329-IL RITORNO SU ZUPES DEL DIO IVEON E DELLA DEA ANNURA
Dopo che si furono salutati con profondo affetto con la diva Kronel e con l'umano Iveonte, il dio Iveon e la sua divina consorte Annura abbandonarono il pianeta Geo. Dopo essi si diedero a volare attraverso l'infinito spazio di Kosmos con una velocità che risultava la massima consentita ad una divinità minore. Essi non vedevano l'ora di raggiungere il loro pianeta natio e di assaporarne la fragranza delle bellezze naturali, le quali vi risultavano sempre abbondanti. Inoltre, considerato il fatto che il viaggio da loro intrapreso si prevedeva abbastanza lungo, i due coniugi divini stabilirono di frazionarlo in più tappe. Ne avevano previste almeno tre, durante l'intero percorso che li avrebbe riportati a Zupes, dopo essere trascorso un tempo enorme. Così, intanto che avanzavano come bolidi nell'immensità cosmica, essi si mostravano assai paghi di come era terminata la loro travagliata vicenda. Ad entrambi non importava più che erano occorsi un migliaio di anni, prima che essa si concludesse positivamente, grazie all'aiuto di Kronel e di Iveonte! L'uno e l'altra, più che badare al tempo che c'era voluto per farla accadere, adesso rivolgevano la mente al loro presente e al loro futuro.
Soffermandoci sul tempo che stava trascorrendo, essi riuscivano a mostrarsi sereni e a trasfondersi scambievolmente le proprie sensazioni del momento, le quali risultavano gradevoli al massimo e venivano condivise da loro due con sommo godimento. Si trattava del recupero delle loro esistenze interiori, siccome esse per un tempo interminabile non avevano potuto concedersi intimamente e dichiararsi la vasta gamma dei loro desideri pervasi di intensa e sentita passione. Riferendoci invece al loro tempo avvenire, nell'una e nell'altra divinità si manifestava la brama di ritrovarsi al più presto tra le entità divine parenti ed amiche. In quel modo, avrebbero condiviso con esse la felicità, che ora stava fermentando in loro prorompente, dopo essere ritornati a condurre una normale esistenza. Questa, infatti, al momento attuale si presentava priva di ansie e di timori fobici. I quali, per quasi un migliaio di anni, non erano mancati in ciascuna di loro e l'avevano fatta da padroni nei loro animi, che si erano mostrati tremendamente spauriti e sconfortati. Tra le prime divinità, i due coniugi divini avrebbero voluto rivedere gli amati genitori, i quali chissà quanto e come stavano penando per loro, dopo essere scomparsi dalla scena della loro quotidianità, senza rifarsi più vivi così a lungo. Ma anche i giovani amici Ukton ed Elesia restavano indimenticabili nel loro animo e non vedevano l'ora di riabbracciarli. Anzi, desideravano riallacciare con le due giovani divinità i bei rapporti che un tempo si erano instaurati tra loro quattro.
Quanto alle tre soste che avevano deciso di fare, la prima di esse avvenne sul pianeta Lensuk, che orbitava solitario intorno alla stella Melean, la quale era situata nella galassia di Porlusia. Questa si trovava nel settore orientale di Kosmos, in un'area che era da considerarsi ancora parecchio distante da quello che era stato l'ex Impero dell'Ottaedro. Si trattava di un astro spento di modeste dimensioni, avendo un diametro doppio di quello della nostra Terra. Esso presentava una superficie ricca di vari paesaggi, ognuno dei quali metteva in mostra caratteristiche proprie, a seconda della zona che si prendeva in considerazione, potendo essa risultare marina, lacustre, montana e valliva. In quest'ultima, l'idrografia aveva il suo ruolo preminente, nel conferimento alla regione di una panoramicità più o meno suggestiva, per la semplice ragione che anch'essa contribuiva a crearne una parte nell'area che si è presa in considerazione. Sopra Lensuk, come i divini consorti avevano notato fin dal loro arrivo su di esso, era del tutto assente la presenza degli uomini e di altre specie di Materiadi. Invece vi abbondavano forme arcaiche di animali, specialmente tra rettili ed uccelli dalle dimensioni diverse. I quali sovente lottavano fra loro per riuscire a sopravvivere o per assumere il dominio di un ecosistema che sul pianeta si presentava difficile.
La ripresa del viaggio avvenne non molto tempo dopo, da parte del dio e della dea, ossia quando il riposo, di cui avevano fruito, fu considerato appena bastevole per riprenderlo e continuarlo. Il motivo della loro decisione di lasciare in fretta quel pianeta fu il seguente. Quei tanti combattimenti cruenti che si svolgevano sulla sua superficie tra i vari mostruosi animali avevano incominciato a dare un fastidio insopportabile alla dea Annura. Così altri milioni di lucet iniziarono ad essere divorati, attraverso il loro celere volo, dal dio Iveon e dalla sua consorte. Essi viaggiavano, scambiandosi raramente le loro impressioni su quegli spettacoli celesti, ai quali spesso si vedevano obbligati ad assistere lungo il loro immenso tragitto. Comunque, accettavano di buon grado il silenzio cosmico che li circondava, il quale li faceva impegnare a fondo nella loro folle corsa e non permetteva alla conversazione di distrarli, poiché essa avrebbe potuto rallentarne la velocità.
Dopo la nuova traversata, che era risultata abbastanza stanchevole sia all'uno che all'altro, i due viaggiatori divini stabilirono di effettuare la loro seconda tappa sopra Kolkun. Tale pianeta era il meno distante di quelli che orbitavano intorno alla stella Furgiar, la quale si trovava nella zona occidentale della galassia di Abrep. Essa un tempo aveva fatto parte dello smantellato Impero dell'Ottaedro, durante la prima Teomachia, all'interno del quale si erano sistemate le divinità negative. Una volta che vi furono giunti, il dio Iveon e la dea Annura non rinunciarono ad una loro compenetrazione di tipo sessuale. Al termine della quale, essendo sopravvenuto un gradevole rilassamento, essi ritennero utile dedicarsi ad una piacevole conversazione. Il loro intento era quello di parlarsi a lungo e di raccontarsi le tristi vicissitudini che avevano sofferto durante l'interminabile lontananza imposta loro dalla Monotriad.
Invece poco dopo, qualcosa, accadendo all'improvviso sotto i loro occhi, li distrasse dal dolce dialogo appena intrapreso, il quale stava già prendendo quota emotivamente. Proprio mentre le due divinità si davano a rintracciare con la memoria le loro brutte esperienze del millennio appena trascorso, davanti a loro esse scorsero una ragazza seminuda e molto spaventata. Ella, siccome scappava a piedi, probabilmente fuggiva da qualcuno che la inseguiva. La poveretta, non potendo vederli in quanto entità divine, non si era accorta di loro due. Di lì a poco, seguì pure un gruppo di furiosi selvaggi armati di lancia, i quali, con la loro corsa impazzita, facevano intendere che la stavano rincorrendo minacciosi. Di fronte a quanto stava succedendo, la dea Annura, mossa a pietà di lei, domandò al marito:
«Permettiamo che l'acciuffino e la uccidano, Iveon? Oppure interveniamo senza perdere altro tempo a favore della fanciulla, punendo severamente quelli che la inseguono con intenzioni malvagie? Dunque, mi dici cosa dobbiamo decidere in merito a tale evento?»
«Lo sai bene, dolce mia consorte, che è nostro dovere far trionfare la giustizia, ovunque venga calpestata sia dalle divinità negative sia dalla empietà di alcuni Materiadi. Perciò tra un istante, prendendo senza meno le difese della sventurata, farò pentire i suoi persecutori di essersi messi dalla parte della prepotenza e dell'ingiustizia! Ti prometto, Annura, che avverrà quanto ti ho appena dichiarato!»
Alcuni attimi dopo, quando i selvaggi già avevano raggiunto ed accerchiato la ragazza, il dio dell'eroismo, mediante una folata di vento, sollevò fino ad un'altezza inverosimile la trentina di selvaggi assetati di sangue. A quel punto, li lasciò andar giù in caduta libera, facendoli sfracellare al suolo. Permise ad uno solo di loro di salvarsi, perché andasse a riferire agli altri cosa era successo ai compagni, i quali stavano per fare del male alla ragazza. Ovviamente, da quella volta, il suo popolo smise di perseguitarla ed iniziò a considerarla la protetta degli dèi, degna della loro massima considerazione.
Trascorso un certo periodo di riposo, il dio Iveon e la dea Annura lasciarono il pianeta Kolkun e ripresero il viaggio con una grande ansia di pervenire a Zupes. Oramai ne avevano superato i due terzi e si avviavano a coprirne la parte restante, la quale risultava ancora assai consistente. Quando poi la stanchezza si fece avvertire di nuovo dalle due divinità, esse stabilirono di effettuare la loro terza ed ultima tappa sopra Daprus. Esso era il più distante della coppia di pianeti che orbitavano intorno alla stella Gemen. Questa era situata nella parte occidentale della galassia di Kared, la quale un tempo aveva fatto anch'essa parte dell'ex Impero dell'Ottaedro. Daprus, rispetto all'altro pianeta più vicino alla stella madre, aveva doppio movimento retrogrado, cioè sia quello di rivoluzione che l'altro di rotazione. Ammesso che lo strano fenomeno dipendesse dai due movimenti che avvenivano in senso contrario, i suoi abitanti erano tutti affetti da nanismo, per cui non superavano l'altezza di cinquanta centimetri. Ad ogni modo, la loro complessione era proporzionata alla loro altezza, per la qual cosa le varie parti del loro corpo non risultavano sproporzionate tra di loro. Inoltre, i Daprusini avevano un ciclo biologico straordinario, il quale procurava alla loro specie una consistente longevità e l'immunità da qualsiasi malattia. Essi, infatti, potevano vivere fino a cinquecento anni; mentre, all'interno della totale popolazione, risultava ininfluente eseguire il quoziente di morbilità.
Dieci anni prima che vi giungesse la coppia divina, erano sbarcati sopra Daprus un centinaio di Celcidi, i quali erano esseri giganteschi. Alcuni raggiungevano perfino l'altezza di cinque metri. Essi, avendovi trovato degli indigeni di una statura molto limitata al loro confronto, ma ugualmente ominidi, iniziarono a tiranneggiarli fin dal loro sbarco sul pianeta drapusino. Addirittura se ne cibavano, senza farsene scrupolo alcuno, poiché, secondo gli stessi, la loro carne risultava più gustosa di quella di tante specie animali. Ma non erano rari i terribili casi, nei quali essi si davano a seviziarli senza mostrare nessuna pietà. A causa dei Celcidi, perciò, i Daprusini erano costretti a vivere nei bui ed umidi antri, naturalmente quelli che avevano ingressi piccoli e permettevano soltanto a loro di entrarvi. Perciò dovevano rinunciare alla luce del sole per molto tempo, visto che erano poche le ore nelle quali si azzardavano a venire fuori dalle loro cavità, dovendosi procurare cibo ed acqua per sopravvivere. Ma una volta venuti allo scoperto, i poveretti spesso incappavano nelle trappole che gli tendevano i loro nemici colossi. Allora essi erano ben lieti di farli diventare il loro pasto prelibato.
Dal discorso di due Daprusini, che erano nelle loro vicinanze, la cui dimora si trovava proprio a due passi, il dio Iveon e la dea Annura si resero subito conto della loro drammatica situazione. A quanto pareva, essa si presentava tutt'altro che felice, per colpa dei loro cacciatori Celcidi. Allora, mosso a pietà del loro popolo, il divino Iveon stabilì di venire in loro aiuto. Dopo essersi trasformato in un attimo in uno di loro, egli si presentò ai due nani colloquianti, i quali stavano parlottando timidamente sulla soglia del loro antro. Così si diede a rimproverarli entrambi:
«Possibile che avete tantissima paura dei Celcidi? Io, se lo volete sapere, non ne ho neppure un poco! Ma vi assicuro che, appena mi capiteranno tra le mani, li ridurrò come degli scarafaggi spiaccicati da un grosso masso! Il mio nome è Riofus; invece quelli vostri quali sono, per favore? Mi farebbe piacere venirne a conoscenza.»
«Il mio è Sirpen;» gli rispose uno dei due «mentre quello del mio amico è Vurp. Lo sai che mi hai fatto ridere, Riofus, con le tue frasi di prima? Esse davvero mi sono sembrate delle autentiche bravate! Ti sei scagliato contro i Celcidi, come se tu fossi il doppio di loro. Ma sono certo che lo avrai fatto soltanto per scherzare e consentirci di ridere un poco, dopo tanto tormento che ci viene inflitto da chi sai!»
«Perché mai avrei provocato in te il riso, Sirpen? Non credo di aver detto qualcosa di ridicolo con le mie parole! Né sono un tipo, il quale fa il gradasso per mestiere, quando il nemico non gli sta di fronte!»
«Mi dici allora, Riofus, come dobbiamo considerare quella che per noi è risultata una vera guasconata, da parte tua? Come può uno di noi, che siamo più piccoli dei pigmei, affrontare un Celcide e ridurlo anche nel modo che ci hai fatto presente? Devi ammetterlo che è stata una vera esagerazione! Inoltre, ad esserti sinceri, credevamo proprio che tu dicessi apposta, appunto per risollevarci dai nostri patemi d'animo, non potendo essere altrimenti! Se invece puoi convincerci del contrario, riferiscici come attuaresti quanto hai affermato contro un gigantesco Celcide! Magari tu fossi sul serio in grado di farlo!»
«Devi sapere, Sirpen, che sono capace di disintegrare un Celcide, a condizione che tu e il tuo compagno mi stiate sui due lati, l'uno a destra e l'altro a sinistra. Ve la sentite di starmi vicini, mentre affronto i Celcidi e li anniento con la mia potenza insuperabile? Oppure avete tanta fifa che mai fareste una cosa simile, neanche per vedervi salvare la vita?»
«Ah, ah, Riofus! Sei davvero un tipo scaltro! Convinto che mai e poi mai avremmo accettato di starti al fianco, mentre affronti i nostri mastodontici nemici, furbescamente hai trovato il modo di sottrarti alla dimostrazione di quanto ci hai affermato appena un momento fa! Su, ammettilo che è così! Secondo me, non può essere diversamente!»
«Invece non è come pensi, Sirpen! Peccato che adesso non ci sia un odioso Celcide da queste parti, per dimostrarvi che sono all'altezza di sconfiggerlo senza alcuna difficoltà! Pazienza! Vuol dire che sarà per un'altra volta, quando ce ne sarà almeno qualcuno da queste parti!»
«Tu credi, Riofus, che esso davvero non ci sia? Invece ti sbagli a pensarla in questo modo! Alle tue spalle ce n'è uno che viene proprio dalle nostre parti. Se ti giri, puoi scorgerlo pure tu. Ma visto che qui non corriamo alcun pericolo, io e il mio amico ci disponiamo subito ai tuoi lati. Tu, però, sbrìgati a farlo fuori, senza lasciarlo avvicinare di più; sennò ci costringerai a rintanarci rapidamente nel nostro sicuro rifugio!»
Dopo che si fu voltato indietro ed ebbe scorto il Celcide, il quale avanzava verso di loro a grandi passi, il dio Iveon lo puntò con il suo indice destro e fece partire dalla sua punta un raggio azzurrognolo. Allora esso, non appena raggiunse la gigantesca sagoma del colosso assalitore, produsse intorno ad essa una grande fiammata. La quale, in pochissimo tempo, divorò il Celcide e lo fece sparire dal luogo in cui si trovava. A quel fenomeno mirabolante, incredibilmente euforico, Sirpen si diede ad esclamargli:
«Evviva! Lo hai distrutto veramente, Riofus! Scusaci, se prima non ti abbiamo preso sul serio! Adesso io e Vurp siamo dispostissimi a venire con te per dare la caccia ai rimanenti novantanove Celcidi. Così, dopo averli eliminati totalmente in queste zone, libereremo il nostro popolo e gli permetteremo di godersi di nuovo la luce del sole, come avveniva prima della venuta dei giganteschi uomini!»
Fu così che il dio Iveon, sotto le spoglie di un Drapusino, si diede a dare la caccia agli altri Celcidi esistenti sul pianeta e a distruggerli, fino a quando non ne rimase neppure uno. Quando i giganteschi esseri li assalivano per catturarli, egli li disintegrava all'istante. Solo dopo aver preso le difese dei Daprusini, salvandoli dai Celcidi, egli lasciò il loro pianeta e riprese il viaggio alla volta di Zupes con la consorte Annura.
Quando i due coniugi divini posero piede sul suolo zupesino, innanzitutto andarono a trovare i genitori del dio Iveon. I quali, per i lettori che lo avessero dimenticato, erano Orius, il dio del mattino, ed Occen, la dea della sera. Le due divinità furono molto felici di riabbracciare il loro adorato figliolo e la loro amata nuora. Soprattutto gioirono per il fatto che egli era riuscito a ritrovare la moglie e a salvarla, riconducendola a casa. Ma dopo che si furono congedati da loro, essi si recarono a fare visita ai genitori della dea Annura, che erano Soler, il dio del decoro, e Falen, la dea della crescita. Anche per i nuovi due coniugi la sorpresa fu grandissima, per cui non credevano ai loro occhi che fosse vero. L'incontro tra i quattro fu assai emozionante, poiché gli uni e gli altri si profusero in lacrime di gioia e in abbracci carichi di affetto sincero. Condotte a termine tali due visite importanti, avendole ritenute imprescindibili, il dio Iveon e la dea Annura fecero rientro nella loro casa, dalla quale erano rimasti assenti mille anni. Fu necessario un certo tempo, prima che essi si abituassero di nuovo a trascorrervi una normale esistenza. Questa, però, poté solamente spingerli a rievocare i numerosi fatti della loro millenaria e triste vicenda, facendoli immalinconire spesso, per averli essa privati di una infinità di dolci momenti non goduti.
Era da poco tempo che la coppia divina si era insediata di nuovo sul loro pianeta natio, quando entrambi i coniugi avvertirono fortemente la mancanza dei loro giovani amici Ukton ed Elesia, i quali adesso vivevano in Luxan. Essi, anche perché consigliati dal dio Iveon, avevano deciso di andarsene ad abitare nel Regno della Luce, dopo la partenza che egli aveva intrapresa per andare in cerca della moglie Annura. Comunque, il dio dell'eroismo stabilì di andare a trovarli da solo in quel luogo, visto che la consorte non se la sentiva di seguirlo in Luxan. Invece ella preferì restare su Zupes a fare la spola tra la casa dei genitori e quella dei suoceri per rendersi loro utile, tutte le volte che essi ne necessitavano.
Pervenuto al Regno della Luce, il divino eroe fece la sua prima visita all'eccelso dio Kron, nella cui casa trovò pure il divino gemello Locus, il quale era solito recarsi alla dimora del fratello. Essi rimasero sbalorditi nell'apprendere che egli era ricomparso e vollero riceverlo all'istante. Mentre era in loro presenza, fu il divino Kron a rivolgere al loro ospite una batteria di domande, a cominciare dalla Monotriad e dalla moglie Annura. Allora il divino eroe li mise al corrente di ogni cosa inerente ai suoi mille anni trascorsi a dare la caccia alla rapitrice della sua consorte. Al dio del tempo, però, interessò soprattutto il suo incontro avuto con la figlia Kronel e con l'umano Iveonte. Per questo, riguardo a loro due, con una certa sollecitudine incominciò a domandargli:
«Eroico Iveon, vuoi riferirmi come hai trovato mia figlia Kronel? Mi sai dire pure qualcosa sull'umano Iveonte? Quindi, sono stati proprio loro due a permetterti di trovare e di salvare tua moglie Annura? Per il futuro, possiamo stare tranquilli che non si correrà più il rischio di ritrovarci a che fare con una nuova insidiosa Deivora?»
«In merito a tua figlia, eccelso Kron, posso dirti che ella è in ottima forma e fa onore al suo autorevole genitore. Non presenta alcun difetto in niente, così pure si mostra gagliarda e determinata in tutto ciò che fa. In sintesi, è la degna figlia di colui che l'ha procreata! Quanto all'eroe umano, anch'egli è un tipo molto in gamba; posso affermare senza errori che egli, tra gli umani, è il migliore di tutti. Oserei dire che Iveonte, in riferimento al suo eroismo e al suo valore, vale tanto fra gli uomini, quanto io valgo tra le divinità. Insomma, è degno compagno della tua quartogenita, la quale per questo se ne è innamorata e lo ammira più di tutti, tra i Materiadi e le divinità. Essi mi sono stati molto utili nella mia lotta contro la Monotriad; anzi, l'hanno condotta interamente al posto mio, riscuotendo i successi di cui vi ho riferito. Ciò, grazie anche al vostro anello, del quale ha potuto disporre l'eroe umano, e alla prerogativa di tua figlia Kronel, la quale la rende in grado di viaggiare nel tempo. In ultimo, voglio rassicurare voi e tutte le altre divinità che non ci sarà mai più in Kosmos un'altra Deivora. Il motivo? Dopo che il sagace Iveonte ha sconfitto e punito la Monotriad, mi sono dato a distruggere la stella e il pianeta che erano in grado di trasformare in una Deivora un Simbios, il quale è uno strano essere che vive solo in Parakosm.»
Dopo essersi congedato dalle eccelse divinità, il dio Iveon si recò alla casa del grande amico Vaulk, il dio del coraggio, sperando di trovarvi pure il figlio Ukton con la consorte. Infatti, sia lui che la sua Elesia, dopo che avevano lasciato Zupes e si erano trasferiti in Luxan, si erano stabiliti nella casa paterna. La sua apparizione rese immensamente felici tutti quanti, ma di più i due giovani coniugi. Anche qui, volendo essi apprendere ogni cosa sulla sua millenaria disavventura, la pioggia di domande parve non avere più termine, siccome esse piovevano in continuazione da ciascuno di loro.
Rimasto ad essere loro ospite per qualche tempo, alla fine il divino Iveon, un po' perché si sentiva stanco un po' perché gli mancava tremendamente la moglie Annura, stabilì di fare ritorno sopra Zupes. Ma egli non fu la sola divinità a mettersi in viaggio verso il suo pianeta, poiché decisero di unirsi a lui anche Ukton, Elesia e il loro figlio Olin. La loro decisione fu spontanea. Infatti, senza che il divino eroe neppure gliel'avesse ventilata, essa fu presa da loro senza pensarci su due volte, pur sapendo che la medesima avrebbe arrecato un certo dispiacere ai nonni del loro figliolo. Il motivo? Tutti e tre si sentivano portati a vivere una vita all'insegna della semplicità, cioè quella che, a loro parere, essi avrebbero potuto condurre soltanto sul suolo di Zupes, essendo esso il loro caro ed amato pianeta natio.