345-IVEONTE A TASMINA, LA MALFAMATA ISOLA DEL MAGO ZURLOF
Dall'ultima volta che Iveonte, Tionteo e i Lutros loro accompagnatori avevano ripreso il cammino, c'erano voluti tre giorni, prima di giungere sulla costa bagnata dal Mare delle Tempeste. Se non c'era stato alcuno sforamento, rispetto alle previsioni del Borchiese, lo si doveva al fatto che il viaggio era proceduto senza alcun altro intoppo, privo cioè di incidenti oppure di imprevisti di qualsiasi tipo. Ma già quando essi si trovavano a qualche miglio dal mare, l'aria salmastra li rese tutti incredibilmente euforici. Essi erano ansiosi di trovarsi al più presto davanti alla massa di acqua marina, dove mai nessuno di loro si era trovato prima di allora, per cui non vedevano l'ora di vederla e di ammirarla. La loro euforia e la loro ansia scaturivano dal fatto che tutti loro, da quando erano bambini, avevano sentito parlare del mare come un qualcosa di immenso e di straordinario. Perciò avevano sempre desiderato di trovarsi di fronte al nuovo fattore integrante della natura. Il quale, come avevano appreso da Speon, subordinava a sé tutti gli altri per vastità, per imponenza e per attrattiva. Inoltre, calamitava l'interesse di quanti avevano la fortuna di scrutarlo ogni giorno da vicino.
In verità, il Mare delle Tempeste non era bello a vedersi in nessuna stagione dell'anno e in nessuna parte del giorno. Infatti, era sua abitudine non apparire mai generoso di spettacoli stupendi ed inimitabili, quelli che gli altri mari riuscivano ad offrire specialmente nella calda stagione estiva. Anche quel giorno di tarda primavera, sebbene si fosse nelle prime ore pomeridiane, esso non smetteva di mostrarsi inclemente e spaventoso, oltre che impregnare di salsedine l'atmosfera sovrastante ed ogni altra cosa esistente nelle sue vicinanze. Perciò le sue acque, seguitando a presentarsi in piena sommossa, riuscivano a terrorizzare quanti sostavano presso la riva del mare e le osservavano con occhi sgranati. Le onde marine, come essi potevano notare, se prima si avventavano contro il cielo brumoso, subito dopo si inarcavano schiumose in avanti e finivano per abbattersi sulla battigia, dove si frantumavano. Nel medesimo tempo, anche la superficie equorea si manifestava in grande sommovimento, come se bollisse allo stesso modo dell'acqua in ebollizione contenuta in una immensa pentola tenuta sul fuoco da molto tempo. Ma il fenomeno ondoso si mostrava ancora più sconvolgente e conturbante, quando assaliva la costa oppure si metteva a schiaffeggiare le frastagliate e bucherellate rocce. Contro l'una e le altre, da parte delle onde, l'aggressione si manifestava dilavante e brutale, spumeggiante e rovinosa. Anzi, sembrava che volesse azzannare e stritolare qualunque cosa le capitasse sotto tiro!
L'intero mare, che circondava l'isola di Tasmina, in quella circostanza fermentava di ingenti forze distruttrici, le quali prendevano corpo nelle frementi ed implacabili onde. Queste, da parte loro, non smettevano mai di agitarsi, di impazzare e di aggredirsi anche tra di loro. A volte, quasi volessero afferrarli, si ergevano verso quei terribili uccellacci che, volando sopra di loro, emettevano versi acuti e rabbiosi, come se ne venissero indispettiti. Spesso i rumoreggianti cavalloni parevano minacciare le sovrastanti nuvole che, nella loro corsa convulsa e frenetica attraverso il livido cielo, si esibivano in uno spettacolo non meno agghiacciante di quello che sotto veniva offerto dal mare in tempesta. Esso, però, pur mostrandosi tempestoso e manifestandosi come un acquoso ammasso infernale, dava una visione di sé meno terrificante di quella della famigerata Isola della Morte. La quale sequitava ad infondere inquietudine nei cuori di coloro che si davano a contemplarla dalla riva.
Intanto che l'aspetto orrifico ed orripilante dell'isola si stagliava superbo e raccapricciante in mezzo alle impazzite ed effervescenti acque del mare che la circondava; le sue rocce proibitive avevano tutta l'aria di non volere consentire un attracco a nessuna imbarcazione. Ammesso che essa fosse riuscita a giungervi indenne, senza urtare e stritolarsi contro i loro spuntoni taglienti! Ciò, perché le loro pareti non si mostravano affatto incoraggianti; anzi, erano costituite da ammassi di rilievi sporgenti. I quali riproducevano le forme più strane ed indefinibili, nonché suscitavano un grande sconforto in quell'animo irresoluto, che fosse incline a suggestionarsi con facilità. La cupezza della sua sagoma rocciosa e la minacciosità dei suoi contorni confusi non concedevano spazio alcuno all'ottimismo dell'osservatore. Al contrario, facevano nascere in lui un senso di sbigottita repulsione e gli procuravano il blocco delle facoltà reattive. Ecco perché la sua espressione esteriore, la quale per giunta si lasciava intravedere attraverso una ridda di diabolici marosi, gli trasmetteva lugubremente molteplici e terribili sensazioni. Così gli faceva accapponare la pelle, raggelare il cuore e confondere le idee.
Volendo essere obiettivi, tanto la vicina riva del mare quanto la distante isola, a ragion veduta spensero nei nuovi osservatori l'entusiasmo, che in precedenza era venuto ad aversi nel loro intimo. Soprattutto nei Lutros, l'uno e l'altra, anziché suscitarvi meraviglia e giubilo, al contrario vi infusero mestizia e sgomento. Nello stesso tempo, vi smorzarono il senso euforico e quello ansioso, i quali in un primo momento si erano impadroniti di loro, facendoli sentire degli esseri intimamente beati e assai fortunati per lo straordinario evento. Per questo l'attuale scioccante scenario marino, dopo averli resi disforici, li aveva fatti arretrare di una trentina di metri, essendo stati spaventati dal mosso suo moto ondoso, che si abbatteva senza ininterruzioni sulla zona costiera fragoroso, furioso, tremendo e spumeggiante. Nelle sue onde aggreditrici, i poveretti finivano per scorgervi dei voraci mostri, pronti a ghermirli e a portarseli via nei gorghi dell'agitata massa di acqua, il cui colore appariva lividamente verdastro. Per la quale ragione, in cuor suo, ciascuno di loro sperava che Iveonte li sottraesse quanto prima alla vista di un simile spettacolo da incubo, che non prometteva nulla di buono. Al contrario, per come si stavano manifestando le cose, esso si rivelava uno dei pochi lati negativi della provvida natura.
A dire il vero, il mare non stava facendo una impressione positiva neppure al giovane eroe e all'amico Tionteo, a causa della sua indiavolata mareggiata esageratamente turbolenta. La quale non accennava né a venir meno né a diminuire di intensità, siccome la sua stizza feroce lievitava ed accresceva minuto dopo minuto. Inoltre, palesava l'intenzione di volere invadere la terraferma, allo scopo di sottoporla ai suoi strazi e alle sue sevizie. Nel frattempo le sue onde si affollavano sulla sua superficie, la incalzavano e la ricoprivano di nivea schiuma. Ma anche assumevano talvolta un moto vorticoso di rabbia oppure si protendevano riboccanti e rumorose oltre la barriera rocciosa. Essa, perciò, appariva stravolta e gemente sotto le sue sferzate erosive, che seguitavano a colpirla con crescente stizza, quasi la considerassero la loro nemica giurata. Allora, sebbene le sue esuberanze procellose non apparissero cosa da niente ed esprimessero il loro scombussolante sfogo naturale, anche se con un'arroganza stomachevole, ugualmente Iveonte e Tionteo non disdegnavano del tutto il Mare delle Tempeste. Mentre esso si dava a far mostra del suo esagitato trambusto, nel loro intimo non reagivano nei suoi confronti con risentimento e con ostilità, come stava accadendo ai timorosi Lutros. Per loro, quel mare burrascoso rappresentava l'unica via di comunicazione per giungere a Tasmina. Invece il nostro eroe, pur malvolentieri, era disposto ad accettarlo per quello che esso appariva, ossia l'amico-nemico che gli avrebbe permesso di pervenire alla sua meta. Magari gli avrebbe imposto una traversata tutt'altro che facile, prima di fargliela raggiungere e di consentirgli di scoprire in quel luogo i suoi genitori naturali!
Riguardo allo stato di agitazione del Mare delle Tempeste, il nostro insuperabile campione aveva una propria teoria. Secondo la quale, non era la sua posizione geografica a renderlo tanto scosso da intimorire chiunque; invece a farlo incattivire in quel modo era il padrone dell'isola, ovvero il mago Zurlof. Costui, probabilmente, intendeva tenere lontano da essa eventuali ficcanasi o da quelli che si proponevano di farvi scorribande allo scopo di trovarvi tesori. Anche se poi egli, dopo che essi vi fossero approdati incolumi in qualche maniera, non esitava ad impedirgli di salpare dalla sua isola e di abbandonarla illesi o vivi.
Una volta effettuata una mezzora di perlustrazione della fascia costiera con l'amico Tionteo, Iveonte diede ordine ai suoi uomini di ritirarsi nella vicina zona boschiva, al fine di piantarvi l'accampamento. A quella sua decisione, i Lutros ne gioirono, siccome non ce la facevano più a sopportare la tregenda, alla quale davano origine le impazzite acque del mare. Per loro, il continuare a restare sul litorale del mare sarebbe risultato una grande penitenza, se non proprio una vera tortura. Infatti, mentre assistevano alla sua rabbia forsennata, essi temevano che le sue onde potessero invadere la terraferma, facendoli annegare nelle loro acque ribollenti. Comunque, la collocazione delle tende nel vicino bosco e la sistemazione definitiva delle vettovaglie e delle bestie si protrassero per lungo tempo, ossia fino ad oltre mezzogiorno. Ma a loro tutti dopo risultò un fatto scontato impegnare il tempo successivo nella ristorazione. Durante la quale, Speon e Tionteo si fermarono a consumare il loro pasto nella tenda del loro compagno Iveonte. Mentre così si pranzava, ad un certo punto, il Terdibano fece la seguente considerazione:
«Alcuni osano affermare che chiunque riesca a sbarcare sull'isola di Tasmina non avrà poi la possibilità di salparne e di allontanarsene. Ma essi mi sanno dire chi potrebbe farcela a raggiungere le sue coste e a porre piede sul suo suolo? Sono più che convinto che, a parte Iveonte, per il quale non esistono imprese impossibili, nessun altro riuscirebbe a porvi piede! Speon, mi sai dire in merito a quanto ho affermato qualcosa di più importante, se ne sei al corrente?»
«Invece non è come pensi, Tionteo!» gli rispose il Borchiese «Anche se il Mare delle Tempeste offre un margine di tempo molto ridotto per raggiungerla a chi vuole condursi nell'isola, però questa possibilità esiste. Altrimenti, non ci sarebbero stati tanti sbarchi nefasti senza ritorno! In un primo momento, ci furono quelli solitari, i quali risultarono numerosi. Specialmente dopo essersi sparsa la falsa notizia che Tasmina era zeppa di tesori favolosi e vi si poteva trovare l'oro in ogni suo angolo. In seguito, ci sono stati perfino sbarchi da parte di qualche esercito con il pallino della conquista e di qualche gruppo di avventurieri malaccorti.»
«Speon, vuoi parlarci dei folli che ci provarono, senza avere un minimo di cervello? Mi farebbe piacere che ci parlassi di quanti tentarono l'approdo alle sue rive, senza temere i pericoli che vi abbondavano.»
«Lo faccio volentieri, Tionteo, per cui mi dichiaro a vostra completa disposizione! Vi premetto, però, che i miei due racconti assolutamente non intendono dissuadere il nostro Iveonte dall'impresa, che ha deciso di affrontare. Come te, anch'io ho la massima fiducia in lui, per cui sono fermamente convinto che i tanti malefici insulari non prevarranno sul nostro eroico campione. Egli, dopo che vi sarà sbarcato, riuscirà a sconfiggerli tutti e a ritornare anche in mezzo a noi.»
«Allora, Speon, sbrìgati a raccontarci i fatti da te menzionati, poiché non vedo l'ora di conoscerne i rispettivi esiti. Essi di sicuro saranno risultati solo infausti ai loro incauti protagonisti, che alla fine furono costretti a trovarvi la morte che gli aveva decretato il padrone dell'isola!»
«Il primo degli sbarchi, Tionteo, riguardò gli Scanudi. Costoro provenivano dalla loro isola, chiamata Scanudia. La quale ha una estensione grandissima e si trova nello stesso mare di Tasmina, precisamente ad un centinaio di miglia da essa. A tale riguardo, bisogna sapere che non tutto il Mare delle Tempeste si presenta così burrascoso, come si potrebbe immaginare. Invece la distesa di acqua si mostra tale esclusivamente nella sua parte che circonda l'Isola della Morte, ossia fino a due miglia di distanza dalla medesima.»
«Speon, perché gli Scanudi vollero sbarcare sull'isola con un esercito, senza curarsi della reazione del mago Zurlof? Credevano forse di potercela fare contro di lui, solo perché erano molto numerosi?»
«Questo non te lo so dire, Tionteo. Probabilmente, essi tentarono l'invasione unicamente per mire espansionistiche oppure perché avevano pensato di trasferirsi in seguito su di essa con il loro intero popolo. Si è sempre vociferato, infatti, che la loro isola sia una terra arida e stepposa, che a malapena è in grado di sfamare l'intero popolo scanudiano, essendo in continuo incremento demografico.»
«Ma l'esercito degli Scanudi, Speon, riuscì a porre piede sulla maledetta isola, che voleva conquistare? Oppure il mare tempestoso frustrò il suo tentativo, prima ancora di sbarcarvi? Suvvia, mettici a conoscenza di ogni cosa di tale suo assurdo tentativo! Comunque, anche per loro riesco a prevedere esclusivamente morte e distruzione!»
«Certo che esso vi sbarcò senza troppe difficoltà, amico mio Tionteo! Ma la flotta scanudiana, composta da duecento navi da guerra, durante la navigazione andò incontro alla perdita di molte sue imbarcazioni. Avvenuto poi il suo sbarco parziale, non se ne sentì più parlare per circa un mese, come se esso fosse davvero scomparso nel nulla, essendo stato inghiottito da una voragine senza fondo!»
«Successivamente, Speon, si seppe mai il sèguito della storia degli invasori scanudiani? Chi può affermare con sicurezza che essa non aveva avuto dei risvolti positivi? Mica ci furono dei testimoni oculari a fornire le prove sia del loro totale fallimento sia della loro morte in massa! Non sei d'accordo anche tu, amico mio?»
«Non ci fu bisogno della testimonianza di nessuno, Tionteo, per apprendere ciò che era avvenuto sull'isola. Infatti, non era trascorso neppure un mese dalla loro invasione, allorquando un brutto giorno si scorse questo braccio di mare invaso da migliaia di cadaveri, oltre che da relitti di navi sfasciate. I soldati morti, galleggiando in superficie, portavano ancora addosso le loro armature. Fra i numerosi corpi esanimi, fu rinvenuto un superstite, da cui si appresero i tragici particolari della disavventura che i soldati scanudiani avevano avuto sull'isola maledetta.»
«Se li conosci, Speon, perché non ne rendi partecipi anche Iveonte e me, che ti stiamo ascoltando attentamente? Se non ti dispiace, vorremmo apprenderli dal primo all'ultimo!»
«Tionteo, fu il mio defunto genitore a mettermi al corrente delle disgrazie accadute agli Scanudi, per essersi incaponiti di invadere e di occupare l'Isola della Morte. Secondo il suo racconto, che ricordo benissimo, una volta sbarcati su Tasmina, gli invasori si erano diretti verso l'interno per sottomettere gli isolani al loro potere, nel caso che ne avessero trovati. Invece, lungo il loro percorso, essi non ne avevano incontrati neppure uno, per la quale ragione erano stati indotti a credere che l'isola fosse letteralmente disabitata.»
«Scommetto che essi si erano sbagliati completamente! Speon, è vero che fu proprio come ti sto dicendo?»
«In un certo senso, hai ragione, Tionteo, poiché molto presto gli Scanudi non solo si sarebbero ricreduti, ma si sarebbero pure pentiti di essersi impegolati in quella tragica avventura. Nel terzo giorno, quando il tramonto si faceva annunciare prossimo, le loro marce forzate li avevano fatti ritrovare in una spianata circolare che aveva il diametro di due miglia e mezzo. Nella sua parte centrale, essi vi avevano scorto un castello mastodontico, il quale non appariva per niente rassicurante!»
«A chi apparteneva il castello, Speon? Sicuramente non ad un sovrano, se nell'isola non erano state incontrate delle persone da potersi considerare suoi fedeli sudditi!»
A quel punto, prima che l'amico terdibano ricevesse la risposta da Speon, tempestivamente intervenne Iveonte a dargli la giusta risposta. Perciò gli asserì con tono asseverativo:
«Amico Tionteo, come fai a non comprendere che il castello era di proprietà del mago Zurlof, come lo è tuttora? Hai dimenticato che essi stavano sopra l'isola di Tasmina?»
«Hai proprio ragione, Iveonte!» gli confermò Speon «Ma come fai a saperlo? Conosci forse pure ciò che successe agli Scanudi, dopo che essi avevano raggiunto e circondato il castello? Oppure hai semplicemente tirato a indovinare, amico mio?»
«Non lo sapevo affatto, Speon! In compenso, però, sono a conoscenza che sull'isola di Tasmina impera il mago Zurlof. Se volete che ve lo dica, sto andando proprio da lui per farmi rivelare i nomi dei miei genitori. Adesso, però, puoi andare avanti con la tua narrazione, poiché il nostro amico Tionteo mostra una premura folle di conoscerne la conclusione, interessato com'è ad essa! Non lo vedi come freme, intanto che aspetta di conoscere la sua fine?»
«Non ti sbagli mai, Iveonte!» gli affermò il Terdibano «Certo che sono tutt'orecchi ad attendere che Speon giunga presto al termine dell'interessante storia. Essa mi sta coinvolgendo in modo particolare, come se la stessi vivendo di persona, però temendo per loro!»
«Ebbene,» riprese a raccontare il Borchiese «i soldati scanudiani, i quali erano comandati da Elrus, senza perdere tempo avevano circondato il castello per costringere alla resa coloro che lo abitavano. Invece, dalla torre più alta della fortezza, si era affacciata una persona avanzata negli anni, la quale si era messa a gridare con voce potente ai soldati assedianti: "Io sono il mago Zurlof, il sovrano incontrastato di Tasmina. Coloro che hanno osato invadere la mia isola presto se ne pentiranno, poiché farò assaggiare agli invasori i poteri della mia magia! Tra poco ci penseranno i miei Kruost a darvi il benvenuto! Parola mia!" Dopo le minacce uscite dalla bocca del mago con tono vibrante, i soldati scanudiani avevano avuto ben poco da rallegrarsi. Al contrario, ne avevano tremato, benché il loro comandante cercasse di incoraggiarli a ogni costo, rassicurandoli che si trattava solo della sbruffonata di un castellano ciarlatano. Il quale era abituato a tali smargiassate insulse e ridicole.»
«Ci dici, Speon, se e come il mago Zurlof aveva mantenuto la sua promessa nei confronti degli Scanudi invasori? Basandomi sull'ingente moltitudine dei morti che egli aveva fatto trovare nelle infide acque del mare, mi immagino in quale modo avesse strapazzato quegli sventurati! Ma lo stesso desidero sentirlo raccontare dalla tua bocca per gustarmi meglio l'episodio! Perciò vai avanti nel tuo elettrizzante racconto!»
«Malauguratamente per i poveretti Scanudi, amico mio, il mago non era venuto meno alla sua parola. Perciò, dopo brevissimo tempo, si era visto il portone del castello aprirsi e lasciare uscire un centinaio di esseri mostruosi, che erano i Kruost. Essi erano alti cinque metri ed avevano un paio di ali. Quei mostruosi esseri alati, oltre ad essere forniti della facoltà di volare, erano anche capaci di sputare fuoco dalla bocca. Al posto delle mani e dei piedi, avevano quattro possenti artigli, che erano in grado di sollevare da terra dei pesi enormi fino a grandi altezze. I Kruost, essendo dei mostri terribili, potevano affondare i loro artigli nelle carni dei grossi mammiferi, arrecandogli una morte istantanea!»
«Mi prefiguro la fine orribile, che tali mostri fecero fare agli Scanudi poveretti per ordine del mago! Non fu forse così, Speon? Comunque, vai avanti a raccontare!»
«Non poteva essere in modo differente, Tionteo! I Kruost, i quali si erano rivelati pure invulnerabili, al suono di un corno che era provenuto non si sa da dove, avevano cominciato ad irrompere in mezzo ai soldati scanudiani, il cui numero si aggirava intorno alle diecimila unità. Dato inizio alla strage, i mostri del mago non si erano fermati, fino a quando non avevano scorto tutti gli invasori sterminati e giacenti al suolo senza vita. Una parte di loro era stata bruciata viva e un'altra parte era stata trafitta dai loro unghioni laceranti. La terza parte, invece, era stata sollevata fino ad una cinquantina di metri di altezza e poi era stata lasciata cadere a capofitto, facendola sfracellare al suolo. Ai mostruosi Kruost era bastata una sola ora, perché facessero degli Scanudi una colossale carneficina, senza che restasse al suolo un solo soldato vivo!»
«Come mai, Speon, molti loro cadaveri furono ritrovati nelle acque del mare, così lontani dal castello del mago?»
«Dopo averli uccisi, Tionteo, i mostri si erano dati a ripulire l'isola, sgomberandola da tutti gli Scanudi non uccisi con il fuoco. Afferrandone quattro per volta, ognuno di loro era andato a gettarli in alto mare. Ma nella fretta, uno di loro non si era accorto che qualcuno del suo carico umano, ossia il superstite Uspet, era rimasto ancora vivo. Terminato poi il lavoro di sgombero, i mostruosi esseri si erano scagliati contro le navi degli invasori Scanudi e le avevano sgretolate dalla prima all'ultima.»
«Naturalmente, Speon, quando il sopravvissuto Uspet fece ritorno alla sua isola e recò la drammatica notizia alla sua gente, gli Scanudi, per la costernazione, decretarono il lutto nazionale per un certo numero di giorni! Inoltre, principalmente da parte della componente femminile, si profuse un sacco di pianto per i loro soldati morti, essendo stati colpiti da morte violenta oltrefrontiera sulla misteriosa Tasmina!»
«Essi, Tionteo, non poterono comportarsi in maniera diversa, data la loro infausta vicenda. Ma un evento più luttuoso attendeva il popolo scanudiano, il quale ci sarebbe stato un secolo più tardi. Naturalmente, sempre per lo stesso motivo!»
«Vuoi dire, Speon, che anche dopo ne fu la causa la brama di conquista, alla quale li spingeva la loro arida terra? Oppure ne fu un'altra? Ci farebbe piacere apprenderlo!»
«Esattamente, Tionteo! Come hai immaginato, gli sventurati venivano spinti dalla sterilità della loro terra a cercarsi una regione più fertile, dove stanziarsi per sempre. Il secondo tentativo avvenne, quando il loro capo Ulbiot, al comando di un esercito di duecentomila soldati, decise di conquistare la Berieskania. In quell'occasione, a causa delle eccezionali doti di condottiero del giovane beriesko Nurdok, essi furono clamorosamente sconfitti e trucidati totalmente dai nemici! Adesso conosci anche il motivo della loro nuova sventura, la quale gli procurò un numero di morti molto più grande.»
«Nella seconda invasione, gli Scanudi ebbero un numero esorbitane di morti, cioè venti volte maggiore di quello avuto nella prima. Ma adesso, Speon, ci riferisci anche il secondo racconto, che aveva riguardato l'isola di Tasmina, come ci hai promesso? Chi furono i suoi nuovi protagonisti sventurati che tentarono l'avventura? Secondo me, per tentarla, essi dovevano essere dei veri matti!»
«Vi accontento subito, Tionteo! Tanti anni fa volle tentare l'ardua impresa anche il quintogenito del leggendario Nurdok, ossia Deloz, il quale si considerava un avventuriero nato. Egli, nonostante fosse sposato e padre di tre bambini, un bel giorno, non dando retta al genitore che glielo sconsigliava nel modo più assoluto, lasciò il suo borgo di Geput con un manipolo di venti uomini e partì alla volta dell'isola di Tasmina. In verità, c'è ben poco da dire sulla loro impresa avventurosa, oltre al fatto che essi riuscirono a raggiungere l'isola nei tempi previsti. Di tutto il resto, invece, se ne può fare un resoconto molto compendioso, dal momento che non se n'è mai saputo niente e i loro corpi inanimati non furono mai restituiti dal mare. Non essendoci mai stata la loro restituzione da parte sua, a tale riguardo furono ipotizzate le seguenti due evenienze: 1) che il mago Zurlof non avesse fatto fare a tutti loro la stessa fine degli Scanudi, facendoli magari suoi prigionieri; 2) che i loro cadaveri fossero diventati cibo per i pesci, prima ancora che essi venissero avvistati sulla superficie del mare.»
Quando il Borchiese ebbe terminato di rispondere alle domande di Tionteo, toccò ad Iveonte conversare con lui. Egli, senza porre tregua tra le due conversazioni, incominciò a dirgli:
«Se non mi sbaglio, Speon, tu hai lasciato intendere a noi ascoltatori che ci sono dei periodi, durante i quali il Mare delle Tempeste si rimette a bello, per cui la navigazione diventa una impresa facile. Allora, nel caso che io non ti abbia frainteso, vuoi indicarmi il periodo dell'anno durante il quale l'evento positivo si verifica su questo mare?»
«Non ti sei affatto sbagliato, Iveonte. Ebbene, ciò accade solo nei tre giorni che precedono il novilunio, quando il Mare delle Tempeste si placa, permettendo così di navigarlo senza pericoli a chiunque decida di spostarsi dalla terraferma all'Isola della Morte. Perciò, amico mio, se vuoi raggiungere l'isola di Tasmina, dovrai approfittare di tali giorni, i quali per tua fortuna iniziano dopodomani.»
«Secondo te, come dovrei andarci, Speon? Non posso mica attraversare il mare a piedi! Allora mi chiarisci questo particolare, del quale non ci hai ancora specificato?»
«Allo stesso modo che fecero i Berieski, Iveonte! Già, tu non puoi saperlo, siccome non ve l'ho ancora detto. Perciò passo a riferirvi quanto vi ho distrattamente omesso in precedenza. Nella mattinata del primo dei tre giorni da me citati, lungo queste coste passa il traghettatore Arupio, il quale si offre di traghettare fino a Tasmina qualunche persona lo desideri. Ma dopo aver fatto sbarcare i passeggeri nell'isola, egli se ne ritorna sulla terraferma. Nello stesso tempo, si riporta indietro eventuali scampati ai malefici dell'isola maledetta, i quali però non ci sono mai stati. Quindi, puoi servirti di lui nella traversata di andata per Tasmina e in quella di ritorno alla terraferma. Ti garantisco che non c'è un modo diverso per l'una e l'altra operazione!»
«Speon, se non ci sono viaggiatori da trasportare sull'isola, come si comporta Arupio? Rinuncia al suo viaggio diretto all'isola maledetta?»
«Invece il noto traghettatore ugualmente fa il proprio giro, amico mio, anche senza viaggiatori che sono diretti a Tasmina. Dopo aver navigato costa costa in questo braccio di mare, egli punta solitario dritto sull'isola del mago. Dopo averla raggiunta senza alcun carico, se ne ritorna sul continente allo stesso modo di come se ne è allontanato.»
«Speon, perché Arupio si dà a tali viaggi, anche quando non ci sta la necessità di farli? Lo costringe forse qualcuno a comportarsi in questa maniera oppure si tratta di una sua mania?»
«Iveonte, nessuno gli impone questo suo compito! È stato lui stesso ad assegnarselo, anche se esso l'obera di molto lavoro. Si dice che suo padre, già prima di lui, si fosse assunto il medesimo incarico e che, alla sua morte, Arupio abbia deciso di seguire la vocazione paterna. Si tratta di una vera fisima, la quale in famiglia viene tramandata ereditariamente, di generazione in generazione!»
Circa il modo di Iveonte di trasferirsi sull'isola, non convinse Tionteo. Egli si andava chiedendo perché mai l'amico ci teneva tanto ad andarci con il traghetto di Arupio, quando invece poteva sorvolare il mare senza problemi e raggiungerla in quattro e quattr'otto? Voleva anche domandarlo a lui stesso; ma poi, essendosi ricordato di ciò che l'amico gli aveva riferito a tale riguardo, evitò di fargli una domanda del genere.
Iveonte, dopo che Speon gli ebbe parlato del traghettatore, si capacitò che conveniva prendere la palla al balzo. Perciò nel giorno previsto, dopo essersi congedato dai suoi due amici, salpò con il traghetto di Arupio, il quale faceva rotta per Tasmina. L'attracco ci fu in una piccola baia, dove toccarono anche terra, quando il tramonto era nella sua fase iniziale e iniziava ad arrossare ogni cosa nei dintorni. Il pernottamento, però, avvenne in una caverna lì vicina. Ma il giorno seguente, ripartito Arupio per la terraferma, Iveonte si diede ad esplorare l'isola, ansioso di pervenire al più presto al castello di Zurlof. Mentre si dirigeva verso la fortezza, egli cercava di rendersi conto chi fosse in realtà il mago, che si considerava l'incontrastato padrone di Tasmina. Comunque, anche noi avvertiamo l'esigenza di rivolgerci la stessa domanda del nostro eroe. Perciò cerchiamo anche noi di conoscere qualcosa su di lui.