335-IVEONTE RISTABILISCE LA LEGALITÀ NEL VILLAGGIO DI TARDUNUK
Il giorno dopo, Iveonte e Tionteo si svegliarono, quando l'alba era quasi incerta a farsi avanti. I suoi sbiaditi e tenui chiarori si mostravano ancora sonnacchiosi, per cui non volevano sentire parlare di destarsi e liberare il firmamento dal nerume notturno. Ma dopo che i due giovani ebbero ultimato le abituali faccende che si avevano con la sveglia, dal cielo erano scomparse sia l'alba che l'aurora, essendo venuto a dominarvi ovunque un mattino splendido e superbo. Anzi, quest'ultimo aveva indotto anche le due persone anziane, le quali erano Mendus e Tesofet, a prendere congedo dal sonno. Allora tutti insieme si misero a sedere intorno al desco, allo scopo di consumarvi una squisita e sostanziosa colazione, la quale era stata preparata dal padrone di casa. Mentre poi si mangiava con appetito, ad un tratto, Tionteo domandò all'amico:
«Iveonte, vuoi essere così gentile, da dirmi quando ci recheremo al villaggio dei Tardun, dove abbiamo l'appuntamento con Obluz e con i cervellotici giovani che gli fanno da scorta?»
«A tale riguardo, Tionteo, devo farti presente che oggi sarò soltanto io a lasciare questo posto e a raggiungere il villaggio tardunese. Invece tu rimarrai qui a far compagnia a Mendus e al suo amico, i quali hanno iniziato ad esserci entrambi molto simpatici.»
«Come mai, Iveonte, hai preso una decisione del genere all'improvviso? Quali sono i motivi, che ti hanno spinto ad estromettermi dall'incontro, che noi due avevamo con Obluz?»
«Essi possono essere tanti, amico mio, anche se nessuno in particolare. Comunque, ti vedo più al sicuro qui, dovendo avere a che fare con i giovani dell'intero villaggio. Diversamente da me, tu potresti correre dei pericoli, considerato che in Tardunuk con molte probabilità ci saranno parecchi agguati mortali. Lo sai bene anche tu che in esso oramai circola una gioventù sbandata, oserei dire totalmente bruciata. Essa sarà pronta a colpire di nascosto, senza farsi né avvistare né annunciare, mentre si dà a farlo con cattiveria e con sadico piacere!»
Alle affermazioni di Iveonte, Mendus si sentì obbligato ad intervenire nella conversazione dei due giovani amici, siccome aveva intenzione di esprimere la sua opinione in proposito. La quale, a suo avviso, era abbastanza logica. Perciò si diede ad obiettargli:
«Iveonte, perché mai non dovresti correre gli stessi rischi di Tionteo? Mica sei invulnerabile, per essere sicuro di potere schivare le loro armi senza alcuna difficoltà! Secondo me, insieme ve la caverete molto meglio, come anche tu dovresti esserne convinto!»
«Mendus,» lo riprese Tionteo «il mio amico sa quello che dice e quello che fa, per cui è mio dovere ubbidirgli, attenendomi a quanto egli mi suggerisce. Se non lo sai, pericoli per lui non ce ne potranno essere di nessun tipo. Altrimenti, non avrebbe fatto a meno del mio aiuto. Ma tu non puoi comprenderlo, non conoscendo Iveonte e quanto lo concerne!»
«Tionteo, se sei tu stesso a giustificare il tuo amico, circa quanto ha stabilito di fare, mi arrendo, non sapendo più come pensarla. Ad ogni modo, sebbene non ci abbia compreso un accidente del vostro colloquio, a questo punto ho la certezza che il generoso Iveonte di sicuro sa il fatto suo. Inoltre, mi dichiaro persuaso che egli ha tutti i mezzi per convincere chiunque non sia della sua stessa opinione! Adesso ti sta bene così?»
«Ora sì che hai ragionato da persona saggia, Mendus! A tale proposito, sai cosa ti dico? Convinciti che la tua fede in Iveonte saprà ricompensarti, come neppure immagini! Io sono uno di quei pochi che conoscono le sue reali possibilità, per cui le reputo illimitate!»
Dopo le ultime parole dell'amico, Iveonte si alzò da tavola per raggiungere il suo cavallo; ma Tionteo lo seguì, poiché non intendeva farlo partire, senza salutarlo caldamente ed augurargli di riscuotere il solito successo da quella sua nuova missione. Quando poi l'amico si incamminò a cavallo alla volta di Tardunuk, i raggi del sole si stavano già sparpagliando sul fertile terreno dei campi. A tale proposito, non c'era dubbio che, con la loro prodigiosa irradiazione di luce e di calore, essi vi apportavano il loro tepore vivificante. Ci stiamo riferendo a quello che risultava ai semi e ai germogli della campagna una inesauribile fonte di vigore e di crescita. Avanzando poi in direzione del villaggio, Iveonte si mostrava alquanto preoccupato. Abominava l'ipotesi che egli potesse essere costretto dagli eventi a fare strage di un numero considerevole di giovani tardunesi. Perciò sperava di riuscire ad avere uno scontro solamente con il loro capo Obluz. A suo parere, una volta tagliata la testa al serpente della locale malavita, quest'ultima avrebbe cessato di esistere. Così avrebbe ridato ai giovani il ruolo di cittadini giusti, laboriosi ed onesti, ossia alieni da qualsiasi forma di delinquenza. Probabilmente, come anche il giovane lo ammetteva, la sua supposizione poteva anche non dimostrarsi veritiera. In quel caso, il problema dell'eccidio di massa sarebbe venuto a riproporsi ineludibile e drammatico. Ma egli avrebbe avuto almeno la certezza che gli incoscienti giovani non si sarebbero mai piegati ad alcun patteggiamento con le buone maniere. Mentre procedeva verso la sua meta, rifacendosi al discorso di prima, Iveonte era convinto che, dopo esservi giunto, essi avrebbero tentato di combinargliene di tutti i colori, ricorrendo alle loro bravate assurde ed irresponsabili. In quel caso, sarebbe stato obbligato controvoglia a giocarsi la sua carta vincente, pur di indurli a rinunciare al loro deviante egocentrismo, evitando così un inutile spargimento di sangue.
Il nuovo ingresso di Iveonte in Tardunuk non fu come il precedente, ossia come quando egli e l'amico Tionteo, pur attraversando varie vie del villaggio, erano stati lasciati indisturbati fino all'abbeveratoio. Adesso, invece, di tanto in tanto, qualche combriccola di malviventi, sbucando da un vicolo laterale, gli si avvicinava di repente e del tutto innocua. Subito dopo, però, urlando e minacciando, essi se la sgattaiolavano precipitosamente. Di tali incontri provocatori, il giovane ne dovette subire almeno una decina. Comunque, fino al luogo dove era fissato l'incontro con Obluz, essi non riuscirono mai a fargli perdere la calma e la pazienza. Se invece ne fossero stati capaci, lo avrebbero costretto a reagire con interventi drastici e convincenti, i quali ovviamente sarebbero risultati tutti a loro discapito. Pervenuto infine all'abbeveratoio, il giovane eroe innanzitutto pose la sua bestia in condizione di potersi dissetare in piena libertà. In seguito attese dei segnali più lampanti da parte della gioventù locale, sia che fossero di conciliazione sia che dimostrassero una intransigenza assoluta! Egli, però, non aveva dubbi che presto i giovani tardunesi si sarebbero presentati e gli avrebbero comunicato le loro reali intenzioni, in completa autonomia dal capo dei capi.
Era trascorsa un quarto d'ora, da quando Iveonte attendeva fiducioso nel posto che conosciamo, allorché giunse Obluz con un sèguito di cinquecento giovani a cavallo, tutti armati fino ai denti. Durante la notte, egli aveva cambiato idea e, come scorta, non aveva più considerato bastevole il centinaio di uomini che aveva preventivato in un primo momento. Spalleggiato com'era da un numero così ingente di sgherri, ora credeva di poter dettare le sue leggi allo straordinario forestiero. A suo giudizio, quantunque le sue referenze si presentassero ottime, giammai egli avrebbe potuto averla vinta contro i suoi armigeri, i quali, oltre ad essere valorosi, formavamo un numero ingente. Per questo avrebbe senz'altro desistito da ogni proposito di farsi valere e di imporre la sua supremazia nel loro villaggio. Così, dopo che ebbe fatto sistemare i suoi cavalieri intorno alla piazza, il quale esorbitante dispiegamento di forze aveva mirato ad accerchiare Iveonte e ad evitargli ogni possibilità di fuga, Obluz si rivolse al forestiero ed iniziò a parlargli in questo modo:
«Uomo senza cervello, eccomi qui a recarti la mia risposta, come ti ho promesso ieri! Ne sei contento? Ma prima voglio sapere da te perché mai oggi ti sei presentato da solo, senza farti accompagnare dal tuo amico. Ha forse egli avuto fifa e ti ha piantato in asso?»
«Invece, Obluz, lui non c'è, unicamente perché ho previsto che stamattina ti saresti presentato con un numero soverchiante di accompagnatori, come hai fatto. Constato che non mi sono sbagliato! Ciò che non conosci, però, combattente imbelle, è un particolare che adesso ti faccio presente. Se siete venuti per affrontarmi in tantissimi, il vostro numero è ancora insufficiente per avere la meglio su di me. Anzi, voi non sareste bastati, neppure se vi foste presentati in mille o in tremila o in cinquemila! Ti ho reso bene il concetto, avendoti schiarito abbastanza le idee a tale riguardo? A questo punto, se mi fai ascoltare la risposta che hai da darmi, dopo saprò quale atteggiamento assumere nei vostri confronti! Dunque, mettiti a riferirmela, per favore!»
«La nostra risposta è un secco no, ingenuo inviato di Mendus, perché non possiamo accettare che qualcuno venga a dirci come dobbiamo comportarci in Tardunuk, che è il nostro villaggio. Specialmente se egli non è neppure un nostro conterraneo, bensì un forestiero da strapazzo! Adesso hai appreso come la pensiamo noi giovani di questo villaggio?»
«Ma i tuoi uomini, Obluz, sono al corrente che sei un vigliacco e che hai paura di affrontarmi ad armi pari? Essi sanno anche che fai il capace e il forte con i soli pivelli come loro? Oppure intendi smentirmi, battendoti animosamente con me? Perciò ti sfido, essere privo di orgoglio e con il timore che ti balla nell'animo. Vile canaglia, se hai fegato e vuoi dimostrarlo ai tuoi uomini che hai condotti qui con te, battiti con me e dammi soddisfazione! Altrimenti essi non avranno più fiducia in te!»
Alle parole di sfida di Iveonte che erano state lanciate al loro capo, da tutti i giovani assiepati in piazza, partì un coro unanime di voci. Esse non smettevano di incitarlo così: "Obluz, accogli la sfida del forestiero! Obluz, dimostragli quanto vali! Obluz, puniscilo, come sai fare tu! Obluz, fallo pentire delle accuse infamanti che ti ha mosso contro ingiustamente! Obluz, noi crediamo in te e dimostraci che siamo nel giusto!"
Di fronte agli incitamenti dei suoi giovani arditi, i quali lo consideravano fortissimo ed invincibile, egli, pur prevedendo che ne sarebbe stato battuto con facilità, fu costretto ad accettare la sfida del suo avversario. Oramai, per come si erano messe le cose, non poteva sottrarsi a quello scontro, ingiungendo ai suoi uomini di aggredirlo e di ucciderlo, al posto suo. Se lo avesse fatto, avrebbe perduto la faccia dinanzi a tutti loro e alla fine il suo carisma sarebbe andato a farsi friggere per sempre! Oltre a fare tali considerazioni, Obluz si rivolgeva vari interrogativi, tra i quali i seguenti: Chi era quel guerriero, il quale, a suo parere, sapeva il fatto suo? Da dove egli proveniva? Come aveva fatto a conoscere Mendus? Non era mica un parente di Leruob, con il quale aveva una certa somiglianza? Oltre ai suoi tratti somatici, aveva la sua medesima sicurezza e l'identica sua determinazione nell'esprimersi e nell'agire! Infine, accantonate le sue tante osservazioni e domande in merito allo sconosciuto suo sfidante, egli gli esclamò:
«Ebbene, sia! Obluz non solo non ha mai rifiutato una sfida, ma ha anche fatto pentire sempre il suo sfidante, infliggendogli una clamorosa sconfitta. Anche stavolta sarà identico il risultato del suo scontro contro chi ha avuto l'ardire di sfidarlo! Te lo posso garantire con sicurezza matematica, forestiero! Tutti i miei uomini presenti mi siano testimoni!»
«Bravo, Obluz!» gli gridò Iveonte «Accettando di cimentarti con me, ti sei dimostrato degno di essere un vero capo. Altrimenti, i tuoi uomini si sarebbero vergognati di te e non ti avrebbero più considerato l'indiscusso capo carismatico, quello che attualmente rappresenti per loro tutti! Adesso, però, dovrai anche dimostrare con i fatti che riesci sempre a vincere, quando ingaggi un combattimento con chi ti ha gettato il guanto. Se ne sei capace, dovrai stritolare il tuo avversario, che in questo caso sarei io, come è solito fare il gatto con il topo!»
«Certo che tra poco te lo dimostrerò, emerito spavaldo! A costo di frantumare i vari monti circostanti, non mi smentirò! Farò di te un tritume di carne e di ossa, anzi una vera poltiglia delle tue budella!»
Così dicendo, Obluz si scagliò con grande irruenza contro il suo sfidante, il quale adesso cavalcava anch'egli il proprio cavallo e stava studiando le mosse di chi molto presto lo avrebbe assalito. Il cozzo, che ne seguì, fece paurosamente impennare le due bestie, per cui Obluz fu disarcionato dal suo focoso quadrupede nero. Il nostro eroe, invece, rimase saldamente inchiodato sulla groppa del suo cavallo. Ma egli ne scese subito dopo, volendo rinunciare ad ogni posizione di vantaggio, mentre combatteva con il suo perfido avversario. Quando poi furono l'uno di fronte all'altro, entrambi si diedero a studiare i passi del proprio rivale, cercando di prevederne le possibili future mosse di attacco. In verità, era il solo Obluz ad assumere un simile atteggiamento, dal momento che Iveonte non aveva nulla da temere da un essere insignificante, quale si dimostrava il suo antagonista. Egli, invece, si dedicava esclusivamente ad imitarne gli spostamenti, con l'intenzione di frustrargli qualunque azione offensiva che avesse deciso di muovergli contro.
Dopo che Iveonte gli ebbe permesso il confronto, Obluz incominciò a mettere in campo il meglio di sé, ossia l'intera strategia appresa da Leruob, per tentare di mettere in difficoltà il suo sfidante. Tutte le volte, però, ogni sua intraprendenza si risolveva in un nulla di fatto. Il suo forte avversario di continuo sventava i suoi piani, mandava a monte i suoi attacchi, sfibrava i suoi colpi, svigoriva il suo impeto e ne logorava la resistenza fisica, fino a fiaccarla miseramente. Infine, avendo deciso di impartirgli la bella lezione che si meritava, Iveonte iniziò ad attaccarlo come sapeva fare lui, mettendolo subito in serie difficoltà. Con assalti strategici e con colpi disarmanti, lo si vide umiliare il rivale in tutti i modi, facendogli spesso cadere la spada di mano oppure costringendolo ad andare incontro a veri ruzzoloni. I quali concedevano spazio a spettacoli per niente edificanti per lui, poiché lo facevano vergognare davanti a tutti i suoi uomini. Allora essi, vedendolo in quello stato, apparivano molto delusi di lui. Alla fine, dopo averlo ridicolizzato che di più non si poteva, il giovane eroe passò a punirlo, infilzandogli l'addome superiore. Allora il profondo taglio, oltre a farlo barcollare al suolo tra forti vertigini, gli provocò una profusa emissione di sangue dalla bocca, la quale venne meno soltanto con il suo decesso. Trafitto a morte il suo rivale Obluz, Iveonte rimontò rapidamente in sella. Dopo, prima che i suoi uomini si facessero venire delle strane idee, come poteva essere un subitaneo assalto vendicativo, egli pensò di farli ragionare. Così subito si diede a fare a tutti loro il seguente franco discorso:
"Giovani di Tardunuk, avete assistito alla morte del vostro capo, colui che consideravate un campione imbattibile; invece vi ho dimostrato il contrario, rendendovi acefali in poco tempo. Sappiate che non mi trovo qui perché intenzionato a prendere il suo posto; ma mi ha spinto nel vostro villaggio il solo desiderio di farvi rinsavire. La vostra condotta è deplorevole oltre ogni misura, mentre i vostri crimini sono assai esecrabili. In nessuna società civile, esiste un andazzo anarchico così pernicioso, il quale molto presto finirà per portare alla rovina anche tutti voi.
Vi state comportando come autentici despoti con i vecchi, con le donne e con le persone anziane. In più, vi mostrate totalmente inconsapevoli che nel futuro sarete destinati a subire dai vostri figli e nipoti il medesimo trattamento, che oggi voi riservate ai vostri genitori e nonni. Oppure non avevate messo in conto per l'avvenire una simile prospettiva, la quale vi deriverà immancabilmente da loro? Se nel frattempo non lo avete fatto, siete ancora in tempo per farlo, prima che anche per voi si scateni l'inferno, da parte dei vostri citati discendenti! Perciò vi invito a ritornare sui vostri passi, a mostrare la vostra piena resipiscenza, anche se tardiva! Ravvedendovi già da questo momento, vi assicuro che, non solo procurerete a voi un beneficio incalcolabile; ma renderete anche i vostri genitori e i vostri nonni gli esseri più felici del mondo! Vi prometto che sarà proprio così! Secondo voi, se io non avessi la possibilità di ridurvi al silenzio, sarei qui ad affrontarvi da solo? Unicamente uno sciocco autentico potrebbe pensarlo! Io non avrò difficoltà a combattervi e ad uccidervi tutti, se mi obbligherete a farlo; però intendo evitare, a qualunque costo, il vostro massacro. Voglio scorgere i vostri parenti sorridervi, per avervi trovati cambiati, e non dolersi davanti alle vostre salme, per essere stati ammazzati da me!
Tutto, quindi, dipende da voi, poiché soltanto voi potete darmi una mano a realizzare la prima opzione, ossia il vostro cambiamento. Perciò attendo da parte vostra una risposta, che mi riveli quali sono le vostre attuali intenzioni. Voglia il cielo che non mi costringiate ad una mattanza dei vostri corpi! Altrimenti, non riuscirei a concepirla, poiché essa mi sovraccaricherebbe del più insostenibile dei fardelli!"
Quando Iveonte ebbe terminato il proprio sermone altruista, che aveva mirato a salvaguardare la loro salute, sul principio ci fu soltanto il silenzio a regnare in quel luogo. Nessun giovane cercò di ribattere le parole espresse dal forestiero, le quali si erano riferite a tutti loro. Ma poco dopo, intanto che da ogni parte si taceva, facendosi coraggio, il giovane Sapen si rivolse al valoroso eroe, asserendogli:
«Forestiero, uccidendo il nostro esperto capo, hai dimostrato di essere più in gamba di lui nell'uso delle armi. Invece chi ci assicura che saresti pure in grado di affrontarci insieme e di farci fuori tutti? Con la tua bocca puoi affermare ciò che più ti aggrada. Magari puoi dirci pure che sai volare come gli uccelli! Ma se poi non ce lo dimostri con i fatti, le tue parole restano lettera morta! Non sei d'accordo?»
«Mi dici allora, giovane tardunese, a chi di voi verrei a dimostrarlo, se facessi come larvatamente mi hai suggerito di fare, ossia uccidendovi in blocco? Non credi che ai morti non è possibile dimostrare un bel niente? Trovi forse illogico il mio sensato ragionamento? Non lo credo affatto, se gli attribuisci la giusta valutazione!»
«Ciò che hai detto è anche vero, forestiero. Non servirebbe a niente ucciderci, al fine di dimostrarci che puoi debellarci, sebbene siamo molto numerosi. Allora dovrai convincerci in modo diverso, ammesso che tu ce lo abbia un altro! Ma sbrìgati a farlo, prima che noi perdiamo la pazienza e ricorriamo così alle maniere forti, senza tener conto dell'eventualità che potremmo rimetterci tutti quanti la pelle! Mi sono spiegato?»
«Vi basterebbe, giovanotto, se io vi asserissi che sono in grado di volare meglio degli uccelli, tanto per riportarmi all'esempio da te citato poco fa? Oltre ad asserirlo a parole, sappi che posso dimostrarvelo concretamente, senza la minima difficoltà!»
«Vuoi prenderci per i fondelli, forestiero? Non avendolo madre natura dotato di ali, nessun uomo può essere in grado di volare! Perciò noi non ti avremmo mai chiesto una prova simile per convincerci e per farti seguire in ciò che sei venuto a proporci!»
«Invece, Tardun, mi esibirò proprio nella mia facoltà di volare, dato che la ritenete impossibile ad un essere umano! Tra poco lo dimostrerò a te e agli altri giovani qui presenti!»
Fatta l'ultima sua affermazione, Iveonte si sollevò da terra e spiccò il suo salto verso il cielo. Allora i giovani tardunesi presenti lo videro sparire nell'azzurro infinito e ritornarne, dopo pochi minuti di assenza dallo spiazzo del villaggio. Logicamente, a quel volo inusitato effettuato da una persona, essi rimasero esterrefatti e non sapevano come pensarla, riguardo a quel fenomeno che li aveva lasciati a bocca aperta. Ma il suo volo poteva essere considerato una prova che il forestiero era capace di affrontare insieme un ingente numero di avversari per volta? In un certo senso, non proprio. Saper volare non significava, nello stesso tempo, possedere anche delle doti tanto straordinarie nell'uso delle armi, da consentirgli di affrontare un numero così soverchiante di nemici, quale appunto adesso risultava il loro gruppo! Ragionando in quel modo, Sapen decise di giustificarsi con Iveonte dell'errore commesso.
«Non sono più certo, forestiero,» volle chiarirgli, in attinenza all'inusitata prova data da Iveonte «che un volo possa essere pure la dimostrazione di una eccezionale perizia d'armi. Perciò esso non ci è più sufficiente a convincerci che saresti anche capace di ammazzarci in massa, se non volessimo darti ascolto e ci rifiutassimo di collaborare a favore della giustizia! Dunque, dovrai fornirci una prova più attendibile, se vuoi veramente persuaderci ed indurci ad avere in te la massima fiducia!»
«Vuol dire che mi esibirò in un nuovo prodigio, Tardun insoddisfatto! Vedi quei due frassini che si incontrano in direzione dei monti e si elevano fino ad un'altezza di trenta metri? Se mi dici quale dei due vuoi che io distrugga, pur senza muovermi da qui, lo farò subito. Ricòrdati, a tale proposito, che quanto tra poco farò a quell'albero, se lo decidessi, potrei farlo anche contro tutti i vostri corpi presenti in questo posto!»
«Se sarai capace di fare ciò che hai affermato poco fa, forestiero, ti assicuro che dopo ci dichiareremo soddisfatti e non avremo più dubbi sulla tua invincibilità! In riferimento alla mia scelta, dato che per me fa lo stesso, opto per il frassino di destra. Mi hai sentito? Adesso puoi agire e farci vedere che sei capace di distruggerlo!»
Iveonte non si fece attendere molto, prima di operare il miracolo. In un attimo, preso di mira l'albero con il pugno chiuso, ordinò all'anello di disintegrarlo. Al suo comando, partì da esso un raggio bluastro, il quale all'istante raggiunse il frassino e lo avvolse in una fiammata rossastra. Così, dopo che lo ebbe incendiato, lo incenerì e lo fece sparire senza lasciare alcuna traccia. Come ognuno si rese conto, il tutto era avvenuto in una frazione di tempo infinitesimale! A quel prodigio stupefacente, i cinquecento giovani Tardun non ebbero più alcuna esitazione sul conto di Iveonte. Ritenendolo un indubbio guerriero dai poteri prodigiosi, per cui era meglio non contraddirlo oppure inimicarselo in qualche modo, essi gli garantirono che, da quel giorno in avanti, avrebbero radicalmente cambiato vita. Anzi, l'avrebbero adeguata al massimo a quella dei loro parenti, che avevano più anni di loro sulle spalle. Infine, l'uno dopo l'altro, li si videro accostarsi a lui, deporre ai suoi piedi le loro armi e stringergli la mano. Quando poi si fu accertato che pure i restanti giovani di Tardunuk avevano preso esempio dagli altri da lui convertiti, Iveonte ritenne opportuno lasciare Tardunuk. Mentre si allontanava dal villaggio, l'intera gioventù del luogo lo salutò festante e con riverenza. Prima di ripartire da quel luogo, egli si era fatto anche promettere dai giovani che senza meno avrebbero nominato Mendus come loro capo indiscusso.
Il giovane eroe si presentò nella casa di Tesofet all'ora di pranzo. Vi trovò Tionteo e i due anziani Tardun che lo stavano aspettando con ansia. Comunque, essi si riservarono di fargli tutte le loro domande, intanto che pranzavano, come appunto avvenne. Mentre azzannavano le saporite cosce di pollo, le quali erano state rosolate allo spiedo, e tracannavano uno squisito vinello, Mendus domandò all'eroico giovane:
«Allora, Iveonte, in Tardunuk sei riuscito a concludere qualcosa di buono? Oppure i giovani anarchici hanno vanificato ogni tuo sforzo inteso a cambiarvi le cose? Su, per gentilezza, raccontaci tutto ciò che ti è successo nel mio amato villaggio, bello o brutto che sia!»
«Mendus, una volta che vi sono pervenuto, sono stato in grado di risolvere ogni problema nel modo migliore. Adesso vi potrai trovare una gioventù cambiata, la quale aspira a vivere la propria vita fattivamente e nel rispetto delle leggi. Riesce perfino ad intendere il senso della giustizia e ha preso coscienza che, da oggi in avanti, non si dovrà più prevaricare in Tardunuk, dal momento che lo esige la ripristinata legalità!»
«Iveonte, perché un miracolo del genere accadesse, ci dici qual è stato il prezzo in termini di vite umane? Spero non molto salato, poiché una loro ecatombe mi dispiacerebbe immensamente, come già anche tu immagini! Allora me lo riferisci?»
«Se lo vuoi sapere, Mendus, esso è stato praticamente di minima entità! Gli unici a rimetterci la pelle sono stati Obluz e uno dei suoi scagnozzi. Quest'ultimo, però, era stato già ucciso da me ieri pomeriggio, come ti avevo già detto! Adesso ti senti pago del fatto che il problema è stato da me risolto senza spargimento di sangue?»
A quel punto, Tionteo li interruppe, dandosi a gridare gioioso:
«Lo sapevo che Iveonte avrebbe rimesso le cose a posto in Tardunuk! Chi, se non lui, poteva riuscirci? Nessun altro, fra tutti i viventi della Terra! Ve lo posso giurare!»
Mendus, da parte sua, avendo da fare altre domande al giovane eroe, si diede a chiedergli:
«Adesso, Iveonte, nel nostro villaggio chi si assumerà il compito di ripristinare l'ordine pubblico e di riportare ogni cosa alla legalità? Mi sai dire qualcosa anche in merito a questo particolare, per favore? Mi preme esserne informato subito da te!»
«Saranno le persone più sagge ad assumersi tale incarico, a cominciare da te, Mendus! A proposito, al villaggio tutti i giovani tardunesi ti stanno aspettando con sommo piacere, siccome hanno deciso di eleggerti loro nuovo capo, appena sarai in Tardunuk! Essi non attendono altro, per cui devi raggiungerli al più presto!»
«Come mai, Iveonte, il mio popolo ha deciso di scegliere proprio me come suo capo? Secondo me, ci sarà stato il tuo zampino a pilotarlo, indirizzandolo verso la mia scelta!»
«Non ti sbagli, Mendus. Sono stato io a proporti come loro capo prima ai giovani e poi ai loro parenti maturi. Tutti hanno accettato a unanimità la mia proposta e intendono renderla effettiva, quando farai ritorno al villaggio. Perciò domani ti presenterai ai tuoi conterranei e gli dichiarerai che sei disposto ad accettare la carica che ti si offre, siccome hai intenzione di migliorare le cose in Tardunuk.»
«Ti ringrazio, Iveonte, amico mio, di aver fatto il mio nome, poiché ho tanta voglia di dedicarmi al mio villaggio. Non vedo l'ora di migliorarlo in ogni settore, invitando la totalità dei giovani a collaborare con me nel suo fattivo miglioramento! Grazie!»
«Allora faccio gli auguri a te e al tuo popolo, Mendus, perché insieme ritorniate a gustarvi la serenità e la laboriosità passate, con la gioia degli anziani e dei vecchi. I quali adesso si mostrano particolarmente felici!»
«Mendus, mi associo ad Iveonte,» aggiunse Tionteo «nel formularvi i miei migliori auguri di tranquillità e di benessere! Che i Tardun siano sempre sereni, da oggi in avanti!»
«Io vi ringrazio, miei amabili giovanotti, pure a nome del mio popolo, augurandovi un avvenire colmo di successi, siccome ve lo meritate più di ogni altra persona!»
Mendus trascorse il pomeriggio, dandosi ai sogni e ai progetti futuri, avendo in mente di dedicarsi attivamente ai tanti problemi esistenti nel proprio villaggio. Anche durante la cena, l'argomento della loro conversazione, per la maggior parte, fu lo stesso; ma nei vari discorsi, furono toccate anche questioni di tutt'altro genere. Ma poi la tarda notte li fece andare a letto, avendo essi premura di svegliarsi molto presto, i due giovani per un motivo e i due anziani per un altro, i quali ci sono noti.
L'alba era già spuntata, spargendo dappertutto il suo lieve chiarore, quando Iveonte e Tionteo si svegliarono. Allora, fatta colazione e salutati i due simpatici vegliardi tardunesi, essi ripartirono alla volta del loro accampamento. Desideravano raggiungerlo in breve tempo per assicurarsi che ogni cosa vi procedeva bene e per riprendere subito l'interrotto cammino verso la loro meta lontana. Quando infine vi giunsero, era già mezzogiorno. Il loro arrivo riempì di gioia tutti gli uomini del campo; però chi li accolse con particolare fervore fu il loro amico Speon, il quale sedette insieme con loro durante il pranzo. Anzi, era stato Iveonte a chiederglielo, dal momento che egli, nel frattempo che non si fosse consumato il pasto di mezzogiorno, gli avrebbe pure rivolto qualche domanda sul viaggio che stava per essere intrapreso. Difatti, mentre si mangiava, l'eroe si diede a chiedergli:
«Dopo che ci saremo ristorati, Speon, ci rimetteremo subito in cammino, considerato che non intendo far passare altro tempo senza muoverci di qui. Perciò mi riferisci quante giornate di viaggio ci attendono, prima di raggiungere la costa, che si affaccia sul Mare delle Tempeste?»
«Iveonte, ci vorranno al massimo una decina di giorni per giungere in quel remoto posto. Da oggi, avremo la strada spianata davanti a noi e si procederà senza alcun altro impedimento. A meno che gli elementi della natura non interverranno di nuovo a suscitare il finimondo nella medesima zona che verremo a trovarci noi!»
«Speriamo di no, Speon! Comunque, mi interessa altresì apprendere da te se incontreremo ancora altri popoli lungo il nostro cammino. Se la tua risposta dovesse essere affermativa, quali sarebbero di preciso?»
«Sulla nostra destra, Iveonte, ci sarebbero i Berieski, dato che verremo a fiancheggiare il territorio della Berieskania tra poche miglia. Ma non c'è da preoccuparsi di loro, siccome è difficile incontrarli sulla strada maestra, poiché vivono nell'interno della loro sterminata regione. Inoltre, anche se si tratta di un popolo assai bellicoso, i Berieski non sono né rudi né selvaggi. L'attuale loro superum, titolo equivalente a supercapo, è il vegliardo Nurdok. Egli è stato sempre molto saggio e viene considerato dal suo popolo un mitico eroe, per cui esso lo rispetta e lo venera, come se fosse un dio.»
«Se lo vuoi sapere, Speon, io e Tionteo abbiamo già sentito parlare di lui e della sua gente. E non solo adesso che siamo stati presso i Tardun! Può darsi che, di ritorno dall'isola di Tasmina, faremo una visita allo straordinario Nurdok. Adesso, però, ci conviene finire di pranzare e di prepararci poi alla ripresa del viaggio. A proposito, amico mio, non ci hai detto che cosa c'è sulla sinistra della nostra strada maestra, per l'esattezza nei territori che si trovano di fronte alla Berieskania. Saresti così gentile da riferire sia a me che al nostro carissimo amico Tionteo quali popoli li abitano?»
«Se non te l'ho detto, Iveonte, è perché si tratta di una terra senza alcuna importanza, sulla quale non si è mai avuto alcun genere di notizie. Si tratta di una vasta boscaglia sconosciuta, che mai nessuno si è presa la briga di esplorare. Inoltre, non ci sono pervenuti da quella zona allarmi tali, da indurre la gente a preoccuparsene in qualche modo, mentre si trova a transitare per il tratto di strada confinante con essa. Ecco: è tutto qui quello che conosco in merito a tale terra, amico mio, non essendoci altro da dirti!»
«Grazie, Speon, per le informazioni che mi hai fornite! Così, quando riprenderemo il nostro viaggio a pranzo avvenuto, sapremo a cosa andremo incontro per la restante sua parte.»