340-CHI ERA IL DIO KUSTOZ?
Giunti a questo punto, anziché buttarci a capofitto nel seguito del nostro racconto, il quale interesserà in prima persona il nostro magnifico eroe, è opportuno apprendere qualcosa di più sul conto della divinità malefica, che non smetteva di torturare lo sventurato popolo degli Zeiv. Essa, da un secolo, servendosi anche della collaborazione dei suoi figli semidivini, faceva piovere su di esso le terribili disgrazie che conosciamo. Così facendo, potremo seguire meglio le ostilità, che il nostro campione aprirà tra poco nei confronti del dio negativo e della sua ibrida prole. La quale, come siamo venuti a sapere, era costituita dai tre invisibili Anacundios. Ebbene, il dio Kustoz non era nativo di Kosmos; ma aveva avuto origine nel Regno delle Tenebre, dove era nato da Sumut, il dio della prevaricazione, e da Geliat, la dea degli scandali. Oltre a ciò, va fatto presente che egli era nipote di ottava generazione del famigerato Brust, il dio della distruzione; però di lui non si era mai sentito parlare, prima di adesso. Infatti, la sua giovane esistenza in tale regno non si era svolta in modo da farsi notare dagli altri divi suoi coetanei.
Il suo carattere si era formato in un clima burrascoso, cioè quello che nel suo ambiente familiare gli avevano offerto i suoi litigiosi genitori, con le loro risse quotidiane senza fine. Ma il dio in questione, durante la sua gioventù, non aveva mai compreso gli ininterrotti e violenti screzi che si avevano tra il padre e la madre, intossicandogli le giornate. Essi originavano quasi sempre da motivi futili e pretestuosi, per cui facevano denotare unicamente la loro natura incline alle zuffe e a nient'altro. Allora, essendo figlio unico, di fronte alle tenzoni provocate ora dall'uno ora dall'altro genitore, il divo negativo non aveva potuto distrarsi con i propri fratelli, siccome non ce li aveva, e far finta così di non accorgersene in famiglia. Spesse volte, però, mentre il padre e la madre seguitavano ad accendere i loro litigi con animosità, non riuscendo a sopportarli, egli se ne usciva di casa di soppiatto e raggiungeva qualche altro divo suo amico. Così, dandosi a parlare con lui del più e del meno, si intratteneva presso la sua dimora per tutto il tempo che gli era possibile.
In seguito, divenuto una divinità adulta, il dio Kustoz aveva assunto, nei riguardi dei rissosi genitori, un atteggiamento differente. Infatti, dopo aver bandito da sé la tolleranza, li aveva minacciati di rompere ogni rapporto di parentela con loro, se non avessero smesso di abbaruffarsi a oltranza tra di loro. Così alla fine, vedendo che essi rispondevano picche alle sue lamentele, egli, dopo avere piantato baracca e burattini, li aveva abbandonati definitivamente. Ma il dio malefico aveva continuato a vivere ancora in Tenebrun, fino a quando uno dei suoi pochi compagni non gli aveva parlato di Kosmos e della propria intenzione di trasferirsi in quel luogo meraviglioso. Si era trattato di Epouf, il dio delle disgrazie, il quale lo aveva pure invitato a trasferirsi insieme con lui nella nuova realtà creata dall'onnipotente Splendor per tutte le divinità, indipendentemente da se fossero positive oppure negative. In essa, secondo quanto si diceva, si intravedeva per ciascuna di loro la possibilità di rifarsi una nuova esistenza in grado di appagare i propri innati desideri, come non succedeva invece nel Regno delle Tenebre. Allora il dio Krouz aveva accettato l'invito dell'amico, senza farselo ripetete due volte; perciò, facendosi compagnia, essi avevano raggiunto lo spazio cosmico. Ma durante la loro traversata del Regno della Materia e del Tempo, essendo sopravvenute tra le due divinità amiche alcuni malintesi, che non si era mai riusciti a sapere quali fossero stati, le loro strade si erano divise. Perciò ognuno aveva proseguito il viaggio per conto proprio senza alcun rimpianto, da parte di entrambi, di essersi separati. Infatti, in un certo senso, dalla separazione ci avevano guadagnato sia l'uno che l'altro.
A dire il vero, si ipotizzava che la colpa della loro interrotta amicizia fosse stata unicamente del dio Kustoz, considerata la sua indole asociale, permalosa ed insofferente dei richiami altrui. Probabilmente, nel suo corredo cromosomico, che era quello ereditato in parte dal suo antenato dio Brust, fermentavano i difetti peggiori. I quali, quasi per impulso, lo contrapponevano alle altre divinità negative. Essi, considerando meglio le cose, lo facevano mostrare particolarmente ostile ed aggressivo nei confronti dei Materiadi, dedicando la sua esistenza in Kosmos a perseguitarli. Per questo, ogni volta che ne incontrava alcuni su qualche pianeta compatibile con l'essenza vitale, egli, divertendosi al massimo, si dava a farli soffrire a più non posso. Si poteva affermare che ne provasse davvero un piacere sadico, come se la sua immensa gioia scaturisse dal loro enorme patimento.
Comunque, il dio Kustoz non interveniva a disturbare la quiete di tutti gli animali, verso i quali assumeva un atteggiamento premuroso e quasi paterno, in special modo, se essi erano rettili appartenenti al sottordine degli ofidi. I serpenti, infatti, costituivano il suo principale interesse e si sentiva trasportare verso di loro da un sentimento benevolo, che era da considerarsi verace amore paterno. A tale proposito, va chiarito che la zoofila divinità aveva un debole specialmente verso i serpenti di grandi dimensioni, in pasto ai quali essa soleva dare i Materiadi che catturava. Il dio dei vulcani, infatti, si divertiva un mondo, quando scorgeva gli enormi ofidi ingoiarseli, dopo averli strozzati e fatti morire, poiché quella era la sua natura e nessuno mai gliel'avrebbe fatta cambiare.
Al termine delle sue lunghe peregrinazioni cosmiche, al dio Kustoz era capitato alla fine di atterrare sul pianeta Geo, dal quale era stato subito attratto, grazie soprattutto alle sue incomparabili bellezze naturali. Ma egli si era lasciato calamitare da esso anche per l'abbondante varietà di serpenti, che vi crescevano e vi prosperavano in certi suoi luoghi. I boa, i pitoni e gli anaconda erano stati quelli da cui si lasciava incantare di più, siccome essi lo facevano esultare di gioia, fino a diventarne il morboso protettore. Per tale motivo, il dio negativo aveva scelto come sua dimora un habitat in cui l'anaconda dominava sovrano sopra tutte le altre specie animali e vi conduceva la sua vita di cacciatore senza problemi, riuscendo ad avere ragione anche sui mammiferi di grossa taglia. I disegni e i colori della pelle di un simile rettile lo mandavano in visibilio; nonché lo facevano familiarizzare sempre di più con i giganteschi serpenti in questione, intanto che trascorreva il tempo in mezzo a loro. Egli si mostrava ad essi con la propria effigie, della quale già è stata fatta una descrizione dettagliata, quando l'ha resa visibile agli Zeiv. Essa era quella di un enorme pitone con tre teste appiattite e larghe, che si agitavano vorticosamente nell'aria circostante e mostravano una bocca profonda, che era occupata da una serie di zanne acuminate.
All'inizio, i lunghi e viscidi serpenti lo avevano accolto con scarsa simpatia in mezzo a loro, ma unicamente perché ne venivano spaventati. Invece in seguito, avendo constatato che lo strano animale non manifestava mai alcun atteggiamento aggressivo nei loro confronti, essi avevano cominciato ad accettare benevolmente i suoi contatti e a ricambiarglieli senza alcun timore, oltre che con una certa familiarità. Avvenuto così il suo iniziale approccio generico rivolto a tutti gli spropositati anaconda, il dio Kustoz aveva poi indirizzato le sue attenzioni ad una femmina della stessa specie, la quale gli si dedicava maggiormente e in forma quasi patologica. Infatti, non appena lo scorgeva, essa subito gli si attorcigliava addosso, formando delle strette spire intorno al suo corpo. Poco dopo si metteva anche a scivolare sul suo corpo ora in avanti ora in senso retrogrado, come se volesse suscitarvi delle piacevoli sensazioni. Ma esse, in un certo senso, finivano per coinvolgere anche sé stessa. Difatti l'esecuzione di tali manovre da parte della femmina di anaconda la faceva andare in fregola. Perciò, in tali istanti, essa reclamava dal suo eccitante partner il diritto a quell'accoppiamento, che dentro di sé era diventato un appetito insopprimibile ed irrinunciabile.
Durante i suoi due primi tentativi, il dio non si era lasciato travolgere dalla sua foia e dai suoi chiari intenti di avere un rapporto sessuale con lui. Invece, dal terzo tentativo in poi da parte del serpente femmina, si era avuto anche in lui una brama di quel tipo. Anzi, l'aveva talmente avvertita, che alla fine non era riuscito a contenerla. Allora si era proposto di esibirsi nei suoi confronti in un sesso sfrenato e di fare del suo meglio nel soddisfarla pienamente, fino ad arrecare alla sua compagna serpentina il massimo del godimento. Così, ad un tratto, lo si era visto avvinghiarla con la sua morsa di lussuria, possederla e scatenarsi in un arrembaggio libidinoso sul suo corpo. Difatti era stata sua intenzione appagare la propria lascivia e quella della sua partner nella maniera più soddisfacente, come se si stesse compenetrando con una dea. Avendo perso la ragione, si sentiva intimamente un anaconda, che si accoppiava con una femmina dello stesso genere. La quale, pur venendo soddisfatta come non lo era mai stata in una simile situazione, in sé non avvertiva in nessun modo la piacevolezza proveniente dall'accoppiamento, come desiderio voluto dalla propria coscienza in piena spontaneità.
Stranamente, dentro di sé l'anaconda femmina la registrava soltanto come una esigenza occulta, la quale non sapeva e non poteva spiegarsi in un modo qualsiasi. L'istinto animale, il quale dentro di sé la faceva da padrone, la metteva in una situazione di assenza totale di ogni sua partecipazione cosciente, al fine di raggiungere un dolce orgasmo predefinito e preventivato che non la deludesse. Mancava, cioè, l'esatta ragionevolezza dell'atto in sé nel proprio intimo, per cui la pratica sessuale da essa condotta corrispondeva ad un comportamento biologico istintivo avente come unico obiettivo esclusivo la procreazione. Alla fine la generazione non era venuta meno nell'infoiata anaconda femmina, dopo che il dio l'aveva sottoposta a molteplici coiti, con i quali egli era riuscito a fecondare tre delle sue uova, la cui cova era avvenuta dentro la madre medesima, alla maniera delle vipere. Esse si erano schiuse dopo tre mesi esatti di gravidanza, mettendo alla luce tre piccoli esseri mostruosi, i quali erano venuti fuori attraverso l'organo escretore materno.
Alla nascita della sua prole semidivina, il dio Kustoz, oltre ad attribuire ad essi lo stesso nome generico di Anacundios, aveva voluto distinguerli con una terna di cerchi indelebili diversamente colorati. Ne aveva tatuato uno sulla fronte di ciascuno: al figlio con il cerchio rosso era stato dato il nome di Lukut, quello con il cerchio giallo aveva ricevuto il nome di Empus e quello con il cerchio verde era stato chiamato Froet. Crescendo, essi sarebbero diventati gli orrendi mostri che abbiamo conosciuto. Perciò sarebbe inutile ripetere la descrizione delle loro caratteristiche, le quali ci sono rimaste fin troppo impresse nella mente. In merito alla loro invisibilità, occorre solo precisare una cosa, che non è stata menzionata prima. Essa era cominciata ad esserci nei loro corpi, solo al compimento del loro primo anno di vita; però, quando essi lo decidevano, potevano facilmente rendersi visibili, mediante un semplice atto volontario. Ma i piccoli Anacundios, subito dopo essere nati, erano stati portati via alla loro madre dallo stesso genitore divino. Egli aveva desiderato farli crescere in un luogo più sicuro, dove non avrebbero corso il pericolo di subire qualche rappresaglia da parte di mammiferi o di rettili di grosse dimensioni. La loro esistenza, infatti, sarebbe stata a rischio, fino a quando non avessero compiuto almeno un anno di vita. Invece, dopo tale età, non avrebbero più temuto né gli altri animali né i Materiadi. Al contrario, questi ultimi potevano divenire loro vittime preferite, se i figli lo avessero voluto, grazie alla loro semidivinità. Intanto che i tre mostriciattoli semidivini crescevano sani e forti in fondo ad un crepaccio, poiché egli si preoccupava di procacciare a tutti e tre il cibo necessario, il dio Kustoz aveva continuato a frequentare la sua compagna anacondina. Alla quale aveva dato anche il nome di Stuap. Infatti, egli non resisteva a stare lontano dalla compagna, per cui faceva la spola fra i figli e la loro madre.
Quando infine gli Anacundios avevano superato la loro età critica, per avere compiuto un anno di vita, la divinità negativa si era affrettata a trarli fuori dalla spaccatura rocciosa che li ospitava e li proteggeva da ogni pericolo. Raggiunta poi la maturità, per avere oramai più di dieci anni, essi si presentavano già invisibili agli esseri animali e ai Materiadi; però essi ne erano all'oscuro. Era stato il divino genitore a metterli al corrente sia della loro invisibilità, che potevano annullare con il solo desiderio; sia della loro facoltà di volare, pur non essendo forniti di ali. Bastava soltanto che essi agognassero di immergersi nell'aria, per vedersi sollevare da terra all'istante ed intraprendere così la loro rapida volata nell'immenso e azzurro spazio dell'atmosfera terrestre.
Dopo avere impratichiti i suoi Anacundios nell'uso dell'invisibilità e del volo, il dio Kustoz aveva deciso di condurli finalmente a fare la conoscenza della loro ignota genitrice. Invece, pervenuto alla regione dove sarebbe dovuto esserci il bosco che ospitava la compagna Stuap, intanto che la trasvolava, egli aveva scoperto che l'intera zona boschiva aveva subito un incendio devastante. Per cui le fiamme, avendone fatta tabula rasa, vi avevano fatto bruciare e morire l'intera vegetazione e l'intera fauna, senza esserci stato alcun superstite animale. Allora, mentre il dio contemplava il nuovo squallido paesaggio, il suo dolore era stato così immenso, che non era riuscito a mitigarlo in nessuna maniera. Anzi, mostrandosi con la sua immensa pena, aveva messo perfino in agitazione la sua piccola prole. Al termine della sua sofferenza, però, essendosi fatto ragione della morte della madre dei suoi Anacundios, egli si era calmato; inoltre, aveva deciso di abbandonare al più presto quel luogo, il quale di recente era stato bruciato a tappeto dal fuoco divampante. Quindi, se ne era allontanato alla svelta insieme con i suoi tre piccoli mostri, poiché essi avevano bisogno delle sue cure paterne per crescere nel modo migliore nel loro ambiente naturale, quello che egli si riprometteva di trovare a tutti e tre prima possibile.
Volando verso nuove terre, con il solo proposito di angustiare un popolo di esseri umani, il divino Kustoz faceva dei progetti, sempre in funzione del futuro impiego dei suoi tre figli. Allora aveva stabilito che essi avrebbero dovuto dargli manforte nella realizzazione dei suoi disegni contro gli uomini di Geo, poiché tali Materiadi erano gli unici esseri ospitati dal pianeta su cui era atterrato tempo addietro. Ma prima egli aveva atteso che i suoi Anacundios diventassero degli esseri adulti, prima di impegnarli nelle loro efferate stragi e maturasse negli stessi la passione per la caccia. Durante la quale, gli esseri umani sarebbero dovuti risultare le prede prescelte dei suoi figli cacciatori, senza dare mai tregua alla loro persecuzione.
Si può sapere da dove derivavano quell'astio e quella sete di eccidio che la divinità malefica mirava a concretizzare a danno degli esseri umani, in ogni momento della sua esistenza? In un certo senso, il dio dei vulcani era già abituato ad assumere un atteggiamento simile verso i Materiadi in genere. Dopo, essendosi anche convinto che erano stati gli uomini a causare l'incendio nel quale era perita la sua Stuap, quel suo modo di pensarla e di agire di conseguenza si era ulteriormente rafforzato. Così esso era divenuto una sua idea fissa, dalla quale non si sentiva più di sottrarsi. Per tale motivo, il dio Kustoz era andato studiando tutta una serie di disegni malvagi da mettere a punto nei suoi futuri provvedimenti contro gli antipatici esseri umani, non riuscendo a tollerarli e a digerirli in nessuna maniera. Egli voleva imprimere nel loro animo il marchio del terrore, della sofferenza e dello sconforto, di modo che la pace e la serenità scomparissero per sempre dalla loro esistenza, appunto per renderla meno sopportabile possibile.
Partendo da tali premesse, l'iniqua divinità negativa aveva voluto fissare la sua stabile dimora nelle vicinanze del villaggio dei Cioski, i quali costituivano un popolo dedito esclusivamente alla pastorizia e alla caccia. In quel luogo, essa aveva pensato di ammaestrare i suoi Anacundios nei loro futuri compiti, fino a quando non fossero cresciuti e diventati adulti a spese degli abitanti cioskini. Il loro addestramento era consistito nel cacciare in continuazione quei Cioski che erano intenti a catturare nel bosco gli animali selvaggi. Seguendo pedissequamente i consigli paterni, i quali tendevano a trasmettere in loro una ferocia belluina ed una tecnica particolare per provocare una morte istantanea nelle loro prede umane, gli Anacundios appresero ben presto il mestiere del carnefice. In relazione alla loro tecnica brutale e mortale, essendoci essa già nota, non serve rispiegarla nella sua cruenta dinamica. Della quale abbiamo già appreso che essa era capace di seviziare gli esseri umani nel modo più barbaro ed inconcepibile.
Al termine del loro addestramento, il quale gli aveva fatto mietere qualche migliaio di vittime umane, essi avevano appreso in modo impeccabile quella tecnica che il loro divino genitore aveva voluto che imparassero prima possibile. Per questo il dio, oltre ad andarne fiero, poiché contava su una loro effettiva collaborazione avvenire, aveva incominciato a fare dei progetti a lungo termine su di loro. Essi non prevedevano nulla di buono per gli sventurati Cioski, i quali erano stati presi di mira dalla sua perfidia in maniera tremendamente conflittuale. I poveretti, pur volendolo, non avrebbero mai potuto difendersi dalla spietata divinità negativa che li perseguitava. Gli sventurati sarebbero stati impotenti a reagire alle sue vessazioni con qualsiasi mezzo, non disponendone neppure uno che fosse atto a contrastare l'efferata attività criminale del dio e della sua prole. Allora è nostro dovere apprendere direttamente come in realtà andrà a finire la controversia tra il dio Kustoz e il popolo cioskino, la quale si sarebbe avuta a breve scadenza tra l'uno e gli altri. Infatti, siccome era trascorso il decennio di preparazione dei suoi figli nell'arte dell'assalto assassino ai danni dei disgraziati nemici umani, essi avrebbero dovuto farlo sempre con slancio impietoso e famelico contro i laboriosi abitanti di quella fertile regione di Geo. I quali preferivano unicamente essere lasciati in pace.
I Cioski, che da sempre si erano dimostrati anche alteri e bellicosi, oltre che operosi, giammai si sarebbero piegati ad un altro popolo, se esso avesse tentato di sottometterli. Piuttosto essi avrebbero decretato la propria totale fine, anziché vedersi privare della libertà e dell'autodeterminazione. Perciò chiunque avesse tentato di asservirli al proprio dominio avrebbe dovuto tener presenti due cose: 1) avrebbe trovato in loro dei fieri ed irriducibili avversari, che avrebbero fatto l'impossibile, pur di non essere sopraffatti da un reale nemico invasore; 2) essi non avrebbero esitato a fare olocausto della loro esistenza, di fronte a forze nemiche soverchianti ed invincibili. Ma in presenza di una divinità perversa e dispotica, quale si dimostrava appunto il dio Kustoz, essi come avrebbero reagito? Si sarebbero piegati con acquiescenza alle sue assurde pretese di farne degli schiavi negletti e deprivati di ogni libertà personale? Lo sapremo nel seguito del racconto.
In verità, dopo averne studiato a fondo la vera natura, difficilmente saremmo portati a credere che il loro atteggiamento sarebbe risultato totalmente remissivo nei riguardi di una divinità, la quale aveva l'intenzione di assoggettarli come bestie. Il loro orgoglio e la loro passione per la libertà mai e poi mai li avrebbero fatti sottomettere a colui che, nelle vesti di un dio malvagio, si stava preparando a calpestare la loro dignità di esseri liberi. Per tale ragione, stiamo a vedere quale sarebbe stata la loro reazione, dopo aver preso coscienza che il dio malefico aveva deciso di intervenire contro di loro in modo ostile ed avere appreso che i suoi tre mostruosi figli, a loro insaputa, avevano già seminato numerose vittime tra i loro conterranei in diverse misteriose circostanze.
Quando nel vicino bosco erano cominciate a registrarsi le prime morti violente a spese dei suoi cacciatori, il popolo cioskino non le aveva accettate con spirito di rassegnazione. Al contrario, senza perdere tempo aveva voluto comprendere chi ne era stato il responsabile, con il chiaro proposito di rendergli la pariglia. In verità, sebbene giorno dopo giorno la lista degli uccisi si andasse ingrossando, con le loro investigazioni i Cioski non erano stati in grado di ottenere alcun risultato concreto. Il nemico, che li andava decimando, infatti, si mostrava diabolicamente astuto e non si lasciava scovare in nessuna maniera. In seguito, però, grazie ad alcuni testimoni oculari, essi erano venuti a conoscenza di come avvenivano le uccisioni dei cacciatori che appartenevano alla loro tribù. La qual cosa li aveva convinti che non erano altri esseri umani a seminare tante vittime tra la loro gente, bensì si trattava dell'opera di una infame divinità. Essa, per una ragione che non riuscivano a conoscere, faceva di tutto per decimarli.
Alla luce di una consapevolezza simile, il loro capo Potrub immediatamente aveva riunito fuori del villaggio la totalità dei maschi adulti, volendo consultarsi con tutti loro e trovare una intesa comune sulla reazione da far seguire all'assurdo atteggiamento da parte dell'ignoto dio malvagio. Ovviamente, non si intendeva guerreggiare contro di lui, come se si trovassero di fronte ad un nemico concreto, non essendo possibile una cosa del genere. Ugualmente, comunque, si voleva decidere un tipo di condotta da contrapporre alla divinità loro nemica. La loro protesta si sarebbe dovuta basare invece sulla difesa a oltranza dei propri diritti di identità e di libertà, a costo di rinunciare alla loro esistenza. Perciò, come era da aspettarselo, i Cioski all'unanimità si erano espressi in tal senso, dichiarando che mai e poi mai avrebbero abdicato a tali irrinunciabili diritti. Anzi, avrebbero combattuto per essi fino allo stremo delle forze e, se ci fosse stato bisogno, fino all'estremo sacrificio. Il quale già era stato messo in conto dal popolo cioskino, come ultimo suo ripiego. Perciò, dopo esserci stata la consultazione tra quelli che erano presenti, il loro capo Potrub si era rivolto alla sconosciuta divinità che risultava loro avversaria ed aveva incominciato a gridare ad essa:
"Ingiusto dio ignoto, noi Cioski non sappiamo né chi sei né perché hai iniziato a perseguitarci; comunque, non ci ha fatto per niente piacere esserne venuti a conoscenza. Una divinità, la quale si comporta alla tua maniera contro degli esseri umani innocenti, ossia senza una ragione plausibile, non può che attendersi da noi solo contrarietà e disprezzo, opposizione ed eterno rancore. Quindi, obbrobrioso dio, sappi che siamo nati liberi e come tali ti garantiamo che moriremo. Per questo nessuno mai, fosse egli anche un dio potente come te, potrà mai piegarci ai suoi voleri, rendendoci suoi schiavi. Piuttosto preferiamo la morte allo stato di schiavitù. Tieni a mente, dio perverso, che non ti temiamo e non ci vedrai mai implorarti, al fine di farti smettere di suppliziarci. Se proprio lo vuoi sapere, la morte, che infamemente intendi arrecarci, ci eviterà di essere assoggettati da te e di subire ulteriori tuoi paranoici dispotismi! Adesso che lo sai, règolati come vuoi. Tanto noi non ti temiamo!"
Una volta che il loro capo aveva formulato le parole di sfida lanciate alla misteriosa divinità, gli uomini cioskini avevano sciolto l'assemblea ed avevano fatto ritorno alle loro case presso le preoccupate famiglie. Comunque, la restante parte della giornata era trascorsa più o meno tranquilla, poiché non c'erano state reazioni di rivalsa da parte del dio nei loro confronti. La stessa cosa si era avuta nelle tenebrose ore notturne, non essendo sopravvenuti nel loro villaggio fatti negativi, che avrebbero potuto turbare la serenità di ciascuno di loro. Invece l'alba del giorno seguente sarebbe stato meglio che non fosse mai arrivata per loro, visto che si era presentata ai Cioski sotto cattivi auspici, poiché aveva apportato ai poveracci un mare di guai. In quell'ora del giorno, la maggioranza di loro dormiva ancora, allorquando una forza misteriosa si era messa a sollevare le loro capanne. Esse erano state viste che venivano sconquassate e lanciate in aria, ricadendo infine al suolo interamente disfatte. Allora quelli che le abitavano, essendo rimasti allo scoperto e bene in vista, avevano iniziato a subire le incursioni assassine dei tre Anacundios. I quali si erano dati a fare una grandissima strage degli impotenti e miserabili Cioski, uccidendoli nel modo a noi noto. Ma siccome gli abitanti del villaggio erano novemila, l'ecatombe era continuata per tre giorni consecutivi, senza che neppure un Ciosko avesse potuto muovere un dito contro gli invisibili assalitori semidivini. I poveretti invano avevano cercato di affrontare a viso aperto il loro nemico, volendo scorgerlo in qualche parte e in qualche modo, per avere almeno l'illusione di morire combattendo. Invece gli era stato solo consentito di morire con l'arma in pugno, senza riuscire ad usarla contro nessuno. Essi, essendo stati colpiti a morte in modo repentino da una invisibile forza ignota, erano stramazzati al suolo senza vita e con il rammarico nell'animo di spegnersi miseramente, senza avere avuto l'opportunità di cimentarsi con il loro nemico. Perfino i vecchi, le donne e i bambini non erano stati risparmiati dalla crudeltà degli Anacundios. Anch'essi erano stati selvaggiamente massacrati dai tre figli del dio Kustoz. Ai quali era parso che stessero giocando con le vite prossime a spegnersi delle loro impaurite vittime, mentre le uccidevano appagati e si divertivano un mondo, come non gli era mai capitato.
Dopo l'immane ecatombe, il dio dei vulcani e i suoi figli semidivini avevano abbandonato il villaggio dei Cioski, con il proposito di cercarsi una nuova popolazione agglomerata. Quando l'avevano trovata, si erano stabiliti nelle sue vicinanze, desiderosi di dare pure ad essa filo da torcere, nel caso che non si fosse piegata ai suoi voleri. Questa volta, però, il dio negativo Kustoz aveva voluto cambiare tattica nel tormentare il nuovo popolo, avendo deciso di non massacrarlo più in massa e di farlo soffrire invece per secoli, mese dopo mese.
Adesso che siamo venuti a conoscenza di ogni cosa che ci interessava appurare sul conto del dio Kustoz, per avere già aperto una parentesi a questo proposito, occorre chiuderla e riallacciarci al successivo dialogo. Il quale ci sarà tra breve fra il nostro eroe e i suoi tre ospiti zeivini, dal momento che il racconto di Ekuob era appena terminato. Così potremo seguirlo da vicino e concentrarci sui suoi sviluppi, poiché essi ci si riveleranno di sicuro molto interessanti, conoscendo l'indole filantropica del nostro eroe dorindano.