343°-IVEONTE INTERVIENE CONTRO IL DIO KUSTOZ E LA SUA PROLE

Intanto che tra il dio Kustoz e i suoi figli i fatti si erano svolti come li abbiamo ripercorsi, cosa ne era stato del nostro eroe? Così pure in che modo era avvenuto il suo incontro con gli Zeiv, dopo che si era presentato in mezzo a loro, arrivando dal cielo a guisa di un uccello in picchiata? È proprio di questo che tra breve ci occuperemo, dando risalto soprattutto alle sensazioni provate da tutti gli abitanti del villaggio. Ebbene, in un primo momento, vedendolo arrivare dall’alto del cielo, gli Zeiv non volevano credere ai loro occhi, convincendosi che poteva trattarsi solo di una divinità. Poco dopo, invece, era intervenuto il loro capo Seruk a farli capacitare di quanto stava succedendo sopra di loro. Egli, oltre a persuaderli che lo sconosciuto era un essere umano, sebbene riuscisse a volare, non si era astenuto dal fargli presente:

«Rammentate, miei impressionati conterranei, le parole del defunto Otuios, le quali accennavano ad un grande eroe, il quale era prossimo ad arrivare nei nostri paraggi, a cui avremmo potuto chiedere aiuto per liberarci dal dio Kustoz e dai suoi figli maledetti? Allora sappiate che egli si riferiva esattamente all'uomo che avete visto poco fa solcare il cielo, essendo egli in grado di volare meglio anche dei pennuti. L'eroe umano, che ha per nome Iveonte, adesso è venuto a portare a termine la sua missione, mettendosi a nostra completa disposizione.»

«Non so spiegarmi, capo Seruk,» lo zeivino Motun aveva voluto farsi spiegare da lui «come ha fatto egli ad apprendere le nostre sventure e come fai tu a conoscere tante cose sul forestiero, mentre noi le ignoriamo del tutto. Per favore, ci vuoi spiegare ogni cosa sui due particolari, visto che noi ne siamo completamente all’oscuro? Allora ce lo dici?»

«La mia risposta è molto semplice, Motun. Ieri egli è stato nella mia capanna e mi ha dato due meravigliose notizie. La prima ha riguardato Ekuob e i suoi fratelli, annunciandomi che essi non erano stati uccisi dagli Anacundios, come il loro divino genitore mi aveva riferito qualche giorno prima. I tre germani zeivini erano stati scambiati con tre uomini di Iveonte, per cui questi ultimi avevano subito il supplizio al posto loro. In seguito sono stati gli stessi nostri tre conterranei a riferire al grande eroe forestiero le annose disgrazie che ci derivano dai nostri persecutori. Con la seconda notizia, egli mi ha messo al corrente che intende venire in nostro soccorso e che presto ci libererà dal malefico dio e dagli assassini suoi figli. Perciò, visto che sta per giungere in mezzo a noi, affrettiamoci a riceverlo con tutti gli onori, come appunto egli si merita. Agendo in questo modo, gli manifesteremo il nostro sommo rispetto e gli mostreremo anticipatamente la nostra immensa gratitudine, per ciò che egli si appresta a fare per il nostro traviato popolo. Vi raccomando di comportarvi come vi ho suggerito, essendo vostro dovere farlo!»

In un secondo momento, quando Iveonte aveva posto piede in mezzo a loro, tutti gli Zeiv, i quali lo stavano aspettando giubilanti insieme con il loro capo, lo avevano accolto festosamente e gli si erano dimostrati molto riverenti. La sua presenza era apparsa come un sole che si affaccia in mezzo ad un banco di nuvole cupe, quando, dopo averle diradate, inizia ad illuminare e a rischiarare ogni cosa nel sottostante paesaggio. Per questo sul volto di ognuno degli Zeiv adesso si leggevano una esultanza ed un tripudio indescrivibili. Allora, grato di quell’accoglienza calorosa e sentita da parte degli abitanti del villaggio, il nostro eroe gli si era messo a parlare con queste parole rassicuranti:

«Miei amici zeivini, penso che il vostro capo Seruk già vi abbia fatto apprendere le ragioni che mi hanno condotto presso di voi. Ebbene, oggi intendo mantenere la promessa fatta alle uniche quattro persone del vostro villaggio che già hanno avuto a che fare con la mia persona. Così farò avverare la profezia del vostro conterraneo Otuios, il quale, con la sua intuizione profetica, vi aveva già annunciato il mio arrivo, anche se non conosceva il mio nome. Ma non potendo prevedere la reazione degli Anacundios nei vostri confronti al momento del mio durissimo scontro con loro, voglio farvi la seguente raccomandazione. Quando esso inizierà ad effettuarsi nella parte del cielo che si trova sopra questo luogo, mi sentirei più tranquillo, se voi vi sottraeste alla loro vista. Perciò vi consiglio di andare a nascondervi tra la folta vegetazione del bosco, ad evitare di subire danni molto seri da parte dei tre mostruosi semidei.»

«Iveonte, quando prevedi di cominciare a combattere i nostri carnefici?» gli aveva chiesto il capo zeivino «Speriamo che ci toglierai presto dallo terribile incubo che stiamo vivendo, quando dormiamo e quando siamo svegli. Esso ci priva di ogni serenità, soprattutto a causa dei sacrifici di cui risultano vittime i nostri bambini, che ci rattristano molto!»

«Ti annuncio, capo Seruk, che la mia lotta contro di loro ci sarà presto; anzi, la prevedo nell’arco di questa giornata. Per tale ragione, sarebbe opportuno, da parte vostra, pensare già ad evacuare il vostro villaggio, facendo trasferire nella boscaglia i vostri vecchi, le vostre donne e i vostri bambini. Voi li seguirete per ultimi, cioè quando tutti avranno abbandonato le loro capanne. Prima che voi partiate, vi faccio presente che saranno dei prolungati suoni di corno ad avvisarvi che è giunto il tempo di ritornare nel vostro villaggio, essendo venuto meno ogni pericolo nei vostri confronti. La qual cosa avverrà, soltanto quando avrò eliminato gli Anacundios ed avrò messo con le spalle al muro il loro genitore. Non potendo io ucciderlo, per il semplice fatto che egli è una divinità, vi prometto che lo farò sparire da ogni angolo di queste parti!»

Dopo avere ascoltato ciò che Iveonte aveva espresso, la totalità degli Zeiv, mettendo a profitto il suo suggerimento, si era data a sgomberare di buona lena l’intero villaggio. Nel farlo, aveva premura di ultimare tale operazione prima dell’arrivo degli Anacundios, i quali per il momento seguitavano a restarvi assenti. Invece il giovane eroe, vedendo che i suoi avversari non si facevano ancora vivi, era stato certo che il loro ritardo era dovuto ad un abboccamento che stavano avendo con il loro divino padre. A suo parere, essi intendevano consultarsi con lui, prima di affrontarlo, essendo egli il loro avversario da eliminare. Comunque, il suo stato di allerta aveva continuato a perdurare senza interruzioni, siccome il glorioso Dorindano non intendeva essere preso alla sprovvista dai suoi avversari, i quali non aspettavano altro. In pari tempo, però, egli aveva mostrato parecchia preoccupazione verso i poveretti Zeiv, poiché non vedeva l'ora di considerarli in massa al sicuro da qualche loro assalto, prima dell’arrivo degli assassini volatili.


Adesso che ritorniamo al suo presente, scorgiamo il nostro eroe abbastanza pago del fatto che nel villaggio zeivino l’evacuazione dei suoi abitanti era stata ultimata con la massima sollecitudine. Perciò, in attesa di vedere giungere gli avversari dalle sue parti, egli mostrava un volto sereno; invece il suo animo si manifestava impaziente di scontrarsi con loro e di punirli con la massima severità. Anzi, era intenzionato a ridurli in un tale stato miserabile, da non potere più nuocere a nessuno nel modo barbaro che conosciamo. Al quale essi ricorrevano, ogni volta che decidevano di fare una strage di persone. Iveonte, quindi, se ne restava in un simile atteggiamento che escludeva in lui ogni possibile timore, allorquando nello spazio aereo comparvero la terna degli odiosi esseri semidivini. Essi, da un secolo e fino a quel giorno, avevano goduto nel maltrattare il misero popolo degli Zeiv. Alla loro apparizione, egli si convinse che era giunta l’ora di battagliare contro quei mostri vituperosi, i quali facevano venire la voglia di vomitare, solamente a guardarli. Per questo si preparò ad ingaggiare l’aspra contesa contro di loro con la massima cautela, mettendo in atto quelle strategie che erano capaci di procurargli una difesa incrollabile. Stando poi sulla difensiva, l'eroico giovane ritenne più conveniente affrontarli nello spazio siderale, dove poteva controllarli e difendersi da loro con maggiori probabilità di successo. Ma era pure consapevole che, in certe situazioni, l’attaccare per primo si rivelava la migliore difesa, poiché gli permetteva di prevenire l’avversario, prima che egli sferrasse il suo assalto brutale. Infatti, esso risultava imprevedibile e più incisivo contro qualsiasi avversario.

Bisogna chiarire, però, che ora Iveonte, grazie alle preziose lezioni che il dio Iveon gli aveva impartito sull’uso acrobatico del volo, era abbastanza all’altezza di un confronto diretto aereo condotto contro una qualunque divinità minore o maggiore che fosse. Per cui egli non avrebbe avuto alcuna difficoltà a dimostrare la propria supremazia su di essa. Se poi si considerava il fatto che nel combattimento in atto i suoi nemici erano soltanto dei semidei, anziché delle divinità vere e proprie, ci è permesso soffermarci a fare un rapido raffronto. Allora esso ci lascia bene immaginare quanto la sua tecnica di volo risultasse un sacco di volte superiore alla loro, come lo dimostrerà indubbiamente tra poco!

Quando i suoi rivali non se lo aspettavano, l’eroe dorindano prima si sollevò verso il cielo con la spada in pugno e poi si diede a sfrecciare nell’aria con una velocità sbalorditiva, fino a scomparire nell’atmosfera. La sua celerità di volo fece rimanere di stucco gli stessi Anacundios, i quali già si stavano preparando ad assaltarlo, essendo intenzionati a fare di lui pasto per gli avvoltoi. Poco dopo, però, egli ricomparve sulla volta celeste e si lanciò contro uno dei suoi tre mostruosi avversari, senza dare agli altri due il tempo di correre in soccorso del loro gemello. L’impressionante rapidità, che egli aveva dimostrato nel raggiungerlo, permise all’eroe umano di coglierlo di sorpresa e di vibrargli un poderoso colpo di spada all’addome. Invece, un attimo dopo che egli ebbe estratto la sua arma dalla ferita dell’Anacundios, si scorse il suo profondo squarcio addominale emettere del liquido verdastro; ma poi esso subito si richiuse e si rimarginò. La qual cosa lo indusse a stupirsi moltissimo.

Davanti a tale prodigio, Iveonte si rammentò di essersi già trovato di fronte ad un caso analogo, ossia quando gli era capitato di combattere contro Korup, il figlio del dio Araneo, il quale era pure un semidio. Perciò si rese conto che era inutile affrontare i figli del dio Kustoz, come se fossero degli esseri normali, ossia vulnerabili. Invece, per avere successo su di loro, non occorreva fare affidamento sulla sua prodigiosa spada. La quale, oltretutto, attualmente si ritrovava ad essere una comune arma a tutti gli effetti, per i motivi che in seguito conosceremo senza meno. Ma era utile puntare sulla prodigiosità dell’anello, il quale, se poteva sconfiggere perfino una divinità maggiore, ancor più aveva la facoltà di intervenire rovinosamente contro un semplice semidio. Così facendo, lo avrebbe messo a tacere senza problemi e in modo definitivo.

Iveonte, essendo stato distratto da tale suo ragionamento, non aveva fatto caso all’arrivo degli altri due Anacundios. Infatti, essi erano sopraggiunti come due bolidi e in quel momento si apprestavano a colpirlo con le loro micidiali armi. Allora, messo alle strette da tali avversari, l’eroico giovane, per sfuggire al loro assalto rovinoso che non gli consentiva più un’adeguata difesa, dovette ricorrere ad un subitaneo ripiegamento. Si trattò di una momentanea fuga, la quale si rivelò fulminea ed incontrollabile da loro, quando si concretizzò da parte sua con un salto incredibile dal basso verso l’alto. Esso, nella sua tempestiva esecuzione, superò perfino la velocità di una folgore, facendo restare i suoi due spavaldi assalitori con un palmo di naso e con un pugno di mosche in mano. Dopo quella sua cabrata eseguita con velocità supersonica, che non aveva permesso ai suoi avversari di inseguirlo, Iveonte ritornò a fronteggiarli. Così riprese la disputa, la quale era già scoppiata da poco tra lui e gli Anacundios. Il suo rientro in lizza deluse la prole del dio Kustoz, la quale si era illusa di averlo già messo in fuga per sempre.

Nel vederlo ritornare sui suoi passi in pieno assetto di guerra e deciso più che mai a non dargliela per vinta, all’inizio i tre semidei mostruosi si conturbarono tremendamente. Di lì a poco, avendo smesso di apparire disorientati e sconcertati, essi si proposero di farlo pentire del suo ripensamento. Secondo la loro convinzione, questa volta non gli avrebbero dato alcuna possibilità di scampare con la fuga o con qualche altro suo scaltro espediente. Invece sarebbe stato il loro avversario a conciarli bene per le feste, dopo averli incalzati ed impegnati in una sarabanda di acrobazie aeree. Durante le quali, egli li avrebbe molestati con staffilate mirate, che li avrebbero fatti soffrire fisicamente e moralmente. Infatti, una volta che venne ad accendersi il conflitto vero e proprio tra Iveonte e gli Anacundios, rispetto a prima, le cose mutarono notevolmente nel suo svolgimento ferino. Da una parte, c’erano i tre gemelli semidivini che si mostravano verso il giovane con una furia taurina, cercando a tutti i costi di infilzarlo con quelle armi pericolose, di cui erano dotati i loro corpi invulnerabili. Dall’altra, invece, si trovava il nostro imbattibile eroe, il quale si era prefisso di debellarli nella maniera più clamorosa e vergognosa per loro. Difatti era sua intenzione scornarli prima e distruggerli integralmente dopo, dimodoché in avvenire essi non avrebbero arrecato più alle loro vittime umane dei danni irreparabili.

Stando così le cose, lo scontro tra i quattro duri belligeranti si dimostrò fin dall’inizio di un'asprezza inaudita e tese ad inasprirsi maggiormente nel seguito della bellicosa competizione. Poco dopo, quindi, da un canto, i tre Anacundios, con arrembaggi fulminei rivolti alla persona del nostro eroe, si mostravano determinati a concluderlo nel più breve tempo possibile, ovviamente con la sua uccisione. Dall’altro, invece, il nostro campione mirava ad una conclusione diametralmente opposta, la quale aveva come obiettivi l’atterramento e la fine miseranda dei suoi crudeli rivali. Perciò i loro assalti nefandi lo determinarono a reagire ad essi con molta rabbia, incitandolo a scagliarsi nella lotta con più stizza e risolutezza, fino a provocarne una esacerbazione maggiore. Così, ad un certo momento, venne a crearsi tra gli irriducibili figli del dio Kustoz un enorme scombussolamento fisico e psichico. Per cui esso, in quel momento, fu in grado di metterli in grandissima difficoltà. Iveonte, da parte sua, non rinunciava ad incalzarli con pertinacia e con la massima furia, facendo affiorare dall’una e dall’altra il suo cocente sdegno. Il quale lo aizzava a contrattaccare i suoi nemici con l’esplicito obiettivo di castigarli in modo impietoso e pesante. Quel suo comportamento, oltremodo ostile nei confronti dei suoi destinatari, finiva per incrementare ancora di più la bellicosa circostanza di un furore cieco. Per cui esso riusciva a sbollire esclusivamente nel conseguire quell’unico obiettivo che prevedeva la loro rovina. Per tale ragione, l’eroe dorindano, battendosi con animosità contro i suoi tre rivali, tendeva a rovinare in modo adeguato coloro che tentavano di tenerlo in scacco e di metterlo fuori gioco, adoperandosi con tutte le forze per ottenere il contrario.

Per raggiungere un tale obiettivo, egli muoveva contro gli invisi Anacundios con una intraprendenza combattiva fenomenale, in seno alla quale non erano assenti delle azioni acrobatiche di alto livello tecnico. Per questo esse lo vedevano impegnato nella messa in atto di moti circolari tattici e strategici. I quali non di rado facevano impallidire coloro che erano costretti a subirli. Inoltre, mostrandosi incapaci di seguirli nelle loro traiettorie spericolate e sfuggenti, essi divenivano vittime degli attacchi mordenti del loro imprendibile esecutore, che se ne mostrava alquanto pago e compiaciuto. Infatti, Iveonte si era dato ad assalirli da ogni lato, estrinsecando nel fare ciò una velocità che nessuno era in grado di accompagnare con gli occhi. Ma soprattutto manifestava una pungente aggressività, con la quale essa si rivelava in grado di martellare in ogni modo possibile i suoi avversari riceventi.

Adesso, senza sosta, egli seguitava ad aggredirli con scaltrezza, faceva andare allo sbando ogni loro difesa, li azzannava con risultati demolitori, privandoli a volte di alcune parti appendicolari. Essi, però, facevano in fretta a recuperarle e a reinnestarle sul proprio corpo, per la precisione nel loro posto originario. Invece, quando qualche Anacundios andava incontro alla decollazione per opera del suo straordinario rivale, provvedeva uno dei suoi due gemelli a recuperare immediatamente la sua testa e a rimettergliela sul collo. Allora tale parte anatomica si saldava con esso, senza lasciare alcun segno di cicatrice nella parte dove era avvenuto l’incredibile innesto. Infine, dopo averli strapazzati che di più non si poteva, anche perché si era straccato a maltrattarli e ad umiliarli come gli dettava la coscienza, il nostro eroe stabilì di troncare per sempre l’esistenza degli Anacundios, naturalmente con il concorso del suo anello portentoso. Consecutivamente, perciò, egli li fece raggiungere da tre suoi raggi disintegratori. I quali, dopo averli avviluppati interamente in una gigantesca fiammata rossastra, li annientarono in un tempo assai breve, facendo sparire per sempre ogni loro traccia.

Anche il dio Kustoz aveva assistito allo scontro dei suoi figli con l’eroe venuto da lontano; ma non aveva potuto evitare agli stessi l’infelice fine alla quale erano andati incontro. Ma dopo che essa c'era stata, ne aveva provato un immenso dispiacere. Nello stesso tempo, era venuta a germinare dentro di sé una irrinunciabile brama di vendicarli duramente; per cui si propose di sopprimere il loro uccisore, causandogli una morte lenta e straziante. Prima, però, egli intendeva annunciargliela e fargliela avvertire perfino nelle ossa, in modo che chi aveva ucciso i suoi figli la vivesse tremendamente nell’intimo e ne venisse altresì terrorizzato. Perciò, una volta che gli fu apparso nel suo simulacro terrificante, il malefico dio iniziò a rampognarlo con sadismo, rivolgendosi a lui in questo modo:

«Dopo che hai eliminato la mia prole, eroe forestiero, credi di farla franca o di cavartela a buon mercato? Se questa è la tua opinione in merito, inizia a ricrederti, dal momento che sono qui per fartene pentire con amarezza! Sappi che il dio Kustoz mantiene sempre ciò che promette ed ha una sola parola, senza mai venire meno alla sua promessa!»

«Invece questa volta, torturatore di innocenti, dovrai rassegnarti e rinunciare alla tua vanagloriosa boria di potermi dettare le tue leggi, come hai fatto fino ad oggi con il popolo degli Zeiv. Prima che sia troppo tardi, ti consiglio di non incaponirti nel cercare una rivalsa nei miei confronti e di sparire per sempre dalla circolazione, lasciando in pace il popolo zeivino. Altrimenti, per te sarà la catastrofe totale, quella che non ti permetterà più di usufruire dei benefici che ti provengono dalla tua permanenza in Kosmos. Al contrario, ti destinerà ad una esistenza, nella quale non avrai più di che rallegrarti per l'eternità!»

«Da quando un lurido Materiade della specie umana, osa considerarsi superiore ad un dio maggiore e si permette anche di minacciarlo? Colui che si dà a farlo sarà senz’altro impazzito! Inoltre, egli deve considerare il suo tempo definitivamente concluso, poiché tra brevissimo tempo la sua vita non avrà più niente da spartire con il suo mondo sensibile!»

«Io non mi reputo affatto superiore ad una divinità, dio malefico; ma, grazie ai poteri che mi hanno conferito alcune potenti divinità benefiche, sono all’altezza di averla vinta anche contro tutti gli esseri divini di natura negativa. Perciò abbastanza presto vedremo chi di noi due riuscirà ad imporsi all’altro con assoluta supremazia e sarà in grado di portare a termine quanto ha dichiarato verbalmente pochi istanti fa!»

Iveonte aveva appena terminato il suo secondo intervento nel discorso che stava avendo con il suo divino antagonista, allorquando la sua controparte tentò di sorprenderlo con una scarica di forze oppressive ed imprigionanti. Purtroppo per lui, la sua improvvisa azione offensiva fece cilecca, poiché l’anello aveva arginato la sua foga, creando intorno al suo protetto una barriera resistente ad ogni energia proveniente sia da divinità minori che da quelle maggiori. La qual cosa deluse parecchio le aspettative del dio Kustoz, poiché egli si attendeva dal suo repentino attacco un risultato vincente. Adesso, trovandosi in quella situazione imbarazzante, la quale non poteva suggerirgli niente di proficuo, il dio dei vulcani attendeva la contromossa del suo rivale umano, volendo appurare se prima egli aveva detto il vero. Quando poi ebbe modo di accertarsene, il dio malefico non si trovava più di fronte a lui, siccome la sua esistenza, incapsulata in uno spazio angusto e noioso, oramai vagava attraverso l’immenso spazio di Kosmos con una velocità strabiliante. Infatti, Iveonte, reagendo alla sua mossa subdola, aveva comandato all’anello di fare della sua esistenza un relitto divino condannato a girovagare perpetuamente nello spazio cosmico. Allora la sua risposta era stata pronta ed efficace, senza deludere l’eroe umano!

Essendosi conclusa positivamente la propria lotta contro il dio malefico e contro i suoi maledetti figli, Iveonte non dimenticò di fare distruggere dal suo anello anche il disinteg con dentro i mostriciattoli Zukkut. Subito dopo, però, dando fiato al corno, si affrettò a fare rientrare nel suo villaggio il popolo zeivino. Esso, per pura precauzione, in precedenza si era rifugiato nel bosco dietro il suo stesso suggerimento. Naturalmente, non serve parlare dell’indescrivibile giubilo che si lesse sui volti degli Zeiv, non appena ebbero appreso che i loro persecutori erano stati definitivamente messi fuori gioco da lui. Per questo, da quel giorno, non ci sarebbero stati più sacrifici dei loro innocenti bambini al malvagio dio.

Adesso, nonostante il lettore riesca ad immaginarselo senza la minima difficoltà, è doveroso fargli presente un fatto assai importante. La loro riconoscenza verso il giovane eroe, al momento del suo commiato dall’intera popolazione zeivina, si dimostrò incommensurabile ed intensamente avvertita. Inoltre, essa sarebbe rimasta immutata in ognuno di loro per tutti gli anni avvenire, senza mai dimenticare l’eroe umano. Il quale era stato capace di salvarli dalla loro tremenda disperazione, che durava da un secolo nei loro cuori! Quando infine si fu congedato dal popolo zeivino, Iveonte ritornò subito al suo accampamento, dove annunciò la fine del dio Kustoz e della sua crudele prole. A quella notizia, all’istante se ne rallegrarono i suoi amici Tionteo e Speon, nonché tutti i Lutros; ma soprattutto ne gioirono i tre fratelli zeivini, i quali si affrettarono a ritornare nel loro villaggio. Dopo la loro calda accoglienza e le tante effusioni di gioia da parte delle persone citate, il nostro eroe si ritirò nella sua tenda con l'amico Terdibano, dovendo darsi alla discussione del momento. Fu Tionteo a parlargli per primo, esclamandogli:

«Lo sapevo, Iveonte, che saresti riuscito a liberare gli Zeiv dal dio Kustoz e dai mostruosi suoi figli! Sono senz’altro convinto che sei stato in grado di condurre vittoriosamente la tua battaglia contro il dio malefico e i suoi spaventosi Anacundios! Spero che tu li abbia stritolati tutti e tre a dovere, ossia come si meritavano!»

«Certo che sono riuscito, Tionteo, a fare di loro le mie vittime sconfitte e bastonate! Altrimenti, tu e tutti gli altri del campo sareste stati in serio pericolo. Adesso, come può stare tranquilla la gente zeivina, così potete esserlo pure voi, siccome ogni pericolo proveniente da quella infame famiglia è stato scongiurato, essendo stato da me debellato per sempre e non potrà mai più ripresentarsi né agli Zeiv né ad altri popoli!»

«Mi fa piacere apprendere che la tua missione ha avuto un ottimo esito, amico mio, perché adesso mi sento molto più risollevato. Se vuoi saperlo, l’invisibilità degli Anacundios mi stava mettendo del malessere addosso, siccome non mi garbava l’idea che tu potessi essere massacrato da un nemico che non si lasciava neppure guardare in faccia! Ma adesso che hai recato il tuo prezioso aiuto anche agli sventurati Zeiv, possiamo riprendere il nostro viaggio verso l'isola di Tasmina. Non è forse vero, Iveonte?»

«Ci mancherebbe che non lo facessimo, Tionteo! Perciò è tempo che ci rimettiamo in marcia senza indugio, considerato che l'Isola della Morte è oramai a due passi da noi!»