di armi marziali, egli ora li evitava con piccoli voli, ora li abbatteva con colpi bene assestati. Ma non riusciva a sfasciarli e a metterli fuori combattimento definitivamente, poiché gli stessi si rialzavano un istante dopo e riprendevano con foga il loro ostinato assalto. Perciò non si arrendevano e non battevano in ritirata con la soddisfazione del nostro campione.

Da parte loro, i due amici maghi, stando inchiodati davanti alla sfera di cristallo, si strabiliavano nel vedere il giovane difendersi così egregiamente contro i loro mostri meccanici con le sole sue forze. Scorgendo il loro fiero e battagliero rivale dare colpi che non fallivano mai il loro bersaglio, essi si rodevano il fegato. Ma ben presto la stizza li avrebbe divorati maggiormente, poiché stava per accadere un fenomeno assai strano e i due bricconi non se lo sarebbero mai aspettato in quella circostanza! Infatti, era trascorsa una buona mezzora, da quando Iveonte si difendeva dai loro insopportabili mostri, allorché il suo anello si mise a lampeggiare. Nello stesso tempo, lo fece circondare da una barriera energetica invisibile, di sei metri di diametro, la quale si interpose tra lui e i suoi nemici. Poco dopo, però, esso iniziò a dare il fatto suo a ciascun saltatore impiccione. Così i mostri, da quel momento in poi, non riuscirono più a raggiungere il loro obiettivo; anzi, man mano che si scontravano con la barriera energetica, essi si trasformavano in una grossa fiammata e scomparivano in un attimo. Quando anche l'ultimo dei Saltiuz rimase disintegrato, Iveonte poté riprendere indisturbato il cammino che lo conduceva alla sua meta, la quale era la dimora del Mago dei maghi e non era lontana.

Vedendosi distruggere le sue creature dall'anello di Iveonte, il mago Zurlof si era imbestialito come un toro inferocito. Perciò si andava chiedendo com'era possibile che sopra la sua isola il prodotto dell'onniap venisse distrutto dal prodotto di una divinità. Ma dopo che la strage ebbe termine, egli, a causa dello sdegno, si illividì in volto. Non bastando il suo stato di forte depressione che lo soggiogava, intervenne anche l'amico a rendere più ingravescente la sua arrabbiatura, esclamandogli:

«Zurlof, come puoi constatare, le Forze Oscure quella volta ti mentirono oppure ti ingannarono apposta. Comunque, non cambia niente, dal momento che il prodotto di una divinità, a causa della loro menzogna o del loro inganno, ti ha fatto subire uno smacco gravissimo! Perciò il mio consiglio è quello di non sottostare più alle loro vincolanti condizioni, siccome esse hanno violato poco fa l'accordo fatto con te. Quindi, al diavolo il Patto di Landipur, che io, al posto tuo, all'istante smetterei di rispettare e lo infrangerei, senza curarmi più di esso!»

«Credi, Ghirdo, che io stia vivendo dei momenti sereni? Non immagini neppure quanto sia nero nell'animo! Il sentirmi giocato non mi fa stare allegro e non mi reca alcuna consolazione. Ma non ho ancora le prove certe che le Sortici hanno mancato nei miei confronti! Aspettiamo prima come Iveonte, anche se appoggiato dal suo anello, se la caverà con gli altri mostri, che presto gli invierò contro. Non dimenticare, amico mio, che lo attendono anche i miei disastrosi fenomeni naturali! Ma quelli glieli farò pervenire in seguito, nel caso che egli riuscisse a sconfiggere tutti i miei mostri! Ma procediamo per gradi, senza farci venire il nervoso fin dall'inizio del mio duello con lui! Ti sono stato chiaro?»

L'eroe umano aveva già superato la metà della strada che lo conduceva al castello del mago, allorquando scoprì sulla sua destra un colle, il quale si trovava ad un centinaio di metri ed era più alto di qualsiasi albero esistente nell'isola. Allora egli decise di raggiungerne la sommità per cercare di intravedere da lassù la dimora di Zurlof. Inoltre, ne avrebbe individuato perfino il luogo di ubicazione e la direzione giusta da prendere per raggiungerla. Una volta che ne ebbe scalata la cima, il giovane, oltre ad avvistare la ciclopica fortezza del mago, la cui forma era quella di un mastodontico castello, intercettò pure due mostri giganteschi. Essi, con atteggiamenti minatori, si dirigevano proprio verso di lui, distruggendo ogni cosa che incontravano. Entrambi, mostrandosi identici nell'aspetto e nella conformazione fisica, superavano i cento metri di altezza. Si trattava dei mostruosi gemelli Tolust e Zurbok, i quali vomitavano fuoco dalle fauci ed esalavano fumo dalle froge dilatate. Inoltre, essi presentavano un paio di lunghe orecchie fogliacee con il bordo seghettato, che si accendevano di rosso fuoco in modo intermittente. Invece dal loro tronco tozzo si prolungavano i quattro arti, i quali avevano mani e piedi artigliati. Il loro avanzare avveniva, producendo sulla vegetazione locale dei rovinosi disastri. Per dove passavano, i due rabbiosi mostri estirpavano grossi alberi e li scagliavano a grandi distanze intorno a loro. Così agendo, essi mettevano la fauna della zona in grande subbuglio e in continuo allarme, senza mai smettere di arrecare la morte immediata ai numerosi animali che l'abitavano.

Avvenuto il loro avvistamento, l'eroico Iveonte, volendo evitare che quei due bestioni andassero avanti ancora a lungo a cagionare danni sia alla flora che alla fauna locale, immediatamente decise di adoperarsi per far cessare le loro terribili distruzioni. Perciò, dopo averli fatti emettere dal suo anello, li fece raggiungere da due raggi bluastri. Essi allora, dopo averli colpiti, avvolsero in gigantesche fiammate i loro corpi e li carbonizzarono. Ma prima di venir meno alla loro esistenza, i due mostruosi esseri, intanto che bruciavano, avevano disseminato i dintorni dei loro grugniti di sofferenza e di disperazione.

Anche questa volta, Zurlof, vedendo le sue creature venire trasformate prima in grossi falò e poi in monconi inceneriti, si rammaricò a non dirsi. Per la precisione, si disperò, si turbò nell'animo e nella mente; deliberò di invocare giustizia e di reclamare dalle Sortici quanto gli era dovuto. Oltre all'umiliazione, dovette sorbirsi di nuovo il disappunto di Ghirdo. Il quale ritornò ad assalirlo più inviperito di lui, affermandogli:

«Vedi, Zurlof, che avevo ragione io? Le tue Forze Oscure ti hanno imbrogliato! Esse continuano a farti andare incontro a delusioni, facendoti perdere la faccia. Occorre che tu ti decida, una buona volta per sempre, a reagire, infischiandoti dei loro divieti! Solo così riprenderai le redini della situazione e smetterai di fare figuracce a non finire, l'una dopo l'altra, facendoti passare come un autentico pupazzo!»

«Ci risiamo, Ghirdo, con il tuo intervento, il quale, se lo vuoi sapere, inizia a risultarmi rognoso! Non capisci che qui, per come si stanno mettendo le cose, ho le mani legate? Non so neanche come rivolgermi alle Sortici e pretendere da loro il rispetto delle disposizioni del nostro patto! Non ho la minima idea circa la posizione di Landipur, il quale, a pensarci bene, è anche invisibile! E poi mi dici tu cosa vorresti che facessi?»

«Dovresti prima abbandonare l'isola e poi farla sparire per sempre con tutto il suo contenuto. Effettuato ciò, dovresti anche impegnarti a recare distruzione e morte sulla terraferma. Ecco cosa ti consiglio di fare, Zurlof, perché è ciò che io farei al posto tuo, trovandomi nelle tue medesime condizioni! Mi sono spiegato adesso oppure no?»

«Non se ne parli nemmeno, Ghirdo! Tasmina rappresenta il mausoleo della salma di mia madre e giammai oserei distruggerla! Inoltre, una volta che mi fossi privato della mia isola, ogni divinità positiva potrebbe aggredirmi senza difficoltà e darmi una lezione adeguata alla mia saccenteria. A cominciare dalla protettrice del principe di Dorinda! Per questo continuerò a fare degli ulteriori tentativi, allo scopo di arrestare il tuo nemico e la divinità che lo sta proteggendo con grande successo!»


Dopo aver fatto presente all'amico che il suo consiglio era inaccettabile ed avergli chiarito anche come intendeva agire nei confronti della sconosciuta divinità e del suo protetto, Zurlof si diede ad operare una diversa magia. Egli, tenendo entrambe le mani aperte appoggiate sulla sfera di cristallo, cominciò ad urlare imperiosamente: "Che si apra sotto i piedi dell'intruso una immensa voragine e, dopo che questa lo avrà inghiottito, la terra si richiuda sopra di lui, seppellendolo nel buio della cavità più profonda! Che ciò accada subito, visto che sono io a volerlo!"

All'intimazione del mago, si formò sotto Iveonte un crepaccio senza fondo, simile ad una grossa fenditura, che risultò lunga venti metri e larga dieci. Esso si era avuto in seguito ad una grossa fenditura del terreno, la quale, aprendosi, aveva risucchiato dentro di sé alcune specie vegetali ed animali. Ma il giovane eroe non vi precipitò dentro, poiché l'anello lo tenne sospeso nell'aria sopra il cratere. Il suo intervento durò, finché i due cigli non ritornarono a ricongiungersi, ripristinando così il precedente strato di terra sotto i suoi piedi. Anche il nuovo singolare evento, il quale si era verificato a favore di chi egli voleva sopprimere, esagitò l'animo di Zurlof; ma non lo costrinse alla desistenza. Invece si impegnò con l'amico che avrebbe proseguito a oltranza nella sua opera offensiva contro Iveonte. Perciò era pronto ad impartire un altro suo ordine alle forze della natura con lo stesso obiettivo. Così, tenendo le mani appoggiate sulla sfera di cristallo, egli si ridiede ad urlare minaccioso: "Che la furia degli elementi si scateni contro l'intruso e faccia del suo corpo la vittima del suo sfogo demolitore! Dopo averlo stritolato, sparga le sue membra in ogni angolo della terra!"

Ricevuto da Zurlof quel secondo ordine, la natura, mettendosi subito in moto e provocando delle perturbazioni meteorologiche di inaudita violenza, cominciò ad eseguire le nuove disposizioni del mago. Perciò dappertutto i suoi elementi iniziarono a scompigliare l'intera parte superficiale dell'isola, compresa quella atmosferica ad essa adiacente. Per cui Iveonte all'improvviso vide abbattersi intorno a sé un cataclisma di enormi proporzioni. Esso, infuriando con la sua straordinaria potenza distruttiva, sconquassava e lacerava con il suo turbine imperversante ogni cosa stabile che fuoriusciva dal suolo, estirpandola alla radice. A quella massa di aria ciclonica, tutte le specie animali, principalmente quelle aviarie, andarono incontro ad uno spavento e ad uno smarrimento mai conosciuti durante l'intera loro vita. Ma non se la passava meglio il nostro eroico giovane, il quale cercava di tenersi in piedi, sorreggendosi ora ad un albero, ora ad un arbusto. Mentre poi cercava di avanzare verso la dimora del mago, egli si mostrava incurante di quel frastuono e di quel rovinio di cose da apocalisse.

Scorgendolo in grandissima difficoltà, l'uno e l'altro mago provavano una gioia ed una soddisfazione diaboliche; inoltre, apparivano ebbri di odio, di rivalsa e di punizione verso il giovane rivale. Le quali cose, a loro giudizio, dietro le sollecitazioni del signore dell'isola, finalmente cominciavano ad avere un loro riscontro oggettivo. Al contrario, quanto prima i due ignobili sciacalli si sarebbero dovuti ricredere della loro convinzione di riuscita, poiché Iveonte a momenti li avrebbe ancora fatti precipitare nel più angosciante patema. Il giovane, infatti, dopo avere atteso invano che la tempestosa azione del mago scemasse al più presto, alla fine si infastidì e si spazientì, per cui non volle più tollerarla. Perciò si rivolse al proprio anello e gli ordinò: "Che la natura, contrastando la volontà di Zurlof, si riappropri della sua intera calma, facendo ritornare così a regnare in questo luogo la medesima serenità che vi dominava prima!" Allora le parole del giovane ebbero il loro immediato effetto positivo. Infatti, non appena esse furono pronunciate, partirono dall'anello alcuni segmenti luminosi, i quali si misero a squarciare l'aria, seguendo varie direzioni. Infine essi si ritrassero, senza lasciare nessuna traccia della loro presenza. Pochi attimi dopo, però, si scorsero gli agitati elementi della natura sbollire la loro furia e riassumere il loro abituale contegno. Il quale si mostrava più propenso a far ritornare il bel tempo, poiché era contrario a qualunque perturbazione atmosferica.

Il ritorno in ogni angolo di quel luogo del bel cielo azzurro e della quiete rincuorarono Iveonte e lo invogliarono a riprendere con maggiore lena il suo cammino in direzione della fortezza del mago, la quale si lasciava intravedere sempre più vicina. A proposito di Zurlof, egli, fino a quel momento, si stava godendo lo spettacolo della tempesta da lui suscitata, poiché gli era parso che essa stesse mettendo in ginocchio il coriaceo rivale. Dopo, invece, la nuova realtà, la quale era stata imposta alla natura dall'anello del giovane, lo ricacciò nella sua disperata angoscia. Ma pur essendo in preda a un precario stato psichico, egli lo stesso non smise di sperare in una sua futura rivincita. Perciò il mago si preparò a lanciargli la successiva sfida, la quale prevedeva una nuova offensiva sotto le mura del suo castello, dove si sentiva sicuro di fermarlo.

Nel frattempo, nel giro di mezzora, Iveonte aveva raggiunto la spianata, nel cui centro sorgeva Keuatok, che faceva sfoggio della sua ciclopica e lugubre stazza. All'arrivo dell'intrepido giovane, i due amici si trasferirono sulla torre più alta, la quale nel castello faceva da belvedere. Essi erano ansiosi di assistere in diretta al suo prossimo confronto con i Kruost. Questi erano i cento mostri che già avevano ridotto in pessime condizioni l'intero esercito scanudiano, dei quali già conosciamo i connotati e il modo di combattere. Ebbene, alla stessa maniera della volta precedente, l'uscita dalla fortezza dei mostruosi esseri avvenne, dopo che il silenzio fu profanato dal suono grave di un corno, il quale si propagò nelle zone circostanti. Invece i Kruost, in un primo momento, si disposero bene allineati frontalmente al giovane; ma qualche tempo dopo, essi iniziarono a marciargli contro con fierezza. Avanzando poi ostili lungo l'estesa piana, i loro passi facevano rimbombare il terreno. Al loro passaggio, veniva udito un rumore sordo e cadenzato, come se fossero mille soldati a calpestarlo con passo greve. Intanto che i mostri si approssimavano, Iveonte non si smarrì e non diede alcun segno di turbamento. All'opposto, conservando la sua imperturbabile calma, egli badò a come offrire al mago Zurlof uno spettacolo coi fiocchi nel suo nuovo combattimento. Molto presto lo avrebbe ingaggiato egregiamente contro le sue creature, le quali erano invulnerabili e sputavano fuoco.

Dopo essere pervenuti nelle vicinanze di Iveonte, i Kruost immediatamente lo accerchiarono, volendo precludergli ogni via di scampo. Infatti, i terribili mostri avevano deciso di ridurlo in numerosi pezzettini e donare poi il suo corpo così conciato al loro padrone. Solo che essi avevano fatto i conti senza l'oste e non avevano previsto che nel nuovo avversario avrebbero potuto trovare un osso duro. Il quale era preparato a mandare a monte i loro cruenti e malvagi piani. I mostri alati, comunque, prima ancora di iniziare ad agire contro di lui, all'improvviso videro Iveonte sollevarsi da terra e sfrecciare verso il cielo. Egli brandiva la sua spada, che si era trasformata in un'arma laser. A quel suo istantaneo volo, essi, imitandolo, si diedero ad inseguirlo nello spazio celeste, dove ebbe inizio uno scontro ad alto livello. Nei suoi movimenti aerei, il nostro eroe si mostrava scattante, spericolato, imprendibile, eseguendovi magistralmente impennate, picchiate ed evoluzioni mozzafiato. Esse non facevano altro che frastornare e rimbambire i suoi mostruosi inseguitori. I Kruost, mentre si affannavano a stargli dietro, non riuscivano ad ottenere dei risultati concreti. I loro getti di fuoco fallivano in continuazione il bersaglio e i loro tentativi di abbrancare l'avversario erano frustrati dai suoi scatti rapidi ed incontrollabili. Nel suo combattimento condotto nella parte aerea, Iveonte non giostrava solo badando a difendersi; ma il suo impegno duellistico era massimamente rivolto ad azioni offensive. Le quali, senza mai cessare, avevano esiti positivi, grazie anche ai suoi attacchi mirati, che venivano ben condotti e portati a termine. Mentre si dava ad essi, la sua spada laser, colpendoli mortalmente, andava eliminando i suoi avversari l'uno dopo l'altro. A tale riguardo, va precisato che il raggio disintegratore dell'arma, nello stesso tempo che li trapassava, li faceva esplodere, dando così luogo ad una emissione di luce accecante, che finiva per dissolversi nell'atmosfera.

Nel frattempo che Iveonte andava compiendo tante gloriose gesta contro le sue mostruose creature, il mago Zurlof non riusciva a credere ai suoi occhi. Egli non riteneva possibile che un essere umano potesse dar prova di simili prodezze e di prodigi inadatti alla sua natura, come il volo. Nel quale, secondo lui, il giovane si dimostrava incredibilmente provetto e perfino più bravo di una divinità. Ma siccome ciò che osservava risultava per sua sfortuna reale, egli non poteva fare a meno di adirarsi, di rodersi il fegato, di mostrarsi irascibile e di avvelenarsi l'intera esistenza. Anzi, ogni volta che un suo mostro veniva distrutto dalla luminosa spada del giovane, che l'anello aveva reso laser dal potere illimitato, a Zurlof pareva di essere costretto ad ingoiare il rospo e a mandare giù il suo boccone amaro. Inoltre, non poteva attendersi in qualche modo un conforto dal suo amico Ghirdo, che stava inghiottendo più pillole amarognole di lui. Entrambi avevano compreso che ogni loro lotta contro Iveonte sarebbe stata inutile, siccome era destinata all'insuccesso più clamoroso, già prima di essere intrapresa. Il giovane, secondo il loro parere, godeva del beneficio di una divinità molto potente, la quale non era quella che lo stava accompagnando, ma di sicuro era un'altra diversa da lei che si trovava assai lontana da lui. Essa, pur di difendere il suo pupillo, non si faceva scrupolo di ignorare perfino le leggi delle Forze Oscure, come se queste non esistessero affatto!

Per tale ragione, quando Iveonte ebbe fatto esplodere anche l'ultimo dei Kruost, il mago Zurlof e il mago Ghirdo rientrarono immediatamente negli ambienti interni del castello. Entrambi volevano prepararsi in quei luoghi al loro scontro finale contro l'invasore, il quale già si prevedeva aspro al massimo e senza quartiere. I due illusi ed intossicati amici speravano che almeno nell'interno del castello la sua fortuna segnasse un arresto, facendo capovolgere le sorti della battaglia a loro favore. Quanto all'eroico Iveonte, dopo avere abbattuto il portone di ingresso con la sua spada, entrò con determinazione in Keuatok. Egli oramai aveva stabilito di combattere l'avversario anche nella sua dimora, rispondendo colpo su colpo ai suoi violenti attacchi. I quali per adesso, almeno nella sua parte esterna, erano scemati.