347-IL MAGO ZURLOF EVOCA LO SPIRITO MATERNO PER RESUSCITARLO

All'epoca in cui il dio Dupros e il figlio Zurlof avevano raggiunto la Terra, in molte parti del pianeta l'età della pietra stava già scomparendo e si preparavano a subentrare ad essa alcune fiorenti civiltà. Infatti, già vi si potevano trovare dei popoli emergenti, i quali erano in grado di lavorare i metalli e di costruire città, perseguendo dei propri irrinunciabili diritti in termini di cultura e di progresso. Essi coltivavano altresì sogni di conquista e di espansione dei loro territori, ritenendoli scontati ed imprescindibili per il loro benessere presente e futuro. In riferimento poi alla regione terrestre, dove il padre e il figlio erano atterrati, essa si presentava ancora uguale a quella che era stata un paio di millenni prima, avendo conservato intatto lo stato naturale ed etnico che aveva allora. Per questo il popolo, che vi si era stanziato da lungo tempo, non aveva fatto alcun passo in avanti sia nella sua evoluzione sociale che nel campo del progresso scientifico e tecnologico. Dopo essere pervenuti all'interno della spelonca, dove egli aveva avuto un sacco di tempo prima numerosi rapporti intimi con l'aborigena Keuà, il dio Dupros si era dato a spiegare al proprio figlio:

«In questa caverna dalle scarne pareti, Zurlof, duemila anni fa nascesti tu ed emettesti il primo vagito. Ma ora che ho soddisfatto il tuo desiderio e non hai più bisogno di me, posso pure lasciarti qui ed andarmene per i fatti miei. Ormai prevedo che avrai molto da fare in questo posto, se hai deciso di perseguire il tuo disegno relativo a tua madre. Dunque, figlio mio, ti auguro un'ottima permanenza su questo meraviglioso pianeta, insieme con tanta fortuna. La quale a tutti fa comodo, specialmente in particolari situazioni di bisogno. Addio, figlio mio!»

«Grazie, padre mio!» gli aveva risposto Zurlof «A te e alla tua sorellastra sarò sempre riconoscente, dopo quello che avete fatto per me in venti secoli! Ti raccomando: non scordarti di salutarmi la zia amorevolmente e di dirle che le voglio un bene dell'anima, per essere stata per me una madre più affettuosa di quelle naturali! Allora addio, padre!»

Il congedo fra i due stretti consanguinei, che c'era stato all'esterno della spelonca, era avvenuto con un forte abbraccio, poiché esso non era potuto mancare in quella circostanza. Da parte del genitore, inoltre, c'era stata la promessa che sarebbe ritornato a trovarlo assai presto. Anzi, probabilmente egli si sarebbe fatto accompagnare dalla sorella Taler, poiché le avrebbe fatto piacere raggiungerlo su Geo.

Una volta che il suo divino genitore Dupros lo aveva lasciato solo, Zurlof si era affrettato a rientrare nel buio antro, essendo desideroso di avvertirvi la presenza della sua genitrice e quella di sé stesso appena nato. Già nell'attraversare l'ingresso, il mago si era sentito sconquassare la mente da una miriade di strane sensazioni rumorose. Nel suo interno, esse avevano iniziato a rimbombare simili a martellanti ed assordanti percussioni di oggetti metallici, i quali davano la sensazione che si urtassero di continuo gli uni contro gli altri. Non bastando ciò, egli veniva anche investito dalla percezione di uno scatenio di ferraglie impazzite, le quali non facevano altro che produrvi uno stridore sgradevole e fastidioso. Un fatto del genere lo portava ad immaginare che esse venissero strapazzate senza sosta in un recipiente di enorme capacità altrettanto metallico. Quando infine il mago aveva raggiunto il centro della cavità, ad un tratto era cessato ogni fragore. A quel punto, egli aveva sollevato il braccio destro fino a dove aveva potuto. Dopo, facendo strofinare tra loro il pollice e l'indice, aveva esclamato: "Che in questo luogo ci sia una luce bastevole per illuminarlo!" Al pronunciamento di quelle sue poche parole, erano apparse sulle due pareti laterali dieci torce accese, cinque per lato, le quali avevano iniziato ad illuminare l'intero spazio interno dell'antro.

In seguito gli era stato sufficiente fare una ventina di passi, perché Zurlof si trovasse al cospetto di uno scheletro di donna, il quale appariva ancora ben conservato. A quella vista, egli si era abbassato sopra di esso e ne aveva sfiorato il teschio. Simultaneamente al suo lieve tocco della scatola cranica di sua madre, c'era stato nella caverna il vagito di un neonato che piangeva, il quale si era prolungato per quasi un minuto. Durante il pianto dell'infante, le torce si erano messe a spegnersi alternativamente; ma alla fine erano rimaste di nuovo tutte quante accese ad illuminare l'interno dell'antro. Poco dopo, però, mentre il mago se ne restava lì dentro, la sua componente umana all'improvviso lo aveva trascinato in una girandola di forti cariche emozionali. Le quali, ad un certo momento, erano venute ad interessare tutta la sua sfera affettiva. Quest'ultima, a sua volta, aveva incominciato a fervere di amore filiale e di pietà verso la defunta genitrice, che ormai risultava cancellata per sempre dall'inesorabile tempo. Infatti, i suoi resti mortali, standogli davanti privati dell'essenza vitale, potevano unicamente testimoniarne l'avvenuta esistenza, quella che c'era stata in un tempo assai remoto.

In quell'istante, Zurlof aveva desiderato tantissimo scorgere accanto a sé la madre per abbracciarsela; ma non potendo essere appagato in tale suo desiderio, gli era venuto un nodo alla gola. Il quale si era dato a rattristarlo immensamente. In un certo senso, egli si era accasciato, poiché si era sentito come se una parte di sé fosse venuta a mancargli, essendogli stata amputata dall'avversa circostanza. Per cui adesso la sua parte mancante reclamava il diritto all'esistenza ed invocava il suo ripristino nella realtà attuale! Infine in lui c'era stato il reintegro delle sue funzioni psichiche ed emotive, essendo venute meno le tristi suggestioni di quella evenienza. Allora il Mago dei maghi si era determinato a compiere ciò che per tutti gli altri, le divinità comprese, rappresentava un fatto del tutto impossibile. Infatti, adesso la sua intenzione era quella di far tornare nuovamente in vita il corpo della madre, le cui spoglie cineree avevano già subito l'ingiuria di una ventina di lunghi secoli. D'altronde, egli non aveva mai tentato di resuscitare un Materiade morto, quando era già putrescente; né tanto meno aveva provato a farlo con un essere umano, di cui restava solamente lo scheletro. Figuriamoci poi, se quest'ultimo era vissuto in quelle condizioni per oltre duemila anni!

Ad un primo esame, l'impresa si presentava talmente assurda, da far pensare che potesse essere tentata soltanto da esseri farneticanti, senza un minimo di sale nella zucca! Invece il semidio mago, da parte sua, si era incaponito a tentarla assolutamente, per cui né qualcuno né qualcosa sarebbe stato capace di dissuaderlo da quella sua assurda idea. Il poveretto, dopo che era venuto a conoscenza che aveva avuto una madre sulla Terra, sentiva troppo forte la sua mancanza, per rinunciare a tale complesso tentativo! Logicamente, egli, prima di compiere il suo grande passo, aveva sorseggiato un po' della sua onniap, la quale era una specie di liquore capace di promuovere in lui la reintegrazione delle sue energie e delle sue potenti facoltà. Così subito dopo, mostrandosi ben disposto nei confronti dell'ardua impresa, il mago aveva dato inizio ad essa. Il cui magico cerimoniale di rito gli aveva imposto pure l'assunzione di taluni atteggiamenti del volto, i quali glielo avevano trasfigurato fino a rendere irriconoscibile il suo essere semidivino. Perciò, dopo averle allargate al massimo, Zurlof aveva proteso le braccia verso l'alto, come se volesse mettere mano alla recita di qualche preghiera. Nel contempo, il suo sguardo acuto si era immerso nella profondità della sua mente indagativa, volendo cercarvi le giuste parole che sarebbero riuscite a scatenare nella natura gli eventi più inimmaginabili.

Nel mago, dunque, in principio c'erano stati alcuni attimi di attività ricognitiva; però quest'ultima andava interpretata come un atto dovuto. Essa, infatti, era massimamente rivolta a sondare le varie possibilità di restaurazione di un ordine naturale, il quale in quella caverna era oramai diventato da tempo vetusto e decrepito. Quando alla fine essa si era esaurita, la sua voce aveva cominciato a tuonare vigorosa ed imperiosa nel limitato spazio del piccolo antro, esprimendosi in questo modo:

"Alé alé, pakderm! O forze del cielo, della terra e del mare, in piena sintonia le une con le altre, ottemperate agli ordini tassativi, che sto per impartirvi! Conformatevi ai miei voleri, adeguatevi alle mie intenzioni, rispettate il mio spirito animatore! Che vano sia ogni vostro proposito, se doveste tentare di intralciare la mia opera, la quale in questo momento è rivolta soltanto a resuscitare la mia povera mamma!

Alé alé, pakderm! Elementi naturali, rinvigoritevi tutti in una salda coalizione, smuovete la spessa patina temporale e rinvenite in essa i dispersi resti mortali, che un tempo appartennero alla mia genitrice! Riportate il suo corpo allo stato iniziale e permettetegli di riprendere il suo corso vitale! Annientate la riluttanza del tempo e smentite la sua convinzione di avere il potere incontrastato su ogni cosa, fino a renderglielo inefficace! Così farete valere la vostra supremazia sulla natura.

Alé alé, pakderm! Spirito di mia madre, sopito nel buio della morte e mai estinto interamente, i miei poteri medianici ti intimano di ridarti al tuo percorso esistenziale! Riprendi ad aleggiare in questa caverna ed infondi l'alito della vita nel corpo della morta mia madre Keuà! Dopo che esso si sarà ricomposto e il cuore avrà ricominciato a pomparvi il tiepido sangue, non esitare a riappropriarti di esso, facendolo nuovamente tuo, come già fu tanti secoli fa!

Alé alé, pakderm! Anche voi, Forze dell'Occulto, mettetevi a mia disposizione e fate la vostra parte nella mia generosa opera! Con il vostro intervento, controbilanciate il peso rilevante che il destino ha nell'esistenza degli esseri umani! Fate in modo che anche la sua presunzione di essere superiore ad ogni cosa non l'abbia vinta contro di voi! Sappiate che è mio desiderio scorgere mia madre davanti a me viva e vegeta, considerato che non posso fare a meno di lei. Per questo, siccome io lo voglio con tutto me stesso, così dovrà essere a qualunque costo!"

Non appena Zurlof aveva terminato di proferire le sue frasi ingiuntive, nell'antro era avvenuto un fatto strano: esso si era ritrovato senza più la sua volta e le sue rudi superfici laterali; mentre nella sua parte superiore si estendeva lo spazio infinito del cielo. Inoltre, intorno al mago, lo scenario era altrettanto cambiato. Al posto delle grezze pareti rocciose, adesso vi si scorgeva la vegetazione al suo stadio primordiale. Ma quei cambiamenti, logicamente, non erano rimasti nella loro staticità, bensì avevano iniziato a presentarsi nel loro dinamismo più reattivo ed impressionante. Quella evoluzione naturale era avvenuta, intanto che il semidio, in qualità di grande esperto di magia, andava incontro ad ogni genere di trasfigurazioni del viso. Ad un certo punto, egli era apparso come se stesse cavalcando e dirigendo i fenomeni atmosferici nella direzione e verso la meta che erano state da lui programmate in precedenza. Di repente, perciò, il cielo era ridiventato fosco e tempestoso, con il vento e le nubi che vi si agitavano in modo pazzesco. Tenendosi a braccetto, pareva che l'uno e le altre volessero intraprendere la loro sabba infernale. Invece il sole vi faceva capolino saltuariamente con spicchi sinistri ed accecanti, i quali, risultando agli occhi del mago delle saette arroventate, li ferivano con disturbi insopportabili. La mostruosità delle nuvolaglie, che spesso venivano azzannate da refoli insolenti e scontrosi, appariva inimmaginabile. Le nubi, nel loro intrico scatenato, a volte si restringevano, altre volte si appiattivano, altre ancora si ritraevano e si distendevano. I loro bordi, disomogenei e frastagliati, andavano assumendo forme e grandezze sempre differenti. Anzi, si allungavano come propaggini attorcigliate oppure si sfrangiavano come lacinie seghettate e deformi in balìa del vento.

Comunque, non si poteva asserire che al suolo la ridda degli elementi si mostrasse meno frenetica e scuotitrice. Nella parte sottostante, come in quella sovrastante, il vento soffiava rabbiosamente: ora ululava ora mugghiava, sottoponendo la vegetazione alle sue raffiche impetuose. I rami degli alberi, invece, sembravano dimenarsi ed abbaruffarsi, come se si trattasse di terribili draghi in lotta fra di loro. Soprattutto essi producevano clamori e tormentavano con il loro assordante frastuono gli esseri animali, che vi si annidavano oppure vi si erano riparati nella parte inferiore, essendovi stati spinti da un attacco di panico.

Quanto al volto di Zurlof, nel frattempo anch'esso si era espresso con connotazioni disarmoniche e conturbanti, considerato che i suoi tratti somatici, nei suoi movimenti storcenti, erano apparsi qualcosa di sconcertante. Vi si era scorta la metamorfosi più mostruosa e terrificante, siccome i suoi occhi erano diventati scavati e con i bulbi così arrossati e rigonfi, che quasi ne uscivano fuori. Anche le altre parti facciali avevano preso parte all'impressionante fenomeno mimico, facendo diventare camuso il naso, corrucciate la fronte e le sopracciglia, prolungato il mento ed aggrottato lo sguardo. Si era quasi avuta l'impressione che il mago, compiendo degli sforzi sovrumani nel perseguire il suo scopo, si stesse immedesimando con le stesse forze della natura, siccome era sua intenzione forzarle ad assecondare i suoi voleri. Anzi, pareva che fosse proprio lui ad erogare l'energia necessaria per attivarle, per cui le faceva sfogare nei tanti modi e nelle molteplici forme in cui esse non avevano mai osato esprimersi. Alla fine, così, la baraondica sommossa delle forze naturali aveva invaso anche lo spazio dell'antro, come se vi volesse fare le più disastrose scorrerie. In quel luogo, comunque, non c'era nulla da portar via, neppure lo scheletro della madre del mago. Costui, infatti, aveva provveduto preventivamente a tenerlo ben saldo al suolo, senza che ci fosse il rischio di venirne distaccato da un ciclone, nemmeno nella peggiore delle ipotesi. Per questo, in merito a tale pericolo, che all'inizio si era presentato probabile, si poteva stare matematicamente certi che esso era stato scongiurato dall'accorto semidio. Solo che, in quel clima di eventi sbalorditivi, si faceva fatica ad appurare un fatto importante, il quale adesso viene fatto presente. Non si comprendeva bene se era la trasformazione del mago a dare il nuovo corso ai fattori ambientali, stravolgendoli nella loro estrinsecazione naturale; oppure si trattava di un riverbero del cangiamento di questi ultimi a produrre sul suo volto il deformante cipiglio. Per cui l'unico dato certo era che si avevano entrambe le cose ed insieme facevano assistere al caotico fermento della natura. La quale era dedita a recuperare le ceneri bimillenarie della madre del mago.

Procedendo così le cose, ad un certo momento, gli elementi naturali si erano ricompattati in modo tale, da dar luogo ad una forza ciclonica di inaudita potenza, fino a formare un vortice verticale. Il quale, dopo essersi scatenato ed essersi messo ad infuriare con le sue apocalittiche esternazioni, alla fine aveva ricomposto e riportato in vita il corpo dell'estinta Keuà. Solo al compimento di simile evento, era scomparsa la tregenda delle imperversanti forze naturali; mentre all'interno della caverna, la quale seguitava ad essere illuminata dalle dieci torce, il volto del mago aveva riacquistato la sua serenità. Bisogna però far presente che, a fare uscire il semidio dalla sua profonda concentrazione mentale, era stato un sommesso colpo di tosse, che era stato emesso dalla madre rediviva. Esso lo aveva reso cosciente che il grande prodigio, dopo essere stato da lui auspicato con intensità, si era finalmente avverato, secondo le sue aspettative.


Scorgendola in carne ed ossa nella sua posizione supina, là dove prima c'era stato il suo scheletro, Zurlof si era abbassato sul corpo della madre, la quale aveva appena cominciato a stropicciarsi gli occhi. Poi, prendendole le mani, l'aveva aiutata ad alzarsi da terra, facendole assumere la posizione eretta. Era stato allora che egli l'aveva abbracciata, stringendosela fortemente al petto ed esclamandole: "Da oggi in avanti, madre mia, noi due non ci separeremo mai più; ma staremo per sempre insieme!" Invece Keuà, ammesso che ella si ricordasse ancora del suo nome, non avendo dato alcun significato alle parole dello sconosciuto che la teneva abbracciata, non aveva reagito in alcun modo ad esse. Ma come avrebbe potuto capirle, se il figlio parlava con una lingua da lei mai udita prima? Ad ogni modo, ugualmente si lasciava tenere avvinta a lui e non osava affatto staccarsi dal suo corpo. Ella, perciò, ascoltava, senza comprendere niente di quanto le veniva detto; né si opponeva all'abbraccio del figlio, pur non provando alcuna sensazione.

Sul suo volto non si scorgeva quel sorriso che il mago avrebbe tanto desiderato, a dimostrazione che in lei ci fosse sia gradimento che soddisfazione. Vi si poteva intravedere invece esclusivamente l'assenza assoluta della voglia di giudicare, di ammirare, di decidere oppure di gradire un determinato atteggiamento relativo all'evento attuale, del quale non si rendeva conto in nessuna maniera. Per la qual cosa, più che di un attore in azione, il suo ruolo veniva a rappresentare quello di un essere distratto, che era appena uscito dall'inerzia di un tempo durato un paio di millenni. A volerla giudicare dal suo volto inespressivo e freddo, senza un minimo di impaccio e per niente reattivo a quella circostanza presente, se ne poteva dedurre un fatto assai importante. La stordita donna non cercava affatto di interpretare in qualche maniera la realtà, che in quell'istante stava vivendo od ignorava totalmente. Ella, che senza meno era inconsapevole di farlo, si esimeva dal recitare la parte che le competeva in quel preciso elettrizzante momento.

Dentro di sé, anche il mago Zurlof aveva percepito il confusionale stato, di cui rimaneva ancora vittima la madre e non sapeva spiegarsene il motivo. Nel medesimo tempo, egli si era augurato che si trattasse solamente di una forma di stordimento passeggera e non fosse la conseguenza di qualcosa andato storto nella sua impresa. In quest'ultima eventualità, non era nemmeno da scartarsi una probabile sintonia malriuscita, la quale si sarebbe instaurata tra il corpo e lo spirito, immediatamente dopo che essi si erano ricongiunti. Comunque, bisognava ancora attendere un poco, prima di pronunciarsi in modo definitivo sul caso in questione. Di una cosa, però, il semidivino mago si era accertato: per il momento, era inutile cercare di trasmetterle le sue impressioni e le sue emozioni. Il motivo? Egli aveva capito che stava avendo a che fare con una specie di automa, il quale per ora restava privo di una propria volontà e di una propria forma di coscienza. Allora quel fatto gli infondeva una dose di crudo pessimismo.

Ma pur ammettendo il caso che lo stato psichico di Keuà risultasse normale, sentendosi ella chiamare madre da una persona dall'età incredibilmente avanzata, la sua reazione quale sarebbe stata? So per certo che il lettore ha già la risposta pronta alla mia domanda ed essa non può che collimare con quella mia. La quale dà per scontato che si sarebbe avuta in lei una micidiale stupefazione. Non poteva essere altrimenti, se si chiamava in causa il suo look del momento! Avendo duemila anni sulle spalle, il mago assolutamente non poteva presentarsi come un giovane aitante dal fisico eccezionale; al contrario, la sua presenza lasciava molto a desiderare. Va anche però chiarito un dettaglio in questo caso. Egli teneva da parte pure una facciata suppletiva, alla quale ricorreva nelle circostanze più appropriate. Ma siccome la sua fisionomia attuale era quella verace, ossia senza essere stata truccata da alcun potere magico, Zurlof appariva alla ragazza nei suoi reali tratti fisionomici. Per farla tornare in vita, egli non aveva potuto cambiare apparenza; dopo, invece, prima di presentarsi a lei, si era scordato di farlo. Per questo, se lo si osservava come appariva in quell'istante, il mago era alto centosessanta centimetri ed aveva una lunga barba bianca, che gli scendeva fino alle ginocchia; invece la sua capigliatura intonsa e crespa gli arrivava al girovita. Se le sue guance erano scarne ed infossate, la sua fronte metteva in risalto una triplice fila di grinze profonde. Invece l'incavo di ciascuna orbita faceva protrudere al massimo il bulbo oculare in essa contenuto. Riferendoci infine alla sua schiena, la quale all'altezza del collo si incurvava a mo' di dosso, anch'essa era paurosamente malridotta, poiché si presentava con tratti ora scoliotici ora cifotici.

Volendo adesso riferirci alla facciata supplementare del mago, si trattava di una fisionomia ben più gradevole, siccome metteva in mostra un fisico atletico e molto curato, con un'altezza di centonovanta centimetri. Le sue spalle erano poderose, mentre la schiena si presentava ben dritta e priva di qualsiasi anomalia dorsale. Sul suo volto erano ben visibili due gote carnose e rosee, oltre ad una fronte piatta e lucida, completamente priva di rughe. Invece i suoi occhi a mandorle, i quali erano palesemente espressivi e penetranti, gli conferivano un aspetto fiero e sveglio.

Ritornando a Keuà, la poveretta non era nel pieno delle sue forze ed era oppressa da una debolezza organica, la quale non le consentiva di reggersi in piedi a lungo. Perciò, non appena il mago aveva cercato di staccarla da sé, la donna aveva sentito le proprie gambe cedere. Allora per istinto ella si era aggrappata di nuovo a lui per non cadere. Dopo quel suo mancamento improvviso, Zurlof era stato costretto ad adagiare di nuovo la madre al suolo in posizione supina per cercare di comprendere che cosa la opprimesse. Poi, in un batter d'occhio, si era fatta una propria idea della congiunta. A suo parere, costituzionalmente parlando, ella accusava un deficit motorio e mentale non indifferente, il quale le proveniva dall'instabilità del suo essere attuale. Esso, infatti, non era riuscito a ristabilirsi come un tempo al cento per cento, nonostante egli si fosse adoperato con tutte le sue forze perché ciò avvenisse.

Per tale motivo, lo stato di salute della resuscitata genitrice si andava aggravando precipitosamente, senza che le sue formule magiche potessero arrestare o frenare il suo peggioramento in atto. La qual cosa aveva messo subito in apprensione il mago, che aveva cominciato a preoccuparsi seriamente della sua situazione. Anzi, egli si era reso conto che il tempo aveva il dominio sovrano sulla materia e che il destino degli esseri viventi era ineluttabile. Al massimo, si poteva ritardarne gli effetti e scombussolarne i contenuti. Ma alla fine gli uni e gli altri non potevano sfuggirgli e dovevano piegarsi al suo inappellabile arbitrio. Quest'ultimo, da parte sua, tirannicamente non permetteva di sottrarglisi ad alcun essere vivente, ad alcuna cosa esistente e ad alcun fenomeno naturale.

Poco dopo, mentre Zurlof era immerso in quelle sue considerazioni, all'improvviso, Keuà aveva iniziato a dimenarsi come una forsennata. Sembrava che fosse stata colta da una specie di delirium tremens, il quale non le concedeva tregua e la scuoteva come una foglia. Purtroppo la cessazione di quei bruschi movimenti, che erano sembrati provocati da forti scosse elettriche, era venuta a chiudere anche la sua breve parentesi esistenziale aperta dal figlio. Infatti, subito dopo che in lei erano cessate le convulsioni, il suo corpo era divenuto di nuovo immobile e senza più alcun segno di vita. Da parte sua, lo sguardo del suo volto cereo si perdeva nell'ignoto e in ciò che non esisteva, come se fosse venuto meno tutto all'improvviso.

Era stato allora che Zurlof aveva preso coscienza che non era stato in grado di vincere la sua battaglia contro il tempo, poiché questo si era dimostrato inarrestabile ed irrecuperabile. Essa, nel caso che egli l'avesse vinta, gli avrebbe permesso di sottrarre per sempre la madre alla morte. Invece, avendola perduta, era stato in grado di carpirgliela solo per pochi miseri minuti. Il qual fatto aveva significato per lui una grande sconfitta, che egli non aveva voluto accettare con rassegnazione. Difatti il mago si era rifiutato di accogliere con sopportazione la morte della madre e, in cambio della sua vita, sarebbe stato disposto a fare qualunque sacrificio. Non dico che il semidio avrebbe sacrificato la propria esistenza per ottenere la resurrezione della madre, siccome un fatto del genere, evidentemente illogico, non avrebbe avuto alcun senso per lui. Da morto, come avrebbe potuto fruire della sua bramata compagnia?

L'essere della madre oramai era andato irrimediabilmente perduto, poiché il soffio vitale l'aveva abbandonata per sempre. Dunque, nel giro di poche ore, forse di pochi minuti, nel suo corpo si sarebbe avviato di nuovo l'irreversibile processo di putrefazione e di decomposizione. Il quale avrebbe cancellato in lei ogni segno esteriore di riconoscimento. Zurlof, però, non desiderava che ciò accadesse in colei che lo aveva generato. Perciò, se proprio non era stato possibile averla accanto a sé viva e vivente, che almeno il suo corpo esanime gli restasse vicino per l'avvenire con le stesse fattezze da lei possedute in quel momento. In tal modo, mentre ella avrebbe continuato a stare con lui, anche se priva di vita; dal canto suo, egli l'avrebbe immaginata dormiente, anziché clinicamente morta. Il mago, per sua fortuna, aveva la facoltà di ottenere una cosa simile, ossia ricorrendo all'imbalsamazione del suo cadavere, che poi avrebbe sigillato ermeticamente in un contenitore fatto di materiale trasparente. Perciò egli si era affrettato a mummificare il corpo esanime della madre Keuà, dopo aver fatto comparire in quell'antro gli attrezzi e le sostanze che gli occorrevano per portare a termine sul suo corpo la delicata opera conservativa. A mummificazione avvenuta, Zurlof si era allontanato dalla caverna ed era andato in cerca del più bel posto esistente sul pianeta. In quel luogo, egli avrebbe costruito il suo stupendo castello, il quale, allo stesso tempo, sarebbe dovuto servire come propria dimora ed essere anche il depositario dell'imbalsamata salma della madre.

Alla fine Zurlof aveva trovato il posto da lui cercato sopra l'incantevole isola di Tasmina, la quale era situata in un'area geografica di incomparabile bellezza, dove veniva lambita da un mare tranquillo. Allora, senza perdere tempo, vi aveva costruito il suo castello e successivamente vi aveva pure traslato la mummia della genitrice. Inoltre, non si era dimenticato di rendere tempestosa al massimo la parte di mare che la circondava, entro un raggio di due miglia. Il motivo di tale suo provvedimento? Egli intendeva vietare ad ogni essere umano di sbarcare a Tasmina per evitargli di disturbare l'eterno sonno in cui era immersa la madre, siccome un fatto del genere avrebbe potuto solo intossicargli l'esistenza. Quindi, chiunque si fosse azzardato a sbarcare nella sua isola, avrebbe pagato il fio della propria colpa proporzionatamente all'insolenza dimostrata nello sbarcare su di essa.