322°-IL DIO IVEON RIEVOCA LA DEIVORA

Prima ancora di parlarvi della caccia spietata che in questi secoli ho dato alla Monotriad senza successo, conviene che io vi riferisca sulla Deivora e sul rapimento della mia Annura. L’entità aliena non era una creatura appartenente alla realtà di Kosmos, ma proveniva da un universo ad esso parallelo, chiamato Parakosm. Esso si era autocreato, intanto che il nostro Splendor dava origine in Tenebrun al Regno del Tempo e della Materia. La Deivora, quindi, oltre a presentarsi con una natura immateriale, non faceva comprendere se fosse qualcosa privo di pensiero oppure un essere pensante capace di gestirsi da sé. Secondo l’eminente Kron, tra i due cosmi a volte si ha una specie di pressione reciproca, come se tentassero di intersecarsi oppure di invadersi. Invece, là dove essi tentano il contatto comunicativo, cioè nel punto di maggiore compressione, si crea una immensa frattura. La quale, sempre in quella zona, rende comunicanti i due universi paralleli e disomogenei, permettendo ad una parte del contenuto di ciascuno di trasbordare nell’altro universo. Il trasferimento di materiale continua ad esserci, fino a quando Kosmos e Parakosm non allentano la loro mutua pressione. Venuta meno la quale, anche i lembi della loro spaccatura temporanea si saldano di nuovo. Allora la loro saldatura fa in modo che ognuna delle entità cosmiche si riappropri del suo precedente stato di integrità. Ebbene, la Deivora aveva approfittato di una di tali circostanze periodiche per accedere a Kosmos. Ma su di essa e sul suo passaggio nel nostro universo piovevano ancora una infinità di dubbi, poiché non le si riconosceva la capacità di autogenerarsi come essenza immateriale. L’immaterialità, infatti, risultava una caratteristica che non si riscontrava in nessuna creatura di Kosmos, non essendo essa stata prevista neppure dall'onnipotente Splendor. I cui atti creativi avevano riguardato soltanto il puro spirito delle divinità, il quale si trova in Luxan, e la materia degli esseri viventi e non viventi, che si attua nella realtà di Kosmos.

Dunque, anche in Parakosm, in quanto modello perfetto di Kosmos, le cose non potevano andare diversamente da esso. Per cui l’elemento materiale era l’unico a fare da piedistallo alla sua realtà. Ciò lasciava presupporre la materialità della Deivora nella sua fase primordiale, per cui essa faceva immaginare che fosse stata una stella oppure una cometa a renderla esistente, prima che avvenisse il suo cambio di residenza. Invece in seguito, al momento del trapasso e all’interno dello stesso tunnel della frattura, era accaduto l'impossibile a suo totale favore. Ossia, in quel luogo dovevano esserci stati il sovvertimento della dinamica celeste e lo stravolgimento di ogni legge cosmica, a causa dei quali essa si era ritrovata ad essere dotata di una natura differente, ossia immateriale. Così, per un fatto inspiegabile, la Deivora, dopo aver perso la materialità, era divenuta immateriale ed indistruttibile. L'arcana circostanza si era avuta, quando essa non aveva ancora posto piede in Kosmos, indipendentemente da qualunque cosa fosse stata all’origine. Inoltre, la creatura aliena risultava dotata di uno stimolo congenito, che la spingeva ad assumere dimensioni sempre più sproporzionate.

Nel frattempo, avendo individuato nella psiche delle essenze divine il suo fattore di crescita, la Deivora aveva iniziato a dare una caccia spietata alle divinità esistenti nello spazio cosmico, fossero esse positive oppure negative. La qual cosa le aveva fatto dare il nome che sappiamo, poiché esso le si addiceva a pennello. In verità, si poteva anche ipotizzare che la Deivora già fosse stata in Parakosm la terribile entità che dopo dimostrava di essere anche in Kosmos. In questo caso, però, lo stesso non si riusciva a dare una spiegazione plausibile alla sua trasformazione da creatura materiale ad entità immateriale. Se risultava vero che non era possibile immaginare come essa avesse fatto a raggiungere un traguardo simile in Parakosm, non bisognava dimenticare che si conosceva ben poco di quell'universo, il quale era solo una copia di quello creato da Splendor. Ovviamente, non starò qui a dilungarmi su come l’entità aliena avesse fatto ad assumere la sua natura straordinaria. Per questo, evitando ogni discettazione sull’argomento in questione, passo ad inquadrarla in ciò che essa incominciò a rappresentare in Kosmos.

L’ingresso della Deivora nel Regno della Materia e del Tempo, logicamente, non era avvenuto in modo silenzioso e senza che si potesse osservarla. Nello spazio cosmico in cui essa aveva fatto la sua prima comparsa, all’improvviso era venuta meno per intero la preesistente armonia e, al posto suo, vi si era trapiantato il caos totale. La galassia di Trespan, nella quale c’era stato il suo balzo repentino e disarmonico, divenendo la sua prima preda senza scampo, in breve tempo aveva finito per mutare totalmente aspetto. Solamente in seguito, dimostrandosi una forza inarrestabile ed impossibile a debellarsi, la Deivora, a partire da quella galassia, iniziò a rivelarsi la deleteria forza che rappresentava in sé. Perciò si era data a devastarvi l’armonia, che Splendor vi aveva impresso con il suo incipit creativo. A quel punto, i miliardi di stelle solitarie e di sistemi stellari, che vi caracollavano all’insegna dell’ordine e della coesistenza pacifica, a poco a poco cominciarono ad essere soggiogati dalla sua furia tempestosa. Allora la forza aliena gongolava a non dirsi, intanto che li sconvolgeva con la sua azione disarmonizzante ed arrecava alle une e agli altri le calamità più spaventose e rovinose. Inoltre, dando origine all’immenso sfacelo di corpi galattici che impazzavano davanti ad essa, la Deivora mirava al seguente obiettivo: attrarre a sé le divinità che vi risiedevano. L'aliena, infatti, intendeva divorare la loro componente psichica, poiché essa contribuiva a promuovere la sua crescita e la sua potenza distruttiva. Perciò il perturbamento cosmico, che si realizzava nella sua avanzata disastrosa, era soltanto una delle conseguenze della sua smania di raggiungere il suo fine primario. Il quale corrispondeva all’inglobamento delle essenze divine per accrescere con la loro psiche la propria potenza. Così, intanto che le divinità incappavano nella sua fitta ragnatela energetica e venivano trascinate da essa nel proprio nucleo, la Deivora si sbizzarriva ad espandersi nello spazio cosmico. Mentre lo percorreva, essa lasciava dietro di sé uno scenario apocalittico impressionante e di vastissime proporzioni.

Venendo soffocate dall’esistente collasso gravitazionale, le galassie andavano incontro a fibrillazione costituzionale. In quel modo, suscitavano in seno al loro spazio delle contrazioni e delle distensioni a ripetizione. Tali effetti opposti non smettevano di causare alle stelle l’implosione, lo spegnimento, l’accartocciamento e l’annichilimento. Invece ai pianeti e agli altri corpi celesti spenti essi arrecavano la frantumazione, la disgregazione e la dispersione nell'infinito spazio cosmico. Accadeva come se, nella suindicata parte di Kosmos, venissero a spegnersi i creativi riflettori di Splendor. Al loro posto, al contrario, si attivavano i provvedimenti distruttivi ed abbuianti dell'enorme forza oscura. La quale si rivelava una gigantesca falce demolitrice che, senza cessazione, si dava alla sua massiccia azione finalizzata unicamente a distruggere tutto ciò che si manifestava esistente e in via di sviluppo senza fine. In verità, non era bello a vedersi e neppure a sentirsi lo spostamento della Deivora, la cui deforme struttura tentacolare si protraeva in ogni direzione, intanto che continuava a mostrarsi famelica, costrittiva e con un moto uniforme. Essa, mentre si spostava, faceva imperversare intorno a sé dei fenomeni visivi e sonori, i quali, con ogni probabilità, risultavano ai Materiadi sconcertanti, orripilanti e sconfortanti. Quel genere di espressioni fenomeniche visive ed auditive seguitavano così a riddare frenetiche e scombussolanti nello spazio circostante per miliardi di chilometri. Esse parevano mostrarsi precorritrici di uno schianto cosmico senza fine, all’interno di un colossale rovinio assordante e catastrofico. Si trattava di eventi mozzafiato ed avvilenti, i quali facevano scatenare nell’animo degli umanoidi e degli animali le ambasce più costernanti. Inoltre, non si astenevano dall'infondervi un immenso terrore, quello che mai essi avevano vissuto in loro con un’asprezza così fiaccante e logorante.

A quell'epoca, ero impegnato a recuperare i divi Ukton, che era il secondogenito del gerark Vaulk, e la sua ragazza Elesia, i quali si erano persi nello spazio cosmico. Procedendo a zonzo, alla fine essi si erano ritrovati nella zona di Kosmos influenzata dall'inesorabile Deivora, con la quale perciò adesso si avviavano a fare i tristi conti. Dopo esserci pervenuto l'SOS, che i due divi ci avevano lanciato con molta preoccupazione, Vaulk ed io ci mettemmo subito sulle loro tracce, desiderosi di trarli in salvo. Ma eravamo ignari del tipo di pericolo che essi stavano correndo e che avremmo senz'altro corso pure noi, nel caso che li avessimo raggiunti. Esso, infatti, se gli eccelsi gemelli non ci avessero impartito di sospendere il loro recupero, avrebbe fatto trovare anche noi in guai molto seri, poiché ne saremmo stati sopraffatti senza poterci opporre. A malincuore, allora, interrompemmo ogni soccorso ai due sventurati; però non potevamo fare diversamente, non volendo disubbidire agli ordini che ci erano provenuti dall’alto. Ad ogni modo, soltanto dopo ci saremmo resi conto che essi ci erano stati ordinati per salvaguardarci da un temibile nemico. Il quale senza meno ci avrebbe coinvolti nella stessa disgrazia di coloro che desideravamo recuperare per condurli felici sul nostro pianeta.

Durante l'intero tempo che restammo all’oscuro del grave pericolo corso da noi due, vivemmo gli attimi peggiori della nostra esistenza, considerato che essi ci si rivelarono di un abbattimento psichico mai conosciuto prima. Avendo la coppia di divi già penato abbastanza fino a quel momento, non sopportavamo la nostra sofferta decisione di averli abbandonati al loro destino, quando eravamo sul punto di raggiungerli e di trarli in salvo. Ciò, proprio mentre qualcuno o qualcosa si preparava a peggiorare ancora di più la loro bruttissima situazione! Se il nostro stato d’animo non poteva essere definito un prodotto della stizza e del disappunto, senz’altro proveniva dalla nostra collera e dalla nostra pena. Comunque, in tale stato, entrambe le cose si erano messe ad agitarsi, imitando le acque convulse del mare dominato dalla burrasca Nel vederci con le mani legate, i nostri pensieri si tormentavano, non si davano pace, si abbacchiavano, apparivano prostrati, avvertivano uno sconcertante rammarico. Nel frattempo, anche la disperazione si era impadronita di noi e ci fiaccava lo spirito; anzi, sembrava che il peso intollerabile della nostra impotenza ci schiacciasse l’esistenza e ce la mettesse sottosopra. Perciò, durante il ritorno a Zupes, il quale era il nostro amato pianeta, avvertivamo che la nostra psiche era ridotta a pezzi. Trascorrendo il suo periodo più nero, essa si mostrava in preda ad una tirannica amarezza, la quale, poco alla volta, si andava calando in essa, simile ad uno stillicidio di frastornamento e di intossicazione. Ma pur stando così le cose, neppure in quei momenti critici, non ci era venuta a mancare la nostra fiducia negli eccelsi gemelli e speravamo che da loro sarebbe giunto presto l’aiuto necessario per liberare Ukton ed Elesia dalla Deivora. Perciò quella cara speranza si rifletteva in noi, similmente ad un raggio di conforto. La qual cosa, se non altro, ci evitava di sprofondare totalmente nello squallido baratro della resa e della rinuncia obbligate.


Una volta raggiunta la dimora di Vaulk, mentre lui vi restò per dedicarsi ai suoi familiari, io ed Osur ne ripartimmo senza perdere tempo e ci mettemmo in viaggio in direzione di Luxan. In quel luogo, dopo essere stato ricevuto dal dominatore del tempo, egli mi mise al corrente della Deivora e della sua immane pericolosità. Dopo mi fece presente che soltanto io potevo riuscire a debellarla; però prima dovevo essere dotato di straordinari poteri, quelli che egli e il suo germano stavano per fornirmi attraverso due prodigiosi anelli. Il primo, quello che egli mi esortò ad infilarmi al mignolo della mano sinistra, mi avrebbe garantito una normale esistenza in Kosmos, pur senza ricorrere ad alcuna modifica della mia psiche. Il secondo, il quale sostituì quello che già avevo al dito medio della mano destra, avrebbe messo invece a mia disposizione una potenza energetica illimitata. Essa sarebbe stata anche idonea a produrre ogni tipo di energia di cui avrei potuto aver bisogno nella mia lotta contro la Deivora. Si trattò dello stesso anello che adesso scorgo infilato al dito di Iveonte. Perciò egli ora, grazie ad esso, sebbene sia un essere umano, può competere da vincitore con tutte le divinità, eccetto che con gli eccelsi gemelli. La qual cosa non mi suscita invidia nei suoi confronti. Al contrario, sono contento che l’eroe umano potrà disporre di esso nella nostra lotta contro la Monotriad, la temibile nostra avversaria. Durante la quale, sono convinto che ne verremo ad avere un gran bisogno.

L’eminente Kron, inoltre, per evitarmi di arrivare tardi alla mia meta e darmi la possibilità di salvare anche i due divi già caduti nella rete della Deivora, mi fece viaggiare nello spazio cosmico, stando all’interno di un suo sguardo indagatore. Ricorrendo a quel suo prezioso espediente, egli mi fece pervenire all’istante nelle vicinanze dei divi Ukton ed Elesia. I quali, in quel momento, continuavano a subire passivamente e paurosamente l'interminabile risucchio trascinatore dell'imbattibile e malefica entità aliena. Ma una volta presso di loro, senza perdere tempo, badai a strappare all'influsso della Deivora le due giovani divinità sue prigioniere. Dopo averle tratte fuori dal suo raggio di azione, provvidi a condurle in un luogo sicuro. Lì invitai Ukton ad avvisare il padre della loro avvenuta liberazione e di andare a prelevare al più presto lui ed Elesia. Il loro salvataggio, comunque, non c’era stato, senza che la Deivora avesse cercato di opporsi ad esso; ma le forze invincibili dell’anello avevano avuto la meglio nel breve scontro che c'era stato.

Avvenuta la liberazione dei divi, intrapresi la mia lotta contro quella forza arcana, la quale stava mettendo in ginocchio la totalità delle divinità residenti in Kosmos, tanto quelle positive quanto quelle negative. Agendo in tal modo, essa trasformava man mano le loro psichi in un proprio nutrimento sostanzioso. Quando poi rientrai nella sua area di influenza, il mio primo pensiero fu quello di rendermi conto di quali potenzialità energetiche la medesima fosse dotata, di cosa mi sarei potuto aspettare dalla mia avversaria e del tipo di reazione che ci sarebbe stato da parte sua nei miei confronti. Nel frattempo che cercavo di darmi delle risposte sommarie, visto che esse erano le sole a cui riuscivo a giungere, sprofondavo sempre di più nel corpo della Deivora. La quale si andava protendendo nello spazio cosmico con fluttuanti espansioni, che erano costituite da nuvolaglia in scorrimento attraversata da folgori esplodenti. Insomma, si trattava di un insieme nebuloso e caotico, nel quale veniva a scarseggiare in modo pauroso la visibilità; ma vi si notavano molto manifesti i fenomeni acustici e gli improvvisi guizzi accecanti.

Scorgendole a stento, a volte incontravo e mi lasciavo alle spalle alcune divinità solitarie. Nella mia avanzata, infatti, spesso intravedevo gruppi compositi, comprendenti divinità positive e quelle negative, mentre venivano risucchiati impotenti nel nucleo dell’immateriale entità che era giunta da Parakosm. A proposito di loro, mi chiedevo quante la Deivora ne avesse già inglobate nel proprio nucleo, privandole con una tecnica speciale della loro psiche, siccome era quella che le interessava in modo esclusivo. In un certo senso, paragonavo l'entità aliena ad un ragno, in quanto esso operava con il suo stesso sistema, nel succhiare il sangue degli insetti catturati nella sua ragnatela. Ma non riuscivo affatto a capacitarmi perché mai tali divinità, dopo che la loro catturatrice le aveva fatte ridiventare dei puri spiriti, non si allontanavano in seguito dal suo nucleo misterioso. Invece, contro ogni logica, esse seguitavano a restare impigliate nella sua parte centrale, vivendo in quel posto come abbandonate dall’esistenza. Da parte mia, ero certo che doveva esserci una ragione, se esse venivano costrette a restare in quel luogo contro la propria volontà. Perciò mi decisi a scoprirlo, prima di intraprendere il confronto diretto con la mia pericolosa rivale. Ma la mia indagine poteva essere effettuata esclusivamente nella zona nucleare della Deivora, la quale era quella dove si aveva un simile strano fenomeno. Dopo essermi trasformato in una energia identica a quella dell’entità aliena, mi diressi in quella zona. Io reputai indispensabile tale mia trasformazione, se intendevo giungere al suo nucleo senza essere scorto dalla sua componente cosciente, ammesso che essa ne fosse dotata. Mentre cercavo di raggiungerlo, risultavo essere parte della mia nemica, presentandosi omogenee le nostre energie. Perciò la Deivora non subodorò l’inganno con cui tendevo a confondere le acque e a celare la mia presenza al suo interno. Difatti non avveniva alcuna sua reazione, al fine di osteggiarmi l’avanzata verso il mio obiettivo. Ciò, però, non stava a significare che il mio attraversamento del suo esteso corpo avvenisse tranquillo ed indisturbato. Lungi dall’essere una oasi di serenità, esso si rivelava un caos di convulsioni allucinanti. Dappertutto vi avvistavo nebulosi strati folgorati da una livida luce, la quale vi scagliava senza interruzioni saette abbaglianti e fragori rombanti.

Infine riuscii ad entrare nel nucleo della mostruosa creatura energetica, all’interno del quale lo spettacolo si presentava ancora più molesto e raccapricciante. Invece badai solo a risolvere il rebus, che riguardava le divinità che non facevano nulla per sottrarsi alla malefica influenza della Deivora. Mi rendevo conto che una simile circostanza seguitava ad esserci, anche dopo che i loro spiriti non vivevano più in unione con le rispettive psichi, essendo ormai inesistenti. Allora, dopo un attento studio sul posto, finalmente mi fu tutto chiaro. La loro catturatrice, nello stesso tempo che fagocitava la loro essenza psichica, scaltramente ve la sostituiva con qualcosa di simile. Tale surrogato riusciva ad assolvere lo stesso compito e le permetteva così di seguitare ad inchiodarle nell’oblio di sé stesse, fino a sottrarle alla loro reale esistenza.

Venuto a conoscenza di un fatto del genere, volli pure rendermi conto se la Deivora fosse dotata di una vera coscienza o fosse invece un suo abbozzo a farla agire coscientemente. In pari tempo, volevo scoprire in quale parte la sua attività pensante, ammesso che ne avesse avuta qualcuna, fosse collocata e vi agisse. Infatti, era mia intenzione sferrare in quel posto il mio attacco decisivo ed arrecarvi il maggiore effetto dannoso possibile. Perciò, quando infine ne ebbi individuato l’ubicazione, passai a pianificare il mio poderoso attacco. Il mio piano, nella sua fase finale, prevedeva un intervento da parte mia nella stessa nicchia, in cui si svolgeva l’attività organizzativa e selettiva dell’entità aliena. Vano, a ogni modo, risultò il suo tentativo di ostacolarmi l’accesso ad essa, dove era mia ferma intenzione di farvi deflagrare il potenziale energetico più distruttivo che ci potesse essere, quello che avevo ottenuto grazie all'anello specifico. Il quale mi permise anche di attuare l’espediente, con cui dopo riuscii a non trovarmi sul posto durante l’esplosione. In verità, si trattò di due salti temporali, di cui il primo mi fece proiettare nel futuro e il secondo mi riportò nel presente. Il ricorso all’uno e all’altro mi consentì di allontanarmi quanto più possibile da esso, evitando di provocarmi dei danni. Anche se ero convinto che non ce ne sarebbero stati, vivendo adesso in Kosmos come puro spirito. Così, quando esso ci fu, l'enorme e deflagrante scoppio, come era stato previsto da me, operò sistematicamente lo smembramento della Deivora, distruggendola nella sua interezza e disseminando i suoi pezzi energetici per l'intero Kosmos.

Avvenuta la distruzione della Deivora e la fine dell’Impero dell’Ottaedro, vennero meno i presupposti perché il nostro Impero del Tetraedro continuasse ad esserci. Allora molte divinità positive, che vi risiedevano da millenni, dovendo scegliere, preferirono abbandonare Kosmos e trasferirsi in Luxan, per trascorrervi una differente esistenza. Ma io e mia moglie Annura decidemmo di restare sul nostro pianeta natio, poiché desideravamo che la nostra esistenza fosse quieta e spensierata. La stessa cosa fecero pure i freschi sposi Ukton ed Elesia, i quali si erano affezionati a me e alla mia Annura come a dei veri genitori. Invece l’ex gerark di Zupes, sua moglie e gli altri suoi figli, manifestando la loro propensione per la vita festaiola di Luxan, vi si trasferirono senza pensarci due volte. Ma ciò avvenne, dopo che i due consorti ebbero salutato con affetto il loro figlio Ukton e sua moglie, nonché me e la mia consorte.


Un giorno ricevemmo la visita dei giovani coniugi nostri amici. Allora io ed Ukton, lasciate sole in casa le nostre dee, ce ne uscimmo per conto nostro, volendo scambiare quattro chiacchiere fra noi dèi. In verità, il nipote di Lux, più che parlare, nelle nostre uscite di solito preferiva solo ascoltare le imprese da me compiute, volendo far tesoro delle mie passate esperienze. Ma quel pomeriggio, durante la nostra assenza, intanto che ci trattenevamo fuori casa, qualcuno ne approfittò per rapire la mia Annura. Così, quando rientrammo dalla nostra passeggiata, il rapimento era stato già bell’e consumato. Esso aveva gettato Elesia in uno stato scioccante, essendosi vista nell’impotenza ad ostacolarlo. La poveretta era stata risparmiata da chi aveva sequestrato la mia dolce metà, solo per farmi pervenire un suo messaggio. Attraverso il quale, venni a sapere che la rapitrice di mia moglie era stata la Monotriad, che si era dichiarata figlia della defunta Deivora, avendo avuto origine dalle ceneri materne. Con quel ratto, ella aveva voluto vendicarsi di me, non essendo ancora in grado di prendersela con la mia potenza divina.

A quelle notizie apprese dalla bocca di Elesia, mi infuriai e mi diedi a scandagliare lo spazio cosmico intorno a Zupes, allo scopo di scovarvi la novella entità aliena. Alla fine ogni mia ricerca, a cui prese parte anche Ukton, risultò vana. Allora, volendo rintracciare al più presto la mia Annura, decisi di ricorrere all’eccelso Kron per chiedergli l'aiuto necessario. Ma essendo la Monotriad una entità extracosmica, che era stata in grado di nascondere pure la sua prigioniera, il suo sguardo indagatore non riuscì a trovarla in nessuna parte. Perciò il signore del tempo mi consigliò di darle la caccia in Kosmos, ricorrendo alla mia sagacia. In pari tempo, mi mostrò il suo scetticismo, palesandomi che difficilmente avrei potuto battere l’entità aliena, ammesso che fossi riuscito a scovarla.

Come la pensava lui, la sua natura trinitaria l’avrebbe avvantaggiata moltissimo nei miei confronti, a meno che non avessi avuto al mio fianco altri due validi collaboratori, che dovevano aiutarmi a sconfiggerla. In quella circostanza, Kron mi preconizzò anche che, nel lontano futuro, avrei incontrato quelli che avrebbero fatto al caso mio e che da loro mi sarebbe stata espressa anche la disponibilità a darmi una mano nella mia ardua impresa. Perciò mi raccomandava di non rifiutare il loro aiuto, se volevo averla vinta contro la Monotriad e liberare la mia Annura.

In passato egli mi aveva accennato anche al Materiade Iveonte, del cui aiuto un giorno avrei fruito proficuamente. Ma allora non si era accennato al motivo per cui avrei avuto bisogno dell’eroe umano. Oggi che vi ho incontrati, miei cari Kronel ed Iveonte, posso affermare con certezza che voi siete quelli ai quali l’eccelso Kron intese riferirsi tanto tempo addietro. Per questo non commetterò la sciocchezza di non prendere sul serio la vostra generosa offerta, che mi giunge gradita quanto mai. Adesso, però, devo andare avanti con il mio racconto, riassumendovi il più possibile le mie peripezie di dieci secoli. A causa delle quali, molti sono stati gli sforzi e i sacrifici che ho dovuto sobbarcarmi, pur di riavere indietro la mia Annura. Essi, però, finora non mi hanno mai premiato.

Dopo essermi congedato dall’eminente Kron, prima di ogni cosa, ritornai sopra Zupes, dove andai a salutare Ukton ed Elesia. A loro due feci presente che stavo per intraprendere l’inseguimento della Monotriad, siccome non era da me lasciarmi rapire la moglie, senza provvedere a punire severamente la colpevole del suo rapimento. Inoltre, prospettai a loro due che esso sarebbe potuto durare un tempo eccessivamente lungo, forse anche una eternità. Per la quale ragione, suggerii ai miei due giovani amici di abbandonare il pianeta e di raggiungere i loro parenti in Luxan, dopo che fossi partito.

Così il giorno successivo, associandosi alla mia disgrazia ed abbracciandomi con calore e con affetto, Ukton ed Elesia si mossero insieme con me dal nostro pianeta. Ma il nostro volo, ad un certo punto, prese strade opposte. A dire la verità, le mie ricerche non sarebbero procedute a lume di naso oppure attenendomi ad altri criteri basati sull’intuizione, magari facendomi guidare dal cieco istinto. Siccome in precedenza avevo appreso dall’eccelso Kron che la Deivora aveva fatto la sua prima apparizione nella galassia di Trespan, ero convinto che la Monotriad si stava dirigendo esattamente in quel luogo. Nello spazio di tale galassia, infatti, periodicamente si effettuava la pressione reciproca tra il nostro Kosmos e il suo parallelo Parakosm. Essa finiva ogni volta per dar luogo ad una immensa frattura, la quale, come già vi ho fatto presente prima, permetteva il passaggio dall’uno all’altro universo di una piccola parte del loro materiale cosmico. Forse la nuova entità immateriale, a tempo debito, intendeva compiervi il grande balzo in Parakosm e venire a contatto con quelle che erano state le origini materne. Ma se seguiva il percorso da me ipotizzato, era ben altro il suo obiettivo; ma non riuscivo ancora a prefigurarmelo in alcun modo. Io le riconoscevo una ragguardevole scaltrezza, che essa mi aveva già dimostrato di possedere.

Un altro fatto indiscutibile, il quale mi confortava parecchio, era quello che vi faccio adesso presente. La mostruosa creatura, risultando immane la distanza che la separava dalla galassia di Trespan, non se la sarebbe sentita di affrontare il viaggio in una unica volata. Perciò essa lo avrebbe suddiviso in più tappe, ciascuna delle quali immancabilmente sarebbe stata effettuata ogni volta sopra un pianeta a portata di mano, che si fosse anche dimostrato generoso verso l’essenza vitale. Tali elementi fortemente probabili, quindi, mi avrebbero indotto ad ispezionare i soli pianeti o i rispettivi satelliti che si incontravano sulla retta immaginaria che univa Zupes alla remotissima galassia di Trespan. Al massimo, avrei esplorato anche quelli che orbitavano in prossimità di essa.

Adesso, prima di andare avanti nella mia narrazione, vi preciso che, nell’esporre i vari fatti che mi sono accaduti nella millenaria ricerca della mia Annura e della sua catturatrice, mi asterrò dal farlo con dovizia di particolari. Essi, che risulteranno soltanto quelli salienti, saranno da me presentati in una forma espositiva molto concisa. In questo modo, il mio racconto vi risulterà più spedito e alquanto gradito, poiché non vi infonderà nessuna noia.

A questo punto, siccome i lettori sono già venuti a conoscenza di tali fatti, avendoli appresi dalla lettura del capitolo 60, il quale è l’ultimo del Libro Primo, ci conviene saltarli ed andare avanti a seguire la nostra storia. A meno che qualcuno di loro non voglia dedicarsi ad una loro rilettura per rammentarli meglio, prima di procedere oltre nel conoscere i suoi successivi capitoli.