339-LA FUGA DI EKUOB E DEI SUOI FRATELLI DAL LORO VILLAGGIO

Dopo avervi raccontato i fatti che non hanno riguardato noi personalmente, adesso è proprio il caso di farlo, siccome la nostra storia, ad un certo punto, è venuta ad intersecarsi con la vostra venuta in questi paraggi. La qual cosa, senza che ne avessimo colpa, è risultata fatale a tre dei vostri uomini, per cui ce ne dispiace moltissimo. Ma parlandovi di noi, possiamo solo riferirvi della nostra fuga dal nostro villaggio, non essendoci altro di più gloriosa memoria da raccontarvi. Perciò vi prego di continuare a porgermi la vostra attenzione, potendo anche la nostra fuga risultarvi di una certa importanza.

Era da un secolo che il dio Kustoz esercitava nel nostro villaggio il suo potere in modo vessatorio, quando io e i miei fratelli deliberammo di non sottostare più alle sue angherie e alle sue crudeltà. Esse si concretizzavano mediante i sacrifici mensili e le altre due punizioni precedentemente considerate. Queste ultime ci venivano inflitte dai suoi tre figli semidivini, gli invisibili Anacundios, i quali le eseguivano direttamente oppure ricorrendo al disinteg, a seconda dei destinatari del loro castigo. Una decisione del genere fu presa da noi tre in piena segretezza quasi un trimestre fa, dopo esserci riuniti nella nostra capanna ed avervi discusso insieme il nostro piano di fuga. L'idea di fuggire, in verità, più che avere come scopo la nostra personale salvezza, era da noi considerata un obbligo morale. Ad esso non potevamo sottrarci per una ragione molto seria, la quale è quella che tra breve vi farò presente. In quella occasione, ragionammo anche sul perché toccava proprio a noi imbarcarci in quella impresa, che faceva prevedere soltanto pericoli; ma alla fine ce ne convincemmo senza tanti preamboli. Essendo tutti e tre scapoli, senza mogli e senza figli, i quali avrebbero potuto costituire l'obiettivo di una eventuale ritorsione da parte del dio, era pacifico che spettava a noi prendere una tale iniziativa. Ma eravamo consapevoli dei rischi a cui saremmo andati incontro, dopo aver lasciato il nostro villaggio.

Ho già fatto presente un momento fa che essa si presentava alla nostra coscienza come un dovere morale verso l'intero nostro popolo; per questo dovevamo compierlo fino in fondo. Il motivo? Eravamo persuasi che, portando in porto la nostra preziosa iniziativa, avremmo riscattato dalla schiavitù del dio la nostra gente, essendoci i presupposti perché ciò si avverasse. Ma adesso passo a spiegarvi di cosa si trattava.

Tre mesi fa, il nostro conterraneo Otuios, che quel giorno compiva ottant'anni, improvvisandosi uno spirito illuminato dagli dèi, se ne andò girando per l'intero villaggio, gridando forte: "Esultiamo tutti quanti, miei concittadini, perché le divinità benefiche alla fine hanno deciso di darci il loro appoggio. Sappiate che quando ci sarà il quarto novilunio, a partire dalla data odierna, un grande eroe umano si troverà a passare non molto lontano dal nostro villaggio. Egli, essendo protetto da potenti divinità benefiche, sarà in grado di aiutarci a scrollarci di dosso l'oneroso fardello, che ci viene imposto dal dio Kustoz. Perciò basterà raggiungerlo e metterlo a conoscenza della secolare sventura che ci opprime. Una volta che avrà appreso da qualcuno di noi l'immane sofferenza che gli sventurati Zeiv stanno vivendo, egli, di sua spontanea volontà, ci verrà in soccorso, spinto com'è dal suo spirito altruistico ed insofferente del male. Quindi, assolutamente non dobbiamo lasciarci sfuggire questa provvida occasione, se vogliamo ritornare ad essere degli esseri liberi!" Lo zeivino Otuios, però, ebbe appena il tempo di trasmettere il suo messaggio al suo amato popolo, allorché si vide alzare di peso e portare sopra il disinteg per venirvi gettato dentro, come avvenne. Allora i suoi abitatori, cioè gli annientatori Zukkut, non tardarono a disintegrargli il corpo, come avevano fatto già con gli altri che lo avevano preceduto in quella sventura, facendolo sparire per sempre dalla circolazione.

Ritornando adesso alla conversazione avuta con i miei fratelli, quella che ho dovuto tralasciare per parlarvi di quanto dovevate apprendere con precedenza assoluta, fui io a cominciare a parlare per primo, avendo per argomento la nostra prospettata fuga da un villaggio allo sfascio. Così mi diedi a dire a loro due, che mi ascoltavano:

«Fratelli, personalmente non ce la faccio più a tollerare la tirannia dell'odioso dio Kustoz, il quale non si sazia mai di vittime umane. Oltre che trattarci peggio che se fossimo stati delle bestie, la sua sete sanguinaria nei nostri confronti non ha limiti. Per tale motivo, piuttosto che continuare a restare nel villaggio ed essere suo eterno schiavo, vi dico che preferisco suicidarmi! Fece bene la scaltra Dasel a comportarsi come sappiamo, pur di non dargliela vinta! Giustamente, ella ritenne l'uccisione del figlio e il proprio suicidio due gesti dal sapore liberatorio, poiché con essi la sventurata intese riscattarsi dalla tirannia del perfido dio. Anch'io, che la penso allo stesso modo suo, sono del parere che sarebbe meglio, se cadessimo esanimi con coraggio, anziché tenerci in piedi con spregevole viltà. La nostra vita, se viene trascorsa sotto il calcagno di un oppressore, non ha alcun valore per noi. Allora ci conviene risolverci e sopprimerla, se non siamo capaci di ridare ad essa il suo giusto significato. Il quale si identifica con la libertà in ogni senso, a cominciare da quella di poter pensare e decidere senza restrizioni. Inoltre, c'è pure una ragione in più che considero assai valida e nobile, poiché essa deve sollecitarci a tentare l'impresa con molto interesse. Se le parole profetiche di Otuios dovessero corrispondere al vero, avremmo pure l'opportunità di contattare questo celebre eroe ed invitarlo a venirci in aiuto! Non la pensate anche voi come me? Oppure credete che sia meglio subire la prepotenza del dio e dei suoi figli, i quali non vedono l'ora di assassinare qualche altro nostro conterraneo, oltre a quelli che già uccidono?»

Dopo l'attento ascolto delle mie parole, mio fratello Versut, che si trovava pienamente d'accordo con quanto avevo dichiarato, mi rispose:

«Certo che la pensiamo come te, Ekuob! Ma come faremo ad allontanarci dal nostro villaggio? Sai pure tu che gli Anacundios, che sono i mostruosi figli del dio Kustoz, lo sorvegliano senza sosta e straziano senza pietà i corpi di coloro che tentano la fuga da esso! Comunque, come affermi, vale la pena tentare, poiché si profila la possibilità di incontrare questo invincibile eroe. Egli, secondo il defunto Otuios, riesce a spuntarla perfino contro avversari che sono delle potenti divinità!»

Avvenuto l'intervento del secondo fratello, anche Busus si prestò a dire la sua, per palesarmi come la pensava in merito. Mostrandosi abbastanza perplesso, egli incominciò a farmi presente:

«Anch'io, Ekuob, vorrei sapere con quale sotterfugio potremo noi sfuggire alla caccia spietata degli Anacundios, dopo che ci saremo allontanati dal nostro villaggio. L'invisibilità, di cui essi sono dotati, non ci permetterà di sottrarci facilmente al loro inseguimento, per cui potremo trovarceli davanti all'improvviso, senza neppure vederli arrivare. In tal caso, ne verremo puniti inesorabilmente, ossia con la massima spietatezza. Riguardo poi al nostro profeta ottantenne, il quale è stato obbligato a passare a miglior vita contro la sua volontà, non credo ad una sola parola delle sue fantastiche esternazioni. Sono convinto che è stata di sicuro una sua ubriacatura a suggerirgliele. Possibile che un essere umano, per quanto forte e coraggioso possa essere, sia in grado di competere con una divinità, come il dio Kustoz, e con i mostruosi suoi figli, che considero invincibili, a causa delle loro note caratteristiche? Tutti e tre sappiamo che gli Anacundios, essendo invisibili, sono in grado di colpire ed uccidere il loro avversario, senza che egli possa avvistarli!»

«In relazione alla tua obiezione, Busus,» gli risposi «tengo a precisarti che una cosa del genere potrebbe verificarsi, se la nostra fuga avvenisse di giorno. Invece noi lasceremo il nostro villaggio nelle ore notturne, durante un novilunio, ossia quando gli Anacundios dimostrano di avere una vista non dissimile dalla nostra. La vicenda dell'eroina Dasel ce lo ha dimostrato senza alcun dubbio. Ci comporteremo così, anche dopo che ci siamo messi in cammino nella direzione che abbiamo deciso. Cioè, ci daremo a viaggiare solo di notte, mentre di giorno dormiremo e ci riposeremo in un luogo appartato e ben nascosto. Inoltre, anche se i figli del dio non possono essere scorti, essi dovranno addentrarsi come noi nella folta boscaglia per scovarci, dal momento che non potranno farlo dall'alto a causa della densa vegetazione. In quel caso, le loro ricerche non potranno avvenire senza provocare rumori di frasche intorno a loro. Allora essi, richiamando la nostra attenzione, ci metteranno sul chi va là e ci consentiranno di nasconderci in un posto riparato e sicuro. Quanto alle tue due opinioni che hai espresse su Otuios e sull'eroe umano, non la penso affatto come te. In primo luogo, il nostro veggente non era affatto brillo, ma sobrio, come non lo era mai stato. In secondo luogo, non hai tenuto conto del fatto che l'umano eroe ha l'appoggio delle divinità benefiche. Per cui sarà all'altezza del suo arduo compito!»

«Se questi sono i presupposti per la riuscita della nostra fuga, fratello Ekuob,» Versut aderì al mio progetto «la stimo anch'io praticabile e non può essere di parere discorde il nostro germano Busus, il quale deve convincersi della sua fattibilità. Perciò conta anche su di me, non appena avrai deliberato quando dovrà esserci la nostra partenza dal villaggio. Non aspettarti, però, che io creda al nostro incontro con il fantomatico eroe del defunto Otuios. Devi metterti in testa che egli è stato soltanto il frutto della sua immaginosa fantasia. Vi assicuro che, mentre parlava, egli non sapeva nemmeno ciò che stava affermando!»

«La stessa cosa vale pure per me, Ekuob.» mi asserì Busus «Perciò concordo appieno con te esclusivamente per quanto concerne la nostra fuga. Ma non sono disposto a credere all'esistenza di questo grande eroe, il quale avrebbe il potere di liberarci dal nostro divino oppressore e dai carnefici suoi figli. Dunque, anch'io attendo con impazienza la notte che ci permetterà di allontanarci dal nostro villaggio. Sono convinto che essa ci permetterà di intraprendere il viaggio senza ritorno verso la nostra agognata libertà!»

«Già, fratello,» gli risposi «esso sarà davvero senza ritorno, sia che verremo seviziati dagli Anacundios sia che riusciremo a cavarcela, raggiungendo un altro villaggio che ci dia ospitalità. Per noi, la possibilità di ritornarci ci verrebbe offerta solamente dall'esistenza dell'eroe, che dovrebbe essere l'eletto delle divinità benefiche, del quale ci ha parlato Otuios. In quel caso, ci sarebbe anche la sua immancabile vittoria sul dio Kustoz e sui suoi inesorabili figli, dopo averli affrontati ed uccisi tutti e quattro con le sue virtù di prode ed imbattibile guerriero!»


A due giorni dal successivo novilunio, furtivamente uscimmo dalla nostra capanna e ci dirigemmo verso quella parte di bosco che si trovava ad est del nostro villaggio. Eravamo favoriti da una notte che, con il suo buio pesto, non faceva intravedere alcuna cosa ad un palmo di distanza dal nostro naso. Portavamo con noi gli archi, le frecce e tre torce con il materiale per accenderle, avendo intenzione di servircene all'occorrenza. La loro luce ci avrebbe permesso un transito notturno più agevole e sicuro nell'intrico della vegetazione. Quando poi fummo certi che stavamo fuori della zona dove gli inflessibili figli del divino Kustoz svolgevano la loro sorveglianza, accendemmo una torcia per il motivo a cui vi ho già accennato. Infatti, la sua fiamma luminosa doveva renderci meno tetro l'ecosistema vegetale che si addensava quasi impervio davanti a noi. Così la nostra prima notte di fuga trascorse in preda ad una fatica estenuante e al timore panico di venire scoperti, da un istante all'altro, da chi ci voleva morti. Soprattutto eravamo presi da uno stizzoso nervosismo, il quale faceva del nostro animo un mare burrascoso che veniva agitato senza tregua dai marosi turbolenti, mettendolo in un subbuglio privo di bonaccia. In seguito, con la prima ora mattutina, quando le tenebre cominciarono a ritrarsi per fare spazio al nuovo giorno, che veniva favorito dal chiarore crescente, trovammo sul nostro percorso un antro. Allora decidemmo di sospendere la nostra fuga e riposare lì dentro; ma prima ne avremmo nascosto l'ingresso con rami di tiglio, essendo essi molto frondosi. Ma una volta all'interno di quella caverna, che presentava una modesta capienza, potendo accogliere anche una decina di persone, ci mettemmo a sedere. Qualche attimo dopo, però, prima di darci ad una bella dormita, mio fratello Busus volle esprimermi il suo parere su di essa:

«Ekuob, non c'è dubbio che qui possiamo immergerci nel sonno, senza temere di essere sorpresi ed uccisi dagli Anacundios. Dopo esserci svegliati, però, avremo bisogno di toglierci la fame e la sete, se non vogliamo morire di inedia oppure per mancanza d'acqua. Allora ci toccherà cacciare della selvaggina per sfamarci, oltre che cercare un ruscello nelle vicinanze per dissetarci. Dunque, temo che sarà in quella circostanza che i figli del dio Kustoz potranno rintracciarci e trucidarci, come essi sanno fare benissimo!»

«Reputando giuste le tue osservazioni, Busus, ho deciso che andremo in questo momento a procurarci la cacciagione. Nel frattempo, ci metteremo alla ricerca di un ruscello che scorra nei dintorni con le sue acque cristalline. Dopo che ci saremo procurate entrambe le cose, penseremo finalmente ad addormentarci come tre ghiri!»

«Comunque, Ekuob,» mi affermò Versut «prima di darci al sonno, ci converrà consumare un sostanzioso pasto! Devi sapere che, con la fame da lupo che mi ritrovo, riuscirei a mangiare perfino un bue! Allora sei disposto a fare come ti ho suggerito, fratello, oppure sei di diverso avviso? Ma spero proprio che asseconderai la mia proposta!»

«Al contrario, devo contraddire anche te, Versut, perché ci toccherà pranzare al nostro risveglio, il quale dovrà esserci al tramonto, più precisamente all'imbrunire. La carne, per essere mangiata, prima va cotta; ma per cuocerla, saremo obbligati ad accendere un fuoco. Allora esso, facendo propagare il fumo all'intorno, ci farebbe intercettare e scoprire dagli Anacundios, se ci stessero cercando e si trovassero nelle nostre vicinanze. Dopo quanto ti ho riferito, te ne sei reso conto, fratello?»

«Hai proprio ragione, Ekuob. Per nostra fortuna, tu pensi sempre a tutto. Lo dicevano anche i nostri defunti genitori che tu eri il cervellone della famiglia! Ebbene, prima che il giorno si presenti a spadroneggiare in ogni angolo di questa fitta boscaglia, affrettiamoci a portare a compimento i due lavori che ci attendono. Così, una volta che li avremo portati a termine, saremo liberi di metterci a dormire in santa pace, senza temere alcun pericolo!»

Aiutati dalla fortuna, cacciammo in breve tempo una grossa lepre, poiché la ferimmo ad una zampa. Invece tardammo a trovare il ruscello, che doveva rifornirci di acqua. Ma nel giro di un'ora, quando il sole aveva appena iniziato ad irraggiare il bosco con la sua luce folgorante, conducemmo a termine entrambe le incombenze che ci eravamo assunte prima. Dopo potemmo rinchiuderci nel nostro antro ed addormentarci in esso, senza essere turbati da alcuna minaccia. Quando poi giunse il nuovo tramonto, non tardammo a svegliarci. Allora nostro fratello Versut volle assumersi l'impegno di uccidere, di scuoiare e di macellare la bestia catturata all'alba; invece Busus ed io ci occupavamo dell'accensione di un piccolo fuoco. Alla fine ognuno di noi, dopo averli infilati sul proprio pugnale uno per volta, si diede a fare arrostire sulla brace i pezzi macellati, che risultavano maggiormente di propria preferenza. Consumato così il nostro pasto carneo, spegnemmo il fuoco e nascondemmo sottoterra tanto la cenere che era rimasta quanto gli ossi della lepre e le altre sue parti, che non erano servite a nutrirci. Solo dopo aver preso tali precauzioni, riprendemmo il nostro cammino nottetempo e raggiungemmo prima il limpido e gaio ruscello, che non era abbastanza lontano. In quel luogo, innanzitutto ci dissetammo e poi ci demmo a seguire il suo corso. Ogni tanto, però, restavamo immobili, volendo accertarci che non ci fossero rumori di nessun genere nelle vicinanze, poiché essi avrebbero potuto metterci sul chi va là. La loro percezione, infatti, avrebbe potuto significare la presenza dei tre Anacundios che ci inseguivano. Nel caso poi ne avessimo avvertiti, all'istante avremmo dovuto nasconderci in qualche fitto fogliame del posto, ad evitare di farci scorgere da loro. Ma anche avremmo dovuto restarci immobili e senza fiatare, almeno fino a quando i rumori da noi captati non fossero venuti meno all'ascolto dei nostri due vigili orecchi. Per fortuna in quei giorni non spirava un alito di vento dappertutto, la qual cosa ci favoriva, poiché la sua assenza nella boscaglia ci avrebbe fatto sentire facilmente i rumori provocati dagli Anacundios mentre volavano tra gli alberi.

La mezzanotte era trascorsa da poco, allorché la nostra attenzione fu attirata da un rumorio non molto lontano, il quale si avvicinava sempre di più a noi. A quel fenomeno acustico, senza perdere tempo, ci scegliemmo il posto che avrebbe potuto nasconderci meglio a qualche occhio indiscreto, che si trovava in giro da quelle parti. Quando poi esso si fu avvicinato abbastanza, rispetto alla nostra posizione, iniziammo a percepirlo come dei rami mossi e dei sibili che attraversavano l'aria molto rapidamente. La qual cosa ci convinse che si trattava proprio degli invisibili Anacundios, avendo essi, come sapevamo, la facoltà di volare. Nel loro volo, però, essi non riuscivano a fare a meno di urtare contro i numerosi rami degli alberi, per cui li scuotevano in continuazione e provocavano il rumore prodotto dalle loro frasche mosse. Allora, stando nel nostro rifugio, che era formato da arbusti arborescenti, trattenevamo perfino il respiro, pur di non fare avvertire la nostra presenza dai tre mostruosi figli del dio Kustoz. Essi, secondo noi, ci stavano dando una caccia spietata, allo scopo di infliggerci la loro straziante e mortale punizione. Non nego che tremavamo come dei bambini impauriti, mentre immaginavamo di essere divorati da grossi draghi sputafuoco, poiché in noi, in quei brutti momenti, si aveva lo stesso effetto terrificante. Ognuno si teneva abbracciato agli altri due per riceverne coraggio e fare sparire dentro di sé la trepidazione. Essa si mostrava galoppante e frastornante nel proprio animo terrorizzato, per cui riusciva a farla da padrona.

Durante quell'immane angoscia, tremavamo come foglie al vento, respiravamo lo stretto necessario, ci davamo ai pensieri più lugubri, ci consegnavamo alla disperazione più impressionante, ci aggrappavamo all'unico desiderio che si affacciava in noi. Ossia, quello di volere apprendere al più presto che i nostri inflessibili cacciatori avevano abbandonato quella zona in cui stavamo nascosti. Infatti, soltanto dopo che ciò fosse avvenuto, in noi il batticuore sarebbe cessato e avremmo ripreso a vivere la nostra tranquillità un po' di più, privi dell'ansia spasmodica di essere scoperti da un istante all'altro. Infine la battuta degli Anacundios sul luogo che ci ospitava ebbe termine e non li sentimmo più perlustrare la parte di bosco da noi percorsa. Gli stessi acuti fischi dei loro voli si allontanarono insieme con loro e svanirono nel nulla, come ingoiati dal buio della notte.

Quando ritornò ad esserci intorno a noi il cupo silenzio dell'intricata boscaglia, ci azzardammo a riprendere il nostro interrotto cammino notturno. Comunque, ci toccava procedere di continuo all'insegna della massima cautela. Per fortuna, quel luogo boschivo aveva riacquistato la sua relativa calma. Perciò esso non ci faceva temere nessun incontro spiacevole con i nostri nemici persecutori, i quali di sicuro non si erano ancora arresi e continuavano le loro serrate ricerche. Perciò non ci veniva la voglia di pascerci della speranza che alla fine l'avremmo avuta vinta noi, essendo a conoscenza che i nostri cacciatori non demordevano. Al contrario, avrebbero seguitato a cercarci per lungo tempo, fino alla nostra cattura e alla nostra uccisione, pur di non perdere la faccia di fronte al loro severo genitore. Per la verità, benché avessimo il morale sotto i calzari, lo stesso non disperavamo della nostra salvezza e confidavamo di riuscire a farcela. Prima o poi, gli Anacundios avrebbero desistito, perché essi avevano pure da sorvegliare gli altri abitanti del nostro villaggio. Allora ce ne saremmo liberati per sempre ed avremmo iniziato anche ad assaggiare il sapore della libertà tanto ambita!

La nuova alba sopraggiunse, quando la stanchezza ci faceva sentire sfiniti fino all'eccesso. Ma questa volta il fattore psicologico, avendo influito negativamente su di noi durante la nottata, contribuì a rendere le nostre membra più spossate della notte precedente. Perciò avvertivamo un maggiore bisogno di riposarci. Il nuovo angolo di bosco, però, non metteva a nostra disposizione un rifugio coi fiocchi, il quale potesse sottrarci alla vista dei tre mostri semidivini. Comunque, dopo averci procurato il pasto da consumare al calar della sera, provvedemmo noi a costruircene uno con alcuni rami. Esso, volendo dargli una valutazione, pur risultando capiente e comodo, visto dall'esterno, non faceva affatto immaginare che si trattasse di una costruzione adatta a dare ricetto. Al contrario, veniva scambiato come un qualsiasi cumulo di elementi vegetali ammucchiati alla rinfusa dal vento. Quando infine ci fummo sistemati per bene nel suo interno, allo scopo di prendervi sonno e riposarci quanto bastava, mio fratello Busus volle esprimerci la sua opinione sul nostro fuggire. Esso, come constatavamo, si stava svolgendo in un alternarsi di momenti a volte quieti, altre volte ansiosi. Così iniziò a dirci:

«Fratelli, voi avevate già messo in conto che la nostra fuga non sarebbe stata una gita di piacere? Nell'affrontarla, non l'avevo temuta, proprio come mi sta succedendo adesso. Dopo ciò che ho provato nelle recenti ore notturne, mi sono dato ad attribuire ad essa una connotazione molto più inquietante di quanto prima avevo presunto. Stanotte la presenza degli Anacundios sopra di noi mi si è manifestata, procurandomi un incubo da cardiopalmo. Il pensiero che essi avrebbero potuto scovarci da un momento all'altro mi ha scombussolato l'esistenza, come non mi era mai capitato in passato. All'improvviso, mi sono ritrovato in bilico tra il vivere e il morire. Tale mio nuovo stato psichico mi ha infuso sensazioni allucinanti, che mi facevano barcamenare tra la luce radiosa della vita e il buio terrificante della morte. Mentre avevo questa sensazione, venivo sottoposto alla tirannia sfrenata di un volteggio forsennato di macabre visioni, che si davano a reprimere senza sosta il mio intimo.»

«Ciò che hai provato tu, Busus,» gli feci presente «è stato vissuto anche da noi tuoi fratelli, in quegli attimi terribili. Il terrore della morte, devi sapere, è capace di scatenare in noi le sensazioni più inimmaginabili, tutte che ci bersagliano con le loro angosce e con le loro ansie. Inoltre, ci flagellano l'animo e ci turbinano nella mente in modo oppressivo, schiavizzando a sé l'uno e l'altra. Comunque, non possiamo prevedere quando la nostra fuga smetterà di essere tale e quando potremo considerarla un viaggio da autentici uomini liberi. Per tale motivo, fino a quando le nostre forze e la nostra sopportazione ce lo consentiranno, faremo di tutto per non abbassare la guardia e terremo testa a coloro che intendono sopprimerci. Ci atterremo pedissequamente al noto proverbio "chi la dura la vince", sperando così di uscirne davvero vittoriosi. Adesso, però, è tempo di rimetterci a dormire, cari fratelli miei, se vogliamo ritrovarci riposati all'arrivo del prossimo tramonto.»

Non tutte le ore della giornata furono da noi trascorse nel pieno sonno, dal momento che nel tardo pomeriggio già eravamo svegli di nuovo; ma evitammo di uscire subito dal nostro nascondiglio, poiché temevamo di venire avvistati dagli Anacundios. Essi, a nostro parere, continuavano ad ispezionare dall'alto il bosco sottostante per cercare di sorprenderci allo scoperto e giustiziarci. Allora, non potendo bearci del libero movimento tra la lussureggiante vegetazione, ad evitare di annoiarci, ci mettemmo a scavare nella memoria i nostri tanti ricordi del passato. Quelli di mio fratello Versut riguardarono esclusivamente i nostri genitori; Busus, invece, riandò a quelli della sua infanzia. Soltanto io volli soffermarmi su certe situazioni drammatiche inerenti ai sacrifici, le quali nel passato mi avevano particolarmente scosso, siccome esse si erano dimostrate brucianti in seno alle famiglie coinvolte. Nel villaggio si era parlato anche di una decina di Zeiv, i quali negli anni precedenti avevano tentato la fuga; però non si era mai più sentito parlare di loro. Alcuni avevano pensato che essi fossero riusciti a sfuggire ai loro inseguitori. La maggioranza di noi, al contrario, avevamo temuto che i fuggitivi zeivini non fossero stati in grado di farla franca e che quindi fossero stati trucidati dagli Anacundios, come erano abituati a fare con tutti i renitenti. Così, di ricordo in ricordo, il tempo trascorse inavvertito e con velocità incredibile, consegnandoci più speditamente il tramonto. Il quale non lesinava nel fare sfoggio dei suoi spettacoli inimitabili.

Venuti fuori dal nostro rifugio, ci mettemmo a preparare il pranzo della giornata, il quale doveva metterci in sesto per farci affrontare nel modo migliore le successive fatiche notturne. Quando ci fummo ristorati, distruggemmo ogni traccia della nostra presenza in quel luogo e ci demmo ancora al nostro cammino. Ad ogni modo, tutte le volte che ci veniva consentito, continuavamo a costeggiare il tragitto del piccolo corso d'acqua, il quale scorreva verso levante. Sovente, però, eravamo costretti ad allontanarcene per l'impervietà del bosco, poiché esso non sempre permetteva di seguirlo lungo una delle sue sponde. Ma poi ci capitava di incontrarlo di nuovo sul nostro lato sinistro, dopo aver percorso qualche miglio o poco meno attraverso il bosco. Allora riprendevamo a seguirne la riva, senza allontanarcene troppo.

Questa notte, non erano ancora trascorse le prime due ore dopo la mezzanotte, allorché ci si sono ripresentati gli stessi fenomeni acustici, che ci avevano allarmati durante le notti precedenti, mettendoci a soqquadro l'animo e la mente. Allora all'istante abbiamo cercato di non farci scorgere dagli Anacundios che li provocavano; ma non ci siamo riusciti appieno. Per cui i nostri cacciatori hanno appurato qualcosa che li ha condotti a sospettare la nostra presenza in questa zona, mettendoli così sull'avviso. Per nostra buona sorte, essi, non avendoci avvistati direttamente, facevano basare i loro sospetti su alcuni indizi non del tutto convincenti. Ciò nonostante, gli abominevoli figli del dio Kustoz non hanno allentato la loro vigilanza. Invece si sono messi a battere questi paraggi con una meticolosità ed una pervicacia pressanti ed inarrendevoli, per cui non ci davano né pace né tregua in modo persistente. Così, a causa della loro insistenza a cercarci in questa zona, la qual cosa ci teneva sotto pressione, gli Anacundios ci hanno costretti ad un avanzamento difficoltoso e soggiogato da una continua trepidazione. Infatti, noi temevamo che essi potessero avvistarci da un istante all'altro e sottoporci alle loro spietate sevizie, con grande loro soddisfazione.

Dunque, si procedeva a rilento, con passo cauto e timoroso, stando anche attenti di continuo a non esporci alla vista di quelli che ci davano la caccia. Inoltre, ad ogni più piccolo rumore strano, ci celavamo dietro qualche cespuglio in grado di coprirci; però ugualmente non rinunciavamo a proseguire instancabili e risoluti nella nostra fuga senza sosta. Essa, a quell'ora della notte, ci obbligava a fare acrobazie di ogni genere, pur di sfuggire alle ricerche degli Anacundios e di sopravvivere. Le cose per noi proseguivano come detto poc'anzi, quando siamo giunti nei pressi del vostro accampamento, il quale si presentava silenzioso ed immerso nel sonno, intanto che alcuni fuochi lo tenevano bene illuminato. Allora non abbiamo avuto il coraggio di entrarvi e di chiedervi ricetto, temendo di mettere a repentaglio anche le vostre vite. Così, standocene nascosti nel nostro covo a pochi passi dal vostro attendamento, eravamo ansiosi di sapere come i tre invisibili mostri volanti si sarebbero comportati nei vostri confronti. Mentre poi eravamo in attesa dei futuri eventi, palesando una certa ansia, si è verificato sotto i nostri occhi ciò che conoscete pure voi. Ad un certo punto, abbiamo scorto due vostri uomini uscire dai loro capanni costruiti con frasche e dirigersi verso i fuochi morenti. Ma appena hanno fatto pochi passi, si sono visti i loro corpi tranciati mortalmente ed abbattersi al suolo in una gran pozza di sangue. Dei due assaliti, uno solo è riuscito ad emettere un piccolo lamento, richiamando l'attenzione di un terzo uomo, che si trovava all'interno di un altro capanno. Allora anch'egli, come i due compagni, non ha avuto fortuna ed è rimasto falciato dalla furia degli Anacundios. Si vede che essi, avendoli scambiati per noi tre, non hanno esitato a fare dei poveretti i destinatari della loro vendetta, ammazzandoli brutalmente e lasciando subito dopo il luogo. Per vostra fortuna, i tre mostri si sono astenuti dal prendere dei provvedimenti distruttivi pure contro il vostro accampamento e dal farvi altrettanto male quanto ne avevano fatto a noi, essendosi essi convinti che la loro missione punitiva si era esaurita con la nostra morte. Mi auguro proprio che sia andata in questo modo e che essi non si rifacciano più vivi da queste parti, per il bene vostro, nostro e di tutti gli uomini che risiedono in questo campo!

Con tale mio augurio, ha termine il racconto della storia del mio popolo e delle sue tribolazioni. Le quali continueranno ad esserci per esso, fino a quando qualcuno non ci riscatterà dall'oppressione malvagia del dio Kustoz e dei suoi tre figli tremendi, che nessun umano potrà mai sconfiggere. Considerato poi che non c'è alcuna divinità benefica a volere prendersi a cuore la nostra causa e a degnarsi di venirci in soccorso con generosità, il destino del nostro popolo seguiterà a restare drammatico in modo insostenibile. Perciò il suo dramma resterà immutato fino alla fine dei suoi giorni, visto che essi potranno essere solcati esclusivamente dalle lacrime dolorose di tante madri afflitte e disperate!