319-IVEONTE UCCIDE I TERCIPI E DISTRUGGE LA LORO ASTRONAVE
Il giorno dopo, nella tarda mattinata, un centinaio di Tercipi si presentarono dinanzi alla capanna del capo degli Stucos. Colui che li comandava, dopo essersi soffermato sulla soglia ed essersi affacciato in essa, esortò Agerio a raggiungerlo all'aperto. Allora l'autorevole stucosino, il quale stava facendo colazione in compagnia del suo ospite, venne subito fuori dalla sua dimora. Con lui c'erano anche Iveonte e sua figlia, per cui tutti e tre si trovarono di fronte allo spettacolo che già conosciamo, per averlo appreso l'anno dopo dalla bocca di Arsia. Davanti all'ingresso, in quel momento, si scorgeva anche un numero di abitanti del villaggio, il quale poteva essere il doppio di quello degli alieni tercipini.
Una volta pervenuti all'esterno della loro abitazione, sia il padre che la figlia, alla vista di quei bestioni, rimasero esterrefatti e si convinsero che il forestiero Iveonte era una persona speciale, per cui potevano attendersi da lui anche l'aiuto che gli aveva promesso. Quella loro considerazione fece ringalluzzire il capo stucosino, il quale, venendo incoraggiato dalla presenza di Iveonte, non si astenne dall'assalire il suo interlocutore. Così, accogliendolo quasi in malo modo, osò perfino dirgli:
«Credi che io non sappia chi tu sei, Kumbut? Invece devo deluderti! Oltre a conoscere il tuo nome, sono al corrente di cosa sei venuto a pretendere dal mio popolo! Ma la mia risposta te la do immediatamente, poiché essa è la seguente: Con i tuoi degni compari, ritornatene nel luogo da cui sei venuto! Meglio di come ho fatto, non potevo spiegarmi!»
«Ha perfettamente ragione il mio amico, il quale è il capo del villaggio, come già sai!» Iveonte gli si mostrò solidale «Anch'io vi consiglio di sgombrare al più presto questo villaggio, Tercipi appestatori, se non volete che ci arrabbiamo e ve ne facciamo pentire sul serio! Allora vi affrettate a sfrattare da questo luogo oppure saranno guai per tutti voi?»
Le parole intimative del forestiero trovarono immediata eco negli Stucos presenti, i quali si diedero ad urlare fortemente: "Andate subito via di qui! Non vi vogliamo nel nostro villaggio! Siamo pronti a cacciarvi con la forza, se sarà necessario!"
Molti di loro corsero perfino nelle loro capanne e ne ritornarono armati di lance e di archi, pronti a farne uso, se fosse stato necessario. Essi, però, non potevano sapere che tali loro armi non sarebbero servite neppure un poco, se fossero state usate contro i Tercipi. Infatti, il loro corpo, rispetto alle medesime, sarebbe risultato praticamente invulnerabile. A quelle loro inattese reazioni, il capo dei Tercipi rimase alquanto interdetto. Assolutamente non se le aspettava, ancor prima che avesse espresso le ragioni della loro presenza nel villaggio. A suo parere, sembrava che gli Stucos fossero già al corrente di ogni cosa sul loro arrivo. Ma come facevano a saperlo, se il suo gruppo e gli altri nove erano sbarcati da qualche giorno sul suolo terrestre? Inoltre, solo quella mattina avevano dato inizio alla loro missione in dieci villaggi differenti. Gli Stucos addirittura conoscevano perfino il suo nome e chi essi erano realmente! Allora, volendo appurare da chi erano stati informati del loro arrivo sulla Terra, dal momento che non riusciva a capacitarsene, Kumbut, controllando la sua reazione, domandò al capo stucosino:
«Posso sapere, Agerio, chi è stato a parlarvi di noi? Chi lo ha fatto avrebbe dovuto anche informarvi che siamo in grado di distruggere il vostro villaggio e di fare una grande strage dei suoi abitanti, se non vi sottometterete a noi! Oppure egli, per distrazione, ha evitato di menzionarvelo, facendovi così rischiare una tremenda fine?»
«Sono stato io, Kumbut, a ragguagliare il mio amico su di voi.» intervenne a fargli presente Iveonte «Devi sapere che sono il veggente del villaggio e ho previsto da giorni sia il vostro arrivo sia la morte che intendete arrecare alla gente di tutti e dieci i villaggi che avete stabilito di dominare. Naturalmente, con il chiaro proposito di rendere vostre vittime i loro abitanti con larvati obiettivi, quelli che conoscete benissimo!»
«Chiaroveggente da strapazzo, allora gli avrai anche detto cosa ne sarà del vostro popolo e del vostro villaggio, se oserete discutere i nostri ordini oppure contravvenire agli stessi! Probabilmente, poiché lo ignori del tutto, non hai potuto riferirglielo!»
«Invece, Kumbut, mi sono limitato a trasmettergli soltanto ciò che accadrà agli Stucos miei connazionali, se tollereranno le vostre imposizioni. Perciò è stato mio dovere consigliare loro di non piegarsi mai a voi, se non vogliono fare la brutta fine che gli avete assegnato e che ben conosci! Ecco come stanno realmente le cose in questo villaggio!»
«Ed io gli ho dato ascolto, Kumbut!» aggiunse il capo degli Stucos «Ecco perché la nostra lotta contro di voi sarà a oltranza, anche a costo di rimetterci tutti la pelle! Comunque, ciò non accadrà nel modo più assoluto, secondo il vaticinio del mio amico. Anzi, sarete voi a perire, contro le vostre previsioni, se non sfrattate dal nostro villaggio!»
«Visto che avete optato per la guerra, Agerio, allora che guerra sia fra di noi!» tese ad intimidirlo il capo alieno «Tra poco vi farò vedere quanto siamo potenti noi Tercipi e cosa rappresentiamo per voi Stucos! Alcuni dei miei adesso vi dimostreranno cosa siamo capaci di fare contro di voi! Dopo, però, non vi date a lamentarvi, a causa degli ingenti danni che tra poco arrecheremo a cose e a persone!»
Così, ad un cenno del loro capo Kumbut, quattro dei Tercipi presenti si staccarono dal gruppo ed iniziarono a demolire alcune capanne del villaggio. Scuotendole a guisa di lievi piume, le abbattevano senza sforzo alcuno. Allora quel loro comportamento distruttivo subito fece reagire una decina di Stucos, i quali si erano già armati in precedenza. Essi assalirono i quattro alieni demolitori e cercarono di trafiggerli prima con le frecce e poi con le lance. Ma né le une né le altre raggiunsero lo scopo che si erano prefisso, poiché il corpo dei loro avversari non glielo permise, essendosi dimostrato di una durezza inverosimile. Inoltre, ciascuno dei quattro Tercipi attaccati, abbrancò un assalitore e lo lanciò verso il cielo ad una considerevole altezza. In seguito alla caduta, tutti e quattro i poveretti morirono sfracellati al suolo. A tale truce spettacolo, di cui aveva fatto mostra il quartetto tercipino con baldanza e fierezza, il quale doveva rivelarsi anche una dimostrazione convincente, il capo stucosino apparve allibito e meno sicuro di sé. A quel suo atteggiamento, Kumbut ne approfittò per domandargli alquanto tronfio:
«Adesso, Agerio, ti sei convinto della nostra potenza invincibile, una buona volta per sempre? Oppure, per persuadertene, dovrò farti sfasciare l'intero villaggio dai miei Tercipi, insieme ad una ecatombe dei tuoi uomini? Aspetto la tua risposta, capo degli Stucos; ma per il vostro bene, spero che saprete prendere la decisione giusta!»
Il capo degli Stucos, non sapendo cosa rispondergli, si rivolse al suo ospite con una espressione molto eloquente, come per invitarlo a parlare lui al posto suo. Perciò Iveonte, non volendo deluderlo, dopo le promesse che gli aveva fatte, si affrettò ad esaudirlo. Intervenendo al posto di Agerio, egli si diede ad affermare al Tercipe:
«Meglio di così non potevi convincerci, Kumbut! Per questo, da domani in avanti, staremo pedissequamente ai vostri ordini. Voi comanderete e noi ubbidiremo, proprio come i cani ubbidiscono ai loro padroni! Sei soddisfatto adesso del nostro supino atteggiamento? Certo che lo sei, dopo avere udito le mie parole del tutto a voi favorevoli!»
La risposta del giovane, che era stata avallata dal capo del villaggio con il suo silenzio, soddisfece abbastanza il capo alieno. Egli, dopo avere preannunciato che l'indomani si sarebbe rifatto vivo, lasciò il villaggio stucosino con tutti i suoi Tercipi accompagnatori. La qual cosa fece tirare un sospiro di sollievo agli Stucos che erano presenti, i quali dopo badarono a raggiungere le rispettive famiglie. Ma alcuni di loro dovettero mettersi anche a ricostruire le loro capanne, essendo state distrutte da poco dai Tercipi. Invece Agerio, dopo essere rientrato nella propria dimora, non si presentava più di ottimo umore, come lo era stato prima. La risposta del suo ospite data al capo dei Tercipi gli aveva abbassato il morale. Anche nella figlia si era spento ogni entusiasmo e non le andava più di mettersi a parlare. Il loro atteggiamento un po' risentito non sfuggì ad Iveonte, poiché esso faceva capire palesemente che entrambi erano infastiditi del comportamento da lui assunto nei confronti del capo alieno. Perciò volle chiarirgli la faccenda, parlandogli in questo modo:
«A quanto pare, voi due avete creduto che io abbia parlato sul serio al capo dei Tercipi, senza provare ad immaginare i motivi che mi hanno spinto ad agire nella maniera che sapete! Pensate forse che le dimostrazioni degli alieni mi abbiano intimorito? Se fosse stato così, mi sapete dire perché mai sono ancora qui con voi, senza essermene ritornato alla mia realtà, la quale è quella futura? Ma siccome voi non potete affatto comprenderlo, non posso che scusarvi!»
«Dato che non siamo capaci di intuire le ragioni che ti hanno spinto a parlare a Kumbut come hai fatto,» gli rispose il capo stucosino «vuoi essere tu a farcele presenti, Iveonte? Dopo che ce le avrai riferite e giustificate, non ce l'avremo più con te, come ora stiamo facendo, anche se contro la nostra volontà! Stiamo aspettando che tu ce le giustifichi!»
«Ve le faccio presenti con tutto il piacere, Agerio! Se poco fa ho agito come voi e gli altri avete visto, l'ho fatto esclusivamente per il bene del tuo popolo. In che senso? Ho voluto evitare un mio scontro diretto con i Tercipi, solo perché eravamo nel tuo villaggio. Pensa un po' a quale cataclisma essi vi avrebbero dato luogo, se li avessi affrontato qui! La tua gente non avrebbe avuto né i mezzi per difendersi da loro né l'opportunità di scampare alla loro furia distruttiva! Invece io intendo battermi con loro domani, quando ritorneranno; ma ho deciso di combatterli fuori del villaggio. Nel frattempo, per misure prettamente precauzionali, Agerio, lo farai evacuare dalla tua gente, che inviterai anche a nascondersi nelle parti più riposte del bosco. Adesso vi sono stato chiaro oppure vi è rimasto ancora qualche ombra di dubbio e di perplessità sul mio modo di agire di poco fa?»
«Perdonaci, Iveonte, per avere frainteso l'atteggiamento da te assunto fuori poco fa! Abbiamo pensato male di te, soltanto perché non siamo riusciti ad intendere il tuo comportamento nella maniera giusta. Forse, con un minimo di immaginazione, ci saremmo potuti anche arrivare da noi; però, da parte nostra, non c'è stato alcuno sforzo in tal senso. Così, valutando i fatti secondo la loro parvenza del momento, ti abbiamo giudicato e condannato dentro di noi ingiustamente. Eppure tu ci avevi già dimostrato che sapevi molte cose sul loro conto, stupendo sia noi che lo stesso capo dei Tercipi! Perciò ti chiediamo venia per le nostre pecche e ti promettiamo che non ve ne saranno più!»
«A questo punto, Agerio, non serve stare qui a recriminare il vostro giudizio avventato su di me; occorre invece agire alla svelta, siccome ci aspetta molto lavoro da portare a termine. Il tuo popolo deve già cominciare ad abbandonare il proprio villaggio, allo scopo di rifugiarsi in un luogo del bosco circostante. Esso, naturalmente, dovrà risultare ben appartato per tutti gli Stucos, che vi si andranno a nascondere!»
«Hai perfettamente ragione, sagace Iveonte; bisogna muoversi in fretta! Tra poco darò le opportune direttive, affinché ogni cosa nel nostro villaggio avvenga con la massima sollecitudine e nel modo più disciplinato possibile. Agendo in questo modo, si eviteranno altri incidenti catastrofici simili a quelli che ci sono stati stamani!»
Proprio in quell'istante, facendovi la sua apparizione improvvisa, entrò nella capanna un cugino del capo. Egli, essendo molto preoccupato, si diede a gridare come un ossesso al parente collaterale:
«Agerio, veniamo sorvegliati da quattro Tercipi, i quali si sono appostati ai quattro angoli del nostro villaggio. Se non mi sbaglio, essi intendono impedire ad ognuno di noi di lasciarlo furtivamente, non essendo ancora convinti che noi gli ubbidiremo!»
Riferendosi poi ad Iveonte, non si astenne dal chiedergli adirato:
«Mi dici, cugino, chi è costui che ospiti? Ad ogni modo, avendo udito ciò che ha detto al capo tercipino in tua vece, non credo che egli abbia del fegato da vendere! Perciò non possiamo fare affidamento su di lui nel conflitto, che stiamo per avere con i fortissimi alieni. Sono convinto che esso esploderà tra breve e dagli sbocchi imprevedibili! Già, dimenticavo di farti presente che noi Stucos non abbiamo nulla da temere, siccome ci difenderà lui, il prezioso tuo ospite!»
«Fernop, per il momento posso solo dirti che si chiama Iveonte e che è venuto qui di sua spontanea volontà per aiutarci. Tu stesso ammetterai che la tua critica e la tua ironia nei suoi riguardi sono state inopportune, dopo che avrai appreso che egli si è incaricato di eliminare da solo i Tercipi. Il nostro ospite, però, intende farlo fuori del nostro villaggio, senza mettere a repentaglio la vita dei nostri conterranei! A tale proposito, egli mi ha consigliato di condurre il nostro popolo in un posto protetto, mentre egli sarà impegnato a combattere i mostruosi alieni. Ed è ciò che farò immediatamente, seguendo il suo consiglio! Quanto a te, cugino, sai quello che devi fare nei confronti del mio ospite, dopo le gratuite offese che gli hai rivolto in casa mia. Perciò ti invito a farlo all'istante! Anzi, te l'ordino, come tuo capo!»
«Certo che lo so, Agerio, per cui passo ad esaudire il tuo vivo desiderio, poiché non oserei mai fare uno sgarbo a colui che è il mio capo! Ma lo faccio soltanto per sottomettermi alla tua autorità!»
Rivolgendosi poi al forestiero, poco convinto, si sbrigò a dirgli:
«Ti faccio le mie scuse, Iveonte! Spero che sarai così gentile, da accettarle! Se mio cugino ha una grande fiducia in te, non posso non averla anch'io! Ma solamente perché egli è il mio capo! Sinceramente, però, non mi è affatto piaciuta la tua risposta data a Kumbut!»
«Non preoccuparti, Fernop, poiché per me va bene lo stesso! Al posto tuo, anch'io avrei tratto le tue identiche conclusioni. A questo punto, se non vi dispiace, mi tocca lasciarvi perché devo andare a sopprimere i quattro Tercipi posti dal loro capo a sorvegliare il vostro villaggio. Solamente dopo aver fatto ciò, l'intera popolazione stucosina potrà evacuarlo senza avere problemi. Ma mi occorre un cavallo, il quale mi dovrà permettere di raggiungere celermente gli alieni posti ai quattro cantoni, al fine di controllare i vostri movimenti!»
«Te ne procurerò uno io in gran fretta, Iveonte! Dopo, però, ho intenzione di cavalcare al tuo fianco, poiché desidero vederti in azione contro i Tercipi. Se devo esserti schietto, non riesco a capacitarmi come tu possa ammazzarli con la tua spada, visto che essi hanno dimostrato di essere refrattari ad ogni tipo di arma! Ma se davvero sarai capace di operare un simile prodigio, in quel caso le mie scuse partiranno da me e non più perché me le ha imposte il mio caro cugino! Te lo garantisco!»
Più tardi, nel frattempo che Agerio e sua figlia si davano a mobilitare gli Stucos, predisponendo la loro evacuazione in massa dal villaggio, Iveonte e Fernop andarono in cerca dei quattro Tercipi, i quali si erano sistemati in posti differenti. Essi trovarono il primo che riposava all'ombra di un albero, stando seduto per terra. Iveonte fu il solo a scendere dal proprio cavallo e ad avvicinarsi a lui; invece il cugino del capo non si mosse da sopra il suo animale. Il colosso alieno, scorgendolo attraverso gli occhi semichiusi, si diede a parlargli in questo modo:
«Vuoi forse colpirmi con la tua spada, umano senza cervello? Se ti va, fallo pure; ma sappi che il suo colpo mi procurerà soltanto del solletico. Per questo non te lo consiglio. Ma se ci proverai con risultato nullo, dopo non avertela a male, poiché ti costringerò a fare un bel volo verso l'alto e una sgradita caduta verso il basso. Così vedrò il tuo corpo andare a spiaccicarsi contro il suolo! Allora sei ancora del parere di provarci, dopo averti messo in guardia dal farlo? Quindi, qual è la tua risposta?»
«Poiché mi piace volare,» gli rispose Iveonte «accetto il tuo invito. Ma mi dici come farai dopo ad agguantarmi, senza avere più la testa sul collo e, con essa, gli occhi per seguire la mia volata nei due sensi? Non credi che ti sarà molto difficile scorgermi nell'aria, mentre sto precipitando giù? Perciò anche tu devi considerare quanto ti ho appena detto!»
«Non preoccuparti di ciò, illuso di un umano, perché continuerò ad avere la testa sulle mie spalle, anche dopo che mi avrai colpito! Se ci tieni a saperlo, sarà proprio essa a permettermi di scorgerti e di rallegrarmi, mentre andrai a sfracellarti al suolo! Ti garantisco che la tua caduta mi risulterà uno spettacolo parecchio divertente!»
Nel frattempo che il Tercipe gli parlava, Iveonte aveva già sfoderato la sua spada e l'aveva anche in pugno. Quando poi l'alieno ebbe terminato di fare le sue considerazioni sull'ipotetico volo in questione, egli, con un possente colpo dato orizzontalmente, gli troncò di netto il capo e glielo spiccò dal busto. Allora esso, cadendo al suolo, rotolò nella polvere. Invece Fernop, vedendo la testa mozza del Tercipe piombare a terra e sanguinare in modo pauroso, si mise ad esclamare al forestiero:
«Evviva! Ce l'hai fatta, Iveonte! Il tuo è stato davvero un colpo magistrale, che non scorderò mai più! Adesso andiamo dagli altri tre Tercipi, affinché li tratti alla stessa maniera! Non vedo l'ora di godermi gli altri tre spettacoli identici, poiché è così che avverrà anche con loro! Ed io che ti avevo giudicato davvero male! Perciò scusami!»
Naturalmente, Iveonte non trovò difficoltà ad uccidere i restanti tre giganteschi alieni, facendogli subire la stessa sorte. Solo che, siccome questa volta li aveva trovati in piedi, egli dovette vibrare il colpo di spada, restando sulla groppa del proprio cavallo. In seguito, mentre ritornavano al villaggio senza fretta, lo Stucos chiese all'ospite del cugino:
«Perché, Iveonte, hai preferito decapitare i quattro Tercipi, senza infilzarne neppure uno in un'altra parte del corpo? Forse è solo nel collo che essi sono vulnerabili? Non mi dire che mi sono sbagliato!»
«Invece non è così, Fernop. La mia spada può benissimo foracchiarli e trapassarli in qualunque parte del loro tronco. Ricorrendo alla decapitazione, ho voluto inviare un messaggio molto eloquente al loro capo. Quale? Ti starai domandando. Ebbene, te lo dico subito. Se essi oseranno sfidare il loro uccisore, non avranno più scampo e si ritroveranno molto presto con il capo mozzo, ossia incapaci di agire e di reagire. In altre parole, li metterò talmente in difficoltà, che alla fine essi non sapranno dove sbattere la testa per venirne fuori! Ecco cosa mi sono proposto, ricorrendo alla loro uccisione mediante decapitazione!»
Giunti infine nel villaggio, essi si condussero dal capo Agerio e lo misero al corrente che il suo popolo poteva iniziare ad incamminarsi verso l'interno del bosco, poiché adesso era stato ripristinato il via libera. Ma il cugino volle anche raccontargli come Iveonte aveva mutilato i quattro Tercipi che sorvegliavano il villaggio. La quale bella notizia rincuorò il capo degli Stucos e gli fece ben sperare anche per l'avvenire.
Nella tarda serata, il popolo stucosino si era già trasferito interamente nella zona più interna del bosco, dove adesso si preparava a pernottare all'addiaccio e in preda ad infinite preoccupazioni. Per la verità, non tutti gli Stucos avevano gradito quel provvedimento del loro capo. Anzi, alcuni di loro, con diverse argomentazioni campate in aria, avevano tentato di convincerlo a non ordinare l'abbandono del villaggio; però non c'era stato niente da fare. Agerio, mostrandosi irremovibile, era rimasto sulla propria posizione, poiché egli si atteneva solo alle parole del suo ospite speciale, seguendone alla lettera le varie direttive. Da quando Fernop gli aveva rapportato anche in che modo il forestiero aveva affrontato ed ammazzato i quattro Tercipi, per lui l'ospite era divenuto una specie di divinità. Per questo ogni suo suggerimento diventava legge all'istante, subito dopo che esso gli veniva avanzato. Nell'incontro serale avuto con chi era giunto dal futuro per aiutarli, al quale partecipò anche suo cugino Fernop, Agerio gli domandò:
«Mi dici, Iveonte, quale strategia adotterai domani contro i Tercipi, siccome questa volta li avrai contro in massa? Come ben sai, non possiamo esserti di nessuno aiuto, poiché corriamo unicamente il rischio di venirne uccisi. Ma noi Stucos ci auguriamo che tu riesca a batterli, pur essendo da solo, poiché dalla tua vittoria indubbiamente dipenderà anche la nostra salvezza! Allora puoi anticiparmi qualcosa in merito, se per te non è un problema farlo?»
«Lo so, Agerio, che dovrò contare solo sulle mie forze; ma puoi stare tranquillo! Non ci sono dubbi che domani i Tercipi moriranno dal primo all'ultimo! Per adesso non dispongo di alcun piano strategico; ma me ne farò venire qualcuno all'atto dello scontro. Per me era importante soltanto avere un cavallo a disposizione. Visto che ce l'ho, non mi occorrerà nient'altro nel momento che li affronterò in prossimità del villaggio!»
«Io sarò al tuo fianco, Iveonte!» intervenne ad affermargli Fernop «Lo so che non potrò aiutarti in nessuna maniera e correrò solo il pericolo di venire ucciso da loro; ma lo stesso voglio essere presente, quando affronterai ed ammazzerai i rivoltanti Tercipi. Se non altro, mi godrò la bella fine che farai fare a tutti loro!»
In quell'angolo di bosco, dove gli Stucos si erano ammassati, non si può dire che la notte fosse trascorsa serena, poiché non erano mancati i pianti dei numerosi bambini, i quali si erano frammischiati agli abbai dei cani. Comunque, ciascuno di loro riuscì a fruire almeno di una piccola parte di riposo. Ma con l'arrivo dell'alba, dopo una veloce colazione, Iveonte e Fernop partirono di buon'ora alla volta del loro villaggio vuoto. Essi volevano arrivare nei suoi dintorni prima dei Tercipi, essendo loro intenzione intercettarli, quando non lo avevano ancora raggiunto. Invece i due giovani se li trovarono davanti, nelle vicinanze delle prime capanne situate ad ovest del villaggio. In quel momento, gli alieni avevano già preso atto del suo stato di abbandono e della decapitazione fatta subire ai loro quattro compagni. Quando furono a pochi passi dagli alieni, Kumbut iniziò a domandare loro:
«Terrestri, chi ha ucciso i Tercipi posti da me a guardia del vostro villaggio? Inoltre, dove sono finiti gli altri Stucos? Forse a nascondersi? Se essi credono di sfuggirci come hanno fatto, si sbagliano di grosso, poiché li scoveremo in qualsiasi posto sono andati ad annidarsi!»
Udita la domanda dell'alieno, la quale si era poi trasformata in una conclusione dal tono chiaramente minaccioso, Iveonte, senza farsi intimorire da lui, subito gli rispose:
«I quattro Tercipi, Kumbut, sono stati ammazzati da chi tra poco accopperà pure voi tutti. Quindi, siccome sarete morti a breve scadenza, a cosa ti serve che io ti dica dove il popolo stucosino è andato a rifugiarsi per sottrarsi alla vostra vista? Non sei d'accordo anche tu con questo mio postulato, il quale più evidente non poteva essere?»
«Sono d'accordo un corno, Terrestre! Adesso invece pretendo di sapere da uno di voi due i nomi di coloro che hanno deciso di sopprimerci nello stesso modo che hanno fatto con i miei quattro sorveglianti! Vi garantisco che vi costringerò a farmeli dire!»
«L'ho stabilito io, Kumbut, dal momento che sono stato pure io ad uccidere gli altri quattro bestioni della tua stessa specie!» fu la risposta di Iveonte «Secondo la mia preveggenza, voi tra breve morirete tutti quanti e gli Stucos eviteranno così il male che voi vi preparavate ad arrecargli senza nessuna commiserazione! Ti sono stato chiaro, Tercipe immondo, oppure non ne sei persuaso per niente?»
«Essere umano, ammesso anche che tra poco riuscirai ad eliminarci, dopo dovrai fare i conti con gli altri Tercipi che sono sbarcati insieme con noi sul tuo pianeta. Essi, che sono circa un migliaio, in seguito ti daranno una caccia spietata e non la smetteranno, fino a quando non ti avranno trovato e non avranno divorato le tue carni!»
«Al contrario, Kumbut, saranno loro a fare i conti con me. Dopo che avrò ucciso voi, mi sono ripromesso di cercarli negli altri nove villaggi della regione, dove essi si sono insediati, e li ammazzerò così come tanti vermi schifosi! Infine distruggerò anche il vostro veicolo spaziale, al quale non permetterò mai più di fare ritorno sul vostro pianeta Ustron. Alla fine ecco come andranno esattamente le cose per tutti voi Tercipi venuti sulla Terra per arrecare solo guai ai suoi abitanti!»
«Ma tu chi sei, Terrestre? Come fai a sapere tante cose su di noi?! Di certo non sei nativo del luogo! Vuoi dirci donde provieni e perché ti sei schierato contro di noi, a difesa degli Stucos?»
«Sono colui che è sempre a caccia di oppressori e di prepotenti, Kumbut. Dopo averli scovati in qualsiasi posto si trovino, passo ad annientarli. Siccome voi Tercipi volete sottoporre alle vostre sevizie una parte del genere umano, eccomi qui a punirvi come vi meritate! Se non ti stupisce la cosa, sono venuto dal futuro per dar luogo alla vostra totale distruzione! Adesso che sai tutto di me, ti tocca cominciare a temermi!»
«Allora, Terrestre, dal momento che hai intenzione di farlo, scendi dalla tua bestia e vieni a combatterci con la tua spada, se sei forte come affermi di essere e non hai nessuna paura di noi!»
«Certo che vengo subito a darvi battaglia, ignobile Kumbut! Vi stavo appunto cercando per arrivare a questo! Vedrete che sarà la mia arma invincibile a darvi un saggio della sua bravura, seminando tra di voi terrore e morte, oltre a fare dei vostri corpi una grande ecatombe! Così gli Stucos seguiteranno a trascorrere la loro esistenza con serenità.»
Parlato in quel modo, Iveonte scese dal suo cavallo. Ma poco dopo, sguainata la sua spada, si avviò verso il gruppo dei Tercipi. Nel frattempo, Fernop era stato assalito dalla trepidazione e si preparava già a scappare, nel caso che le cose si fossero messe male per l'ospite del cugino. Il quale ora, avanzando accortamente, era già giunto a due passi da loro. Quando poi Iveonte si fu avvicinato abbastanza, Kumbut fece cenno ai suoi Tercipi di creargli un varco per lasciarlo passare; ma subito dopo essi avrebbero dovuto accerchiarlo e massacrarlo di botte. Il giovane eroe non si sottrasse a quella che gli alieni consideravano una trappola mortale; ma essa non era tale per lui. Anche Fernop la pensava come i Tercipi e non riusciva a capacitarsi come mai Iveonte si stesse comportando come un ingenuo. Tra l'altro, in quel momento egli non poteva essere più scorto in mezzo a quelle figure gigantesche che, dopo averlo accerchiato, adesso lo coprivano con le loro enormi stazze.
Ad un certo punto, dietro ordine del loro capo, i Tercipi, che lo circondavano da ogni lato, si diedero ad assalire il giovane sfidante con le peggiori intenzioni. In quella circostanza, a dire il vero, né Kumbut né Fernop potevano scorgere l'audace Iveonte, il quale prima non aveva avuto alcun timore di introdursi in mezzo ai tanti titani suoi avversari. Poco dopo, però, essi avevano iniziato a rendersi conto che in mezzo a quei colossi tercipini stava accadendo un fenomeno molto strano. Dal centro di tale carnaio peloso, come se si trattasse di un vero vulcano in piena eruzione, erano cominciati a volare, a guisa di schegge, alcuni pezzi di organi appartenenti ai corpi dei Tercipi. Infatti, appena lo aveva ritenuto opportuno, Iveonte aveva messo in moto la tecnica della micidiale trottola, della quale già abbiamo avuto modo di conoscere la pericolosità in più di una occasione. Frullando alla guisa di tale giocattolo e tenendo la spada ben tesa in avanti, egli adesso stava facendo strage dei suoi nemici, macellando e tagliuzzando i loro corpi erculei, senza dare scampo a nessun Tercipe. Il sangue, perciò, schizzava dappertutto; mentre i frammenti carnei, staccandosi rapidi dal vorticoso frullatore, rappresentato da Iveonte, raggiungevano notevoli distanze. Invece i voluminosi ammassi corporei tercipini, dopo essere stati squarciati in più parti, piombavano al suolo e vi producevano un sordo rumore.
Dopo una decina di minuti di messa in opera di tale rovinosa macchina bellica, il giovane eroe aveva già maciullato la quasi totalità dei suoi aggressori. Ne restavano in piedi appena una mezza dozzina; però essi preferirono abbandonare terrorizzati la tenzone e raggiungere il loro capo. Poi due di loro, seguendo gli ordini del loro superiore, corsero ad agguantare e ad immobilizzare il giovane Fernop, allo scopo di ricattare il suo invincibile rivale. Così, quando Iveonte venne fuori dalla mattanza che egli stesso aveva originato in quel luogo, Kumbut lo ammonì:
«Terrestre, se vuoi che il tuo amico non venga sfracellato ed ucciso dai Tercipi che mi sono rimasti, getta via la tua spada ed avvicìnati a noi; però avanzando molto lentamente! Soltanto in questo modo, ti sarà consentito di salvare lo Stucos tuo amico! Mi sono spiegato?»
Invece Fernop, da parte sua, temendo che fosse una nuova trappola, si diede ad urlare all'ospite del cugino:
«Non stare al loro gioco, Iveonte! Uccidi anche quelli che vivono ancora, senza curarti della mia vita! Se gli ubbidirai, essi lo stesso uccideranno sia te che me!»
Iveonte, pur essendo a conoscenza che il Tercipe era un emerito fedifrago, ugualmente volle scendere a patti con lui, per tentare nel frattempo qualche diversivo. Così poco dopo gli rispose:
«Eseguirò il tuo ordine, Kumbut, se mi dai la tua parola che dopo farai liberare il mio amico. Naturalmente, prima dovrai giurarmelo, se vuoi che dopo io accondiscenda a quanto pretendi da me! Allora me lo giuri, capo tercipino, oppure ti rifiuti?»
«Sono disposto a dartene pure cento di parole e a giurartelo mille volte, Terrestre, se dopo farai ciò che ti ho ordinato poco fa! Perciò sbrìgati ad eseguire il mio ordine!»
«Allora ti accontento senza indugio, Kumbut. Dopo, però, bada a non venire meno alla promessa che mi hai appena fatta, se non vorrai pentirtene amaramente. Sappi che sono stato sempre insofferente dei mendaci e degli spergiuri, come lo sono tuttora!»
Un istante più tardi, Iveonte depose la sua spada sopra l'erboso terreno ed iniziò ad avvicinarsi al gruppo dei cinque Tercipi. I quali, da parte loro, lo stavano aspettando con intenzioni manifestamente ostili. Quando infine si ritrovò a tre metri dagli alieni tercipini, l'impavido giovane, il quale si mostrava più che sicuro di sé e di quanto stava facendo, non perse tempo a rivolgersi al loro capo e a gridargli con fermezza:
«Adesso, Kumbut, ti esorto a mantenere la parola data, facendo liberare subito il mio amico! Perciò ordina all'istante ai tuoi due Tercipi di lasciarlo andare! Altrimenti mi arrabbierò sul serio e allora per te ci saranno guai davvero molto seri!»
«Terrestre, lo grazierò, solo dopo che i miei Tercipi ti avranno ridotto in un cumulo irriconoscibile di brandelli carnei ed ossei, precisamente come tu hai fatto con i loro compagni! Ma prima voglio ringraziarti, per esserti fidato stupidamente di me, che sono del tutto privo di religione e di morale! Per la verità, non ti facevo così credulone!»
Una volta che si fu espresso in quella maniera, egli impartì a due suoi spalleggiatori l'ordine di aggredire il giovane rivale, il quale dimostrava di essere molto in gamba. Ma Iveonte non diede loro la possibilità di mettergli le mani addosso. Intervenendo contro i suoi due assalitori con il meglio della sua preparazione nelle arti marziali, egli mise in atto delle mosse che non lasciavano dubbi. Le quali facevano parte di una tecnica specialistica insuperabile della lotta corpo a corpo. Così la loro esecuzione, da parte sua, mise in mostra un ottimo destreggiamento tanto nelle prese quanto nelle azioni offensive. Soprattutto evidenziò un'assoluta padronanza del proprio corpo sia nella difesa sia nell'attacco, oltre a scombussolare a non dirsi i propositi malvagi dei due Tercipi. Costoro, a loro volta, si erano riproposti di ridurlo molto male. Invece, all'improvviso, essi si videro scaraventare al suolo come due fastelli di erba secca, senza sapere neanche come c'erano finiti. Inoltre, ad uno di loro che si stava rialzando da terra per primo, Iveonte corse anche a prendergli il collo tra le sue granitiche braccia. Sottoponendoglielo poi ad un brusco movimento rotatorio, finì per spezzargli l'osso cervicale. Il Tercipe allora spirò sul colpo e si lasciò cadere al suolo senza vita. L'altro alieno, invece, pur avendo assunto di nuovo la posizione eretta, ben si guardò dall'aggredire ancora il suo avversario, essendosi reso conto della fine miseranda che egli aveva fatto fare al proprio compagno. Perciò preferì non seguirlo nella sua identica nefasta sorte, poiché essa avrebbe potuto riservargli soltanto la morte. Stando così le cose, Kumbut cercò di minacciare ed intimidire Iveonte nel solo modo che poteva, cioè prendendo come ostaggio Fernop. Perciò si ridiede ad urlargli:
«Se fai un altro passo in avanti, Terrestre, puoi considerare già spacciato lo Stucos, il quale è sotto la minaccia dei miei Tercipi! Perciò ti conviene restare fermo dove sei, se vuoi salvarlo!»
Nel frattempo, uno dei due Tercipi che lo spalleggiavano, era andato a raccattare la spada del giovane terrestre, per cui ora stava raggiungendo il suo capo per consegnargliela nelle mani. Iveonte, però, gli evitò tale possibilità, poiché si rivolse alla sua spada, dandosi a gridare ad essa: "Kronel, sai quale provvedimento devi prendere!" Non appena il giovane ebbe emesso il suo grido imperioso, dalla spada si sprigionarono delle lunghe lingue ignee. Allora esse, avvolgendo il Tercipe in un manto di fuoco, lo ridussero subito in una gigantesca torcia bruciante ed urlante, carbonizzandolo per intero in quella maniera. Il fenomeno sbalordì enormemente sia Fernop sia gli alieni che restavano ancora in vita. Ma prima che Kumbut potesse ordinare ai suoi due Tercipi di uccidere il loro prigioniero, Iveonte rivolse l'anello contro di loro e gli ordinò: "Uccidili!" Così anche loro furono scorti ardere vivi e trasformarsi in cenere, per poi sparire per sempre. Alla fine Iveonte, volendo evitare di tirarla troppo alla lunga con gli alieni, si servì ulteriormente del suo anello per liquidare il perfido Kumbut e gli altri due Tercipi superstiti. Perciò egli fece perire anche loro tre, facendoli divorare completamente dalle fiamme e riducendoli in tre piccoli caldi mucchi di cenere.
In seguito, mentre ritornavano dal popolo stucosino, il quale restava celato in un luogo sicuro, Fernop, preso dalla curiosità, domandò a colui che aveva visto compiere delle gesta portentose:
«Chi sei veramente, Iveonte? Non sarai mica un dio, per essere riuscito ad operare prodigi di tal genere! Essi mi hanno fatto allibire, quasi avessi visto crollare le stelle dalla volta del cielo!»
«Sono un essere mortale come te, Fernop! Con la differenza che qualche divinità mette a mia disposizione dei poteri straordinari, ai quali ricorro esclusivamente in casi eccezionali. Cioè, essi mi fanno superare quegli ostacoli che possono risultare insormontabili ad un comune essere mortale; però non funzionerebbero, se tentassi di usarli a discapito del bene e della giustizia. L'uno e l'altra sono dei fini che ogni retto uomo è tenuto a perseguire, durante la sua intera esistenza! Fernop, penso di averti detto ogni cosa che dovevi sapere, pur di renderti soddisfatto della mia risposta!»
«Quindi, Iveonte, la stessa divinità ti ha permesso anche di raggiungerci nel nostro presente, al fine di portarci il tuo aiuto! Non può essere stato che così! Non è vero?»
«Esatto, Fernop! Essa più in là dovrà pure consentirmi di ritornare nel mio presente, il quale corrisponde al vostro futuro, dove ci sono i miei amici ad attendermi. Anzi, vi avevo lasciato anche Arsia insieme con loro; ma ella adesso non ci sarà più, per aver cambiato il suo destino nella data odierna, come è avvenuto anche con quello del suo popolo.»
Raggiunti gli Stucos nel bosco, Iveonte e Fernop informarono Agerio di quanto era accaduto ai restanti Tercipi, compreso il loro capo Kumbut. Perciò adesso poteva ricondurre il suo popolo nel loro villaggio, senza correre più alcun pericolo da parte di potenziali nemici, quali si erano appunto rivelati gli alieni. Ma quando il cugino del capo fece propalare tra la sua gente le imprese compiute dall'insuperabile forestiero, anche se l'eroe non avrebbe voluto che egli lo facesse, gli Stucos, a cominciare da Agerio, si diedero a mostrarsi riguardosi e riverenti nei confronti dell'illustre personaggio, il quale si era dimostrato una vera divinità.
Iveonte, nell'ultimo colloquio avuto con il capo stucosino, non poteva non metterlo in guardia anche dall'alluvione devastatrice, la quale si sarebbe abbattuta molto presto in quell'area geografica ed avrebbe interessato diversi villaggi della zona. Comunque, prima ci sarebbe stato un lungo periodo di piogge torrenziali. Queste avrebbero fatto ingrossare talmente le acque dei fiumi, che alla fine li avrebbero portati alla loro massima piena e alla loro tracimazione. In quel modo, i corsi d'acqua avrebbero causato ingenti danni alle persone, agli animali e alle cose, se non si fosse provveduto in tempo a porvi riparo. La notizia di Iveonte permise agli Stucos di prevenire l'inondazione catastrofica ed assassina, poiché essi riuscirono ad evitarla, trasferendosi sopra due alture vicine per tutto il tempo necessario. Sempre dietro suo consiglio, essi, dopo avere smontato le loro capanne, misero in salvo il materiale che era occorso per costruirle, per averlo poi a disposizione in seguito, ossia quando si sarebbero rimboccate le maniche per ricostruirle.
Al momento del congedo di Iveonte dagli Stucos, siccome gli serviva ancora un cavallo per raggiungere i vicini villaggi e per recare ai loro abitanti lo stesso tipo di aiuto offerto ai conterranei di Agerio, costui volentieri gli fece dono di quello che l'eroe già aveva cavalcato fino allora. Inoltre, Fernop si offrì di accompagnarlo in ogni villaggio in cui si erano presentati i Tercipi e si preparavano a dominarlo. Alla fine, furono ingenti i ringraziamenti e le benedizioni che il popolo stucosino gli riservò, al momento della sua partenza dal loro villaggio, insieme con il loro conterraneo Fernop. Nei nuovi centri abitati, Iveonte, avendo poco tempo a disposizione per salvare i loro abitanti, evitò di presentarsi ai rispettivi capi e spiegare ogni volta come stavano le cose a tutti loro. Quando arrivava in ciascuno di essi, egli ricorreva all'anello per ammazzare i Tercipi, ottenendo un risultato pulito e più sbrigativo. Agendo così, Iveonte, nell'arco di una giornata, fu in grado di sopprimere l'intera razza tercipina, la quale era sbarcata sulla Terra con dei perfidi disegni.
Eliminati i Tercipi dal suolo terrestre e congedato Fernop, che se ne ritornò da solo tra la sua gente, Iveonte ricorse alla consulenza di Kronel per distruggere l'astronave tercipina, siccome egli non riusciva ad intravederla in nessuna parte del cielo. Allora la diva, volendo essergli di aiuto, gli fece presente che proprio quella notte sarebbe provenuto da essa un segnale. I suoi piloti, credendoli ancora vivi, lo avrebbero inviato ai Tercipi sbarcati su Geo alcuni giorni prima. Poiché essa si sarebbe esposta in modo palese nell'inviarlo, quella sarebbe stata l'occasione buona per colpirla con il suo anello. Iveonte non volle farsela sfuggire e mandò così in frantumi la nave spaziale dei Tercipi. Con la disintegrazione dell'astronave aliena, la sua missione poté considerarsi definitivamente conclusa. Per questo egli decise di ritornarsene nel suo tempo presente, poiché non vedeva l'ora di incontrarsi di nuovo con i suoi due cari amici e di riprendere con loro l'interrotto cammino verso la loro remota meta. Quanto a Kronel, grazie alla sua nuova compenetrazione avuta con l'eroico protetto, la quale fu obbligatoria, non si astenne dall'approfittarne per avere con lui un nuovo amplesso. Strano a dirsi, ma esso le risultò più appetibile e più godibile del precedente, poiché c'era stata una maggiore compiacenza da parte di entrambi.
Nel rivederselo in mezzo a loro, tutti gli abitatori del campo furono lietissimi e si diedero a festeggiarlo fino a mezzanotte; però furono i suoi amici Tionteo e Speon quelli che si dimostrarono particolarmente felici. Essi, inoltre, pretesero che egli si mettesse a raccontare a loro due la nuova impresa portata a termine nelle regioni del tempo. Cioè, in quelle che si inabissavano nel passato, pur restando la parte spaziale identica a sé stessa nelle due diverse fasce temporali. Infatti, dopo che essi si furono abbracciati, tra loro tre ci fu una breve conversazione su tale argomento. La quale, per dovere di cronaca, adesso viene qui riportata integralmente.
«Allora, amico mio, hai fatto buon viaggio?» Tionteo con ansia si affrettò a chiedere all'eroe «Quale sensazione hai avuto nell'attraversare il tempo prima a ritroso e poi in senso opposto? Su, mettiti a raccontarci ogni cosa sulla tua impossibile esperienza!»
Ma l'eroe non aveva ancora iniziato a dare la debita risposta alla domanda da lui formulata, quando il Terdibano, senza dargli il tempo di farlo, desiderò anticipargli il suo commento riguardo ad essa. Per cui, come se ne fosse quasi convinto, gli affermò:
«Comunque, Iveonte, sono sicuro che sei riuscito a fare un ottimo lavoro nel passato degli Stucos! Lo ha dimostrato il fatto che Arsia, mentre era con noi, ad un certo momento, è scomparsa alla nostra vista. La sua sparizione mi ha indotto a pensare che anche il suo futuro, insieme con il suo presente, era stato modificato da te. Per questo ella, essendo entrata a far parte del suo tempo di una volta, non poteva più appartenere a quello in cui si era presentata a noi! Dimmi che è stato precisamente come ho detto, amico mio!»
«Esatto, Tionteo: è stato proprio come hai immaginato! Con l'uccisione dei Tercipi, il futuro degli Stucos è stato automaticamente cambiato. Se per breve tempo i loro due destini hanno continuato a viaggiare su binari paralleli, in seguito, ad un certo punto, il primo è confluito nel secondo con l'intera sua nuova realtà, facendosi inglobare da esso fino a sparire del tutto. Ma adesso, amico mio, non intendo pronunciarmi sull'argomento più di quanto io abbia già fatto, essendo esso acqua passata. Preferisco invece porre mente al futuro, il quale ci attende durante il nostro pericoloso tragitto, siccome ce ne rimane ancora da fare parecchio. A proposito del quale, sarei contento, se altri imprevisti, compresi quelli di natura prettamente umanitaria, non intervenissero ad interrompercelo di nuovo durante la nostra futura avanzata!»
«In merito al viaggio da noi intrapreso, Iveonte, ti sei ancora fatta qualche idea circa la distanza che ci separa dalla nostra meta? Se lo vuoi sapere, non vedo l'ora di arrivare ad essa, poiché in questo modo potrai conoscere la verità sui tuoi genitori e sull'intera tua famiglia! Quando ciò avverrà, io ne sarò oltremodo felice per te, amico mio!»
«Personalmente, Tionteo, non ne ho la minima idea. Invece avresti dovuto rivolgere la tua domanda al nostro amico Speon, poiché di noi tre egli è l'unico conoscitore di questi luoghi ignoti ed infidi! Ne convieni pure tu, adesso che te l'ho fatto notare?»
«Hai ragione, Iveonte. Grazie a te, mi avvedo di aver fatto la domanda alla persona sbagliata! Perciò, senza perdere tempo, passo a rimediare al mio errore, facendola a lui!»
Dunque, rivòltosi all'amico di Borchio, Tionteo gli domandò:
«Allora, Speon, vuoi essere così gentile, da rispondere tu a quanto poco fa ho chiesto al nostro amico comune, che è Iveonte? Te ne sarò molto grato, amico mio, se tu potessi illuminarmi sull'argomento!»
«Se procedessimo senza altri intoppi, Tionteo,» cortesemente il Borchiese si mise subito a sua disposizione «in un mese di cammino, potremmo anche farcela a raggiungere il territorio che si affaccia sul Mare delle Tempeste. Ma se così non dovesse essere, considerata l'insidiosa natura della zona, non si possono fare previsioni di nessun genere in merito alla tua richiesta! Ecco ciò che ti posso asserire per ora!»
Dopo aver ricevuto da Speon la risposta alla sua domanda, risultata ovviamente insufficiente, Tionteo non poté fare altro che esclamare all'eroico compagno:
«Allora, Iveonte, auguriamoci che il viaggio non si dilunghi ancora per molto! Altrimenti i nostri Lutros, stremati come sono in maniera preoccupante, cominceranno a dare gravi segni di insofferenza! Non sei convinto pure tu della loro stanchezza? Oppure sono soltanto io a scorgerli stanchi oltre il limite sopportabile?»
«Le tue osservazioni, Tionteo, sono giustissime. Anch'io, come te, mi sono accorto di quanto hai affermato, per cui ne prendo atto. Ma considerato che siamo tutti in ballo, ci toccherà continuare a ballare insieme e non possiamo riservare solo a loro un trattamento di favore, essendo anch'essi coinvolti nell'ardua impresa da noi intrapresa da mesi!»
In quell'istante, un lampo e un tuono consecutivi, avendo visitato il loro campo, posero fine alla conversazione dei tre amici, costringendoli a darsi da fare in maniera differente, siccome si pensò subito a cercarsi un sicuro riparo dalla imminente pioggia in arrivo.