337°-GLI ZEIV E IL LORO SERVAGGIO AL DIO KUSTOZ

In verità, io e i miei fratelli ignoriamo nella maniera più assoluta a quando risale lo stanziamento del nostro popolo in questi territori; ma sappiamo con certezza che esso, molto tempo prima, viveva in un'altra regione. Si è pure tramandato che gli Zeiv erano stati costretti a lasciare la loro terra, in seguito ad una calamità naturale di grandi proporzioni, la quale l’aveva resa inospitale in tutti i sensi. Il loro trasferimento in questi luoghi, ad ogni modo, non era stato una impresa facile, considerato che essi avevano dovuto valicare la catena montuosa di Belares. Infatti, il superamento di tale serie di monti, alcune volte impervi altre volte scoscesi, aveva comportato non pochi sacrifici per i nostri antenati. Anzi, un cospicuo numero di loro, durante la traversata, era andato incontro a disgrazie invalidanti, quando esse non erano risultate tragicamente mortali. Alla fine, così, soltanto i due terzi della popolazione zeivina era riuscita a superare ogni difficoltà di sorta e a raggiungere la novella terra, la quale è quella in cui risiediamo oggigiorno. Dopo essersi stabilito in queste parti, il mio popolo fece basare la sua economia di sussistenza sulla caccia. Invece l’arboricoltura lo interessò marginalmente, non potendo usufruire di vaste zone di terreno coltivabile. Difatti non poté seminarvi le varie graminacee e piantarvi le diverse specie di alberi da frutta, come era abituato a fare nella propria terra di origine. Per tale motivo, il suo alimento di natura vegetale, che continua ad esserlo tuttora, era costituito da frutti di bosco e da radici commestibili. Queste ultime quasi sempre venivano consumate lessate, previa adeguata cottura igienica. Invece ci si poteva rifornire abbondantemente di acqua, visto che il villaggio zeivino era stato costruito in prossimità di un corso d’acqua perenne. Esso aveva origine dai ghiacciai che erano situati ad alta quota, i quali dominavano le eccelse vette dell'estesa catena montuosa di Belares. Nei dintorni, inoltre, per la presenza di numerosi fontanili, la si poteva anche attingere da essi senza problemi, per cui si evitava di fare parecchia strada per disporne.

Quanto ai rapporti con gli altri popoli, fin dal loro primo insediamento nell’attuale mondo boschivo, per loro libera scelta, gli Zeiv preferirono non averne per niente. Perciò restò del tutto ignorata da loro l'esistenza dei villaggi sia viciniori che lontani. La nuova terra, la quale si era dimostrata per diversi secoli alquanto generosa nei confronti della mia gente, ad un certo momento, si diede invece a procurarle i guai peggiori che si potessero immaginare. Secondo alcune persone autorevoli del nostro villaggio, essi cominciarono a farsi avvertire impossibili ed insopportabili ai nostri antenati circa un secolo fa. Infatti, a quel tempo la loro serenità fu accoppata dall’oggi al domani, senza preavviso e con feroce brutalità, da chi non aveva altro da fare che mettersi ad arrecarci i peggiori danni. A quel tempo, il mio popolo contava quasi ventimila abitanti e ne era il capo Murger, il quale lo governava saggiamente e non ammetteva prevaricazioni di nessun tipo, da parte di tutti i suoi sudditi. Per tale motivo, quando essi sgarravano, non esitava a punirli con eccessiva severità. Ciò avveniva, anche nel caso che i colpevoli di reati appartenessero alla propria famiglia.

Un pomeriggio d'estate, dopo aver consumato il pasto di mezzogiorno, il capo zeivino faceva un po’ di siesta nella sua capanna, siccome era abituato a farla quotidianamente. Mentre se la dormiva, all’improvviso una sorda voce venne a destarlo dal suo leggero sonno. Dopo averlo svegliato, essa cominciò a parlargli come qui appresso:

«Murger, capo degli Zeiv, dèstati ed apri bene le orecchie! Ascolta attentamente il messaggio che sto per darti, poiché non te lo ripeterò una seconda volta! Mi ti sono spiegato in maniera chiara?»

Una volta sveglio, il poveretto si diede a dare occhiate di qua e di là, ossia in ogni dove, per cercare di scorgere colui che gli aveva parlato poco prima. Ma non riuscendo a vederlo in nessuna parte, egli ritenne giusto chiedere a colui che non lasciava vedere neppure la sua ombra:

«Perché mi parli, senza renderti visibile ai miei occhi, entità sconosciuta? Vuoi dirmi chi sei e perché sei venuta a disturbare il sonno, che mi stavo godendo tantissimo sopra il mio giaciglio di erba essiccata?»

«Sono il dio Kustoz e ti ordino di radunare tutti gli uomini che hanno una età compresa tra i venti e i settant’anni nell’abbattuta, che avete ultimata qualche giorno fa ad un miglio dal villaggio. Li voglio vedere assembrati in quel posto prima del tramonto, poiché ho da farvi alcune urgenti comunicazioni. Per il momento, non mi soffermo ad aggiungerti nient’altro, visto che tu e il tuo popolo avrete le restanti informazioni in quel luogo ed in quella circostanza!»

Quando nella sua capanna ripiombò il silenzio, Murger non riusciva a risolversi in alcun modo. A suo parere, egli poteva anche aver sognato ciò che gli era parso di udire. Per questo all'inizio pensò di non tenerne conto, se voleva mettersi il cuore in pace. In seguito, però, poiché il suo visitatore invisibile si era spacciato per un dio, evitò di agire come aveva stabilito. Allora si affrettò a radunare presso di sé i cinque abitanti del villaggio più in vista, al fine di consultarsi con loro su quanto gli era accaduto nel pomeriggio. Grazie alla loro notorietà di persone di assoluta probità, egli era convinto che avrebbe avuto dagli stessi i migliori pareri circa il comportamento da assumere nei confronti del sedicente dio. Naturalmente, l’incontro con tali persone avvenne nella sua dimora, dove, alla loro presenza, Murger riportò l'episodio che c'era stato nella sua capanna. Dopo averglielo riferito per intero, domandò all’acculturato quintetto che aveva messo al corrente dell'episodio:

«Adesso mi dite cosa devo fare, non essendo sicuro che io abbia sognato? Mi dispiacerebbe prendere un provvedimento, il quale dopo potrebbe rivelarsi del tutto ingiustificato!»

Allora il più vecchio di loro, il quale era il saggio Duves, gli rispose:

«Capo, ad evitare una improvvida decisione, che potrebbe mettere di malumore la divinità in questione, fino a farla vendicare contro la nostra gente, ti consiglio di far confluire ugualmente i nostri uomini da lui indicati nel posto che essa ti ha suggerito. Nel caso che il tuo provvedimento si rivelasse la conseguenza di una tua visione onirica, se non proprio una bufala, a parte qualche seccatura accusata da alcuni di noi, di sicuro non ce ne deriverebbero dei danni seri. In quella circostanza, inoltre, se il dio non si presentasse, potresti sempre inventarti una scusa plausibile, a giustificazione del loro raduno da te richiesto. Se poi qualcuno dei presenti avesse in mente qualcosa di diverso dalla mia proposta, è pregato di rendercelo noto. Così lo prenderemo in esame con la dovuta considerazione, unitamente a quanto già da me proposto. A questo punto, non essendoci altro da riferirvi da parte mia, lascio la parola agli altri onorevoli Zeiv qui radunati.»

Essendo stati unanimemente d’accordo con la proposta del loro conterraneo Duves, non ci fu bisogno di avanzarne altre da parte dei membri che stavano a consulta. Allora essi si adoperarono per avvertire in tempo utile i destinatari dell’importante adunanza, allo scopo di farli trovare presenti nell’ora e nella località comunicate dall'ignota divinità. Li informarono perfino che quell’insolito raduno era stato richiesto da un essere, il quale aveva dichiarato di essere un dio.

Così nel tardo pomeriggio, poco prima che il tramonto iniziasse a farsi ammirare con le sue bellezze suggestive, tutti gli Zeiv indicati dalla ignota divinità si trovavano già raccolti nella spaziosa zona diboscata. In quel luogo, dopo essi si erano messi ad attendere l’apparizione della divinità, la quale si era manifestata soltanto a voce al loro capo. Essi erano desiderosi di conoscerne la volontà, anche se già si attendevano da essa delle disposizioni coercitive, considerato il tono vocale usato nel rivolgersi a chi li comandava. Nel contempo, si auguravano che esse non risultassero troppo esorbitanti nei loro confronti.

L’essere divino non si fece attendere molto e si presentò nella spianata con la massima puntualità, giungendovi dall’alto con un volo rallentato. La sua mirabolante apparizione avvenne al centro di essa, ad un’altezza di venti metri dal suolo, facendo in modo che la propria immagine venisse scorta da tutti, senza che ci fossero impedimenti. Allora la comparsa della sua effigie eterea, la quale non era bella a vedersi e si faceva intravedere circondata da lievi fiamme giallognole, spaventò immediatamente la moltitudine degli astanti. I quali avrebbero scommesso che il dio si fosse mostrato somigliante ad un essere umano e non avrebbe assunto la forma di un enorme serpente tricefalo. Le cui teste appiattite e larghe, agitandosi vorticosamente nell’aria, mostravano una bocca profonda che era occupata da zanne bianche, grosse ed acuminate. Qualche attimo dopo che era apparso, quell’essere orribile incominciò a fare agli Zeiv che lo ascoltavano il seguente discorso:

“Io sono Kustoz, il dio dei vulcani, per cui mi piace crogiolarmi nella loro massa magmatica. Sono anche conosciuto con l’appellativo di Ofide Tricefalo, siccome appaio agli umani sotto questa effigie. I miei tre figli semidivini, che sono Lukut, Empus e Froet, sono tutti e tre invisibili; mentre la loro nascita è avvenuta dopo un mio accoppiamento con un anaconda femmina. Per questo ad essi ho dato il nome di Anacundios. Tra breve, ve li farò conoscere, ma sarà la prima e l’ultima volta che potrete scorgerli nel loro stato visibile, dato che in avvenire non vi capiterà mai più di avvistarli. Nell’unica occasione che vi si offre, apprenderete pure ciò che essi sarebbero in grado di fare contro quegli esseri umani, i quali in avvenire osassero ribellarsi alla mia volontà.

Veniamo ora al motivo per cui vi ho fatti radunare in questo luogo. All’alba di ogni giorno successivo alla notte di plenilunio, dovrete sacrificarmi tre maschietti di età compresa tra i due e i cinque anni. La loro immolazione dovrà avvenire come adesso vi spiego. Sopra una catasta di legna dovrà essere sistemata una gabbia con dentro tre maschi di anaconda, ai quali dovranno essere dati come pasto le tre piccole vittime. Quando i loro corpi non saranno più visibili nelle fauci dei tre enormi serpenti, voi darete fuoco alla pira e ne ricaverete un grande falò. Il quale poi dovrà fare bruciare la gabbia, in cui sono reclusi i tre giganteschi rettili divenuti ormai sazi.”

«Non è giusto, divino Kustoz, che tu ci obblighi ad una atrocità del genere nei riguardi dei nostri bambini.» gli rispose il capo del villaggio, dopo che il dio ebbe finito di parlare «Quasi di sicuro non ce la sentiremo di inveire contro di loro, nel modo che ci hai testé indicato. È opportuno, dunque, che tu pensi ad un modo diverso di farti immolare i nostri figli, se non vuoi che ci opponiamo fermamente alla tua insana volontà!»

«Murger, a quanto pare, non vi siete ancora resi conto che, d’ora in avanti, qui l’unico a dettare leggi sarò io; invece gli altri sono tenuti a rispettarle con le buone oppure con le cattive! Perciò ritengo che questo sia il momento più adatto per presentarvi i miei figli e di farveli vedere in azione contro gli oppositori del loro padre. Sono convinto che sarà un saggio della loro ferocia a raddrizzarvi le idee e a farvi ubbidire!»

Dopo aver reagito in quella maniera alle rimostranze del capo degli Zeiv, il dio Kustoz, che poteva essere solo malefico, gridò alla sua prole che era degna di lui: "Mostratevi a questo popolo riottoso, figli miei. Ma poi fategli comprendere come sapete punirlo, quando si rende reo di disubbidienza! Vi raccomando: fatelo nel modo più appropriato!"

Appena ricevuto l’invito paterno, subito essi apparvero alla sua destra, spaventando a morte tutti gli uomini zeivini presenti. Si trattava di tre esemplari mostruosi, i quali si mostravano identici nel loro aspetto terrifico, per essere nati dalla medesima covata. Ma adesso passo a descriverveli. Il tronco di ognuno di loro era costituito da due parti: la metà inferiore era quella di un grosso serpente, con la sola differenza che essa terminava con una lama vera e propria, ma con il taglio rivolto in avanti. La metà superiore, invece, aveva tutt’altra struttura. La testa era simile a quella di un coccodrillo, ma formava un angolo retto rispetto al resto del corpo. Essa poteva essere piegata ancora di più verso il tronco, fino a rasentarlo. Sempre nella parte superiore, anziché protendersi dal tronco due arti, ai suoi lati c’erano due segmenti serpentiformi, simili a quello rappresentato dalla parte inferiore del corpo. Le cui dimensioni erano decisamente più piccole. Inoltre, essi non terminavano con una lama, come il troncone caudale, bensì formavano dei pugnali con la punta molto aguzza. Nella parte mediana del petto, invece, erano situati due robusti arti, lunghi un metro e distanti tra loro ottanta centimetri. Entrambi erano forniti di poderosi artigli, che servivano per ghermire le loro prede. Infine due caratteristiche particolari dei semidivini figli del dio Kustoz erano le seguenti: la capacità di tenersi sospesi nell’aria e l’idoneità al volo, pur non essendo provvisti di ali.

Ebbene, al comando del loro divino genitore, due degli Anacundios si avventarono sulla moltitudine degli Zeiv e, dopo averne prelevato uno a caso, se ne ritornarono al loro posto. Lì, mentre due di loro reggevano l’umano con i loro artigli e lo tenevano sospeso nell’aria, il terzo fratello andò a piantarsi davanti a lui. A quel punto, con le sue appendici serpentiformi superiori esso operò sulla parte anteriore del tronco dello sventurato due tagli profondi a forma di X. Da essi allora cominciarono a sgorgare alcuni fiotti di sangue, il quale si riversava sulla parte restante del corpo del malcapitato. Ma ai primi due tagli, da parte sua, ne seguì un terzo, a breve distanza di tempo; però il nuovo taglio questa volta fu messo in atto dall’appendice serpentiforme inferiore. Esso gli divise a metà l’addome e la corrispondente parte retrostante, come già avete avuto modo di constatare sui corpi dei vostri tre uomini martoriati. Allora lo sventramento, recando una morte immediata al nostro conterraneo, gli provocò anche la fuoriuscita dei visceri. I quali non si staccarono dalla cavità addominale e non caddero sulla sottostante folla. Essa fu raggiunta solo dal sangue, che era seguitato a provenire dalle tre profonde ferite sanguinolente del malcapitato.

A quello spettacolo riluttante, gli Zeiv, che presenziavano il raduno, dopo essere rimasti molto scossi, si diedero ad aborrirlo. Perciò non se la sentivano di assistere ad esso e desideravano venirne privati al più presto, senza essere più costretti a guardare il corpo del loro conterraneo così crudelmente brutalizzato. Dal punto di vista emotivo, la sua truculenta vista li metteva in grande disagio e veniva a suscitare nei loro animi delle sensazioni terribili e sconcertanti. Inoltre, martoriandoli intimamente senza sconto di pena e di ambascia, li bloccava psichicamente. Anzi, il loro blocco psicologico risultava talmente grave, da renderli incapaci di una qualche reazione diversa. Quasi essi fossero rimasti paralizzati dall’esibizione perversa dei tre mostruosi Anacundios! Dopo che i suoi figli ebbero fatto mostra della loro crudeltà assassina, che si era mostrata assai sconcertante, il dio Kustoz ne rimase molto soddisfatto. Convinto che la sua prole aveva sedato negli Zeiv ogni sacca di renitenza, riprese poi a parlare con tono imperioso agli umani frastornati, che si trovavano radunati in quel luogo:

“Adesso tutti voi sapete a cosa andrete incontro, se oserete ribellarvi a me e rifiutarvi di eseguire i miei ordini; ma altre punizioni ancora più crudeli sono previste per i ribelli del villaggio. Ossia li punirò, dandoli in pasto ai miei famelici Zukkut. Domattina, quando anch’essi vi daranno un saggio della loro insuperabile ingordigia e della loro incredibile spietatezza, avrete l’opportunità di fare pure la loro sgradita conoscenza. Ritornando a noi, tra dieci giorni ci sarà già la prossima luna piena, per cui vi raccomando di non venir meno al vostro dovere, se non volete procurarvi rogne con le vostre stesse mani. Quando tra poco ritornerete al vostro villaggio, riferite agli altri quanto avete visto ed udito in questo posto. Informateli pure che nella mattinata di domani vi darò una ulteriore prova dimostrativa, la quale vi renderà consapevoli di come sono capace di rovinarvi l’esistenza più di qualsiasi altro essere divino. Perciò, qualora le mie aspettative dovessero restare disattese da parte di voi Zeiv, mi vedrei costretto a mettere in atto contro di voi le mie punizioni!”

Con la fine dell’ultimo intervento del dio, al quale nessuno aveva osato replicare od opporsi con determinazione, ci furono la sua sparizione e quella dei suoi tre figli gemelli semidivini. Allora gli uomini zeivini, con il loro capo, lasciarono anch'essi l’abbattuta e fecero ritorno al loro villaggio, dove misero al corrente parenti ed amici di ogni cosa a cui avevano assistito. Così la maggioranza di loro, senza darsi pace, trascorse la notte a meditare su ciò che sarebbe potuto avvenire il mattino successivo. Anzi, molti degli Zeiv erano certi che l'indomani qualcos’altro di orribile sarebbe accaduto a qualche altro sventurato del villaggio.

Le più preoccupate si mostravano le madri. Esse iniziarono a temere per i loro figli di tenera età, poiché su di loro ben presto si sarebbe data ad abbattersi la falce della morte, mietendo ogni mese tre piccole vittime. Anche se erano coscienti che non si poteva ovviare alla loro immolazione, siccome essa faceva evitare una strage maggiore tra gli abitanti del loro villaggio, le poverette non riuscivano ad accettare con rassegnazione la gravosa sorte che un dio impietoso gli aveva imposta. La quale sarebbe derivata ai loro teneri bambini da un nero futuro.


Quando si ripresentò il mattino seguente, gli Zeiv trovarono al centro del campo un recipiente di materiale trasparente, il quale era di forma cilindrica e risultava aperto dal lato superiore. In esso, che aveva per dimensioni due metri di diametro e tre metri di altezza, potevano scorgersi una trentina di animaletti molto simili alle nostre zecche. Essi, però, erano grandi quanto la conchiglia di un mitilo adulto. Il loro apparato buccale era di una efficacia inverosimile e permetteva a quanti ne erano provvisti un’agevole lacerazione dei tessuti della loro vittima, oltre che una loro rapida masticazione, dimostrando di avere una indubbia efficienza funzionale. In un primo momento, furono poche le persone che si avvicinarono allo strano recipiente e lo circondarono. Ma in seguito, nel giro di pochi minuti, si formò intorno al cilindro una folla copiosa. Allora furono parecchi gli interrogativi che essa cominciò a porsi; ma tutti che tendevano a comprendere il motivo della sua esistenza in quel posto. Per questo, da parte dei presenti, ci si aspettava che qualcuno riferisse a tutti loro chi avesse lasciato nel villaggio quel contenitore quasi vuoto e perché si fosse presa la briga di farlo. Soprattutto si domandava cosa ci facessero nel suo interno quelle bestioline strane, che non avevano mai viste prima di quel giorno! Mentre poi attendevano le risposte alle loro molteplici domande da una persona capace di farlo, una voce proveniente dall’alto si fece udire reboante, essendo essa nuovamente quella del dio Kustoz. La quale si diede a parlare loro così:

«Umani zeivini, come vi avevo promesso, rieccomi ancora presso di voi con l'intenzione di dimostrarvi cos’altro potrebbe accadervi, se vi rifiutaste di ubbidirmi. Sono sicuro che dopo nessuno Zeiv si permetterà di trasgredire i miei ordini oppure di mettere in discussione i miei voleri. Vi faccio presente che questa seconda punizione verrà inflitta esclusivamente alle donne, ai vecchi e ai bambini, quando essi si renderanno responsabili di atti lesivi della mia divinità. Ma adesso passiamo alla sua dimostrazione in concreto, la quale vi sarà data dai miei preziosi Zukkut, i quali sono gli animaletti che vedete rinchiusi nel disinteg. Dal momento che lo ignorate, essi, da una parte, sono impazienti di esibirsi per consolarmi; dall'altra, non vedono l'ora di intossicare la vostra esistenza con la loro opera di disfacimento e di distruzione!»

A quel punto, tutti i presenti scorsero il vecchio Amsar venire prima sollevato da terra da una forza invisibile e poi essere trasportato sopra il recipiente ialino, nel quale fu fatto cadere a capofitto. Una volta al suo interno, il decrepito Zeiv fu assalito all’istante dai suoi voraci abitatori. Allora essi, con un salto rapido, immediatamente gli si appiccicarono su ogni parte del corpo ed iniziarono a divorarselo senza più smettere. Nonostante egli tentasse di strapparseli dal proprio corpo, quelli non si lasciavano staccare dalla cute, avendo affondato le loro zampette nei tessuti sottostanti con una presa rigidissima. Anzi, i suoi tentativi di rimuoverli dalla propria pelle gli risultavano solo tremendamente dolorosi. Ma erano le loro bocche ad arrecare al corpo del nostro conterraneo ottantenne diversi danni deturpanti, senza che venisse fuori dai suoi tessuti neppure una goccia di sangue. Via via che gli Zukkut ne distruggevano il corpo con morsi famelici, sembrava che essi fossero anche impegnati a produrvi una efficiente emostasi, facendo coagulare il sangue dei suoi vasi sanguigni, sia di grosso che di piccolo calibro. Il dolore, però, vi veniva originato dai loro morsi in forma parossistica, poiché essi lo martoriavano e lo tormentavano fisicamente sempre di più. Così facevano emettere allo sfortunato molte grida disperate, le quali manifestavano la sua inesprimibile pena. Invano egli si dimenava e cercava di liberarsi da quelle ingorde creature. Esse, in base a come si stavano comportando, non potevano appartenere ad alcuna specie animale. Comunque, quando le parti di tessuto cellulare da esse fagocitate nel suo corpo diventarono ampie e profonde, il vecchio Amsar fu abbandonato da ogni forza, per cui crollò esanime all’interno della sua coatta prigione, dove continuò ad essere preda degli Zukkut del dio. Difatti essi seguitarono la loro infaticabile opera di devastazione, di demolizione e di distruzione sulla misera salma del disgraziato. Anzi, imperterriti si davano a consumare i vari suoi tessuti, a cominciare da quello connettivo e terminando poi con quelli muscolare ed osseo, senza mai arrestarsi nella loro tenace opera disintegratrice.

La cessazione del loro lavoro di disintegrazione ci fu, soltanto quando nel recipiente di vetro non rimasero neppure un brandello di carne e una scheggia ossea dello scalognato nostro conterraneo. Coloro che avevano assistito all'orribile misfatto, alla fine compresero che Amsar era stato scelto nel loro gruppo per dimostrare agli Zeiv in cosa consisteva l'altra punizione. La quale, come si erano resi conto, si presentava più spietata della prima. Quanto a coloro che avevano assistito esterrefatti alla miseranda fine dell'innocente vecchio, in tutto il tempo che ciò era avvenuto, essi avevano vissuto dei momenti che non possono essere descritti con parole, non essendoci dei termini appropriati per farlo. Comunque, c’erano stati in loro livore, rabbia, costernazione, frantumazione della psiche; però nei più reazionari si era avuta anche una rivolta sdegnosa dei moti dell’animo. Essi non intendevano piegarsi remissivamente a quella scena riluttante, la quale li faceva rendere conto della loro impotenza a reagire e a porre termine a quel misfatto incredibile.

A quella nuova dimostrazione del divino Kustoz, gli Zeiv presero atto che contro la forza la ragione era costretta a piegarsi, per cui fecero subentrare in loro la costernazione allo sdegno, la rinuncia alla determinazione, l’acquiescenza alla ribellione, pur essendo consapevoli che in quel modo si giocavano la loro dignità di persone libere. Ma essi, non potendo agire in maniera diversa, se volevano evitare di darsi ancora di più la zappa sui piedi, preferirono affogarla, insieme con la personale riottosità, nel loro immane dramma disperato, votandosi alla desistenza e alla rassegnazione più assolute. Così, oltre che restare impelagati nella loro costernazione e nel loro sconforto, gli stessi non si astennero dal fare le seguenti due considerazioni: 1) quei trenta piccoli esseri non potevano avere incorporato l’intero corpo del vecchio Amsar, dal momento che la dimensione di ognuno di loro era rimasta invariata; 2) stando così le cose, si poteva solo immaginare che il loro perverso ed inconsapevole compito era stato quello di disintegrare il corpo della loro vittima, fino a farlo sparire dal grande recipiente, rendendolo alla fine inesistente.

Non appena gli Zukkut ebbero ultimato la loro opera annientatrice sul corpo del disgraziato Amsar, facendolo sparire interamente dall’interno del recipiente, il dio Kustoz riprese a parlare agli Zeiv, che erano accalcati intorno al disinteg, dicendo a tutti loro:

«A questo punto, sono convinto che i miei mostriciattoli vi hanno reso bene l’idea di cosa sono capaci, quando vengo costretto a dare i vostri familiari in pasto a loro! Perciò vi consiglio di non scordarvelo mai, se volete evitare di sgarrare nei miei confronti e di fargli correre il tremendo rischio. Adesso vi lascio, sperando di non dovere fare intervenire mai più in futuro i miei figli contro gli Zeiv, allo scopo di fare infliggere a voi e ai vostri consanguinei la prevista pena, che vi ho fatto appena conoscere e visionare con vostro sommo dispiacere.»

Dopo che il dio ebbe abbandonato il villaggio, i suoi abitanti fecero ritorno alle loro capanne, dove rimasero rabbrividiti ed inebetiti ancora per qualche ora. Nella mente di ciascuno di loro continuarono a turbinare le macabre sequenze a cui avevano assistito. Le quali riproducevano davanti ai loro occhi il raccapricciante episodio, che si era svolto nel disinteg, per alcuni interminabili ed agghiaccianti minuti.


Nel frattempo che essi non riuscivano a fare a meno di pensare a quel terribile episodio, Murger ritenne opportuno radunare ancora una volta i suoi consiglieri nella propria tenda. In quel luogo, dopo essersi salutato con loro ed averli fatti accomodare, aprendo il discorso sull’argomento che stava a cuore a tutti, si mise a chiedergli:

«Dal momento che sapete pure voi in quale disgrazia la sorte ha voluto che incappassimo, mi fate la cortesia di esprimermi il vostro parere sulla nostra sventura? Secondo voi, servirebbe a qualcosa la nostra legittima ribellione al malvagio dio Kustoz oppure peggiorerebbe drammaticamente la nostra già difficile situazione?»

Fu ancora l’assennato Duves ad esprimersi per primo, dicendogli:

«Secondo me, sarebbe pura follia ribellarci alla potente divinità malefica. Essa ci ha dimostrato che sarebbe in grado di punirci con molta severità, nel caso che contravvenissimo alle direttive che ci ha impartite. Il nostro sarebbe un comportamento demenziale, se, al fine di opporci all’immolazione di tre nostri bambini, procurassimo alla nostra gente una quantità incredibile di morti assurde ed inutili. Essendo questa la nostra bruttissima situazione, la quale non può avere assolutamente uno sbocco positivo, possiamo solo rassegnarci al nostro nuovo destino. Sappiate che, mentre mi esprimo con queste frasi di rinuncia, la mia stizza e la mia collera interiori fanno guerra a questo mio ragionamento e vorrebbero perfino che esso naufragasse in un mare tempestoso!»

Gli altri membri del consesso, essendo anch'essi persuasi che non c’era altra alternativa in quella loro triste vicenda, non esitarono ad assentire alla proposta di Duves. Allora il capo degli Zeiv, siccome si avvicinava la data dell’immolazione, in quella occasione invitò le cinque personalità del villaggio a suggerirgli anche un criterio per scegliere i tre bambini da sacrificare al dio. Così esso sarebbe stato applicato anche nei successivi sacrifici nella scelta delle tre vittime sacrificali. Egli, infatti, non intendeva addossarsi il peso di tale terribile responsabilità, appunto per evitare di essere tacciato da qualche genitore di parzialità. Un suggerimento, che all'istante riscosse il consenso unanime, fu quello del consigliere Spiun, il quale intervenne a proporre ai presenti colleghi:

«Tutte le volte, quando mancano tre giorni alla notte di luna piena, dopo averne colorati tre di rosso, metteremo in una piccola anfora tanti ceci secchi, quanti sono i bambini che hanno l’età giusta per essere immolati al dio Kustoz. Dopo, alla presenza dei loro genitori, inviteremo i piccoli sacrificabili ad introdurvi la piccola mano e a prendervi un solo cece. Quelli che avranno la sfortuna di estrarre dal recipiente di terracotta i tre ceci rossi saranno automaticamente designati vittime sacrificali dell'infame dio. In questo modo, sarà la sorte a decidere quali bambini dovranno essere sacrificati, anziché il nostro capo.»

Il criterio di Spiun, considerato dagli altri legalmente valido, fu subito accettato da tutti. Così, nel giorno dell’estrazione, i genitori interessati condussero trepidanti al centro del villaggio i propri figli per farli prendere parte al sorteggio, il quale avrebbe dovuto decidere a caso quali bambini erano da sacrificarsi al dio Kustoz. In quel luogo, i piccoli innocenti, dopo essere stati messi in fila, cominciarono a pescare i ceci dall’anforetta. Comunque, la pesca non ebbe termine dopo l'estrazione del terzo cece colorato; ma continuò, fino a quando ogni bambino non ebbe estratto il proprio cece dall’urna. A tale riguardo, il regolamento prescriveva che, se dopo l’estrazione fosse rimasto in essa anche un solo cece oppure ne fosse mancato qualcuno prima della sua conclusione, la medesima sarebbe stata invalidata. In quel caso, dopo l’aggiunta dei ceci mancanti o la sottrazione di quelli in eccedenza, essa andava rifatta daccapo, seguendo lo stesso criterio.

Naturalmente, lo stato d’animo dei familiari dei tre bambini sorteggiati si vide assoggettare ad un’angoscia immensa, poiché ognuno di loro si sentì dominare da un insopportabile senso di scoraggiamento e di annichilimento. Si poteva affermare che il binomio tormento-disperazione aveva scavato nel profondo della sua esistenza e ve la lapidava dopo con le sensazioni più cocenti e penose. I piccoli, invece, neppure si resero conto del motivo per il quale erano stati invitati ad estrarre i ceci dalla piccola anfora di terracotta, siccome i genitori si erano ben guardati dal metterli al corrente di esso. Secondo il parere di tutti loro, poiché glielo avevano assicurato i propri genitori, si era trattato di un semplice gioco. La qual cosa procurava un leggero sollievo a quanti ci avevano tenuto parecchio perché essi ignorassero tutta la verità sulla disumana faccenda fino al giorno del sacrificio, non volendo scorgerli atterriti e sconvolti molto tempo prima della loro uccisione.

Quindi, sarebbe stata la giornata destinata all’immolazione dei bambini quella che avrebbe significato per tutti, compresi i non parenti, qualcosa di abominevole ed avrebbe suscitato in loro dei moti di ribrezzo, costringendoli a ripugnare ogni attimo della propria esistenza. A proposito del fatidico giorno, specialmente da parte dei familiari dei sacrificandi, ci fu per esso un’angosciosa attesa ed avrebbero fatto volentieri a meno del suo malvagio arrivo. Già durante la notte precedente, lo si era incominciato a dipingere con i colori più cupi e a percepire con le sensazioni più funeree. Infatti, l’evento del sacrificio già veniva a prospettarsi nella sua drammaticità più crudele e dirompente. Quando infine esso irruppe sul villaggio con la sua cappa di piombo, il terrore si diede a fare strage delle menti degli astanti, privandole perfino di quella scarsa serenità che vi era ancora rimasta. Allora l’intera popolazione zeivina sprofondò nel cordoglio più amaro, trovandosi a vivere l'odissea più tribolata ed angosciante che avesse mai vissuta. La quale le faceva rasentare la follia e quasi la spingeva al suicidio.

Dopo che le tre piccole vittime furono messe dentro la grande gabbia, dove già erano attese dai giganteschi serpenti, il dramma si fece avvertire da tutti di una efferatezza unica. Per cui le numerose ed inesprimibili sensazioni, le quali derivarono da esso alle varie psichi, risultarono conturbanti al massimo. Ma nessuno, comprese le donne, osò versare una sola lacrima per la loro disavventura, anche se avrebbe voluto farlo per alleggerirsi del pesante fardello interiore. Tutti gli Zeiv temevano che, se avessero manifestato qualche pena per i piccoli durante l’immolazione, il loro atteggiamento avrebbe potuto irritare la suscettibilità del dio, poiché egli non avrebbe esitato a vendicarsi. Di conseguenza, essi, di fronte ad una crudeltà così inaudita, preferivano comprimere il loro immenso dolore in quella rabbia e in quell'angoscia che si tenevano dentro inesplose. Per cui esse si mostravano più orrende e raccapriccianti. Ovviamente, non era affatto piacevole assistere a quella scena riluttante, la quale presentava i famelici rettili intenti a fagocitare i tre bambini, dopo averli strozzati e privati della preziosa vita. Essa poteva trasmettere negli Zeiv presenti esclusivamente dei patemi d’animo, che suscitavano orrore ed un senso di nausea. Soprattutto vi provocava una specie di rigetto, che tendeva a fare rimettere perfino l’anima dal loro corpo, attraverso una sofferenza fisica e psichica, che si dava ad abbattere ogni tentativo di reagire all’orribile scelleratezza messa in mostra.

Il sacrificio umano dedicato al dio Kustoz terminò, dopo che la catasta di legna del rogo e la gabbia collocata sopra di essa apparvero interamente bruciate, facendo prima arrostire e poi anche cremare i tre satolli maschi di anaconda insieme con le loro prede non ancora digerite. A quel punto, ogni Zeiv, avendo deciso di sgomberare quel luogo di strazio e di morte, se ne ritornò alle sue faccende quotidiane. In verità, se ne era allontanato con l’amarezza e la costernazione scolpite nei loro occhi, come non gli era mai capitato in precedenza. Perciò, per il popolo zeivino, quello fu il primo di una lunga serie di giorni nefasti. I quali, uno al mese e fino ad oggi, avrebbero subissato la nostra gente di apprensione, di turbamento e di afflizione, senza esserci un minimo di commiserazione, da parte della malefica divinità responsabile e dei suoi carnefici figli. Essi, al contrario, ne ricavavano unicamente piacere e godimento a non finire.