336°-TRE MORTI VIOLENTE AVVENGONO NEL CAMPO D’IVEONTE

Si camminava da tre giorni, da quando Iveonte e gli altri componenti della carovana si erano lasciati alle spalle il villaggio di Tardunuk, allorquando la strada maestra iniziò a fiancheggiare i territori berieski. I quali avrebbero continuato ad estendersi sul suo lato destro, finché non fossero giunti alla frastagliata costa bagnata dal Mare delle Tempeste. Comunque, si seguitò ad andare avanti, poiché quel posto era stato raggiunto da loro, quando erano trascorse appena un paio di ore dalla pausa di mezzogiorno. La quale aveva permesso a tutti loro di pranzare e riposarsi per il tempo necessario. Ma appena l'infuocato tramonto fece il suo ritorno, essi non ebbero neppure modo di ammiralo, siccome in quel punto la strada si presentava fittamente alberata. Iveonte allora ritenne opportuno impartire ai suoi uomini l’ordine di arrestare l’avanzata, avendo deciso di effettuare in quei paraggi la sosta notturna. Così, dopo che si fu trovato il luogo adatto dove poter accamparsi in piena sicurezza, badarono prima a sistemarsi in esso nel modo migliore e poi vi si misero a cenare con la massima tranquillità.

In seguito, intanto che non sopraggiungeva la vicina notte e non si immergevano nel sonno ristoratore, i diversi gruppi di persone, ognuno per conto proprio, si diedero alla conversazione, tirando in ballo i più svariati argomenti. Naturalmente, in tale occasione, erano stati formati diversi capannelli, essendo essi composti dalle solite cerchie di amici. Come era da aspettarselo, i Lutros, i quali soffrivano un po’ di nostalgia, preferivano parlare del loro villaggio e dei tanti affetti che vi avevano lasciati. Nel rammentare gli episodi da cui erano stati coinvolti emotivamente nella loro terra natia, essi, cercando di non farlo notare ai loro compagni, interiormente si emozionavano come se fossero dei veri fanciulli; ma a volte anche se ne rammaricavano parecchio.

In tale circostanza, mentre Speon si intratteneva a discorrere con il solito gruppetto di amici, che non superavano le cinque unità, Iveonte e Tionteo trascorrevano insieme quel paio di ore serali. Esse di consueto venivano dedicate da loro due a fare una piacevole chiacchierata su vari argomenti, la quale di regola durava, fino a quando non interveniva il sonno a farla da padrone nel loro campo. Allora essi e gli altri del convoglio si davano a dormire per l'intera nottata. Volendo poi renderci conto su quale argomento la conversazione dei due amici stava vertendo in quella serata, non dobbiamo fare altro che metterci ad ascoltarli, seguendoli nel loro ultimo ragionamento, il quale era stato appena intrapreso dal Terdibano. Egli, riferendosi alla nuova località dove adesso si trovavano accampati, che sembrava non preoccuparli neppure un poco, faceva osservare all’amico:

«Non pare anche a te, Iveonte, che, fra tutti i luoghi che ci hanno accolti fino ad oggi, questo si presenta il più tranquillo per passarvi una notte serena? Esso è fin troppo silenzioso, per essere terra di nessuno! A differenza degli altri posti, qui non si fanno avvertire non soltanto i fruscii e i ronzii, ma anche i versi cupi degli uccelli notturni. La qual cosa ti pare normale, amico mio? Se devo esserti sincero, questa quiete immota inizia a preoccuparmi non poco! Sono perfino portato a convincermi che sarebbe stato meglio, se ci fossimo attendati sul lato opposto, ossia sulle terre berieske! Tu, con sincerità, che peso dai alla mia preoccupazione, la quale comincia a farsi strada nel mio animo inquieto?»

«Forse non hai tutti i torti, Tionteo, ad esprimerti in questo modo sulla zona dove siamo accampati. Ma se da un lato le tue osservazioni potrebbero essere giuste; dall’altro, invece, esse non ci devono spingere ad allarmarci più di tanto. Hai già scordato che in questa boscaglia non si sono mai registrati pericoli di sorta, come Speon ci ha tenuto a rassicurarci alcuni giorni fa, quando gli ho chiesto su queste terre?»

«A tuo avviso, Iveonte, potrà bastarci la sola rassicurazione del nostro compagno borchiese, secondo il quale la parte interna di questa foresta non è abitata da nessun popolo, che potrebbe darci la minima noia? Magari ce ne sarà qualcuno feroce e sanguinario, a cui piace agire in sordina, per cui fanno la posta ai viaggiatori che capitano da queste parti, con l’obiettivo di colpirli di sorpresa e renderli loro prede! Sappi, amico mio, che non mi sto pronunciando sul posto che ci ospita con il solo scopo di smentire Speon! Anzi, volendo esserti sincero, questo atteggiamento mi deriva da una inspiegabile preoccupazione, ha iniziato ad impensierirmi un po’ troppo. Dopo che essa mi si è attaccata addosso, non riesco più a liberarmene! Tu come te lo spieghi?»

«Devi ammettere, Tionteo, che Speon non può darci ogni volta l’assoluta certezza di quanto ci attesta. Da lui possiamo avere solo indicazioni, che vanno poi prese con una certa cautela, almeno fino alla prova dei fatti. Perciò esse dovranno essere soppesate da noi con la dovuta considerazione, dopo che le abbiamo vagliate e verificate nella loro validità. Quanto poi ad un ipotetico popolo, quello che stai già dipingendo con le tinte più fosche, il quale dovrebbe trovarsi nella parte più interna di questa intricata boscaglia, non si può negare che potresti avere ragione. Anche qui, però, occorrono delle prove per esserne certi, visto che navighiamo ancora nel mare delle supposizioni. Riferendomi poi alle tue sensazioni, ti affermo che esse ti provengono da un po’ di paura.»

«Iveonte, fermo restando che questa notte si dovrà pretendere dai nostri uomini una sorveglianza più scrupolosa nel nostro campo, perché non ci facciamo spiegare dal Borchiese come mai qui regna un silenzio tombale? Quando egli sarà presso di noi, potremmo anche domandargli se ha mai sentito parlare di qualche episodio fuori dell’ordinario accaduto tempo addietro in questi paraggi. Il quale, a suo tempo, pur avendo suscitato un mostruoso scalpore, fu in seguito dimenticato dalla gente locale per mancanza di prove acclarate. Allora mi permetti di andare a chiamarlo presso i suoi amici e di condurlo qui da noi per rivolgergli alcune nostre domande relative a quanto, di cui ci stiamo occupando?»

«Se proprio ci tieni e non puoi farne a meno, mio caro Tionteo, raggiungi il nostro comune amico e fallo venire qui da me. Egli dovrebbe trovarsi presso il gruppo dei Lutros numero sei, avendo allacciato dei rapporti amichevoli con alcuni degli appartenenti ad esso. Inoltre, per tranquillizzarti il più possibile, ti avviso che stanotte farò raddoppiare nel nostro campo il numero di coloro che dovranno sorvegliarlo.»

Pochi minuti dopo, Tionteo fece già ritorno presso la tenda dell'amico insieme con Speon. Allora Iveonte, dopo che essi si furono accomodati come da suo esplicito invito, non perse tempo a fare al figlio del defunto Vusto alcune domande sul luogo in cui si erano accampati, allo scopo di apprendere qualcosa di più su di esso. Anzi, con le sue nuove richieste rivolte al Borchiese, intendeva soprattutto tranquillizzare il compagno terdibano. Così incominciò a chiedergli:

«Siamo sicuri, Speon, che questa fascia di terra, la quale è posta a ridosso della catena montuosa di Belares, non sia abitata da nessun popolo, come ci hai garantito qualche giorno addietro? Inoltre, mi sai dire qualcosa anche sull’assenza assoluta in essa dei normali fenomeni percettivi, che dovrebbero farsi avvertire da noi, come i pigolii, gli stridii, i versi di uccelli rapaci e qualche rugghio di un famelico felino? A noi ciò sembra davvero molto strano, se lo vuoi sapere!»

«La certezza non ve la posso dare, Iveonte. Come si fa ad ammettere oppure ad escludere l’esistenza di un popolo in un luogo dove mai nessun uomo, spinto dal suo spirito pionieristico, si è avventurato? Io ho fatto basare le mie asserzioni soprattutto sulle scarse notizie che ho avuto modo di apprendere dal mio genitore su questa misteriosa località. Esse, non avendo mai fatto accenno ad alcun villaggio situato nella zona in questione, possono benissimo essere confutate. Riguardo al secondo quesito, anch’io sto prendendo atto dell’assoluto stato di quiete in cui versa questo bosco. Perciò, al pari di voi, posso solo stupirmene, anziché preoccuparmene! Comunque, allo stesso modo vostro, non saprei come valutare questo strano fenomeno esistente in questo posto!»

«Adesso, Speon, rimanendo sempre ancorati al medesimo argomento, sei invitato a fare uno sforzo di memoria, cercando di ricordare se hai mai sentito parlare di un fatto di sangue avvenuto da queste parti nel remoto passato. Nel caso che la tua risposta dovesse risultare affermativa, ti prego di riferirci di cosa effettivamente allora si parlò. Quindi, cosa hai da risponderci in merito?»

«Certo, Iveonte, che mi è capitato di apprendere qualcosa su questa zona! Fu mio padre a raccontarmelo, quando avevo quindici anni. Egli mi mise al corrente che proprio da queste parti era stato compiuto uno sterminio di uomini tanto efferato quanto clamoroso. Ad ogni modo, non si era mai saputo da chi esso fosse stato perpetrato. Molti ne avevano incolpato una banda di predoni, la quale a quell'epoca si vociferava che trafficasse in questi luoghi. Quanto poi all’immane strage a cui vi ho accennato, ciò che di essa aveva impressionato di più la gente, fino a provarne parecchio ribrezzo, era stato il modo in cui le vittime erano state trucidate dai loro assassini.»

«Speon, ci riferisci che tipo di mutilazione esse avevano subito, prima che la morte si impadronisse di loro?»

«Quando erano state scoperte, Iveonte, le persone ammazzate presentavano i busti squarciati nella loro parte anteriore da due lunghe e profonde incisioni, le quali erano state eseguite a forma di X. Invece un terzo taglio fendeva il loro bacino a metà, la regione addominale compresa, partendo dal perineo fino all’ombelico. Era stato come se il colpo di una mannaia fosse stato inferto dalla parte sottostante a quella sovrastante del tronco, seguendo il solco delle due anche, fino a provocare la totale fuoriuscita dei visceri dall’addome. A ogni modo, in epoca posteriore, ossia nel giro di un anno, il brutto ricordo dell'orribile strage già era uscito dalla memoria di quanti prima ne avevano parlato. Per questo, da quel giorno, nessuno più si è soffermato su tale cruento episodio, come se esso non fosse mai accaduto in quel posto in passato!»

«Come mai, Speon, delle morti così orrende, stando al racconto di tuo padre, erano state dimenticate così presto dalla gente locale? Eppure le medesime avrebbero dovuto farla pensare parecchio e a lungo, potendo esserci in questa zona qualcosa che metteva grandemente a rischio la sicurezza di quelle persone che si trovavano a transitare per i suoi paraggi! Allora mi sai dare una spiegazione della loro assurda dimenticanza avvenuta così rapidamente, da parte di tutti?»

«Per come la vedo io, Iveonte, tale sterminio fu scordato per il semplice fatto che esso era stato imputato ad un regolamento di conti, che sicuramente si era avuto tra due bande della malavita locale. Si era voluto dare credito a tale versione, essendosi deciso dalla gente di questi paraggi di escludere nella maniera più assoluta l’intervento in quella carneficina di qualche mostro reale, del quale non si era mai sentito parlare in precedenza. I loro corpi, infatti, malridotti come si presentavano, non erano stati usati come pasto per sfamarsi da chi li aveva seviziati in quella maniera così brutale ed inumana!»

«Tu che idea ti sei fatta in merito, Iveonte?» intervenne a chiedergli l’amico terdibano «Da parte mia, non so a cosa pensare e quale significato attribuire all'arcana vicenda. Ma dubito che una strage del genere possa essere stata opera di esseri umani! Per questo dovremmo temere qualcos’altro di più brutto, che ha origine all’interno di questo bosco!»

«Per come la carneficina si era presentata a quel tempo, Tionteo, non possiamo prescindere dal fatto che ci fosse stata la mano assassina dell’uomo a compierla con ferocia. Difatti, dopo di allora, non ci sono stati in questo tratto di strada ulteriori stragi dello stesso tipo. Se ce ne fossero state altre, in quel caso si sarebbe potuta avanzare l’ipotesi della presenza in questi luoghi di mostri oppure di alieni, ai quali poter addossare la responsabilità degli eccidi commessi. Ciò invece non è seguitato ad aversi né subito dopo né mai più, fino ad oggi. Quindi, non occorre preoccuparcene inutilmente, a causa di esseri immaginari, quelli che la tua fantasia si è messa a produrre, senza un motivo plausibile!»

«Vorrà dire, Iveonte, che terrò le tue considerazioni più che buone, oltre che giuste e confortevoli. Perciò cercherò di stare molto calmo per l’intera nottata e di darmi ad un sonno sereno, senza farmi sorprendere dall’ansia e senza restare all’erta per buona parte della notte, facendola diventare bianca più della neve. Ti garantisco, amico mio, che durante l’intera nottata, non mi farò influenzare da nessun brutto pensiero!»

«Bravo, Tionteo: è così che ti voglio!» tese a concludere il nostro eroe «Quasi non ti riconoscevo più! Ma adesso conviene interrompere la nostra conversazione e darci al riposo notturno, il quale ci sta aspettando. Tu invece, Speon, dovrai essere latore di un mio messaggio presso il gruppo lutrosino, che sei solito frequentare. Poiché questa notte tocca a due amici tuoi vigilare sulla sicurezza del campo, quando ti recherai nella loro tenda per augurare a tutti la buona notte, farai presente che durante la notte in arrivo dovranno essere quattro di loro a svolgere la mansione di vigilanza, anziché soltanto due! Ti prego, però, di non allarmarli, nel comunicargli quanto ti ho detto!»

A questo punto, prima che i quattro Lutros iniziassero la loro opera di vigilanza, ci conviene apprendere come essa veniva effettuata nel campo dalle persone incaricate. Ma va fatto presente che esse cambiavano durante la stessa notte, essendo previsti due turni di guardia, ciascuno di tre ore. In tale circostanza, il tempo era misurato con una clessidra, nella quale una certa quantità di acqua veniva fatta passare da un vaso di vetro all’altro attraverso un piccolo foro. Il passaggio dell’intero liquido da un'ampolla all'altra avveniva per gocciolamento in tre quarti d'ora. Quelli che erano impegnati ad effettuare il primo turno, che aveva inizio a mezzanotte, dovevano attendere il quarto svuotamento della clessidra, prima di farsi dare il cambio dai compagni che dovevano prendere il loro posto. Ma poiché essi potevano non svegliarsi in tempo utile, in quel caso toccava a uno di loro due incaricarsi di farli smettere di dormire, per farsi sostituire nella veglia notturna fino al risveglio degli altri. Il secondo turno invece terminava alle sei, cioè quando veniva data la sveglia generale nel campo. Visto che ci siamo, è opportuno renderci conto pure in quale modo erano tenuti a svolgerla di notte i due uomini, che erano designati a prestare la loro opera di sorveglianza nel campo. In realtà, essi si attenevano scrupolosamente a delle regole stabilite da Iveonte, in merito allo svolgimento della stessa. I due vigilanti dovevano tenersi nascosti in una capanna costruita con delle frasche, dove potevano darsi a tutte le chiacchierate che volevano, purché in tono sommesso, poiché così non si correva il rischio di un improvviso addormentamento. Circa la posizione da assumervi, era obbligatoria quella seduta ed ognuno doveva volgere la schiena al compagno. Stando seduti, volgendo ognuno le spalle all’altro, il loro controllo veniva ad esserci su due fronti. Quando poi veniva accertata la presenza di intrusi nel loro accampamento oppure nei suoi paraggi, essi, restandosene sempre all’interno della loro struttura ramificata, dovevano mettersi a gridare con quanta voce avessero "Allarmi! Allarmi!", fino a quando non si fossero destati tutti i loro compagni dal loro profondo sonno. A giudizio del nostro eroe, le loro grida, pur venendo emesse ad alta voce, non avrebbero rivelato la loro provenienza ad eventuali assalitori.

Comunque, durante la notte in corso, dovendosi effettuare una vigilanza con codice rosso, Iveonte aveva voluto che fossero quattro Lutros e non due ad espletare tale incarico. Le coppie di vigilanti, però, avrebbero dovuto occupare due capanne differenti, le quali sarebbero state sistemate l’una sul lato nord del campo e l’altra su quello sud, appunto per avere una maggiore visuale davanti a loro. Ma siccome nel campo c'erano una decina di fuochi ad illuminarlo, essi, quando avveniva lo svuotamento dell'intera clessidra, ossia dopo ogni ora e mezza, dovevano essere alimentati con nuova legna dagli stessi uomini addetti alla sorveglianza del campo. La quale operazione andava effettuata nel più breve tempo possibile; però sarebbe stato uno solo dei vigilanti a badare alla loro alimentazione. Per concludere, durante la nottata, dal momento che erano in quattro a fare la veglia nell'accampamento, si era stabilito che sarebbero stati due, cioè uno per capanna, ad occuparsi ogni volta del loro attizzamento, il quale avveniva ad intervalli regolari. Ciascuno di loro doveva prendersi cura dei cinque fuochi che gli erano stati assegnati, evitando che essi si spegnessero per mancanza di legna. I medesimi, logicamente, risultavano quelli che erano più vicini al suo abitacolo, il quale si presentava costituito da sole frasche e riusciva benissimo a nascondere alla vista quelli che vi si celavano.


Un paio di ore dopo la mezzanotte, il silenzio regnava sovrano sul campo, intanto che i dieci fuochi accesi lo illuminavano con i loro vivi bagliori. Ad un certo punto, però, poiché entrambe le clessidre delle capanne si erano svuotate, i due Lutros incaricati uscirono dai loro rispettivi rifugi, allo scopo di dedicarsi al ravvivamento dei fuochi. Il loro lavoro stava procedendo con la massima celerità, allorché essi si erano visti trucidare il corpo da una forza invisibile ed arcana. Essa aveva operato su di loro tre tagli profondi, dei quali il primo, che era risultato subito mortale, era stato inferto alla zona pubica e soprapubica, sezionando in due parti uguali l’addome fino all’ombelico e il retrostante tronco. Gli altri due tagli, invece, vibrati a formare una perfetta X, avevano interessato il torace e le zone addominali laterali. Anch’essi sarebbero risultati esiziali, se fossero stati assestati, indipendentemente da quello che c'era stato prima. Nel venire straziato in quel modo, uno dei Lutros era riuscito ad emettere un breve grido di dolore, il quale aveva richiamato l’attenzione dei due compagni nascosti nei rispettivi capanni. Di costoro, solo uno si era attenuto al regolamento, mettendosi a dare l’allarme nel campo. L’altro, invece, si era lanciato fuori per rendersi conto di ciò che era successo al suo conterraneo. Ma era giunto a circa cinque passi da lui, quando lo si era visto stramazzare per terra, essendo andato incontro anch'egli alla stessa sorte dei due compagni.

Quando Iveonte e Tionteo lo raggiunsero, lo trovarono che era ancora in stato agonico. Allora l’eroe si affrettò a domandargli:

«Chi è stato, Suppun, a conciarti in modo così mostruoso? Dimmelo, per favore, poiché intendo vendicare te e gli altri tuoi compagni uccisi!»

«Se lo vuoi sapere, Iveonte, non è stato nessuno! Mentre venivo ridotto in fin di vita, non ho visto e non ho sentito colui che mi riduceva in questo stato. Secondo la mia impressione, è arrivato dall'alto e non da terra, ma in modo del tutto invisibile!»

Dopo quelle poche parole, non ne uscirono altre dalla sua bocca, siccome il Lutros fu visto emettere l’ultimo respiro e spegnersi per sempre. Allora il costernato Iveonte, essendo quello il luogo meno adatto alla loro cremazione, ordinò che i tre cadaveri lutrosini vi venissero sepolti mediante una sobria funzione funebre. Ad essa parteciparono tutti i residenti del campo, i quali si mostravano con un volto cupo e con la morte nel cuore. Il giovane volle anche recitare la seguente preghiera in suffragio dei tre poveretti massacrati: "Divinità benefiche, che presiedete alle sorti degli uomini e date il vostro valido sostegno ai meritevoli, ti preghiamo di accogliere le loro anime in Amenan. Esso è la valle che non è attraversata dal tempo e non è assoggettata alle tenebre, per cui la luce e la serenità vi brillano eterne. Invece i pensieri di chi vi perviene possono godersi il fulgore che proviene dalla Verità Assoluta. Così le loro fatiche, i loro sacrifici e il loro martirio non ci saranno stati invano da vivi; invece gli stessi riceveranno il meritato premio da morti!"

Terminata la sua breve orazione funebre, Iveonte invitò i Lutros e l’amico Speon a ridarsi al loro sonno interrotto e li mise anche al corrente che sarebbero rimasti lui e Tionteo a vegliare sul campo nelle restanti ore della notte. In pari tempo, li rassicurò che non ci sarebbero state altre uccisioni da parte di chi si era già macchiato di quegli orrendi delitti a danno dei loro tre compagni. Dopo che essi gli ebbero dato ascolto, Iveonte si diresse verso la sua tenda con l’amico terdibano. Non appena vi giunsero con molta fretta, egli si rivolse al suo accompagnatore e gli fece la seguente affermazione:

«Tionteo, stando ai fatti di sangue accaduti poco fa nel nostro campo, devo ammettere che la tua preoccupazione era giustificata. Al contrario, io ho peccato di una certa superficialità! Ma come potevo prevederlo, senza avere tra le mani qualche prova che me la facesse considerare almeno possibile, se non proprio indiscutibile? Peccato che dei poveretti ci siano andati di mezzo!»

«Nessuno ti può accusare di qualche negligenza, Iveonte. Dopo ciò che abbiamo udito dal nostro amico Speon, ti sei comportato di conseguenza. A distanza di tanti anni, nessuno avrebbe mai immaginato che l’episodio raccapricciante di allora sarebbe ritornato a verificarsi proprio stanotte nel nostro campo! Piuttosto cerchiamo di comprendere chi ne è stato l’autore e in che maniera egli si manifesta, considerato che il lutrosino Suppun non è riuscito a scorgere neppure l’ombra di colui che lo stava massacrando tanto crudelmente! Anche questo particolare si presenta assai misterioso, a mio parere!»

«A quanto sembra, Tionteo, chi opera questo tipo di stragi non si lascia vedere, mentre le compie. Egli sbuca dal nulla all’improvviso e trancia le sue vittime nel modo orribile che conosciamo, senza dare a nessuna di loro il tempo di guardarlo in faccia! A tale riguardo, non mi sono ancora reso conto se è la sua rapidità nell’agire a non lasciarlo scorgere oppure dobbiamo addirittura attribuirgli la caratteristica dell’invisibilità. In questo secondo caso, il nostro assassino, sia esso un uomo oppure un mostro, avrebbe la protezione di qualche divinità malefica, la quale gli renderebbe invisibili anche le armi di cui è dotato. Comunque, le mie supposizioni lasciano il tempo che trovano, fino a quando il loro assunto non viene dimostrato da una verifica condotta sulla base di presupposti concreti e reali. Sono convinto che anche tu mi approverai!»

«Per il momento, Iveonte, la sola cosa che non ha bisogno di dimostrazione è il fatto che ci troviamo di fronte ad un pericolo reale; mentre, per le altre cose, non sappiamo dove sbattere la testa. Nel caso che la invisibilità del nostro nemico abbia effetto sia sul suo corpo che sulle sue armi, come ci lasciano credere le uccisioni dei tre Lutros, mi dici come farai ad affrontarlo e a difenderti da lui?»

«Di questo non ti preoccupare, Tionteo, perché essa non costituirebbe un problema per la mia persona; piuttosto siete tu e gli altri del campo ad essere in pericolo, non potendo contrapporgli alcuna valida difesa, almeno fino a quando chi ne usufruisce non verrà messo fuori combattimento da me. Ma come si fa a lottare contro un nemico e a sconfiggerlo, se prima non si ha di lui una conoscenza approfondita e non si sono valutate le sue reali potenzialità? Come vedi, in qualche modo, anch’io ho le mani legate, poiché non so ancora da dove cominciare, allo scopo di riuscire ad ottenere l’una e le altre. In passato, quando ho deciso di agire contro il mio nemico, mi erano già state fornite varie notizie sul suo conto dagli amici e dai conoscenti delle sue vittime, per cui sapevo in partenza a chi o a cosa andavo incontro. Dopo che sarà spuntata l’alba, però, ti garantisco che verrò in possesso delle informazioni che mi necessitano per intraprendere la mia lotta contro il nuovo nemico. Il quale si presenta in apparenza davvero ostico!»

«Te lo auguro, Iveonte, per il nostro bene! Devi assolutamente fermare il mostro o l’essere umano che si dà a così orrendi eccidi contro le persone, se non vuoi che molti altri della nostra carovana ci rimettano le penne. Ma adesso conviene anche a noi due ridarci al nostro sonno interrotto, se vogliamo che il nuovo giorno ci trovi riposati abbastanza, appunto per farci affrontare la situazione in ottime condizioni fisiche!»

«Hai ragione, Tionteo. Se queste rimanenti ore notturne ci consentiranno di usufruire di un buon sonno ristoratore, ai primi albori saremo in grado di prendere in mano la situazione con maggiore efficienza. Ma stanne pur certo che ce la metterò tutta, affinché venga risolto al più presto il serio problema, che ha iniziato a danneggiare gli uomini del nostro campo, te compreso. Il quale, come penso, ha intenzione di continuare a farlo, fintantoché non ci sarà la sua definitiva risoluzione!»


Il mattino che seguì a quella tragica notte, pur essendo stata già data la sveglia, i Lutros non ardivano venir fuori dalle proprie tende. Il terrore se ne era impossessato del tutto, dopo che i loro occhi avevano assistito alla terribile sorte toccata ai compagni uccisi. Allora Tionteo e Speon dovettero darsi un gran da fare per convincerli ad uscire da esse. In verità, a farli risolvere a lasciare le loro tende, fu la voce che era corsa nel campo. Secondo la quale, Iveonte aveva promesso che si sarebbe occupato del caso già nel mattino, con l’intento di vendicare i loro tre conterranei. Ma dopo avere abbandonato le loro tende, tutti i Lutros si mostravano soggiogati dal panico collettivo. Esso continuava ad incalzarli, instillando nel loro animo una paura tremenda ed una oppressione spaventosa, entrambe che non davano tregua a nessuno di loro. Quando Iveonte ne fu messo al corrente dall’amico terdibano, egli lo invitò a radunarli tutti al centro del campo, avendo stabilito di riprenderli ed infondere in loro un po' di coraggio, prima della colazione mattutina. Avvenuto il loro raduno nel posto da lui indicato, il nostro eroe si diede a parlare ai terrorizzati Lutros, facendogli il seguente discorso:

"Miei uomini solerti, capisco il vostro terrore, dopo l’atroce morte inflitta ai vostri compagni da mano ignota; ma non dovete dimenticare che ci sono io con voi e che vi proteggerò, fino a quando mi sarà possibile. Oggi stesso, ad iniziare da questa mattina, mi metterò a dare la caccia a chi ha osato colpire così barbaramente i vostri tre amici e conoscenti. Per cui non desisterò da essa, fino a quando non avrò scovato e punito l’autore o gli autori dei tre assurdi misfatti. Chiedo a voi, però, di aver fiducia in me e di trovare il coraggio di superare questo momento critico per voi tutti, il quale giustamente vi abbatte e suscita in voi uno spavento incontrollabile. Vi prometto che l’attuale stallo avrà presto uno sbocco positivo, siccome, come anche voi sapete, mai nessun ostacolo mi si è dimostrato insormontabile oppure è stato capace di oppormi una resistenza efficace e duratura. Sono sempre riuscito ad eliminarlo alla svelta, tutte le volte che ne ho incontrato qualcuno sulla mia strada. Per questo motivo, vi esorto a darmi retta e a tranquillizzarvi all’istante!"

Le parole dell’eroe dorindano fecero breccia negli animi dei Lutros, i quali si diedero a rispondere diversamente alle attuali avversità, mostrandosi invece nel loro abito esteriore meno avviliti e più ottimisti nei confronti del loro futuro. Allora Iveonte e Tionteo se ne compiacquero molto, visto che gli sarebbe rincresciuto parecchio, se essi avessero persistito a smangiarsi dalla pena a oltranza. Riguardo poi alle ricerche che sarebbero dovute cominciare a colazione terminata, prima del loro inizio, tra i due amici ci fu un abboccamento, siccome essi intendevano mettere in atto una strategia efficace contro l'ignoto nemico che agiva in modo invisibile. In verità, fu il Terdibano a dare avvio ad esso, parlando all’amico come di sèguito:

«Mi dici, Iveonte, quanti di noi saranno impegnati nella ricognizione di questo territorio, al fine di conoscere chi lo abita e di scoprire il rifugio di colui che ha ucciso orribilmente i nostri uomini? Sono sicuro che avrai già una idea chiara in merito, per cui ci tengo a conoscerla anch'io. Per favore, ti va di illustrarmela, amico mio?»

«In verità, Tionteo, per il momento non lo so neppure io. Sarò in grado di rispondere alla tua domanda, solamente dopo che avrò appurato un particolare riguardante il nostro nemico. Esso, se devo esserti sincero, mi preoccupa non poco e, in pari tempo, mi fa temere il peggio nei prossimi giorni, almeno per quanto riguarda voi tutti!»

«A cosa ti riferisci, Iveonte? Vuoi forse accertarti se l’uccisore dei tre Lutros abbia anche l’idoneità al volo, oltre all'invisibilità, visto che non sono state rilevate le sue tracce sopra il terreno, tipo orme oppure macchie di sangue? Ammesso che scoprirai che il mostruoso essere sa anche volare, dopo come ti comporterai nel combatterlo?»

«Non ti sei affatto sbagliato, Tionteo. Se gli immediati dintorni non daranno segni evidenti del suo passaggio, bisognerà ammettere che il nostro nemico ricorre al volo nei suoi spostamenti. In tal caso, sarò costretto a condurre da solo le ricerche, che avranno come obiettivo primario il suo ritrovamento e poi la sua uccisione.»

«Intanto che eseguirai le tue ricerche lontano da qui, Iveonte, e noi staremo ad attendere che tu riesca nel tuo proposito, io e gli altri cosa dovremo fare nel nostro campo? Hai messo anche in conto che potremmo essere assaliti di nuovo dal nostro nemico, il quale non avrebbe difficoltà alcuna a seminare ancora una strage orribile tra di noi? Allora, a tale riguardo, quale precauzione prenderai per difenderci?»

«Certo che ho previsto anche questa eventualità, Tionteo! Ma voi non dovrete preoccuparvi di un fatto del genere, siccome vi lascerò in una botte di ferro, dove nessuno potrà arrecarvi del male, da qualunque parte dovesse presentarsi la minaccia! Nel medesimo tempo, però, sarà limitata anche la vostra libertà di movimento!»

«Per noi che resteremo al campo, Iveonte, questa è una bella notizia! Ma mi riveli come farai ad attuare tale espediente? Mi pare impossibile che tu possa riuscirci!»

«Tionteo, dopo avervi fatti sedere tutti quanti in un’area circoscritta, darò ordine al mio anello di rinchiudervi in una specie di campana energetica, alla quale nessuno potrà accedere dall’esterno; né voi potrete uscirne, se ve ne venisse la voglia. In questo modo, se da una parte vi sarà negata la libertà di potervi muovere in un luogo meno angusto; dall’altra, vi sarà garantita la piena incolumità! Hai forse dimenticato che ad uno stratagemma simile nel nostro campo sono già ricorso una volta? Allora funzionò perfettamente! Già, come puoi ricordarlo, se lo applicai a vostra insaputa, non facendo accorgere nessuno di esso?»

«Mi dici in quale occasione, Iveonte, lo applicasti e perché fosti costretto a ricorrere al tuo anello? Ti dispiace riferirmelo, perché io ne prenda coscienza adesso?»

«Ciò avvenne, quando i cavalli del mago Zegovut vennero a prelevare i Lutros per farli diventare Cavalieri Ombre. Ma essi, siccome il mio anello li aveva rinchiusi in una campana energetica, non furono in grado di raggiungerli e di trasformarsi come volevano.»

«Adesso ricordo, Iveonte! Allora, se nel nostro campo aggiusterai le cose come facesti quella volta, senza che ce ne accorgessimo, dopo che sarai partito da qui, io, Speon e i Lutros non avremo nulla da temere nel campo. Se ci tieni a saperlo, amico mio, vi avvertiremo unicamente la tua sgradita mancanza! Comunque, lo sopporteremo con pazienza!»

Al termine della colazione di gruppo, Iveonte, prima ancora di avventurarsi nella parte remota di quel bosco che era avvolto dall’arcano, decise di ispezionare i dintorni del loro campo. Così avrebbe avuto la certezza di ciò che fino a quel momento era stato soltanto vagamente sospettato. Quando poi ritornò alla base, egli era in compagnia di tre facce sconosciute; ma nessuno riusciva a rendersi conto se esse vi facevano il loro ingresso spontaneamente oppure venivano forzate dall’eroe a trasferirvisi malvolentieri. Allora per chi volesse esserne messo al corrente, era stato il giovane a sorprenderli in prossimità del campo, mentre spiavano abbastanza da vicino coloro che l’occupavano. Per la verità, essendo nudi e disarmati, i tre indigeni non avevano spinto il loro scopritore a considerarli né dei potenziali assassini né degli uomini pericolosi. Ugualmente, però, lo avevano fatto ricorrere al loro sequestro cautelativo, ingiungendogli di seguirlo nel suo vicino accampamento. Secondo il nostro eroe, tra le persone da lui catturate e i fatti di sangue che erano avvenuti nel loro accampamento, doveva esserci senz’altro una correlazione. Per la quale ragione, egli intendeva scoprire di che natura essa fosse, attraverso un serrato interrogatorio. Così aveva voluto prelevarle dal luogo in cui esse si tenevano acquattate. A dire il vero, egli ignorava ancora se vi si nascondessero per pura paura oppure soltanto a scopo perlustrativo, per darsi successivamente ad eventuali aggressioni insieme con altri.

Quando infine li ebbe condotti nella sua tenda, dove lo aveva seguito l’amico terdibano, per prima cosa, Iveonte li squadrò da capo a piedi, al fine di studiarseli meglio. Cessata poi la sua provvisoria ricognizione psichica e fisica sui tre soggetti aborigeni, il giovane eroe, dopo avergli permesso di coprirsi alla meglio per non farli sentire a disagio, gli si espresse con queste parole:

«Poiché ho da farvi varie domande, sconosciuti, vorrei che almeno uno di voi, dopo avermi palesato il suo nome, si mettesse a mia disposizione, dandomi delle risposte precise su ciò che ho intenzione di apprendere da voi tre. Allora mi sono spiegato abbastanza oppure mi tocca ripetervelo ancora una volta per farvelo comprendere bene?»

Quello che appariva il più anziano dei tre forestieri da lui fatti prigionieri, dopo essersi prostrato ai suoi piedi, con fare in un certo senso ossequioso, incominciò a dirgli:

«Mi presto subito a parlarti io, anche a nome dei miei fratelli, inclito eroe, che sei protetto dagli dèi. Il mio nome è Ekuob ed appartengo alla tribù degli Zeiv. Per favore, dimmi che sei tu l’invincibile guerriero che stiamo cercando, confermandomi anche che il mio intuito non mi ha ingannato! Tu non sai quanto sei indispensabile al nostro popolo, il quale è da anni vittima di un dio malefico, che tu solo potrai sconfiggere!»

A quelle prime parole dello sconosciuto, Iveonte innanzitutto invitò il suo interlocutore a rialzarsi da terra e a stare in posizione eretta davanti a lui, non essendo egli una divinità. Successivamente, molto incuriosito dal suo parlare, gli fece presente:

«Come vedo, Ekuob, le domande che ho da rivolgerti sono aumentate di numero, dopo che mi hai rivelato che la tua gente stava aspettando la mia venuta in queste terre. Su questo particolare, però, non voglio ancora farti rispondere, avendo da chiederti altre cose ben più importanti in questo momento. Spero proprio che sarai in grado di darmi delle risposte giuste in merito! Stanotte nel nostro campo ci sono state tre orribili uccisioni da parte di ignoti ed io desidero sapere da te se ne siete a conoscenza e, in caso affermativo, se puoi dirmi anche chi ne è stato l’esecutore oppure ne sono stati gli esecutori materiali. Ma prima che comincino a pervenirci le tue risposte, ti metto al corrente che il mio nome è Iveonte e quello del mio amico qui presente è Tionteo.»

«Certo che siamo a conoscenza dell’assassinio di coloro che erano di guardia nel vostro campo, Iveonte! Io e i miei fratelli ne siamo stati i testimoni oculari. Se lo vuoi sapere, le vittime designate di quella strage eravamo io e i miei due germani, i nomi dei quali sono Versut, il più alto, e Busus, il più basso. Invece, a causa di uno scambio di persone, ci sono andati di mezzo i tuoi uomini! Perciò vi chiediamo perdono!»

«Vuoi dirci chi è stato ad ammazzarli con tanta mostruosità, Ekuob? Come pure vorrei sapere da te come mai egli non ha lasciato tracce di sé sul suolo. Non sarà mica dotato di ali? Inoltre, dovresti chiarirmi quest’altro fatto strano: perché uno dei miei tre uomini uccisi, mentre era moribondo, mi ha rivelato che non aveva scorto nessuno che lo colpiva per tre volte consecutive? Eppure due dei colpi, quelli che formavano una X, gli erano stati inferti sulla parte anteriore del tronco, ossia nella regione toracica! Com'è possibile un fatto del genere? Io non riesco a spiegarmelo in nessun modo!»

«Pensandoci bene, Iveonte, siccome siamo venuti da te per informarti delle disumane traversie che il mio popolo è costretto a patire da circa un secolo e per chiederti anche l'aiuto di cui abbiamo bisogno, mi conviene narrarti la storia degli Zeiv relativa a quest’arco di tempo. Alla fine della mia narrazione, ti assicuro che avrai le risposte a tutte le varie domande che mi hai posto in questo istante. Se dopo ci fossero ancora dei punti oscuri che vorresti aver chiariti da me su qualche sua vicenda, non esitare a farmene richiesta. Ti garantisco che mi metterò a tua completa disposizione, pur di non lasciare inappagata la tua sete di conoscenza sul caso in questione. Ti sono stato chiaro per adesso?»

«Meglio di così non avresti potuto esprimerti, Ekuob. Perciò, puoi dare inizio al tuo racconto, poiché il mio amico ed io siamo ansiosi di ascoltarlo! Dopo, se mi sarà possibile, farò di tutto per togliervi dai guai e per vendicare i miei tre uomini. I quali forse sono stati uccisi dalla stessa divinità, che è la vostra aguzzina.»

Giunti a questo punto, siamo obbligati a seguire la travagliata odissea del popolo zeivino, la quale già ci lascia prevedere che assisteremo ad eventi di una drammaticità assurda a danno di un popolo derelitto. Essi, per il loro tragico aspetto della realtà, senza meno riusciranno a scombussolarci l’animo e a frastornarci la mente, fino a spingerci ad aborrire il senso stesso dell’umana esistenza. Ebbene, nella nuova storia, esso ci si presenterà traviato e discordante al massimo dal nostro modo di vedere e di concepire la realtà. Perciò ci daremo ad ascoltare il racconto di Ekuob, intanto che egli farà dipanare con tono pietoso le sue raccapriccianti sequenze. Le quali formeranno un unico mosaico eterogeneo, fatto di eventi penosi, di atti obbrobriosi e di circostanze truculente. Per tale motivo, alla fine esse potranno unicamente riscuotere la nostra unanime condanna.