330-L'ARRIVO DI MENDUS NELL'ACCAMPAMENTO D IVEONTE
Dopo una decina di giorni che si era allontanato dal campo, per andare a combattere contro la Monotriad, insieme con la diva Kronel e il dio Iveon, finalmente Iveonte vi fece ritorno. In verità, egli ignorava completamente per quanto tempo vi fosse rimasto assente; però lo avrebbe appreso molto presto dall'amico Tionteo. Una volta all'interno della propria tenda, il giovane si ritrovò solo nel suo alloggio, poiché Kronel si era già tramutata in spada, per cui adesso l'arma gli restava appesa regolarmente alla cintura. La diva di proposito aveva voluto evitare di salutarsi con il suo pupillo, siccome non se l'era sentita di trovarsi faccia a faccia con lui, dopo quanto c'era stato fra loro due durante il nuovo viaggio temporale. Il fresco ricordo del loro rapporto intimo, il quale si era consumato poco prima all'insegna dell'impudicizia più sfrenata, di certo l'avrebbe messa in grandissimo disagio, se non addirittura in grande imbarazzo. Anche se poi qualcosa del genere era già accaduto qualche altra volta, per essersi trovati in una situazione analoga. Se vogliamo essere obiettivi, non era dispiaciuto neppure al nostro eroe il fatto che ella si era sottratta al suo sguardo, al momento della loro separazione. Così non aveva avuto difficoltà a guardarla in volto, mentre si congedava da lui. Infatti, a causa del recente rapporto sessuale avuto con la sua amabile protettrice, anche il giovane si scorgeva e si sentiva ancora mezzo stordito dall'evento amoroso.
Soltanto dopo che il suo stato psichico si fu normalizzato del tutto, Iveonte uscì dalla sua tenda e si diresse verso quella dell'amico Tionteo. Allora i Lutros, che incontrò lungo il suo tragitto, lo salutarono festosamente e gli diedero il loro caloroso bentornato. Giunto infine a destinazione, l'eroico giovane trovò nella tenda di Tionteo anche Speon. Costui, trattenendosi presso l'amico terdibano, gli stava appunto chiedendo del loro comune compagno. Ma la sua repentina comparsa li mise entrambi in un'agitazione gioiosa e scombussolò le loro psichi nel senso buono del termine. Di lì a poco, l'uno dopo l'altro, se lo abbracciarono con caloroso affetto e stima, mentre gli esprimevano la loro contentezza di averlo di nuovo con loro all'interno del campo. Più tardi, però, il Borchiese dovette lasciare i due amici per incontrarsi con i soliti compagni lutrosini, i quali lo attendevano per trascorrere qualche ora insieme con lui.
A quel punto, Tionteo, approfittando dell'assenza di Speon, si diede a parlare all'amico redivivo. Perciò cominciò a domandargli:
«Dunque, Iveonte, come è andata la vostra missione? Spero che abbiate liberata quella dea poveretta, che ne aveva tanto bisogno! Non puoi immaginare quanto la tua compagnia mi sia mancata nel frattempo! Non vedevo l'ora che tu ritornassi al nostro campo!»
«Essa si è svolta in modo brillante, amico mio! La consorte del divino Iveon è stata liberata e la sua rapitrice ha avuto il fatto suo. In poche parole, essa è stata messa in condizione di non poter più nuocere a nessuna delle divinità di Kosmos! Tale stato di cose continuerà ad esserci per sempre, dopo quanto è accaduto all'aliena!»
«Iveonte, posso sapere che ruolo hai avuto nella vostra straordinaria impresa? Sono certo che è stato di primo piano, non potendo essere altrimenti! Non ho forse ragione ad asserire una cosa del genere? Sono convinto che non mi smentirai!»
«Infatti, Tionteo, non ti sbagli. Ma la nostra impresa è riuscita, solo per merito del mio anello e della mia natura umana! Entrambe le cose mi hanno permesso di sconfiggere la nostra nemica, il cui nome era Monotriad, poiché aveva la prerogativa di essere una e trina allo stesso tempo. Ossia, essa si lasciava vedere a volte con una sola immagine, altre volte con tre immagini identiche, separate l'una dall'altra; però una sola di esse era reale, mentre le altre due erano sue copie fittizie.»
«Iveonte, non ho capito abbastanza bene questo particolare. Per favore, ti dispiace ripetermelo ancora, spiegandomelo daccapo in modo più semplice? Inoltre, come mai la tua natura umana ti ha favorito, dimostrandosi più efficace, rispetto a quella divina dei tuoi compagni di lotta? Ciò mi appare un controsenso, almeno fino a quando tu non me lo avrai reso chiaro e credibile! Perciò sii paziente a parlarmene!»
«La Monotriad, la quale era un essere immateriale, riusciva a rendere impotenti tutte le divinità che le capitavano a tiro, intervenendo sulla loro composizione psichica. Perciò ne avevano già fatto le spese i due esseri divini che lottavano al mio fianco. Sulla mia psiche umana, invece, essendo differente da quella divina, la sua forza catturatrice non ha avuto alcun effetto. La qual cosa, nel frattempo che le mie due divinità accompagnatrici erano in sua balia, mi ha permesso di combattere ad armi pari con la mostruosa creatura e di renderla così innocua. A quel punto, sono tornati ad essere di nuovo liberi anche il dio Iveon e la diva Kronel, poiché non risentivano più della sua nociva influenza. Per concludere sinteticamente, mio caro Tionteo, alla fine la vittoria è stata tutta nostra! Perciò eccomi qui di ritorno tra di voi. L'evento mi ha reso felice come prima, dal momento che lo siete diventati anche tu e Speon!»
«Se hai viaggiato nello spazio, Iveonte, dimmi: hai dovuto volare insieme con i due amici divini? Certo che sarà stato così, se hai dovuto accompagnarli sul campo di lotta!»
«Hai ragione, Tionteo; ma non immagini a quale velocità! Comunque, in alcuni momenti abbiamo dovuto percorrere pure la fascia temporale. Pensa che, al nostro ritorno sulla Terra, io e la mia diva tutelare ci siamo ritrovati avanti nel tempo di oltre quattromila anni! Per cui siamo stati obbligati a viaggiare in esso ancora una volta; ma dopo il nuovo viaggio si è svolto a ritroso. Solo così ci siamo trovati qui puntuali con il mio presente, ossia alla data odierna, per cui posso riprendere la mia vita di sempre in vostra compagnia!»
«Se lo vuoi sapere, Iveonte, tu ci sei mancato solo dieci giorni e non di più. Ma adesso, se non ti rincresce, vorrei conoscere le altre cose che riguardano il tuo viaggio. Il quale, come mi hai affermato, è durato oltre quattro millenni! Sei disposto a riferirle al tuo caro amico, oppure ti è proibito di farle conoscere anche a me?»
«Non serve raccontartele, Tionteo, per il semplice fatto che, se lo facessi, lo stesso non ci capiresti un bel niente. Piuttosto vorrei essere aggiornato da te sui fatti accaduti nel campo durante la mia assenza. Dunque, mi metti al corrente di come avete trascorso questi giorni in cui sono stato assente dal campo? Spero che per voi non ci siano stati problemi di sorta! Comunque, se non me ne hai parlato subito, vuol dire che in esso tutto è filato liscio come l'olio! Non è forse vero che ho ragionato bene, amico mio, perché non potevo pensarla altrimenti?»
«Per nostra fortuna, Iveonte, non ne abbiamo avuti, almeno riferendomi a quelli che non potevano essere risolti in qualche maniera da noi. Per questo motivo, nel nostro accampamento tutto è proceduto nella più piena normalità, ossia privati di rogne e di fastidi!»
Poco dopo Tionteo, quasi volesse rimproverarlo, non volle risparmiarsi di fargli la seguente personale osservazione:
«Così, amico mio, per amor del prossimo, anche in questo caso hai dovuto interrompere per l'ennesima volta la tua missione, nonostante per te essa sia di primaria importanza! Come mi rendo conto, non smetti mai di essere il solito altruista, poiché continui a badare solo agli interessi altrui. Ora ti invito a prendere in considerazione pure i problemi tuoi, che hanno bisogno di essere risolti al più presto! Comprendi questo mio richiamo, che non devi assolutamente considerare un rimprovero?»
«Non darti pensiero, Tionteo, per come vengo obbligato a comportarmi dalle circostanze! Devi sapere che per me la cosa importante è che il tempo venga speso altrettanto in modo prezioso, cioè in opere di bene e di carità, poiché esse rasserenano il mio animo. Non fa niente, se poi rinuncio provvisoriamente a qualcosa che mi sta di più a cuore! Ad ogni modo, tra breve ci rimetteremo in marcia e cercheremo di recuperare almeno in parte il tempo consumato fino ad oggi, senza esserci mossi neppure di un metro. Perciò avvisa gli uomini che, al massimo entro un'ora, il campo dovrà essere smontato, siccome subito dopo riprenderemo il nostro cammino. Tu stesso ti adopererai per attivare la macchina dei preparativi, sollecitando i Lutros ad applicarsi con un impegno responsabile. Essi adesso sono più che riposati, visto che negli ultimi dieci giorni non hanno fatto altro che poltrire. Beninteso, non è stato per colpa loro oppure nostra, se non siamo andati avanti; ma a causa dell'accavallarsi degli eventi che mi hanno coinvolto!»
«Adesso vado all'istante a sbrigarmela con loro, amico mio. Vedrai che li metterò in riga, invitandoli al loro lavoro e facendoli trottare come si deve, considerato che sono stati fino ad oggi ad oziare durante l'intera giornata! Ti garantisco, Iveonte, che i Lutros saranno senz'altro pronti a mettersi in marcia entro il tempo da te stabilito e non ci sarà alcun ritardo nella partenza dovuto alla loro lentezza! A proposito, Iveonte, tu mi hai anche riferito che hai volato insieme con le altre due divinità? Mi dici come hai fatto, se il volo non è una tua prerogativa?»
«Questo lo pensavamo noi, Tionteo; invece, grazie all'anello, io potevo volare e non lo sapevo. Se ne fossi stato al corrente prima, non avrei chiesto ad Arsia di sorvolare la zona alla ricerca della via maestra.»
«Hai ragione, Iveonte. Ma ci devo credere che puoi volare oppure ti stai prendendo gioco di me? Per favore, vorresti dimostrarmelo?»
L'amico gli aveva appena chiesto una dimostrazione della sua capacità di volare, allorché il giovane eroe, dopo essere uscito dalla tenda dell'amico era sfrecciato nel cielo come un bolide e ne era ritornato in un istante. Una volta di nuovo a terra, chiese al Terdibano:
«Allora, Tionteo, adesso ti sei convinto che non scherzavo?»
«Altroché, amico mio! Al tuo confronto, gli uccelli si devono considerare delle vere schiappe nell'arte del volare. Te lo assicuro!»
Intanto che si svolgevano i vari preparativi per la ripresa del cammino, Iveonte si servì di un Lutros per mandare a chiamare presso di sé Speon. Era sua intenzione avere da lui alcune informazioni sulle nuove terre, che avrebbero incontrate nell'immediato futuro. Quando poi gli fu davanti il Borchiese, dopo appena un quarto d'ora che lo attendeva, egli si affrettò a domandargli:
«Sai dirmi, Speon, quanta distanza ci separa ancora dalla costa del Mare delle Tempeste e quali popoli ci restano ancora da incontrare lungo la via che conduce alla nostra meta? Se non ti dispiace, desidererei farmene una mezza idea già da questo momento, poiché così saprò regolarmi come comportarmi per l'avvenire!»
«Oramai, Iveonte,» gli rispose l'amico di Borchio «dovremmo essere vicini alla nostra meta. Per raggiungerla, ci toccherà andare avanti al massimo per una ventina di giorni! Riguardo poi ai popoli che ci restano ancora da incontrare sul nostro percorso, ti dico che non ce ne saranno, siccome la parte rimanente della strada maestra non costeggerà più alcun villaggio. Il più vicino ad essa si trova sulla sua destra ed è quello tardunese. I Tardun sono stanziati sopra un piccolo territorio, il quale è situato ad una ventina di miglia da questo posto. Oltre a ciò, non so cos'altro dirti!»
«Grazie, amico mio, per avermi fornito le informazioni che cercavo. Ora puoi ritornartene dagli altri tuoi compagni, dove continuerai a svolgere l'attività che prima stavi portando avanti nel campo! Inoltre, se dovessi incontrare Tionteo sul tuo cammino, abbi la compiacenza di riferirgli che ho ancora bisogno di parlargli e che lo sto aspettando.»
Quando l'accampamento fu ridotto in some di masserizie aggiustate sulla groppa di una decina di muli, Iveonte ordinò la ripresa del loro cammino. In principio, esso venne ad interessare un sentiero di qualche miglio; poi riprese ad effettuarsi lungo l'ultimo troncone della famosa strada maestra, la quale terminava sulla riva del Mare delle Tempeste. Procedendosi alacremente, da parte di tutti, si sperava che non ci fossero altre interruzioni dovute a nuove vicende. Il cui carattere altamente umanitario, e perciò ineludibile, di sicuro li avrebbe costretti ad interessarsi ancora ad esse.
Oramai erano trascorsi diciassette giorni, da quando la carovana guidata da Iveonte e Tionteo aveva ripreso a viaggiare lungo la strada maestra, la quale procedeva in modo serpentiforme verso nord-est. Il nostro eroe aveva voluto che il cammino giornaliero durasse due ore più degli altri giorni per cercare di recuperare parte del tempo perduto durante l'ultima interruzione. Così facendo, dopo aver superato il nuovo tratto di strada da loro percorso, poteva affermarsi che c'era stato un recupero di almeno tre giorni. Adesso correva il diciottesimo giorno e si procedeva con ritmo spedito, quando Iveonte ordinò la nuova sosta, dovendosi effettuare la consumazione del pranzo di mezzogiorno. Ma essa serviva alle persone e alle bestie sia per rifocillarsi che per riposare. Durante la pausa del pranzo, i due giovani amici erano soliti stare insieme, scambiandosi idee ed opinioni sulle varie problematiche della vita. Alcune volte esse venivano a riguardare pure lo stato fisico e l'umore dei loro uomini. Ebbene, anche in quel lasso di tempo dedicato al pasto, stava appunto avvenendo la medesima cosa. In quel momento di meritato relax, era Tionteo che stava tenendo la parola, facendo osservare all'amico:
«A mio parere, Iveonte, da quando il cammino è stato ripreso da noi, i nostri uomini, a causa delle due ore in più imposte loro, sono stati sovraffaticati oltre le loro forze. Perciò giustamente essi cominciano a risentirne e a dare chiari segni di insofferenza. Se tu fossi d'accordo, dovremmo concedere loro almeno un giorno di riposo!»
«Tionteo, non hai tutti i torti. Da qualche giorno, ho notato anch'io questo particolare riguardante i nostri uomini. Perciò occorre rimediare, prima che a buon diritto lo scontento diventi generale tra i Lutros!»
«Mi dici quale rimedio intendi adottare, Iveonte, per farli riposare e anche per rinvigorire in parte le loro energie depauperate? Appena lo avrai stabilito, sarò lieto di andare ad annunciarglielo. Per questo attendo di apprendere le decisioni che vorrai prendere in merito.»
«Tionteo, riferisci ai Lutros che, per il resto della giornata, resteremo qui a riposare. Inoltre, da domani in avanti, durante ogni giornata non si supereranno più le dodici ore di marcia. Ecco quanto ho stabilito, circa la questione da te sollevata!»
«Sono anch'io d'accordo con quanto hai deciso, Iveonte! Vedrai che i nostri uomini accoglieranno con sollievo i due giusti provvedimenti da te presi, essendo essi molto saggi. Perciò ora corro subito a metterli al corrente di quanto hai deliberato per oggi e per l'avvenire. Le due notizie tireranno su il loro morale! Dopo ti farò conoscere le loro reazioni.»
I Lutros se ne rallegrarono tantissimo, quando Tionteo gli comunicò ciò che il suo eroico amico aveva deliberato, al fine di consentire a tutti loro di riposarsi di più. Così ne approfittarono per organizzare vari giochi e per spassarsela, come se fossero ritornati ad essere dei bambini. Ad ogni modo, il loro gioco preferito era il pignattello, il quale era molto comune presso il loro popolo. Adesso viene spiegato di cosa si trattava e come esso veniva svolto da quelli che vi prendevano parte.
Sopra una linea orizzontale, venivano collocate cinque pignatte di diversa grandezza. Circa la loro posizione su di essa, partendo dal lato sinistro verso quello destro, non era previsto alcun ordine prestabilito. Come si poteva partire dalla più piccola così poteva avvenire l'inverso: insomma, la loro collocazione sulla linea in questione era indifferente. Invece la distanza tra i cinque recipienti di coccio era tassativa, per cui essa non poteva superare una spanna, ossia un palmo. Quanto ai vari concorrenti che giocavano a squadre, dovevano trovarsi sopra un'altra linea parallela a quella delle pignatte e distante da essa sette metri. I giocatori dell'una e dell'altra squadra, lanciando alternativamente delle castagne dalla loro posizione, dovevano cercare di farle entrare nei recipienti di terracotta. I cinque concorrenti di ogni squadra, quando tiravano le castagne per farle entrare nelle pignatte, erano tenuti ad alternarsi: una volta toccava al concorrente di una squadra e un'altra volta toccava a quello della squadra avversaria. Inoltre, il numero sia delle manche di ciascuna competizione che quello dei concorrenti di ogni squadra, erano stabiliti all'inizio della gara; ma non poteva superare il dieci. Il punteggio che veniva assegnato alle pignatte, esso era inversamente proporzionale alla loro grandezza. Perciò più grande era la pignatta che veniva imbroccata, meno punti si attribuivano a colui che riusciva a farvi entrare la propria castagna. Per la precisione, mettendo in ordine le pignatte, dalla più piccola alla più grande, venivano assegnati rispettivamente punti cinque, punti quattro, punti tre, punti due e un punto. Ad esempio, se la castagna di un giocatore entrava nella pignatta più grande, egli otteneva un punto; invece guadagnava cinque punti, se essa entrava in quella più piccola. I punti di ogni pignatta erano indicati sulla sua parte anteriore, perché fossero ben visibili a tutti.
Il gavazzamento, dunque, durava da un paio di ore, allorquando nel campo giunse uno strano forestiero. Egli aveva la chioma a cascata, nonché una lunga e folta barba; mentre i suoi occhi erano lucidi ed espressivi. La sua età non era facilmente intuibile oppure ipotizzabile, a causa della sua capigliatura e della sua barba, le quali entrambe ne nascondevano oppure ne travisavano una parte degli anni. Sostenendosi con un bordone, l'uomo avanzava a piedi, quasi trascinandosi, tra gli sguardi attoniti dei Lutros. Costoro, mentre lo seguivano con gli occhi, si chiedevano in cuor loro chi mai egli potesse essere. Ma poco dopo, quando già si trovava al centro del campo, egli crollò per terra svenuto.
Allora quattro Lutros, prendendolo per i quattro arti e sorreggendolo in posizione orizzontale, lo alzarono di peso e lo trasportarono nella tenda di Iveonte. Egli, in quel momento, si intratteneva con Tionteo e stava discutendo con lui. Ma una volta che si fu accertato che si trattava solamente di un comune svenimento, il giovane eroe invitò l'amico a versargli sul volto un po' di acqua fresca. Così il liquido fece subito effetto, consentendo al loro collassato ospite di riprendere i sensi. A quel punto, l'anziano uomo, nel rinvenire, con una voce quasi spenta, si mise a sussurrare: "Ho fame… ho sete… sono molto sfinito… ho bisogno di tanto riposo… permettetemi di soddisfare tutte queste cose…"
Alle flebili frasi dello sconosciuto, le quali si fecero appena udire da chi poteva ascoltarle, Iveonte si rivolse all'amico e gli disse:
«Quest'uomo è molto debole: si vede che digiuna da molti giorni! Inoltre, il suo organismo si presenta affranto a causa della stanchezza. Tionteo, bisogna fare in modo che egli si rimetta in sesto al più presto, se non vogliamo che ci venga a mancare nel giro di qualche giorno! Chissà quale sarà stata la causa che lo ha ridotto tanto male; ma di sicuro essa non sarà stata buona, se lo ha debilitato così gravemente!»
«Sono d'accordo con te, Iveonte. Perciò adesso provvedo subito a dissetarlo e a sfamarlo, facendogli recuperare le forze perdute in un paio di giorni. Entrambe le cose basteranno a rimetterlo in sesto!»
L'opera filantropica del Terdibano fu paziente e scrupolosa, siccome doveva salvare una vita umana. Alla fine il malconcio forestiero fu messo in condizione di non temere più la morte e di esprimersi ai suoi due benefattori con minore disagio. Allora, essendo riconoscente verso i due giovani per l'ottima ospitalità ricevuta da loro, non appena ebbe la forza di farlo, egli subito desiderò ringraziarli, esprimendosi in questo modo:
«Vi sono grato, generosi giovanotti, per il bene da voi ricevuto. Ero in punto di morte; ma voi non le avete permesso di ghermirmi e di trascinarmi nel regno dei trapassati. Trattandomi proprio come se fossi stato vostro padre, mi avete prodigato il vostro massimo aiuto e le vostre preziose cure, ristorandomi nel modo migliore. Già, mi stavo dimenticando di comunicarvi che il mio nome è Mendus!»
«Invece, forestiero,» gli fece presente il giovane eroe «i nostri nomi sono Iveonte, quello mio, e Tionteo, quello del mio amico. Giacché ci siamo, entrambi ci teniamo a precisarti che non ci devi alcuna gratitudine. Devi sapere che uno dei nostri doveri è proprio quello di fare del bene ai bisognosi, nonché di soccorrere le vittime dei soprusi e delle prepotenze. Adesso, siccome ignoriamo in quale delle due posizioni disagevoli dobbiamo collocarti, vorremmo che ce lo chiarissi tu stesso, palesandoci ogni cosa sulla tua ignota persona. Sei disposto a farlo, senza che la cosa ti crei qualche difficoltà?»
«Se ci tenete a venirne a conoscenza, miei benefattori, come in seguito vi renderete conto da voi, io appartengo all'una e all'altra categoria di persone, per cui sono doppiamente scalognato. Comunque, simpatico Iveonte, le tue parole mi sono suonate a festa all'orecchio e mi hanno fatto scorgere quel sole radioso che temevo di non rivedere mai più, stando a contatto con un giovane. Esse mi hanno convinto che la gioventù non è del tutto marcia e fuorviata; inoltre, mi hanno fatto sperare in un suo futuro cambiamento, dopo che si sarà pentita e ravveduta!»
«Possibile, Mendus, che la tua visione dei giovani sia così pessimistica, per cui non gli concedi neppure un pizzico di fiducia? Sul serio non vuoi ripensarci, iniziando a vederli sotto una luce diversa, che ti predisponga a prenderli a benvolere? Ci dici cos'è che ti ha messo contro di loro, facendoteli giudicare così duramente, quasi fossero dei veri mostri? Non credo che in questo mondo possano esserci dei giovani così cattivi!»
«Iveonte, dopo che ho conosciuto te e il tuo amico Tionteo, si è riacceso in me uno spiraglio di ottimismo nei confronti della gioventù. Ma i tanti pessimi fatti, che mi sono accaduti nel mio villaggio, mi dissuadono dal concedergliene in misura maggiore! Perciò scusami, se non posso fare di più per essa, dopo quanto mi è successo nel mio villaggio!»
«Sono sicuro che hai tutte le tue buone ragioni, per esprimerti in questo modo, Mendus.» gli replicò Tionteo «Ma spesso una nostra presa di posizione si basa su premesse soggettive, le quali magari per altri possono essere del tutto o per niente accettabili. Per questo motivo, prima di assumere un atteggiamento ostile verso qualcuno o qualcosa, ci conviene rivedere più volte le nostre arbitrarie prese di posizione, trasferendole in un contesto più oggettivo. Se questo metodo viene omesso in un nostro giudizio, facilmente possiamo cadere nell'errore. Il quale non smette mai di farci la posta dietro l'angolo più vicino, al fine di ingannarci e di mostrarci il contrario della verità. Ecco come la penso io, quando mi trovo in una simile situazione!»
«A tale riguardo, sono del tuo stesso parere, Tionteo. Credi forse che io me ne sia privato e che non abbia dato la debita importanza a questo aspetto della nostra critica? Invece così non è stato! In qualsiasi modo io abbia esaminato la cosa e da qualunque punto di osservazione abbia preso in considerazione i fatti, fossero essi soggettivi oppure oggettivi, il risultato è stato sempre il medesimo. Dalla mia accurata analisi, alla fine, non mi è provenuta una loro diversa interpretazione o lettura!»
«Stando le cose come affermi, Mendus, allora puoi sentirti con la coscienza a posto, senza necessità di qualche rimpianto o ripensamento! Ciò che eri tenuto a fare, come mi rendo conto, lo hai fatto abbastanza e nel modo migliore. Perciò, avendo tu la coscienza pulita, puoi startene tranquillo, senza costernarti per tutto quanto hai fatto!»
«A volte, Tionteo, non basta avere la coscienza a posto, come tu asserisci, per evitare di essere disturbato da certi eventi, i quali non smettono di dimostrarsi contorti e dissacranti fin dalla loro origine! Purtroppo la verità, nella mia brutale esperienza, è questa e nessuno può cambiarla, neppure ricorrendo ad una bacchetta magica!»
«In un certo senso, Mendus, hai ragione.» interloquì anche Iveonte «Il fatto che ci siamo adoperati con tutto il nostro impegno per salvare la vita ad una persona cara o a qualcun altro che neppure conoscevamo, senza però riuscirci, lo stesso non ci dispensa dall'afflizione, che ci deriva immancabilmente dalla sua morte. Ciò, nonostante la nostra coscienza non ci faccia addebitare alcuna colpa!»
«Hai colto nel segno, Iveonte!» gli esclamò il forestiero Mendus «Non sempre lo stare in pace con la propria coscienza riesce ad esentarci da angosce interiori. A volte esse ci provengono non dal rimorso di colpe commesse, bensì da una ingiustificata supposizione. Essa ci porta a credere che non abbiamo fatto il nostro dovere fino in fondo, se gli altri hanno sbagliato e persistono nel loro errore. È quanto appunto sta succedendo a me da giorni, i quali mi sono risultati brutti come la peste!»
«Quindi, Mendus,» constatò Tionteo «se non erro, credo di aver capito che presso il tuo popolo, nonostante tu ed altri vi siate adoperati fin dall'inizio per arginare la delinquenza minorile, questa alla fine lo stesso ha preso il sopravvento sul resto degli abitanti. Perciò vi ritrovate a far fronte ad una classe di giovani protervi ed aggressivi, che non vogliono assolutamente sentir parlare di leggi e di doveri!»
«È proprio come hai detto, Tionteo! Nel nostro villaggio regna il caos e si è radicata l'anarchia più assoluta. Sono i giovani a dettare le loro leggi, che perseguono soltanto scopi contrari alla ragione e alla giustizia. Essi si dimostrano degli autentici demoni del male e si danno a commettere i più orrendi delitti, restandone impuniti!»
«Ti capisco, Mendus, come pure comprendo la tua collera e il tuo sdegno. Ma adesso ci vuoi dire qual è il tuo popolo e dove si trova il tuo villaggio? Ci farebbe piacere apprendere queste due cose, poiché, se fosse possibile, vorremmo aiutarvi!»
«Io appartengo al popolo dei Tardun, il cui villaggio si trova a dieci miglia da qui, in mezzo ad una valle meravigliosa, la quale è attraversata da due fiumi. I due corsi d'acqua lo fiancheggiano l'uno sul lato di ponente e l'altro su quello di levante. Il mio popolo vive con i prodotti della pesca, dell'agricoltura e della caccia, attività che non gli possono creare alcun problema di sopravvivenza. Anche l'artigianato è abbastanza fiorente e i suoi prodotti vengono smerciati soprattutto nella confinante Berieskania. Il popolo beriesko è molto fiero e bellicoso. Sebbene il loro territorio abbia una estensione venti volte più grande di quella del nostro, in passato i Berieski hanno sempre cercato di annettersi pure le nostre terre. Invece, dopo che il leggendario Nurdok diventò il loro superum, le loro mire espansionistiche vennero meno. Oggi si può affermare che tra i due popoli si sono instaurati degli ottimi rapporti, soprattutto perché i Berieski gradiscono moltissimo i nostri prodotti artigianali. Speriamo che in avvenire essi, una volta morto il loro attuale capo, non tirino di nuovo fuori la loro vecchia ambizione di volere annettersi il nostro piccolo territorio, accendendo così un conflitto!»
«Mendus, perché mai i Berieski dovrebbero pretendere l'annessione del vostro territorio al loro, se allo stato attuale andate d'amore e d'accordo? Ce lo vuoi spiegare?»
«Perché ogni testa ha un suo modo di ragionare, Tionteo. Magari il nuovo superum potrebbe optare per l'annessione del nostro territorio e cominciare così a darci delle grosse noie. Comunque, non serve fasciarsi la testa, prima di rompersela, a dirla con il proverbio. Perciò avrei dovuto fare a meno di pensare ad un simile futuro catastrofico, siccome non se ne prevedono le ragioni. Quindi, chiedo venia, giovanotto!»
«Non fa niente, Mendus, se i Berieski non entravano nel corrente nostro discorso. Ma riguardo al loro capo, mi pare di aver capito che ritenete imminente la sua morte. È forse egli ammalato, se lo credete prossimo a tirare le cuoia oppure mi sono sbagliato a pensarlo?»
«Nessuno può dire quando uno di noi è destinato a morire, Tionteo, siccome si può smettere di vivere a qualunque età. Ma devi ammetterlo anche tu che centodue anni sono davvero un po' troppi, per sperare di campare ancora parecchio a lungo!»
«Altroché, Mendus! Al tempo d'oggi, una simile longevità è di pochissime persone. Ad ogni modo, questo Nurdok deve essere un uomo saggio, oltre che longevo! Non può essere altrimenti, se egli non ha mai preteso di annettersi le vostre terre!»
«La tua intuizione è stata giusta, Tionteo! Secondo quanto appresi da mio padre, Nurdok, fin da giovane, si è sempre battuto per gli ideali di bene e di giustizia. Se a volte vengono commessi atti di abuso e di prepotenza da parte di alcuni suoi soldati, egli non ne ha colpa. Sono convinto che, se il loro capo ne venisse a conoscenza, non esiterebbe a farli impiccare tutti quanti in pubblica piazza!»
«Ti assicuro che nemmeno io ho dubbi in proposito, Mendus!» approvò Iveonte «Ma adesso è giunto il momento che tu ci parli di più del tuo popolo, considerato che desideriamo conoscere i numerosi problemi che oggi lo affliggono. Inoltre, devi anche raccontarci perché ti trovi così lontano dal tuo villaggio e chi ti ha costretto a ridurti nelle odierne condizioni, le quali si rivelano peggiori di quelle di un misero mendicante. Allora, vuoi iniziare a farci un resoconto delle cose che ti ho richiesto? Oppure hai qualcosa in contrario a parlarcene ed intendi esimerti dal farlo senza una giusta ragione?»
«Senza dubbio ci farebbe molto piacere, Mendus,» aggiunse Tionteo «se tu ci narrassi le vicende del tuo popolo e la tua storia personale. Avverto che ti costerà moltissimo farlo, poiché le une e l'altra lasciano sottintendere episodi e situazioni al limite della sopportazione e del dramma! Perciò Iveonte ed io, nelle nostre possibilità, saremmo assai lieti di fare qualcosa per il tuo popolo. Sta a te decidere se permettercelo, parlandocene senza alcuna reticenza, oppure rifiutarti di farlo!»
Gli inviti congiunti dei due generosi giovani alla fine spinsero l'anziano forestiero ad aprirsi ai suoi due filantropi, sebbene sul suo volto si leggesse ancora una manifesta ritrosia a risolversi in tal senso. In verità, cedendo alla fine alle loro richieste che erano senza meno filantropiche, egli intendeva contraccambiare la loro precedente disponibilità ad aiutarlo e a rimetterlo in buona salute, come se fosse stato il loro genitore.