338-IL DRAMMATICO EPISODIO DELLA ZEIVINA DASEL
Una ventina di anni fa divenne capo del nostro villaggio Seruk. Egli succedette al padre Gepon, il quale, a sua volta, aveva ereditato lo scettro del comando dal genitore Murger, di cui già avete sentito parlare. Ebbene, la nostra nuova guida carismatica non poté fare altro che ereditare dal suo predecessore il pesante fardello, il quale era costituito dal sacrificio dei tre piccoli zeivini al tiranno dio dei vulcani. Egli non cercò di cambiare il criterio di scelta delle vittime, non ritenendolo opportuno; per cui lasciò in vigore quello già esistente nel nostro villaggio. Erano trascorsi tre anni, da quando Seruk era diventato nostro capo ed io ero appena un adolescente quindicenne, allorché egli ricevette la visita della vedova Dasel. La donna, una volta che si fu trovata in sua presenza, mostrandosi sconvolta come non lo era mai stata, cominciò a dirgli:
«Capo Seruk, sono qui da te con l'intento di chiederti un grande favore e vorrei che tu non me lo negassi nel modo più assoluto. Altrimenti, per me la vita diverrà un vero inferno!»
«Vedova del mio povero cugino, che è deceduto da poco tempo, puoi essere certa che sarai accontentata da me. A patto, però, che sia nelle mie possibilità esaudire il tuo desiderio! Il defunto Vitek era anche un mio grande amico, per cui giammai mi permetterei di rifiutare una richiesta legittima da parte della sua sfortunata consorte! Quindi, inizia ad espormi il tuo problema. Così vedrò cosa posso fare per te.»
«Grazie, capo Seruk, che sei un mio parente acquisito, per la tua disponibilità ad ascoltarmi! Spero che tra breve mi permetterai anche di ringraziarti, per avermi concesso il favore che sto per chiederti! Adesso ti metto subito al corrente di ogni cosa, perché tu possa darmi la risposta in merito con sollecitudine. Si tratta del mio piccolo Belus, il quale ieri l'altro ha compiuto due anni ed è l'unico figlio avuto dal mio amato Vitek. Egli mi morì due anni e mezzo fa, a causa dell'incidente che conosci. Perciò, risultando adesso una vedova con un solo figlio, vorrei che tu facessi escludere il mio unigenito dal sorteggio previsto tra alcuni giorni, allo scopo di scegliere i tre bambini da immolarsi al dio Kustoz. In questo modo, non correrò il rischio di restare senza neppure un familiare, a cui badare e dedicare le mie amorevoli cure. In cambio, grazie a te, ne riceverò la consolazione di continuare a rivolgere i miei gravosi pensieri solamente al mio marito estinto, anziché pure a mio figlio sacrificato.»
«Mi dispiace per te, Dasel; ma tu mi hai fatto una richiesta, che non posso accogliere in nessun modo, poiché non mi è concesso di escludere alcun bambino dal sorteggio: neppure se ci fosse capitato mio figlio tra i bimbi che sono tenuti a sottoporsi ad esso! A ribellarsi legittimamente, sarebbero gli stessi genitori dei fanciulli che si trovano nell'età del sacrificio, siccome il criterio da noi adottato in nessun caso contempla qualche deroga a favore di qualcuno. Per questo motivo, dovrai rinunciare al tuo desiderio, anche se proviene da una madre, la quale giustamente vede minacciata la propria situazione familiare dal triste evento del sacrificio. Inoltre, non puoi essere affatto certa che, tra i centoventi bambini che questa volta sono obbligati a partecipare all'infame sorteggio, sarà anche il tuo Belus a pescare dall'urna uno dei tre ceci rossi. Perciò puoi soltanto sperare che quello prossimo risulti favorevole al tuo bambino! Comprendi adesso perché non posso darti il mio aiuto?»
«Quanto affermi è vero, capo Seruk. Nonostante ciò, temo che qualcosa del genere possa accadere nel sorteggio venturo. Per questo ti invito a rivedere il criterio di scelta insieme con le cinque persone più sagge del villaggio, al fine di modificarlo a vantaggio di quelle madri che si trovano nella mia stessa disperata situazione. Ciò lo puoi fare per me, se davvero volevi bene a tuo cugino Vitek, il quale oggi si trova ad essere il mio defunto marito ed io la sua inconsolabile vedova!»
«In tale tuo giusto suggerimento, Dasel, siccome lo trovo legittimo, posso accontentarti senza meno. Dunque, ti prometto che mi adopererò in tal senso. Anzi, domani stesso convocherò le autorevoli persone da te menzionate e gli proporrò di modificare il criterio di scelta, in modo che esso preveda la sola eccezione di quei figli unigeniti che, nel medesimo tempo, risultano pure orfani di un genitore. Ti sei rasserenata, dopo la mia promessa?»
«Ti ringrazio, capo Seruk, per aver accolto quanto ti ho suggerito, prettamente a scopo umanitario! A questo punto, possiamo solo augurarci che siano consenzienti anche i nostri saggi alla mia proposta che farai loro. Altrimenti, fino a quando non ci sarà lo scellerato sorteggio delle vittime sacrificali, la mia vita continuerà ad essere una geenna!»
Nell'ambito del consiglio dei saggi, il capo degli Zeiv non trovò difficoltà a fare accettare nel criterio di scelta delle vittime del sacrificio l'eccezionale caso sollevato dalla vedova del cugino. Il quale, così, dopo prevedeva l'esclusione dal sorteggio di quei bambini con entrambe le caratteristiche considerate da lei: l'unicità del bambino nell'ambito familiare e la vedovanza del coniuge vivente. Infatti, pure i cinque saggi del villaggio ammisero che la proposta della loro conterranea Dasel era più che legittima, oltre che ragionevole. Tale modifica apportata al vecchio criterio, però, non poteva entrare in vigore ipso facto, ossia prima che il popolo zeivino ne fosse venuto a conoscenza. Per cui il sorteggio, che era ormai alle porte, si sarebbe svolto identicamente a quelli precedenti e sarebbe stato proprio in tale occasione che gli Zeiv sarebbero stati informati della novità introdotta da poco nel criterio di scelta. Essa, quindi, avrebbe avuto forza di legge soltanto a partire dal sorteggio successivo a quello in arrivo.
Quando il capo del villaggio incontrò di nuovo la vedova del cugino Vitek, abbastanza soddisfatto si affrettò a metterla al corrente che la riunione avuta con i cinque saggi del villaggio si era svolta positivamente, avendo essi accettato la proposta che era partita da lei. Unico neo di quell'approvazione, da parte loro, era rappresentato dal fatto che la modifica apportata al criterio di scelta avrebbe avuto effetto legale non dal sacrificio che era prossimo ad arrivare, ma da quello ad esso successivo. Per questo suo figlio Belus non si sarebbe potuto sottrarre al sorteggio già in allestimento; ma sarebbe stato per lui il primo e l'ultimo. La donna, però, pur apprendendo con un certo sollievo il risultato positivo della riunione, per essere stata accolta la sua proposta, ugualmente si lasciò prendere da un'ombra di mestizia, la quale le arrecò una certa dose di sconcerto. Infatti, fino a quando il figlio non fosse uscito indenne da quell'unico sorteggio a cui era obbligato a partecipare per la legge vigente, ella avrebbe continuato a temerlo come un potenziale pericolo per lui. Ciò, sebbene si presentassero scarse le probabilità che potesse risultargli fatale proprio quello che stava arrivando! Allora dovette intervenire il capo Seruk a darle un po' di conforto, riuscendo infine a tranquillizzarla in parte, prima che ella si congedasse da lui. Egli si fece anche promettere che in lei non sarebbe mancata la speranza che per il suo figlioletto le cose sarebbero andate secondo i propri desideri, siccome lo attendeva un roseo futuro.
Al contrario, non appena la donna ebbe posto piede nella sua capanna, la sua promessa fatta all'autorevole cugino del defunto marito rimase lettera morta. Nel suo interno, ella preferì tenersi il figlio tra le braccia e farsi assalire da una valanga di tristi pensieri, i quali venivano intercalati da vari ricordi dell'estinto consorte. In quella mesta circostanza, i baci e le carezze, che Dasel elargiva teneramente al suo bambino, si erano susseguiti senza sosta e con una morbosità patologica, dimenticandosi perfino che il piccolo doveva pranzare a mezzogiorno, come era avvenuto negli altri giorni. Soltanto a metà pomeriggio, essendosi trovata ad avere a che fare con un figlio alquanto irrequieto ed affamato, che si mostrava anche infastidito dalle sue morbose moine, la donna si rese conto di averlo trascurato a tal punto, da lasciarlo anche del tutto digiuno. Perciò, presa coscienza del suo atteggiamento poco lodevole verso il figlio Belus, ella si affrettò a porvi riparo, dedicandosi a lui come una madre normale, facendolo anche mangiare a sufficienza.
Nel frattempo, essendo i giorni trascorsi veloci, si presentò anche quello del maledetto sorteggio. Allora, come tutti i genitori che avevano l'obbligo di farlo, all'ora stabilita l'accasciata Dasel accompagnò il proprio figlioletto al centro del villaggio, allo scopo di farlo partecipare alla ignominiosa pesca. La quale non faceva vincere ai bambini partecipanti regali di ogni tipo; invece il suo compito era quello di decretare la vita o la morte di quanti vi prendevano parte. Riguardo alla loro fila, la quale si scorgeva davanti all'urna posta sopra un ceppo alto cinquanta centimetri, l'ordine dei piccoli che la componevano era quello ottenuto, seguendo una rigorosa prassi prevista dal regolamento. I cui dettagli vengono riportati di seguito con la massima chiarezza.
All'inizio, tutti i bambini venivano radunati in mezzo ad un grande cerchio, sulla cui circonferenza erano state sistemate un uguale numero di zucche. Dopo li si invitavano a raggiungere rapidamente una zucca e a prendere posto dietro di essa, restandovi in piedi e rivolti verso il centro, dove si trovava l'urna con dentro i ceci. A quel punto, una lepre, dopo essere stata portata in mezzo al cerchio e liberata subito dopo, con vari frastuoni veniva costretta a scappare e ad allontanarsi dall'area circolare, passando obbligatoriamente tra due bambini attigui. Allora quello di destra diventava il primo della fila, mentre quello di sinistra ne diveniva l'ultimo. A quel punto, i bambini, che già formavano una lunga fila, a cominciare dal primo, iniziavano a muoversi in direzione dell'urna. Ebbene, nella fila ottenuta con il criterio che abbiamo appena appreso, il piccolo Belus si era ritrovato ad occupare l'ottantesimo posto. Il quale era da considerarsi ottimo, dal momento che i ceci tinti di rosso potevano essere pescati con molta facilità da quelli che lo precedevano, ossia prima che si arrivasse al numero che era del figlio di Dasel. Ma era poi giusta una simile teoria?
A detta di qualcuno con il pallino della matematica, quanto più la posizione di un bambino veniva a trovarsi negli ultimi posti, tanto più aumentavano per lui le probabilità di non essere pescato dal sorteggio. Ma c'era anche chi, ragionando all'inverso, asseriva esattamente il contrario. Egli faceva anche presente che il primo ad estrarre il cece dall'urna aveva centodiciannove probabilità su centoventi di riuscire a non pescare uno dei tre ceci colorati. Come ci rendiamo conto, né l'uno né l'altro avevano preso in considerazione il fattore fortuna, ignari che esso spesse volte giocava un ruolo determinante nelle umane sorti, fossero esse belle oppure brutte. Invece contro ogni previsione probabilistica, in tale scelta eseguita con il vecchio criterio, la quale sarebbe stata l'ultima per Belus, il sorteggio diede esito negativo nelle prime settantanove estrazioni; mentre fu proprio l'ottantesima a far pescare il primo cece rosso. Esso, per ironia della sorte, fu estratto dall'urna proprio da lui. La qual cosa scombussolò l'animo della poveretta a tal punto, da farla svenire di colpo. Infatti, in quel momento venne a registrarsi in lei una sofferenza talmente immane, che la bersagliò e la catapultò in una terribile disperazione, fino a farle perdere la ragione e i sensi. Quando poi ebbe ripreso conoscenza, la donna non era più la stessa; tutti notavano che in lei qualcosa era cambiato. A volte sragionava, altre volte sembrava estraniarsi dalla realtà, altre ancora diventava furiosa ed aggressiva. Insomma, ella non era più la mite, pacata e comprensiva vedova di prima. Adesso, intanto che manifestava un viso aggrondato con degli occhi terribilmente stravolti, in lei dominavano la sconnessione, la concitazione ed un turbamento psichico molto grave. Alla fine, in un breve momento di riassetto mentale, Dasel si impossessò del suo figliolo con un movimento brusco e volò via, gridando forte: "No, non è giusto! Il mio Belus avrà il destino che io avrò deciso per lui! Nessuno mai potrà assegnargliene uno differente: neppure il prepotente dio Kustoz! Ve lo garantisco, miei conterranei, che mi state ascoltando!"
Naturalmente, nel frattempo che ella scompariva alla vista di tutti quanti gli altri, la gente presente non seppe dare un significato a quelle sue parole astiose. Anzi, le attribuì ad una donna, la quale era inconsapevole di ciò che diceva, distrutta com'era dal dolore, a causa della cattiva sorte toccata al suo bambino. Di una cosa, però, gli Zeiv erano certi: se non fosse stata lei a consegnare il proprio unigenito al capo Seruk, allo scopo di farglielo sacrificare al divino Kustoz insieme con gli altri due bambini sorteggiati, sarebbero stati i tre figli semidivini del dio a strapparlo alla donna con la forza. Dopo l'avrebbero anche punita, gettandola nel disinteg e dandola in pasto ai disintegratori Zukkut. Un fatto analogo era già avvenuto un tempo non molto remoto con la nostra conterranea Besen. In passato, infatti, la donna madre, al termine del sorteggio che aveva visto anche il figlio condannato al sacrificio, aveva tentato di abbandonare il villaggio in pieno giorno con il proprio bambino. Ma ella non si era allontanata neppure di mezzo miglio dal villaggio, allorquando si era vista sollevare da terra e condurre rapidamente sul disinteg. In quel luogo, la donna era stata fatta precipitare nell'infernale contenitore. Il piccolo, invece, era stato adagiato a terra in prossimità di esso, affinché se ne prendesse cura il padre fino al sacrificio.
Le tante persone, che avevano assistito alla riluttante scena, si erano convinte che i bambini da sacrificarsi, per essere stati sorteggiati, erano tenuti in continuazione sotto la stretta sorveglianza dei tre Anacundios. Tenendo ciascuno sotto il proprio controllo uno dei bambini che erano da sacrificarsi al divino genitore, essi vigilavano affinché nessun suo familiare tentasse di sottrarlo al sacrificio. Anche Dasel era a conoscenza di quel brutto episodio riguardante la sua conterranea Besen. Per questo era certa che uno dei figli del dio, poiché la sorvegliava di giorno e di notte, non le avrebbe permesso di compiere qualche gesto inconsulto, nel caso che ella avesse voluto agire contro la sua piccola creaturina, pur di sottrarla all'immolazione. Ma nonostante ne fosse al corrente, la giovane vedova tentò di gabbare il semidivino guardiano di suo figlio, al fine di realizzare l'inimmaginabile disegno da lei escogitato.
Prima di seguire i successivi movimenti della donna, è opportuno che noi ci addentriamo nella sua mente, la quale era divenuta ormai malata, e scorgervi la brutale verità. Essa ci rivelerà il sentiero folle che ella stava per intraprendere, poiché esso avrebbe condotto lei e il figlio ad una insana catastrofe. Forse, dopo averla appresa, la troveremo ancora più pazzesca e disumana, che se avesse permesso al proprio figliolo di affrontare il suo sacrificio alla malefica divinità. Infatti, anziché farlo strozzare e divorare dall'enorme serpente, prima di essere bruciato sul rogo, Dasel progettò che sarebbe stata lei a portare a termine quelle due azioni, facendosi poi bruciare sopra una catasta di legna con il figlio. Ma per riuscire ad ottenere entrambe le cose, prima di farsi divorare dalle fiamme, occorreva che ella giocasse la sua partita d'astuzia ed ingannasse così il loro sorvegliante. Al riguardo, va fatto presente che la capanna della sventurata vedova si trovava alla periferia del villaggio, ad una distanza di un miglio dalle altre. Secondo lei, il posto dove era situata la sua dimora, essendo un po' isolato dalle altre capanne, le avrebbe permesso di attuare senza difficoltà il suo piano, quantunque uno degli Anacundios non smettesse mai di spiare ogni sua azione. Per sua fortuna, al mostruoso figlio del dio Kustoz non era consentito di ispezionare l'interno della capanna, siccome la sua mole assai spropositata gli impediva di accedervi. Per questo, per visionare la sua parte interna, il mostruoso volatore avrebbe dovuto demolirla in toto oppure abbatterne una parte. Per essere costretto ad agire in quel modo, però, esso doveva nutrire dei forti sospetti che l'incolumità del piccolo Belus stesse correndo un serio pericolo nella capanna della madre.
Per portare avanti il proprio progetto, come sua mossa iniziale, il giorno precedente quello del sacrificio, Dasel si condusse dallo zio Pelsun, il quale svolgeva l'attività di pastore. Da lui acquistò un agnello, il quale aveva il medesimo peso del figlio. Avvenuto l'acquisto della bestiola, la donna se ne ritornò alla sua dimora. Comunque, aveva atteso l'arrivo del tramonto, prima di mettersi all'opera. Solo a quell'ora del giorno, ella venne fuori dalla propria abitazione insieme con il figlio; poi, dopo aver ucciso il villoso ovino, si mise a scuoiarlo e a macellarlo all'aperto. Intanto che eseguiva tali azioni, volendo nascondere le sue vere intenzioni all'invisibile ospite indesiderato ed imbrogliarlo, non si asteneva dal gridare forte: "Oggi sono in festa, poiché domani mio figlio sarà immolato al dio Kustoz. Voglio banchettare in onore del mio Belus, perché è stato prescelto dal destino per appagare i desideri della nostra divinità. Gloria al nostro dio dei vulcani, che è da tutti noi benamato!"
Una volta che ebbe macellato la bestiola, Dasel depose le sue varie parti sanguinolente sopra un vassoio di terracotta. Poco dopo, reggendolo tra le mani, rientrò nella capanna, facendosi seguire dal figlioletto. Anche mentre si dirigeva verso la sua costruzione di frasche, ella, rivolgendosi ancora alla sua piccola creatura, non faceva altro che gridare a gran voce: "Adesso, Belus, ti porto in casa a farti prendere il dolce sonno. Quando ti sarai addormentato, uscirò di nuovo e cuocerò allo spiedo le tenere carni di questo agnello. Ma secondo me, è meglio non lasciarle qui fuori, se voglio evitare che esse diventino preda dei famelici carnivori notturni. Vedrai che ne mangerò a crepapelle in tuo onore, mio piccolo fortunato! Spero di non scoppiare, a causa della mia scorpacciata!"
Invece, una volta fatto il suo ingresso nella capanna, le cose non andarono come la giovane vedova aveva fatto intendere al vigile Anacundios. Nel giro di un paio di minuti, ella, stringendogli il naso con una mano e tappandogli la bocca con l'altra, soffocò suo figlio e lo fece cadere riverso al suolo senza vita. Un attimo più tardi, Dasel prima decapitò il corpo del piccolo e poi gli asportò i piedi e le mani, dissezionando le sue restanti parti. Alla fine, celata la loro chiara pelle con un imbratto di sangue aggrumato, sostituì con esse quelle dell'agnello che già stavano sul vassoio. Anche durante tali manovre, la sua voce si era fatta sentire forte all'esterno della capanna, mentre diceva: "Dormi sereno, mio diletto Belus, perché domani per te sarà un grande giorno! Esso ti farà diventare la vittima sacrificale del nostro eccelso dio Kustoz! Io ti precederò nel tuo fortunato destino, siccome vorrò esserci anch'io a farti compagnia, dopo che ti sarai svegliato nel gelido oltretomba!"
All'imbrunire, la donna uscì dalla sua capanna, reggendo il vassoio colmo di carni. A quell'ora del giorno, la penombra non faceva scorgere bene le cose a tutti gli esseri viventi, senza fare eccezione per i tre Anacundios. Essi, infatti, avendo ereditato la medesima vista materna, potevano vedere bene unicamente durante le ore di luce; mentre di notte non vedevano meglio degli esseri umani. Così, favorita dal buio invasivo e da una luna piena che tardava a presentarsi nel cielo, la donna accese il fuoco sotto lo schidione, dopo avervi infilato le varie parti macellate contenute nel vassoio. Le quali adesso appartenevano al corpo del suo bambino e non a quello dell'agnello, come pensava l'Anacundios. Quando poi le ritenne rosolate a sufficienza, ella le sfilò dal lungo spiedo e le ripose sopra il contenitore di creta. Dal quale poi Dasel iniziò a prenderle una alla volta, addentandole e mangiandosele di gusto, come se ella fosse stata una cannibale da sempre. Naturalmente, il suo guardiano semidio non si rendeva conto che la donna lo stava raggirando. Egli era convinto che il sostanzioso pasto di colei che continuava a spiare era costituito dall'agnello che aveva macellato da poco.
Rimaste poi nel vassoio le sole ossa spolpate, Dasel le ricoprì con molta erba. Tale azione non sfuggì al mostro invisibile, siccome la luna era apparsa da poco nel cielo tutta risplendente, rischiarando ogni cosa sotto di essa. Soltanto allora la donna, reggendo il tegame di argilla con le mani, rientrò nella sua capanna, nella quale, senza perdere tempo, iniziò a sfracellare con un'accetta la testa, i piedi e le mani del figlioletto. Alla fine nascose i singoli pezzi sotto l'erba del vassoio, mischiandoli con le ossa che erano state già scarnificate dai suoi numerosi morsi ed erano già presenti sotto i lunghi fili erbacei. Una volta portate a compimento anche le nuove azioni in modo sbrigativo, la vedova di Vitek venne fuori dalla sua abitazione, cercando di farsi notare dall'Anacundios. Dopo andò a posare il vassoio sopra la pira, quella che ella già aveva preparata in mattinata. Ma poi rientrò rapidamente nella propria dimora e ne uscì un attimo più tardi con entrambe le mani occupate, poiché l'una reggeva una torcia spenta e l'altra un pugnale.
Adesso, però, la sua meta fu la legna, la quale oramai bruciava sotto lo spiedo, dove si preoccupò di accendere la torcia. Ad accensione avvenuta, Dasel si diresse nuovamente verso la catasta di legna, raggiungendola poco dopo. Mentre vi si recava, ella aveva fatto riudire la sua voce, la quale gridava così: "Non voglio, caro figlio mio, farti assistere a quanto sto per attuare, poiché ne soffriresti moltissimo. Perciò è meglio che tu te la dorma nella nostra capanna, nel frattempo che verrò divorata dalle fiamme. Precedendoti nel tuo beato sacrificio, dopo che sarai morto, potrò accoglierti tra le mie braccia, piccolo amore mio!"
Dopo che si fu avvicinata al cumulo di rami secchi, la donna prima appiccò il fuoco ai quattro lati di esso e dopo vi salì sopra, dove si pose lunga distesa. Quando infine le fiamme la ebbero circondata, per cui non la facevano più scorgere da nessuno, ella si diede ad urlare con la sua voce piena di rabbia: "Sopra questo rogo, io e mio figlio poniamo termine per sempre alla nostra esistenza. Così il dio Kustoz non avrà la soddisfazione che gli venga immolato il mio Belus. Che egli sia maledetto in eterno, insieme con i tre mostruosi esseri da lui generati! Che soffrano tutti e tre le pene del maledetto tartaro!"
Qualche attimo dopo, quando le lingue di fuoco l'avevano già attaccata da ogni parte ed erano prossime a liquefare e a cremare il proprio corpo, Dasel inferì un forte colpo di pugnale contro il proprio petto in direzione del cuore, venendone uccisa all'istante. Se ella si era tolta la vita con le sue mani, era stata invece il fuoco a rendere cenere il suo corpo e i resti mortali del figlioletto contenuti in lei, sottraendosi in quel modo all'indubbia vendetta del malefico dio.
Le ultime parole pronunciate dalla donna sul punto di suicidarsi fecero ipotizzare all'Anacundios che anche il figlio stesse per perire insieme con lei. L'ipotesi fu avvalorata dalla maledizione da lei scagliata contro il divino genitore. Allora il semidivino sorvegliante, dopo essersi lanciato sulla capanna, la devastò interamente, buttando all'aria i suoi elementi strutturali, allo scopo di rinvenirvi il bambino. Ma non avendovi trovato alcuna sua traccia, egli rimase oltremodo deluso. Al suo posto, infatti, c'era l'intero agnello da lei macellato fuori la capanna, il quale non era stato né cotto né divorato da colei che era riuscita a giocarlo con un'astuzia singolare. Così, avendo compreso tardivamente l'ingegnoso artificio della madre del bambino, subito si precipitò al rogo, intenzionato a strapparla alle fiamme e a darla in pasto alla furia paterna. In quel posto, però, esso si rese conto che le brucianti fiamme della pira avevano già dissolto ogni sua parte; anzi, in quell'istante la stavano trasformando in una cenere minuta.
Quella stessa notte, venuto a sapere dal figlio ogni cosa sulla vicenda della vedova Dasel, il dio Kustoz si inviperì a non dirsi e corse a lamentarsene con il nostro capo. Così gli raccontò ciò che la moglie del cugino aveva attuato con scaltrezza, prendendo per il naso il suo secondogenito, nonostante egli la tenesse sotto stretta sorveglianza. Volendo poi fare sbollire la sua rabbia a modo suo, gli annunciò:
«Seruk, domani mattina i miei figli, oltre a recuperare con una scelta casuale il terzo bambino da sacrificarmi, preleveranno dalla tua gente altri tre bambini più grandi. Essi saranno gettati nel disinteg, nel momento stesso che i piccoli sacrificandi verranno divorati dagli ingordi anaconda sopra la bruciante catasta di legna. Questa sarà la mia severa vendetta nei vostri confronti!»
Il nostro capo non osò opporsi al dio, non volendo rischiare di peggiorare ulteriormente la situazione. Perciò il giorno seguente le cose andarono proprio come il divino Kustoz aveva preannunciato, a parte qualche imprevisto. Infatti, poiché si erano opposti ostinatamente alla punizione dei propri figli, anche i tre capifamiglia riottosi andarono incontro senza scampo ad una morte rapida. Essa gli fu arrecata dagli Anacundios, i quali inflissero sui loro corpi le letali tre ferite. Per cui, come era da attenderselo, anche questa volta la gente rimase atterrita e sconvolta. Anzi, la pena e l'angoscia dei presenti si triplicarono. Infatti, oltre al sacrificio dei tre bambini, essi dovettero assistere anche all'atroce fine degli altri tre ragazzi, che venivano annientati dagli Zukkut nel disinteg, e all'uccisione delle tre persone adulte nel modo che avete appreso.
Per fortuna, non ci furono altre reazioni da parte di coloro che assistevano atterriti alle nuove nove morti, siccome i provvedimenti punitivi dei loro inattaccabili vessatori riuscirono a scavare nell'animo di ognuno profondi solchi di paura e di pusillanimità. Oramai essi, convincendosene, compresero per sempre che il dio Kustoz e i suoi figli semidivini, essendo i più forti, li tenevano in pugno e reprimevano rigidamente ogni loro atto sedizioso. Per questo, volente o nolente, occorreva piegarsi alla loro volontà, se desideravano sopravvivere e salvare il loro popolo dalla distruzione totale. Ciò, benché fossero coscienti che la loro vile sottomissione alla maligna divinità equivaleva ad una resa a vita incondizionata e vergognosa. La quale, oltretutto, veniva a privarli della propria personale dignità.