314°-GLI STUCOS SONO IMPOTENTI A RIBELLARSI AI TERCIPI

A giorno fatto, una marea di Stucos si radunò davanti alla nostra capanna. Essi vennero a lamentarsi con mio padre, rinfacciandogli che si trovavano in quella situazione precaria unicamente per avergli ubbidito. Inoltre, gli fecero presente che intendevano riavere indietro i loro corpi e lo invitavano a rivolgersi subito a Kumbut per la loro restituzione. Tra quelli che protestavano, molti si lagnavano soprattutto dei brutti momenti che stavano vivendo i loro figli non ancora svezzati, poiché i piccoli avevano necessità del latte materno. Invece le loro madri, non avendo più un corpo, non sapevano come soddisfare il loro bisogno di nutrirsi per far cessare la loro fame. Pur volendo cibarli con il latte di capra, allo stato attuale delle cose, esse ugualmente erano impossibilitate a farlo, dal momento che non potevano stabilire alcun tipo di rapporto con qualsiasi oggetto materiale e con i figli stessi. Alle loro proteste, mio padre, da un lato, spiegò alla sua gente che anch’egli era stato ingannato dal capo dei Tercipi; dall’altro, promise a tutti quanti che si sarebbe condotto da lui per fargli le proprie rimostranze. La qual cosa valse ad acquietare in parte gli animi di coloro che erano venuti ad esporgli le loro giustificate ragioni, quelle che li inducevano a protestare.

L’incontro tra i due capi non fu dei più cordiali, anche perché quello dei Tercipi cambiò decisamente atteggiamento e tono nei confronti del mio genitore. Visto che oramai aveva ottenuto da noi ciò che era nei suoi propositi, egli decise di scoprire le carte con lui, palesando la sua natura dispotica e snaturata. In realtà, agli alieni interessavano i nostri corpi vivi e non morti. Perciò, solo ad evitare che gli Stucos si facessero ammazzare, pur di non accondiscendere alle loro richieste, in precedenza Kumbut aveva mascherato la sua vera natura, quella che dopo si rivelò perversa e subdola. Inoltre, egli ci aveva prospettato ben altri risultati, rispetto a quelli che poi erano derivati dalla cosiddetta purificazione dei nostri corpi. I Tercipi, anziché immunizzarla dalle tante malattie, avevano addirittura sottratto la nostra parte corporea ai nostri spiriti. Così facendo, avevano reso il nostro popolo loro schiavo ed impotente a reagire nei loro confronti perfino con un’azione di forza.

Entrando poi più in particolare nel contenuto dell’incontro, che si era avuto tra il mio genitore e il capo dei Tercipi, quest'ultimo fu assalito per primo da mio padre. Difatti egli, dimostrandosi abbastanza adirato verso di lui, all’istante aveva iniziato a rinfacciargli:

«Così alla fine mi sono reso conto, Kumbut, che era soltanto la distruzione dei nostri corpi che intendevi ottenere da noi! Ebbene, ci sei riuscito alla grande e puoi pure esserne fiero! Sono convinto che ricorri sempre all’inganno, ogni volta che vuoi perseguire i tuoi reconditi scopi, i quali possono essere solamente sporchi. Spero almeno che un giorno non dovremo pentirci di avervi lasciati agire senza opporci e di non avervi costretti a trucidarci in massa con la nostra rivolta!»

«Un fatto del genere, Agerio, dipenderà esclusivamente da voi Stucos. Anche nelle vostre attuali condizioni, potete scegliere tra una esistenza gradevole ed un’altra sgradevole. Optando per la prima, vi garantisco che nessuno vi farà del male; mentre, preferendo la seconda, vi deriveranno tribolazioni inimmaginabili. In parole povere, se oserete disubbidirci, ricusandovi di darci retta, sul serio sarà peggio per voi! Ve ne accorgerete in seguito, se ciò dovesse verificarsi.»

«A mio avviso, Kumbut, sèguiti a metterci nella condizione di scegliere solo tra false promesse ed autentiche minacce, come sei abituato a fare! Al punto in cui siamo, non ci resta che continuare ad ubbidirvi passivamente, quasi fossimo dei mansueti capretti, che vengono condotti al macello! Ecco la pura verità, che è stata da voi travisata!»

«Pensala come ti pare e piace, Agerio, perché per me fa lo stesso! Quanto poi all’inganno, al quale hai accennato prima, non riesco neppure ad immaginare cosa sia. A mio avviso, esso è un termine che è stato inventato dalla vostra ridicola morale. Per noi, invece, si tratta soltanto di un modo come un altro di convincere gli altri, ossia di un metodo di persuasione identico a tutti gli altri. Noi Tercipi non abbiamo una morale, la quale è una forma di debolezza esclusiva della razza umana. Invece attuiamo metodi che ci assicurano la sopravvivenza, senza porci il problema se gli stessi possono o non possono ledere gli interessi e la serenità di altri esseri viventi. Per questo ogni mezzo è buono, se esso alla fine ci fa conseguire ciò che ci siamo prefissi. Così evitiamo di affaticarci e di perdere tempo per ottenerlo secondo i nostri desideri! Riguardo a tutto il resto, non ci facciamo scrupoli per niente.»

«Se abbiamo a che fare con esseri obbrobriosi come voi Tercipi, Kumbut, mi pento di avere invitato il mio popolo ad attenersi alle vostre direttive. Avrei fatto meglio ad esortarlo a ribellarsi a voi fino all’olocausto. Così il suo totale sterminio almeno gli avrebbe risparmiato le vessazioni alle quali adesso avete iniziato a sottoporlo senza scrupoli. A questo punto, però, non serve più piangere sul latte versato!»

«Già, lo credo anch’io, Agerio. Invece devi comprendere che vi sarà utile una coesistenza pacifica tra noi e voi, per cui ve la consiglio, soprattutto per il vostro bene. Comportandovi in questo modo, alla fine noi avremo facilitato il compito di portare a termine la nostra missione e voi vivrete la restante vostra esistenza, senza andare incontro a nessuna sofferenza. A tale riguardo, ti informo che, da questo momento in poi, dovrete sottostare alle tre disposizioni che ti faccio presenti: prima, vi è vietato di allontanarvi dal vostro villaggio più di cinque miglia; seconda, anche se siete in grado di farlo, vi è proibito di librarvi nell’aria; terza, non dovrete farvi vedere da forestieri, che capitassero nei vostri territori. I trasgressori di queste nostre disposizioni saranno severamente puniti. In seguito conoscerete il tipo di punizione che vi verrà inflitta, in caso di una vostra disubbidienza. Parola di Kumbut!»

«Non potendo opporci a voi, capo dei Tercipi, ci piegheremo ancora una volta in modo acquiescente alla vostra volontà. In cambio, vorrei che voi vi occupaste dei nostri bambini affamati, che non possono essere più nutriti dalle proprie madri. Vi saremmo davvero grati, se foste voi a sfamarli con il latte delle nostre capre che pascolano nei dintorni. Allora possiamo almeno attenderci da voi il loro quotidiano allattamento?»

«Invece scordatelo, capo degli Stucos! Quelli che sono alle mie dipendenze non hanno il tempo di dedicarsi ad attività futili, come quella che mi hai proposta. Oramai i vostri lattanti sono destinati a morire e nessuno potrà farci niente! Perciò vi esorto a prenderne coscienza, senza farvene un problema! Ti sono stato chiaro in quantità sufficiente?»

«Se vi rifiutate di allattarli e di sfamarli secondo il loro fabbisogno giornaliero, Kumbut, dovete garantirci che, dopo la loro morte avvenuta per inedia, darete ai nostri piccoli una degna sepoltura. Così essi non diventeranno scempio di alcuni uccelli rapaci della zona. Questo piccolo favore potete farcelo, visto che esso non vi costerà alcun fastidio!»

«Ma che dici, Agerio! Non siamo mica impazziti, per fare una cosa del genere, che è da veri trogloditi! Saremo noi Tercipi a cibarci dei loro teneri corpi, evitando che essi ci guastino le giornate con i loro frignii noiosi. Vedrai che li faremo rosolare per bene allo spiedo, prima di divorarli. Essi saranno una vera leccornia per i nostri gusti! Agli uccelli rapaci, invece, andranno le loro ossa non ancora sviluppate e spolpate.»

«Non potete macchiarvi di un’azione così ignominiosa, Kumbut! Se lo farete, il vostro gesto verrà considerato inqualificabile da tutti noi Stucos e per questo vi odieremo a morte. Probabilmente, provocherete nel nostro villaggio anche la nostra ribellione totale e senza fine!»

«Invece, Agerio, il vostro odio non ci scalfirà per niente; come pure la sedizione, alla quale ti sei riferito, farà male unicamente a voi stessi! Ma poi come fai a dimenticare che anche voi umani siete abituati a divorare altri esseri viventi? Dunque, mi spieghi perché a voi dovrebbe essere consentito, mentre a noi no? Ciò che gli animali rappresentano per la specie umana, voi rappresentate per noi Tercipi. Tenetevelo bene in mente, ignoranti Stucos! La legge della sopravvivenza non ammette né regole né eccezioni. In certe situazioni, perfino il cannibalismo diventa indispensabile e torna assai utile, poiché esso permette ad alcuni di sopravvivere e di diventare i superstiti di un dramma, facendoli continuare a vivere. In questo modo, si evita l'estinzione in massa, da parte di un gruppo di individui o di una data specie. Questa è l’unica realtà esistente nell'intero universo, capo stucosino!»

Il nuovo discorso aperto dal capo dei Tercipi, avendo fatto venire il voltastomaco al mio genitore, lo indusse a troncare il colloquio con il suo interlocutore e a lasciarlo insalutato ospite. Poco dopo, egli se ne ritornò dalla sua gente per aggiornarla su ciascuna cosa da lui appresa da Kumbut. Comunque, in quella terribile circostanza, il suo stato d’animo faceva paura, poiché lo presentava come un vero condannato a morte.


Mio padre dovette convocare un’altra assemblea, al fine di informare i suoi conterranei dei divieti imposti a tutti loro dai Tercipi e per discuterne insieme. Quando infine egli ebbe terminato di riferire ogni cosa a quelli che avevano preso parte alla riunione, suo cugino Fernop saltò su tutte le furie e si agitò come un ossesso. Secondo lui, era stato ignobile l'atteggiamento di Kumbut ed inaccettabili le sue nuove disposizioni. Così, con la chiara intenzione di trascinare dalla sua parte gli altri Stucos presenti e spingerli ad una insurrezione generale contro i Tercipi, incominciò a lamentarsi e a dire a gran voce:

«Noi non possiamo tollerare a oltranza l’abuso dei Tercipi, miei conterranei. Essi, dopo averci trafugato il corpo ed averci fatti diventare dei fantasmi ambulanti, adesso si preparano addirittura a banchettare con le tenere carni dei nostri bambini rimasti senza latte per sfamarsi. Non bastando ciò, vengono ad imporci ciò che gli aggrada. Ma io mi ribellerò e, a loro dispetto, farò quanto ci viene proibito da loro. Esorto anche gli altri presenti a fare lo stesso, se vogliono mostrarsi ragionevoli!»

«Te lo sconsiglio, Fernop.» mio padre intervenne ad ammonirlo «Dopo potresti pentirtene, dal momento che i Tercipi hanno minacciato di punire con severità i disubbidienti! Secondo me, anche se non riesco ad immaginarmi in che maniera potrebbero farlo, stanne certo, cugino mio, che essi sono in grado di concretizzare senza difficoltà le loro minacce, sebbene il nostro stato attuale non sembri affatto permetterglielo!»

«Agerio, mi dici come gli alieni potrebbero arrecarci del male, se ora siamo delle essenze spirituali, ossia dei veri spettri? Secondo me, essi stanno bleffando, poiché tentano soltanto di spaventarci per farsi ubbidire da noi in ogni loro comando. Nella nostra situazione attuale, nessuno può abbrancarci ed arrestarci al fine di punirci. La stessa cosa vale pure per i Tercipi, essendo anch'essi esseri di natura materiale. Per questo motivo, non ne sono affatto convinto e sono anche pronto a dimostrarvelo all'istante! Adesso li raggiungo e ve ne do la dimostrazione.»

«Forse potresti anche avere ragione tu, Fernop. Io, però, ci crederò, soltanto quando avrò assistito con i miei occhi alla loro impotenza a catturarci e ad infliggerci le sofferenze da loro minacciate! Kumbut mi ha affermato che ci faranno bersaglio di esse, nel caso che venisse ad esserci una mancanza da parte nostra. Perciò, fino a quell’istante, continuerò a temere gli odiosi Tercipi, che possono usufruire di parecchie risorse e strategie, perché ciò avvenga senza meno a nostro danno!»

«Cugino, pur di convincervi che sono io ad avere ragione, adesso li metterò subito alla prova, dandomi a disubbidirgli e a sfidarli apertamente, senza temere nessun maltrattamento da parte loro!»

Quanto agli altri Stucos presenti, pur mostrandosi sconsolati per la fine orrenda che attendeva i tanti lattanti del villaggio, evitarono di esprimersi in qualche modo. Essi, invece, preferirono attendere ed apprendere prima la svolta che si sarebbe avuta dalla sfida che Fernop stava per lanciare ai prepotenti Tercipi. Soltanto in un secondo momento, cioè quando la situazione fosse stata finalmente manifesta, non sarebbe mancato il loro consenso per l’una oppure per l’altra opzione.

Dopo che l’assemblea fu sciolta, Fernop, senza perdere tempo, si recò davanti al capannone dei Tercipi, il quale si trovava alle porte del villaggio. In quel luogo, benché mio padre continuasse a scongiurarlo di non sfidare i potenti alieni, poiché la cosa gli sarebbe potuta risultare assai pericolosa, egli si mise a gridare con spavalderia al loro capo:

«Kumbut, vieni fuori e dimostrami che sei in grado di procurarmi del male, anche adesso che per voi Tercipi rappresento un’ombra! Fammi prendere da quei brutti ceffi come te, che sono al tuo comando, ed ordina loro di punirmi, se ne sono capaci! Stramaledetta sia l'intera tua specie, dalle sue origini ad oggi! Io vi detesto e, se potessi, vi ridurrei in pezzetti. Dopo darei le vostre putride carogne in pasto agli avvoltoi! Sappi che non ubbidirò mai ai vostri ordini ed agirò sempre in piena libertà! Su, esci fuori, lurido verme ingannatore! Mostraci quel tuo viso repellente, il quale spaventa tantissimo i nostri bambini e perfino i gufi! Ti sto aspettando qui fuori, viscido animale schifoso!»

Provocato con pesanti offese da Fernop, il capo degli Stucos uscì all'esterno del capannone. Egli era fiancheggiato da due Tercipi ed aveva con sé il trasmigrat, che reggeva con la mano destra. Una volta fuori, Kumbut si affrettò a rispondere al suo offensore, siccome egli aveva osato provocarlo senza alcun timore. Così gli rispose come appresso:

«Lo so anch'io, Fernop, che non ubbidirai ai nostri ordini! Tra poco, gli altri tuoi conterranei ne conosceranno anche il motivo. Ovviamente, non senza un folle terrore in tutto il loro spirito! Comunque, mi giunge gradita la tua voglia di opporti ai nostri comandi, poiché la tua punizione sarà di monito agli altri Stucos del villaggio, che osassero pensarla alla stessa tua maniera! Dopo non avrai più neppure il tempo di pentirtene!»

Da parte sua, il cugino di mio padre non diede alcun peso alle parole di Kumbut. Ciò, sebbene egli lo avesse minacciato che gli avrebbe inflitto una punizione esemplare, non appena ci fosse stata la sua dichiarata trasgressione. Perciò riprese a dirgli con la solita protervia:

«Essere orribile, dimostrami ciò che sai fare contro uno spirito come me! Tra poco me ne andrò volando liberamente nell’aria, trasgredendo di proposito una delle tue tre disposizioni. Voglio vedere se sarete capaci di raggiungermi, di prendermi e di punirmi, come ci hai ammoniti tramite il nostro capo, il quale è anche mio cugino!»

Pronunciate tali parole di sfida, Fernop volò in alto nel cielo, dove iniziò a voltolarsi su sé stesso, a fare piroette, a scatenarsi senza sosta in volteggi ed arabeschi aerei, ora fendendo il cielo lievemente ora sfrecciandovi come un’aquila che insegue la sua preda. Sembrava proprio che egli ci provasse gusto a muoversi in quel modo nella trasparente aria e a sfidare così i prepotenti Tercipi. Seguitando poi a darsi a quei suoi sfrenati voli provocatori, a un tratto, Fernop si sentì immobilizzare, per cui rimase sospeso nel vuoto ed incapace di spostarsi anche di un solo millimetro. Alcuni attimi dopo, mentre cercava di divincolarsi inutilmente da quella forza costrittrice, egli si sentì anche trascinare giù verso il suolo, esattamente in direzione del capannone, dove lo attendevano con gesti minacciosi altri Tercipi che erano presenti.

La qual cosa era accaduta, soltanto dopo che Kumbut lo aveva puntato con il suo prodigioso aggeggio e vi aveva poi premuto il pulsante rosso. Perciò alla fine il mio parente si ritrovò al cospetto del capo dei Tercipi, in presenza del quale continuava ad avvertire una forza oscura che lo faceva sentire proprio come se fosse stato incatenato ed immobilizzato. Fu a quel punto che l’autorevole Tercipe, facendo cenno a mio padre di seguirlo, si ritirò dentro il capannone, traendosi dietro Fernop tramite il suo trasmigrat. Una volta che furono all’interno di esso, molto soddisfatto, Kumbut si diede a comunicare al mio genitore:

«Adesso, Agerio, ti faccio assistere ad una dimostrazione di come noi possiamo punire i tuoi sudditi renitenti. Così dopo potrai riferire alla tua gente a cosa vanno incontro coloro che oseranno disubbidire alle disposizioni da noi impartite ad ognuno di loro. Spero che non sia stato tu a sobillare tuo cugino contro di noi! Se così fosse stato, parimenti dovrei punire anche te, a causa della tua grave disubbidienza!»

«Kumbut, io non c’entro affatto! Nel mio popolo, egli deve essere ritenuto solo una scheggia impazzita, la quale non ha voluto sentire ragione, dopo quanto ha appreso da me. Mentre veniva da voi, non ho fatto altro che invitarlo a ripensarci e a rinunciare a sfidarti. Ma è stato inutile, da parte mia, poiché egli ha voluto fare di testa propria!»

«Allora peggio per lui, capo Agerio! Dopo che lo avremo punito come si deve, Fernop non avrà più il tempo nemmeno di pentirsene, come già gli ho fatto presente un momento fa! Comunque, tra poco vedrai.»

La punizione che stava per ricevere il mio parente, si sarebbe dimostrata talmente disgustosa, che mio padre ne sarebbe rimasto molto scioccato. Anzi, ancora adesso ne avverte la massima ripugnanza. Infatti, gli vengono dei conati di vomito, tutte le volte che volge la mente ad essa! Adesso, però, passo a raccontarvi in cosa essa consistette. Sono convinta che anche voi non potrete fare a meno di disprezzarla con il massimo disgusto, non potendo comportarvi altrimenti.

Ebbene, alla fine del breve scambio di frasi tra mio padre e Kumbut, si avvicinarono a loro altri quattro Tercipi, di cui uno possedeva pure un trasmigrat. Il suo possessore, dopo avere immesso una delle estremità dell’arnese nella larva di Fernop, rivolse l’altra, cioè quella con il boccaglio, verso le tre migliaia di ampolle esistenti nel capannone. Esse, come si poteva notare, si trovavano sistemate le une accanto alle altre sopra una porzione di pavimento di forma rettangolare, la quale era larga cinque metri e lunga nove metri. Nel senso della larghezza, ogni fila conteneva quaranta ampolle; mentre, nel senso della lunghezza, in ciascuna se ne potevano contare poco più di sette centinaia, raggiungendo in tutto quasi tremila ampolle, che erano bene aggiustate e distanti tra loro due centimetri. Così, quando il Tercipe effettuò una leggera pressione sul bottone verde del suo strumento oblungo, all’istante una delle tantissime ampolle si mise a lampeggiare con intermittenza. Allora uno dei tre compagni giunti con lui andò a raccoglierla da terra e gliela consegnò. A quel punto, i due accompagnatori di Kumbut si staccarono dal loro capo e si piazzarono ai lati di Fernop, mostrandosi pronti ad intervenire e a far fronte a qualcosa, che stava per accadere lì dentro.

Ricevuto l’ordine di esecuzione, il Tercipe, che era in possesso del trasmigrat, prima stappò l’ampolla e poi aggiustò sulla sua imboccatura il boccaglio del proprio strumento. Effettuata tale manovra, egli si affrettò a premere il pulsante giallo, che si trovava sullo stesso aggeggio. Dopo la quale pressione, si ebbe l’immediato ritorno del corpo del cugino di mio padre dall’ampolla alla sua essenza spirituale, ripristinando così in lui l’essere materiale di prima. Fernop non ebbe neppure il tempo di accorgersene, allorché in un attimo si vide prendere per le braccia ed immobilizzare dai due Tercipi, che da poco si erano dati a tenerlo sotto il loro stretto controllo. Alcuni istanti dopo, altri due Tercipi lo presero per le caviglie e, insieme con quelli che gli serravano i polsi, lo sollevarono a più di un metro dal suolo, facendo assumere al suo corpo la posizione supina. Tenendolo poi sospeso orizzontalmente a quella altezza da terra, i quattro Tercipi lo portarono all’esterno di quell'ambiente, intanto che li seguivano Kumbut, il mio frastornato genitore e gli altri Tercipi presenti nel grande capannone. In quel posto infine avvenne un allucinante episodio, che sconvolse ulteriormente mio padre.

Avendoglielo ordinato Kumbut, l’unico Tercipe disimpegnato in quel momento, dopo essersi munito di una grossa mannaia, con un colpo secco squarciò a metà l’intero addome di Fernop. Costui, prima di spirare, ebbe appena il tempo di emettere un urlo bestiale dovuto all'immane dolore. Simultaneamente, dalla cavità addominale squarciata e sanguinante del mio parente, vennero fuori i suoi visceri; ma il Tercipe si affrettò a risecarli e a farli cadere nella polvere della massicciata. Invece, mediante un secondo colpo inferto con il suo coltellaccio, il crudele macellaio divise a metà anche la cassa toracica del nostro Fernop, fino alla base del collo. Comunque, solo con il terzo colpo, che servì a decapitarlo, si ottennero dal suo corpo dimezzato due parti identiche. Ciascuna delle quali rimase nelle mani di ogni Tercipe che la reggeva, intanto che si mostrava desideroso di cuocerla e di divorarsela. Alla fine i quattro alieni si adoperarono per sistemare le due metà corporee sopra due spiedi, allo scopo di far cuocere entrambe al punto giusto per potersele divorare. Avvenuta la cottura, una decina di Tercipi, insieme con il loro capo Kumbut, si diedero a banchettare con le carni di Fernop, mangiandole con loro sommo gradimento; ma con l'evidente nausea degli Stucos presenti, che assistevano esterrefatti.

Presenziando quello spettacolo riluttante, mio padre, il quale già era schifiltoso per natura, pur nelle vesti di spettro, percepiva continui sintomi di rigetto, quasi volesse rimettere pure l’anima. Quando poi i Tercipi terminarono di divorarsi il corpo di Fernop, spolpando con cura ogni suo osso, il loro capo congedò il mio genitore, dicendogli:

«Agerio, adesso che ti sei reso conto di come sappiamo trattare gli Stucos ribelli, puoi metterne a conoscenza anche la tua gente. Non dimenticare di avvisarla che nessuno di voi può sfuggirci e quale punizione attenderà coloro che oseranno dimostrarsi inadempienti alle nostre disposizioni. Mettendoli al corrente di ciò, eviterai che pure ad altri con la mentalità di tuo cugino venga assegnato il medesimo trattamento!»

Da parte sua, mio padre se ne ritornò al villaggio distrutto nel vero senso della parola. Si sentiva come se un enorme macigno gli pesasse sulla testa, il quale ben presto lo avrebbe schiacciato al suolo. Comunque, pure essendo in quelle disagiate condizioni, egli non poté fare a meno di radunare le persone più rappresentative della collettività locale e riferire a tutte loro il messaggio di Kumbut. Soprattutto il mio genitore ci tenne ad informarle di come i Tercipi avevano punito suo cugino, per averli sfidati e provocati apertamente. Allora, dal racconto del loro capo, tali persone presero coscienza che non era possibile ribellarsi agli alieni portaguai. I quali erano pronti a mostrarsi intransigenti e spietati contro coloro che si ribellavano, pur risultando essi autentici spiriti.

Qualcuno di loro provò a chiedere a mio padre se i Tercipi erano in grado di controllarli anche nelle ore notturne oppure durante il giorno, quando essi si sottraevano alla loro vista. Ma non poté esserci alcuna risposta né dal loro capo né da qualche altra persona presente all’adunanza, non essendoci ancora notizie a tale riguardo. Invece, qualche giorno dopo che c'era stata l'assemblea, uno Stucos si presentò a mio padre e gli fece presente che intendeva sperimentare se i Tercipi fossero in grado di controllarli di notte oppure di giorno, quando non venivano scorti da loro. Mio padre non si oppose all'esperimento che egli intendeva fare. Ma lo avvertì che chiunque volesse verificare un fatto del genere, lo faceva a suo rischio e pericolo, senza coinvolgere lui. Così il giorno dopo, quando il dorato disco del sole era appena sorto sul nostro villaggio, il medesimo Stucos si ripresentò a mio padre e gli fece il seguente rapporto:

«Capo Agerio, questa notte, pur avendo trasgredito due delle loro disposizioni, i Tercipi non se ne sono accorti. Secondo me, ciò sta solo ad indicare che essi non possono controllarci nell’oscurità delle tenebre. Quindi, ne deduco che gli stessi non sono neppure in grado di sorvegliarci, quando ci sottraiamo alla loro vista ed essi non ci possono scorgere in qualche parte del cielo, che si trova lontana dal nostro villaggio.»

«Mi dici, Kirun, cosa hai fatto stanotte, per cui non hai ottemperato alle categoriche disposizioni tercipine? Soltanto dopo che me lo avrai riferito, saprò dirti se è vero quanto affermi, per cui la ragione è dalla tua parte. Dunque, dimmi ogni cosa sulla tua scoperta!»

«Capo, mi sono messo a volare nell’aria come gli uccelli. Inoltre, mi sono allontanato dal nostro villaggio più di quanto ci permettono i Tercipi. Come puoi constatare con i tuoi occhi, pur avendo osato trasgredire due loro disposizioni, non sono stato punito da loro, come è avvenuto con Fernop. Perciò, essendo ancora vivo e vegeto, adesso non puoi rifiutarti di credere a quanto ti ho asserito!»

Dopo che la notizia si sparse nel villaggio, cominciarono a non mancare delle inottemperanze in tal senso. I trasgressori, però, lo facevano, usando la massima cautela, ad evitare di essere scoperti dai feroci alieni. In una delle poche riunioni segrete, che di tanto in tanto avvenivano in un luogo appartato, l’attempato Arbur propose agli intervenuti di trafugare nel capannone le ampolle che contenevano i loro corpi, celandole poi in un posto sicuro. Ma lo stucosino Narup giustamente gli obiettò:

«Hai forse dimenticato, Arbur, che non ci è consentito di impegnarci in nessun tipo di attività manuale, data la nostra attuale natura incorporea? Quindi, di grazia, mi dici come dovremmo sottrarre i nostri corpi agli scellerati Tercipi, i quali, inoltre, li controllano giorno e notte con una sorveglianza serrata? Allora cosa mi rispondi in merito?»

«Questo lo so quanto te, amico mio Narup. Se non vado errato, non ho mica detto che saremmo stati noi ad eseguire in futuro il furto della nostra parte materiale tenuta prigioniera nelle ampolle del capannone!»

«Allora, Arbur, ti prego di spiegarci meglio in che modo intenderesti procedere. Così dopo potremo valutare il tuo progetto, approfondendolo nella sua fase di realizzazione! Per intanto scusami, a causa del mio inopportuno intervento precedente, avvenuto senza averti fatto prima esprimere appieno la tua proposta! Ma puoi farlo adesso.»

«Poiché ho due amici molto astuti presso il pacifico popolo degli Zuzut, vorrei condurmi nel loro villaggio e pregarli di aiutarci in questa impresa, che a noi risulta impossibile. Per correttezza, li metterò al corrente della punizione a cui essi andrebbero incontro, se dovessero essere scoperti e fallire. Allora siete d'accordo anche voi con la mia proposta, in rapporto pure alla sua realizzazione?»

Tutti convennero che era utile tentare. Infatti, una volta sottratte le ampolle ai Tercipi, costoro almeno non avrebbero più potuto sottometterli e punirli a loro piacimento. Perciò, già nella successiva nottata, Arbur raggiunse i suoi amici, i cui nomi erano Serfen e Nuvrot, ai quali, prima di ogni cosa, raccontò la loro sventura. Poi li persuase a trasferirsi nel proprio villaggio per fargli tentare l’impresa in una notte illune, visto che il novilunio era imminente. Logicamente, i due Zuzut avrebbero dovuto fare più viaggi, se desideravano portar via dal capannone le tremila ampolle depositate. Invece, contrariamente alle previsioni degli Stucos, non per loro demerito, i due Zuzut non riuscirono a fare nemmeno un viaggio, siccome essi furono scoperti e catturati, subito dopo aver posto piede nel capannone. L’inconveniente fu dovuto ad alcune sofisticate apparecchiature di allarme, le quali erano state opportunamente sistemate dai nostri oppressori nel suo interno. Tali congegni, per loro sventura, permisero agli alieni Tercipi di intercettarli, prima che essi riuscissero a raggiungere i piccoli contenitori trasparenti.

Invece, per loro fortuna, Serfen e Nuvrot, grazie al suggerimento che mio padre gli aveva dato, non subirono la prevista punizione da parte dei loro catturatori. Infatti, quando Kumbut li interrogò, i due amici gli riferirono che essi erano Stucos di ritorno da un lungo viaggio e che erano andati nel capannone per farsi tramutare in spiriti, come lo erano diventati i loro parenti, amici e conoscenti. Altrimenti, essi non avrebbero più potuto continuare a vivere insieme con loro. Solo così il capo dei Tercipi non trovò difficoltà a credere alla loro versione dei fatti, poiché essi non erano stati ancora sorpresi in flagranza, ossia con il corpo del reato in loro possesso. Per questo, anziché castigarli come aveva fatto con Fernop, decise di accontentarli immediatamente. Dopo aver permesso loro di soffiare nel trasmigrat, li rilasciò e li invitò a raggiungere i loro conterranei stucosini. Fu a quel punto che, da parte del mio popolo, si smise di congiurare contro gli oppressori Tercipi; inoltre, esso si rassegnò per sempre al suo amaro e triste destino, quello che gli alieni gli avevano assegnato. Oramai, stando così le cose, non c'era alcuna alternativa che in seguito avrebbe potuto rappresentare per loro l'ancora di salvezza e la fine delle loro incredibili tribolazioni. Perciò esse sarebbero continuate a punirli senza pietà, anche se si ignorava per quanto tempo ancora ne sarebbero stati tribolati.