315°-L’ODISSEA DEGLI STUCOS, COME SPIRITI VAGANTI

Una volta che ci ebbero dimostrato che essi erano in grado di intervenire perfino sui nostri spiriti, i Tercipi si sentivano sicuri che non saremmo più ricorsi a sotterfugi individuali oppure a qualche rivolta in massa. Secondo il loro capo Kumbut, dopo il trattamento punitivo riservato al loro conterraneo, che egli aveva voluto della massima spietatezza, nessuno del villaggio si sarebbe mai più azzardato a contravvenire alle tre disposizioni impartite all’intera comunità stucosina. Il capo tercipino, però, ignorava che noi avevamo scoperto che il loro controllo, nei nostri confronti, non era assoluto, come egli aveva voluto farci credere, siccome esso era eludibile da parte nostra. Infatti, il medesimo era limitato alle sole ore diurne e poteva esserci, a condizione che non ci sottraessimo alla loro vista. Comunque, non sapevamo con esattezza se il trasmigrat dei Tercipi, nell’intercettarci e nel tenerci in sua balia, avesse il suo effetto indipendentemente dalla nostra distanza oppure venisse condizionato da essa. Nella seconda ipotesi, la nostra lontananza gli avrebbe creato qualche problema, rendendolo inefficiente almeno in parte. In verità, mai nessuno di noi se l’è sentita di sperimentarlo di persona. Il motivo? In noi c’era la consapevolezza che, se fosse risultata vera la prima ipotesi, lo sperimentatore di essa non sarebbe scampato alla dura punizione già toccata al mio parente Fernop.

Nel periodo precedente all’alluvione, i Tercipi eseguivano su di noi due tipi di controllo generale, ossia la conta delle persone e l’esame delle ampolle. Con il primo controllo, all’ora del tramonto essi ci obbligavano a presentarci presso il capannone adibito a loro abitazione, dove ci mettevano in fila e ci contavano per controllare il nostro numero. Volendo essere più precisa, ottenevano da noi i soliti sessanta gruppi precostituiti e ciascuno doveva risultare di cinquanta Stucos, senza che ne mancasse qualcuno. Il secondo controllo, il quale non era continuativo ma saltuario, invece veniva effettuato direttamente sulle ampolle. Perciò non era necessaria la nostra presenza sul luogo perché esso venisse eseguito. I Tercipi, infatti, una volta al giorno e in una qualsiasi sua ora, mettevano in funzione un congegno particolare, chiamato intensor. Tale strumento riusciva a fare emettere dalle ampolle una luce intermittente, la cui intensità li metteva al corrente della nostra distanza dal villaggio. Una loro luminosità meno intensa stava ad indicare che ci trovavamo in una zona critica, cioè a ridosso della linea di demarcazione che essi ci avevano assegnata. Più grande era la lontananza dal villaggio di uno di noi, più tenue diveniva la luce emessa dalla sua ampolla. Invece colui che oltrepassava il territorio, che essi avevano demarcato per ricavarne il confine, faceva spegnere del tutto la propria ampolla, mettendo sul chi va là i nostri controllori tercipini.

Kumbut aveva parlato anche con mio padre dei loro due controlli. Il motivo? Egli aveva voluto che noi Stucos ne fossimo a conoscenza e ci sapessimo regolare, quando in noi si avevano determinati sintomi. Difatti ad essi saremmo potuti andare incontro, dopo una nostra disubbidienza oppure dopo un nostro calcolo errato nel determinare la distanza che ci separava dal nostro villaggio. Comunque, i Tercipi ammettevano che saremmo potuti trovarci in quella condizione anche per un errore involontario e non perché stavamo agendo in malafede. In quel caso, essi si affrettavano ad avvisarci, facendoci pervenire delle strane sensazioni, le quali, risultandoci come un richiamo ed un invito a rientrare nella zona a noi consentita, ci costringevano ad avvicinarci al nostro villaggio. Insomma, i Tercipi si davano a provocare in noi una serie di sintomi, che ci risultavano tutt'altro che gradevoli. In un certo senso, se le cose per noi fossero rimaste sempre com’erano, anche la nostra esistenza di spiriti vaganti poteva essere accettata e tollerata da noi con poche difficoltà. Al contrario, la realtà del momento da noi vissuta in maniera tollerante presto avrebbe subito dei contraccolpi, come quelli che adesso mi appresto a spiegarvi.

Per noi Stucos, i veri guai cominciarono, dopo tre mesi che eravamo stati privati del nostro corpo. Trascorso tale periodo di tempo, i Tercipi, facendo un uso particolare del loro intensor, oltre a controllarci come già visto, iniziarono a renderci la vita intollerabile. Non so per quali loro oscuri disegni, essi si diedero a fare degli esperimenti sui nostri corpi che si trovavano all’interno delle ampolle, dopo essere stati trasformati in essenze biologiche reversibili. Della loro trasformazione invertibile, avevamo avuto la dimostrazione, quando Kumbut aveva decretato la punizione di Fernop. In quella occasione, per eseguirla, egli aveva dovuto farlo ritornare l’essere corporeo che era stato in precedenza. Ma ora è opportuno che vi facciate una idea di tale strumento rilevatore. Perciò cercherò di farvi comprendere cosa esso è realmente e a quale scopo nefando viene adoperato sulle ampolle contenenti i nostri corpi.

L’intensor è una specie di parabola girevole, la quale, muovendosi a tre metri di altezza, è situata davanti alle ampolle ed occupa il punto medio delle medesime. Essa, girando a centottanta gradi, novanta verso destra e novanta verso sinistra, con le sue onde di vario tipo, riesce ad influenzarne la totalità. Durante il controllo, inoltre, la stessa parabola emana delle onde elettromagnetiche, le quali si dimostrano capaci di sensibilizzare le rispettive superfici. Ossia, le rende luminescenti a vari livelli e fa emettere alle medesime una luminosità intermittente, ma con differente intensità. Negli esperimenti dei Tercipi, dall’intensor fuoriesce una luce calda ed abbagliante, la quale va a colpire tutte quante le ampolle. Allora essi si servono di quel fascio luminoso per far giungere al loro interno delle sostanze speciali, che risultano la causa principale dei nostri grandi malesseri. Infatti, ciascuna sostanza biochimica, che gli alieni inoculano nel nostro corpo attraverso la luce, si traduce nel nostro spirito in una risposta negativa. Per questo vi provoca in continuazione nuove reazioni variamente sgradevoli, la cui minore o maggiore gradazione dipende dal tipo di sostanza che vi fanno pervenire per conseguire i loro fini reconditi.

In quegli scorci di tempo impegnati nella loro sperimentazione, i Tercipi ci rendono l’esistenza impossibile e ci fanno maledire il giorno che siamo nati. Ad un tratto, mentre trascorriamo la nostra vita nel nonsenso, piatta ed amorfa nella sua nuova impostazione spirituale, in noi avviene una specie di cataclisma dell’animo. Cioè, si verifica una perturbazione psichica, la quale scombussola perfino il nostro essere incorporeo, che oramai è stato deprivato di ogni aspirazione e di ogni idealità. Dentro di noi, per precisare meglio la nostra situazione, viene ad effettuarsi la catastrofe dell’esistenza. Per tale motivo, all'improvviso essa ripiomba in una visione pessimistica e reattiva dell’essenza umana, dopo essere divenuta vittima di un processo tecnologico che tende ad asservirla. Nel nostro io profondo, in verità, iniziano ad agitarsi nembi forieri di tempeste esistenziali, poiché esse sono pronte a minacciare ogni residuo di serenità, che è rimasto ancora dentro di noi. Infine quest'ultimo si dimostra un barlume di speranza, il quale però viene sballottato dai venti burrascosi che prendono origine dalla sommossa dello spirito e vengono da essa alimentati, come per ottenere l'autoannientamento. Nella nostra nuova realtà spirituale, non mancano neppure molte sensazioni dolorifiche: queste la investono con una valanga di crudeli atrocità e la rendono un ricettacolo di atti folli e disperati. Così ci sentiamo perderci nel disorientamento totale; avvertiamo in noi lo smarrimento più brutale ed accasciante; veniamo rapiti dalle fobie più spaventose ed implacabili. Per questo nuotiamo nel mare dell’abiezione, nella palude della miseria e nel pantano della morte di noi stessi. Spesse volte, una specie di soffocamento si impossessa di noi e ci fa credere che stiamo quasi per perire nel marasma della nostra tragica situazione. Allora, a causa di tutti questi fattori negativi, ci sentiamo martoriare dalla circostanza, stando in una sofferenza enorme ed inaudita. Ecco quanto di doloroso deriva ogni volta ai nostri corpi e, di riflesso, ai nostri spiriti; mentre essi vengono straziati dai loro quotidiani esperimenti a pioggia. A tutt’oggi, però, siamo rimasti sempre totalmente ignari del vero obiettivo che gli inumani alieni perseguono nel portarli avanti a nostre spese, incuranti della nostra immensa pena.

Tempo fa qualcuno di noi volle dare una occhiata alla dozzina di villaggi che si trovano nelle nostre vicinanze, essendo desideroso di appurare se anche in essi i Tercipi la facevano da padroni, dopo aver trasformato i loro abitanti in puri spiriti identici noi. Allora egli scoprì che soltanto in tre di loro gli alieni non si erano ancora presentati, lasciando in pace coloro che vi risiedevano. Per questo, oltre al nostro, c’erano altri nove villaggi, quasi tutti confinanti con esso, che erano costretti a subire gli abusi e le prepotenze dei Tercipi. Presso i quali essi adottavano la medesima procedura, senza differenziarsi in niente. Anche le sofferenze, che infliggevano ai loro popoli, sempre a causa dei loro disumani esperimenti, erano identiche alle nostre. Per cui facevano esplodere anche i loro singoli abitanti in paradossali deliri, che non erano trattabili.

A questo punto, si può desumere che, in tutti e dieci i villaggi soggiogati dai Tercipi, i loro abitanti si ritrovano a vivere l'uguale amara odissea. Per la qual cosa, il nostro e il loro destino risultano oramai segnati e nessuno più può cambiarli. Specialmente adesso che gli alieni sono in grado di eseguire il processo inverso, cioè quello che ci consentirebbe di riappropriarci dei nostri corpi! Essi, come ci siamo resi conto, sono separati dai rispettivi spiriti in modo tale, da non poter essere più ricongiunti con un trattamento che non sia quello adottato dai progrediti alieni! Difatti non servirebbe a niente un nostro tentativo di operare in tal senso, essendo privi della cultura adatta per riuscirci da noi.


Procedendo la tribolata esistenza di tutti i popoli assoggettati dagli invasori nella maniera che vi ho descritta, tre mesi addietro mio padre decise di affrontare per l'ennesima volta il capo degli alieni. Quando fu al suo cospetto, egli si lamentò con lui come vi riferisco appresso:

«Kumbut, gli Stucos sono insofferenti del trattamento a cui voi Tercipi sottoponete i loro corpi nell’arco della giornata, per cui non ne possono più. Esso si ripercuote negativamente sui loro spiriti, causando nella loro essenza malesseri di vario tipo. Alcuni si rivelano di una dolorabilità talmente insopportabile, da fargli perdere la coscienza!»

«Agerio, noi non dobbiamo rendere conto a nessuno di quello che facciamo con le vostre entità spirituali, visto che voi rappresentate per noi solamente dei numeri. Ad ogni modo, non ci risulta che i nostri interventi sui vostri corpi cagionino sui rispettivi spiriti i gravi disagi, ai quali ti sei voluto riferire. Essi, secondo me, sono dovuti esclusivamente ad una vostra maggiore lontananza dal villaggio. Per questo vi consiglio di non allontanarvene troppo, se volete evitare gli inconvenienti dei quali oggi vi state lamentando!»

«Invece, Kumbut, la nostra distanza dal villaggio non c’entra affatto, considerato che tutti gli Stucos, indipendentemente dal posto in cui vengono a trovarsi, oltre ad accusare gli stessi gravi disturbi, li avvertono con la medesima intensità. Perciò vi preghiamo di provvedere, affinché essi vengano a cessare al più presto sui nostri spiriti, se volete evitare una nostra insubordinazione generale! Credo di essere stato abbastanza chiaro, capo dei Tercipi, perché tu non mi abbia potuto comprendere!»

«Se sei convinto di quanto affermi, Agerio, non so che farci, poiché sono problemi vostri e non nostri. Ma ti proibisco di presentarti ancora da me per simili inezie, se noi due vogliamo seguitare ad andare d’amore e d’accordo. La prossima volta, se verrai di nuovo a reclamare presso di me, adducendo dei futili motivi come quelli odierni, potrei vedermi costretto a punirti con severità, sebbene tu sia il capo degli Stucos!»

«Kumbut, se per te la sofferenza del mio popolo non rappresenta una buona ragione perché io possa venire a protestare presso di te, allora vuoi dirmi di cosa in futuro dovrò venire a lamentarmi con te? Vuoi forse che io venga a farti presente che nel nostro villaggio sta succedendo la fine del mondo e a chiedervi di porvi rimedio? A me pare proprio di sì, non potendo esserci un diverso ragionamento con voi Tercipi!»

«Agerio, non devi mai venire a lagnarti di nessuna cosa, quando ti rechi da me. Puoi unicamente metterci al corrente che alcuni dei tuoi si rifiutano di ottemperare alle mie disposizioni ed aiutarci nel contempo a sventare un loro eventuale complotto in atto. Così, impartendogli noi una bella lezione, faremmo capire a tutti loro chi è che comanda nel vostro villaggio e a chi essi devono la loro cieca obbedienza!»

«Se ti piace ragionare in questi termini, Kumbut, è inutile che io insista a perorare la nostra causa! Oramai il destino è dalla vostra parte e si mostra ingrato verso di noi, pur essendo voi i malvagi e noi i giusti. Ma sappi che non denuncerò mai qualcuno della mia gente, visto che il delatore non è mestiere che fa per me! Inoltre, se dovessi venire a sapere che i nostri corpi vi servono per perseguire degli obiettivi malvagi, i quali prevedono anche la fine delle nostre essenze spirituali, non esiterei a condurre io stesso il mio popolo a rivoltarsi a voi. Anche a costo di trascinarlo alla loro totale e definitiva rovina! Così facendo, sono sicuro che neppure voi ne ricavereste il profitto che vi siete proposti di ottenere dai nostri corpi, cioè quello che continuate a tenerci nascosto!»

«Attento a come parli, Agerio! Ci potrebbe anche andare di mezzo tua figlia Arsia! Che ne diresti, se domani la facessi punire in pubblica piazza alla stessa maniera di tuo cugino Fernop? Ma non ho dubbi che la tua coscienza di padre vorrà senz'altro evitarlo! Allora continua a comportarti come hai sempre fatto fino ad oggi, se ci tieni alla tua graziosa figliola! Quindi, tieni sempre a mente che ella è alla nostra mercé!»

«Per pietà, Kumbut, non permettere che si arrechi del male alla mia cara figliola! Te ne prego! Ti prometto che non verrò mai più a lamentarmi presso di te ed ubbidirò ciecamente ad ogni tuo ordine! Vedrai che, da domani in avanti, eviterò di deluderti ancora!»

«Certo che non lo farò, Agerio, a condizione però che tu continui a comportarti come hai fatto fino ad oggi! Perciò non dimenticare mai che la tua piena acquiescenza costituirà una sicura garanzia di sopravvivenza per la graziosa tua figlia Arsia! Ci siamo intesi?»

Quando mio padre ritornò a casa e ci riferì il colloquio avuto con il capo dei Tercipi, mi sdegnai del suo atteggiamento vile e permissivo. Per questo mi diedi a riprenderlo, dicendogli:

«Neanche per il mio bene avresti dovuto comportarti come hai fatto, padre mio! Prima dei tuoi familiari, viene il tuo popolo, per cui è ad esso che devi rendere conto del tuo operato! Inoltre, non sai che ti sei umiliato inutilmente con i nostri nemici? Essi continueranno a fare sempre ciò che è nella loro intenzione, senza curarsi neanche minimamente della nostra gravissima sofferenza! Ecco qual è l'attuale realtà!»

«Non ti capisco per niente, Arsia. Con il mio atteggiamento sono riuscito a farti evitare la stessa punizione che ebbe a subire il nostro parente collaterale da parte loro! Hai scordato l'orrenda fine che gli fecero fare? Quindi, è così che mi sei riconoscente?»

«Invece ti sbagli, padre! Anche gli altri abitanti del villaggio, noi compresi, sono destinati ad una fine ancora più orrenda. Se non sappiamo in che modo i Tercipi ci faranno spegnere per sempre, stanne certo che essi, con i loro esperimenti, staranno già facendo progetti in tale direzione! Ma se tu vuoi ignorare un fatto del genere, sei libero di farlo!»

«Se non dovesse essere come dici, figlia mia? Non è meglio affidarci alla speranza e colorire la nostra esistenza attuale con una vena di ottimismo? Cosa ci costa sperare e dipingerci il nostro futuro all'interno di una prospettiva più rosea e meno drammatica? Per questo sii comprensiva con me e non mostrarti così severa, come stai facendo!»

«Devi convincerti, padre, che il tuo ragionamento è errato! La dignità e la fierezza non devono mai soccombere in una persona nobile e saggia. Quando entrambe vengono a morire in noi, in tal caso è meglio votarci al suicidio in massa e smettere di sottometterci al nostro sadico destino. Non ti sembra che i Tercipi abbiano già superato ogni limite nel sottoporci alle loro torture, usandoci come cavie nei loro misteriosi esperimenti? E noi dovremmo anche sottostare alle loro vessazioni, mentre fanno della nostra esistenza un lager di tormenti, nonché di gravi lesioni ai nostri diritti e alla nostra libertà? Occorre ribellarsi, fare qualcosa subito. Non bisogna consentire agli alieni di ridurre i nostri corpi e le nostre coscienze ad uno scempio, bistrattando la nostra dignità!»

«Arsia, come potremmo attuare una sommossa generale e sottrarci, una volta per tutte, al dominio dei Tercipi? Non riesco ad immaginare un modo per potercela fare contro di loro!»

«Padre mio, suggerisco di abbandonare tutti insieme il nostro villaggio, in una di queste notti, approfittando del favore delle tenebre. Così il mattino successivo saremmo già molto lontani da qui. Quanto ai Tercipi, non so se e quanti di noi essi sarebbero in grado di catturare con i loro trasmigrat. Ricòrdati che, almeno per il momento, essi hanno interesse a tenere in vita i nostri corpi, i quali servono a portare avanti i loro nefandi esperimenti a noi ignoti. Perciò ti esorto a darmi retta, prima che per gli Stucos sarà troppo tardi per sottrarglisi per sempre! Oramai non abbiamo nessun'altra chance per liberarci dal giogo dei nostri oppressori, che seguitano a violentarci con ogni mezzo e in ogni modo!»

Dopo che gli ebbi sostenuto la mia tesi riguardante i Tercipi e gli feci presente l’atteggiamento che avremmo dovuto assumere nei loro confronti, il mio genitore incominciò a rimuginarci sopra. Alla fine non furono poche le riflessioni che si ebbero in lui sull’intera vicenda dei Tercipi. Così esse lo condussero a considerare a fondo il nostro vero rapporto con loro. Alla fine anch’egli comprese che esso implicava il loro signoreggiamento sul nostro popolo, il quale adesso si vedeva costretto a vivere nel terrore e nella sofferenza. Per tale ragione, ammesso pure che la loro ribellione li avesse portati ad un nulla di fatto, gli Stucos, non avendo più nulla da perdere, lo stesso avrebbero dovuto intraprendere la via della ribellione. Pervenuto a tali considerazioni, le quali per giunta collimavano con il pensiero che gli avevo espresso sulla nostra tragica odissea, mio padre si propose di risolversi in qualche maniera, ma nella direzione che gli avevo chiaramente ventilata.

Il giorno dopo, per prima cosa, egli convocò un’assemblea notturna di soli maschi adulti, in seno alla quale si accese un dibattito vivace su come sarebbe dovuto avvenire il complotto sedizioso. All’inizio, non tutti si mostrarono d'accordo nell’accettare la proposta avanzata dal loro capo, la quale, in effetti, era quella che gli avevo suggerito in precedenza. Ma alla fine tutte le discrepanze, che prima erano sorte intorno ad essa, furono appianate. Così ci si trovò concordi nell’accoglierla a unanimità, senza che sorgessero nell’assemblea nuove difficoltà. La proposta del mio genitore prevedeva che, una volta giunta la terza notte, a partire da quella in corso, l’intera popolazione stucosina avrebbe dovuto abbandonare il proprio villaggio e sarebbe dovuta mettersi in volo, seguendo tutte le direzioni possibili, ossia a ventaglio. Nel frattempo, non bisognava dar modo a Kumbut di avvertire alcun vento di fronda. Ma perché tale eventualità non ci fosse, mio padre ricorse ad un piano da tutti ritenuto astuto, che ora passo a riferirvi senza perdere tempo.

Il mattino seguente, egli si condusse dal capo dei Tercipi e, per finta, gli fece presente che alcuni Stucos stavano seminando zizzania tra la sua gente, al fine di spingerla a ribellarsi e a non osservare le disposizioni da lui emanate. Inoltre, gli garantì che, non appena egli avesse appreso i loro nominativi, sarebbe corso a denunciarli senza perdere tempo, appunto per farli punire dai Tercipi con la dovuta severità. Da parte sua, Kumbut ringraziò mio padre e lo lodò per la sua lealtà verso di loro. Lì per lì, dentro di sé, egli ebbe pure la convinzione di aver trovato nel capo degli Stucos un suo fedele alleato e servitore, il quale gli avrebbe fatto risparmiare un sacco di tempo. Secondo lui, grazie a mio padre, non c’era più bisogno che egli tenesse di continuo sotto controllo il popolo stucosino con la loro strumentazione. Ormai ora ci stava già chi avrebbe fatto l’uguale lavoro al posto dei suoi sofisticati congegni. Così, dopo l’ultima visita del mio genitore, fidandosi al massimo di lui, Kumbut allentò la sorveglianza su tutti noi, poiché adesso egli poteva contare su una persona fidata, qual era appunto il capo degli Stucos. Senza dubbio, l’espediente, a cui era ricorso mio padre, era stato molto ingegnoso e gli aveva fatto raggiungere lo scopo che si era prefissato.


Giunto l’imbrunire del terzo giorno, le tenebre iniziarono a soffondere di buio il cielo, il quale si presentava perturbato già da un paio di giorni. Anzi, pioveva a dirotto da quarantotto ore, senza mai accennare a smettere; inoltre, la terra era così imbevuta d’acqua, che quasi faceva fatica a contenerne altra. Per fortuna la pioggia non ci dava nessun fastidio, visto che non poteva farci bagnare in nessun modo. A noi, oltre che scorgerla e sentirne gli scrosci, risultava intangibile e non ci trasmetteva alcun'altra sensazione. Oramai ci era impossibile avere la sua percezione al tatto, il quale un tempo ce la faceva avvertire come un liquido fresco, inodore, insapore e bagnante. Perciò, più che al tempo piovoso, la nostra mente era rivolta a ben altro, producendo in noi sensazioni di genere diverso. Al contrario, quasi di sicuro la ininterrotta caduta di acqua dal cielo stava facendo innervosire a non dirsi i Tercipi, avendo essi poca dimestichezza con tale liquido. Ma l’oscurità regnava già ovunque, quando all’improvviso il nostro villaggio si ritrovò prima allagato e poi spazzato via dall’acqua dilagante di alcuni fiumi straripati. Secondo il parere dei più vecchi, l’incredibile fenomeno naturale stava interessando pure altri villaggi, devastandoli come aveva fatto con il nostro. Infatti, una immensa massa di acqua melmosa, alta più di cinque metri, spadroneggiava in ogni luogo, portandosi in superficie piccole piante divelte, i resti delle nostre capanne e molte carogne di animali di varie specie. Si trattava di qualcosa di impressionante che ci atterriva e ci angustiava, nonostante tanta distruzione non potesse arrecare alcun danno fisico almeno a noi Stucos e alle altre persone colpite dalla nostra stessa disgrazia.

In seguito a quella catastrofica alluvione, non ce la sentimmo più di partire; ma ci venne spontaneo accertarci se anche i capannoni dei Tercipi erano stati divelti e distrutti dall’acqua. In quel posto, però, non trovammo più niente, essendo stata ogni cosa abbattuta e spazzata via dalla tremenda onda alluvionale. Perfino le ampolle, con dentro i nostri corpi, erano state trascinate via con sé dall’eccezionale inondazione. Per la qual cosa, non si poteva nel modo più assoluto sapere dove esse fossero finite in quell’enorme sfacelo. Ci si chiedeva anche che fine avessero fatto i Tercipi; ma nessuno era in grado di rispondere alle due domande fatte sugli odiosi alieni. Potevamo solo constatare che essi, come pareva, erano spariti nel nulla con le loro cose e i loro strumenti. Inoltre, in tale circostanza, ci convincemmo che, se non fossimo stati delle essenze spirituali, anche i nostri corpi di sicuro vi avrebbero trovato la morte, poiché essi sarebbero stati travolti dalla rovinosa piena.

Al mattino, la pioggia finalmente cessò e ci furono le prime ampie schiarite. L’acqua, comunque, si tenne alta per diversi giorni, prima che si desse a calare di livello; ciò, in verità, avvenne, quando essa iniziò a ritirarsi attraverso gli sbocchi naturali. Infatti, essi, in breve tempo, ne favorirono lo smaltimento e ne permisero il progressivo abbassamento, fino alla sua totale scomparsa dal suolo. Il quale era risultato inondato e bagnato per diversi giorni. Ma dopo che ci fu il completo ritiro delle acque da esso, il nostro territorio non si riconosceva più; se ne erano impadroniti lo squallore e il degrado. Dovunque potevamo scorgere una vegetazione disastrata dall’ondata della gigantesca piena e una infinità di animali morti, i quali incominciavano a preoccuparci. Non essendoci nessuno a sotterrarli o a bruciarli, essi potevano dare origine ad estese epidemie. In realtà, essendo noi degli spiriti, se non potevamo evitare quella imminente pandemia, neppure c'era in noi un tale timore, essendo privi di un corpo affatto refrattario alle varie malattie epidemiche.

Ovviamente, i Tercipi restavano ancora la nostra maggiore preoccupazione; per questo volevamo accertarci se essi fossero ancora vivi oppure erano totalmente morti. Comunque, tanto il pensiero della loro vita quanto quello della loro morte non ci facevano stare tranquilli. Se li credevamo superstiti dell’inondazione, venivamo terrorizzati dalla punizione che essi avrebbero potuto infliggerci. Pure l’ipotesi che essi potessero essere annegati nelle acque fangose ci toglieva la pace. A nostro avviso, la loro morte avrebbe significato per noi la fine di ogni speranza di recuperare i nostri corpi e di ritornare a vivere come esseri normali. Per questo ci chiedevamo fino a quando i nostri spiriti sarebbero potuti esistere, senza l'assistenza diretta o indiretta operata dai Tercipi? Da quella notte maledetta, sono passati più di due mesi, senza che abbiamo avuto alcuna notizia dei Tercipi, ossia né che sono morti né che sono sopravvissuti al diluvio naturale. Noi, però, continuiamo a temerli e pensiamo che essi possano ripresentarsi a noi, da un momento all’altro. Per la quale ragione, seguitiamo a tenerci nascosti e facciamo il possibile per non essere scorti da loro, ad evitare i rischi che potrebbero derivarci.

Qui termina la mia terribile narrazione, che ha riguardato la perigliosa storia del nostro popolo. Essa è dovuta a dei crudeli alieni senza scrupolo, dei quali abbiamo sempre ignorato la regione di provenienza, per non averglielo mai chiesto, durante la nostra convivenza con loro.

Prima di ritornare alla caverna dove Arsia ha terminato di narrare ad Iveonte e ai suoi amici la storia delle sventure del suo popolo, ci conviene apprendere qualcosa sul popolo dei Tercipi, i quali erano gli alieni che ne erano risultati i veri colpevoli.