311°-L'EPICO SCONTRO TRA I DUE TITANI DEL COMBATTIMENTO

Erano trascorsi una decina di giorni, da quando Iveonte non vedeva l’ora di misurarsi con Touk. Fu allora che il figlio adottivo di Oksur pose piede in Ecton. Si era a fine tramonto, per cui il cielo, da un arancione sfumato, andava diventando nella sua parte più alta di un blu elettrico, cosparso di sfrangiate nuvole dai bordi rossastri. Il suo rientro a palazzo fu accolto con immenso sollievo dall’autocrate Ormus. Ma fu la figlia ad andargli incontro per prima con grande sollecitudine e con viva trepidazione. Ella, nel salutarlo con affetto, volle abbracciarselo con tutta la passione. Tenendogli poi le braccia intorno al collo e mostrandoglisi parecchio preoccupata, Elan incominciò a dirgli:

«Finalmente, Touk, sei ritornato da me! Non vedevo l’ora di riaverti tra le mie braccia! Con la tua lontananza, mi hai reso l’esistenza un vero inferno! Non permetterti mai più, amore mio, di lasciarmi qui tutta sola! Un’altra volta che sarai costretto ad allontanarti da me, dovrai condurre anche me con te! Mi prometti che lo farai e mi accontenterai?»

«Mia dolce Elan, non fare così, per favore! Non voglio scorgere la tua bellezza sciuparsi a causa delle lacrime; non voglio vedere il tuo animo venire frantumato dal dolore; non voglio sentirti penare nell’ambascia più pungente per qualcosa di cui, come mi accusi, sono stato io il colpevole. Comunque, mio dolce tesoro, non potevo fare a meno di partire e di lasciarti in compagnia della tua disperazione. Dal momento che mio padre era molto grave, desideravo trovarlo vivo nella sua dimora e non già morto, come lo è adesso. Ci tenevo tanto ad ascoltare le sue ultime parole, le quali per me avrebbero rappresentato il suo testamento spirituale, come appunto è avvenuto. Inoltre, dovevo assicurargli una degna sepoltura. Grazie al cielo, sono giunto giusto in tempo, per cui mi è stato consentito di assolvere l'uno e l'altro mio dovere! Come vedi, al pari di quello tuo, soffre anche il mio animo, a causa della dipartita del mio povero babbo. Se fosse servito a prolungargli l’esistenza, volentieri sarei morto io al posto suo, siccome egli si è sempre preso cura di me con la massima dedizione! Mi dici come non potevo andare da lui?»

«Perdonami, amore mio, per essermi comportata come una egoista! Per prima cosa, avrei dovuto domandarti di tuo padre; invece ho pensato soltanto a renderti palese il mio dolore, facendotene perfino una colpa! In questa circostanza infausta, eri tu ad avere più bisogno di essere consolato e non io. Perciò ti prometto che questa notte mi metterò a tua completa disposizione, ti elargirò le migliori carezze, quelle che ti delizieranno immensamente. Vedrai che riuscirò ad appartenerti, come non ti sono mai appartenuta fino ad oggi. Anche se…»

«C’è dell’altro, mia dolce Elan, che ti affligge e fatichi a palesarmi? Intanto ti esorto a non addossarti alcuna colpa, per aver dimenticato di informarti, prima di ogni altra cosa, del mio genitore morente. Così pure non fare caso per niente all'attuale stato del mio animo, il quale adesso si trova a nuotare nel sommo cordoglio, come nessun altro uomo!»

«Grazie, Touk, per la tua benevolenza! Sei sempre tanto buono nei miei confronti, sempre pronto a scusarmi e a non farmi sentire in colpa! Ma devi sapere che un pensiero angosciante, avendovi preso posto, si è messo a vorticare nella mia mente. Esso, rubandomi la serenità, mi assilla da vari giorni e mi fa trepidare per te, amore mio. Non so neppure se ne vale la pena parlartene, poiché potresti considerarmi un’autentica tonta, dopo averti riferito la causa della mia preoccupazione! Ora che ci ripenso, forse è molto meglio sorvolare su di esso e pensare esclusivamente a noi due, che adesso siamo di nuovo vicini e possiamo bearci!»

«Mi dici cosa c’è che ti preoccupa, mia cara Elan? Palesami tutto quanto ti assilla, per favore! Così dopo farò il possibile per estirparti dalla mente ciò che ti turba e ti inquieta. Dovessi smuovere mari e monti, ti farò riacquistare la serenità perduta! Ti prometto che non riderò affatto di te, dopo avermi rivelato cos’è che ti preoccupa. Al contrario, mi impegnerò soltanto a rasserenarti l’animo e ad allietartelo!»

«Non sarò mai in grado di esserti grata come ti meriti, mio dolce Touk! Non riuscirò mai a disobbligarmi con te, per l’interessamento che mostri nei miei riguardi, per i provvedimenti che sempre prendi a mia difesa, pur di non farmi soffrire e di rendermi felice!»

«Mi comporto con te in questo modo, tesoro mio, perché ti amo infinitamente e con tutto me stesso. Non sai come concerei a forza di botte chi oserebbe arrecarti anche il più piccolo disagio, fosse esso di natura fisica, psichica o spirituale! A questo punto, però, mettiti a parlami di ciò che ti rattrista, Elan, perché ho intenzione di porvi rimedio senza alcuno indugio per farti smettere di essere malinconica, come lo sei in questo momento! Ti sono stato chiaro, mio prezioso gioiello?»

«Devi sapere, Touk, che in questi ultimi giorni, puntualmente ogni mattina, si è presentato sotto le mura di Ecton un guerriero di nome Iveonte. Egli, essendosi schierato dalla parte dei Cerdi, vuole a qualunque costo affrontarti, poiché è convinto di poter avere ragione di te. Perciò ogni mattina, alla solita ora, viene a fare agli Ectonidi la medesima richiesta, cioè quella che ti ho riferita. Qualcuno dei nostri soldati ha anche tentato di colpirlo con le frecce; ma egli, strabiliando tutti, è sempre riuscito ad intercettarle e ad arrestarle in volo con le mani. Si vocifera pure che egli sia un guerriero più in gamba di te, avendo già fatto strage di molti nostri soldati. Questo è il motivo, per cui sono preoccupata per te! Oppure non dovrei esserlo, per il fatto che la mia preoccupazione non può essere che sciocca? Lascio a te decidere in che modo devo comportarmi, poiché tu sai indicarmi la strada giusta!»

«Se è ciò che ti infonde tanta ambascia nell’animo, Elan, allora puoi stare tranquilla. Vedrai che domani mattina egli non costituirà più un incubo per te, poiché farà i conti con la mia spada, la quale lo eliminerà per sempre. Te lo prometto, tesoro mio, anche se, da quanto mi hai riferito, egli appare un tipo quasi al mio stesso livello! Ma sappi che nel mondo è difficile che ci sia un combattente che possa battermi con tanta facilità. Io ho ricevuto una preparazione d'armi e di arti marziali come nessun altro! Te lo posso garantire! Domani ti dimostrerò che avevo ragione a parlarti così! Adesso sei contenta? Ti sei tranquillizzata?»

Volendo poi sapere qualcosa di più sul cavaliere che si era incaponito di sfidarlo ed andava a pretenderlo ogni giorno sotto le mura di Ecton, Touk chiese al padre di lei, il quale era appena giunto per salutarlo:

«Ormus, cosa sai dirmi di questo prode Iveonte, che infonde tanta preoccupazione in tua figlia? Sono certo che già te ne sarai fatta una minima idea, dopo la decina di giorni che egli è venuto a sfidarmi invano sotto le mura della tua città! Perciò avrei piacere conoscere la tua opinione su di lui, avendo fiducia nel tuo apprezzabile discernimento.»

Prima di rispondere alla domanda che gli aveva rivolta il futuro genero, Ormus invitò la figlia a lasciarli soli, poiché la loro conversazione l’avrebbe di sicuro annoiata. Dopo che Elan ebbe abbandonato la sala, lasciandolo in compagnia del genero, egli si decise a dargli una risposta. Così gli parlò con molta franchezza:

«Una cosa è certa, Touk: assolutamente non possiamo ritenere il forestiero Iveonte un valoroso guerriero alla portata del defunto Bison, che ti fu facile eliminare. Anche la sua scherma, come la tua, si presenta professionalmente ineccepibile. Invece il suo modo di combattere esula da ogni schema tradizionale. Anche se è diverso dal tuo, appare ugualmente prestigioso. A dirla in breve, io lo vedo come un guerriero, che potrebbe essere davvero tuo pari, per cui potrebbe darti filo da torcere!»

«Spiégati meglio, Ormus, e, per quanto ti sarà possibile, cerca di entrare di più nei dettagli, nel parlarmi di lui. Così potrò farmi anch’io una idea del mio sfidante, la quale sia la più consona alla realtà! Vorrei poter contare sulla tua collaborazione, prima di andare a scontrarmi con questo guerriero sconosciuto. Il quale, come mi avvedo, si presenta un autentico campione da non sottovalutare, se voglio difendermi da lui!»

«Iveonte, come te, sa dove colpire l’avversario e come demolire la sua difesa. Inoltre, maneggia la spada in modo da fare eseguire ad essa i virtuosismi schermistici più impensabili, più appropriati, più mirati e più efficienti. Senza togliere nulla al tuo genitore Oksur, sono sicuro che anch'egli avrà avuto come istruttore un maestro, il quale aveva raggiunto la massima perfezione nell’uso delle armi. Se poi è vero che questo Iveonte è bravissimo anche nelle arti marziali, come suppongo, pure in esse il suo maestro si sarà espresso al suo allievo con la massima perfezione. Adesso bisogna chiedersi in quale percentuale Iveonte le avrà apprese da lui nella sua formazione di combattente intrepido ed inattaccabile. Anche il fatto che egli riesca ad intercettare e ad afferrare le frecce in volo, cosa che non ho mai visto fare a te, dimostra l’ottimo grado della sua preparazione nel difendersi dagli altri! Correggimi, se credi che io sia in errore, solo perché lo sto sopravvalutando!»

«Secondo quanto mi stai dicendo, Ormus, Iveonte rappresenterà per me l’unico osso duro mai incontrato in vita mia, a parte mio padre. Senza dubbio devo ammettere che egli sa fare qualcosa che non mi è stato mai insegnato; ma spero che anch’egli non sappia fare alcune cose che sono state insegnate a me. Così saremo pari. Ma finché non lo avrò davanti, non posso dargli una mia valutazione soggettiva ed oggettiva!»

«Devi convenire con me, Touk, che in quel momento per te sarebbe troppo tardi per cercare di sfuggirgli, se tu lo giudicassi superiore a te. Non ti pare? Oppure potresti cavartela in altro modo, ricorrendo a qualche espediente che risultasse non proprio secondo i canoni del vero campione? Posso pensare a qualcosa del genere, riferendomi a te?»

«Escludo nella maniera più assoluta quanto hai ipotizzato, Ormus. Ci saranno invece altri fattori, che giocheranno interamente a mio favore. Grazie ai quali, potrò permettermi di capovolgere le sorti dello scontro, facendole diventare a me favorevoli! Ammesso sempre che il mio avversario, per una sua ipotetica inesperienza, me li consentirà!»

«Sarebbero essi, Touk, visto che non li ho compresi affatto?»

«Dimentichi forse, Ormus, che in me convivono anche la scaltrezza, la determinazione, la freddezza, l'impietosità, la massima esperienza e la combattività più aggressiva? Ecco i principali di loro! Essi, risultando del tutto a mio vantaggio, senza difficoltà mi faranno avere ragione di lui! Adesso te li ho fatti tutti presenti, suocero mio!»

«Chi ti dice, Touk, che Iveonte non ne sia parimenti dotato e magari non li possa avere anche superiori ai tuoi? Questo non puoi saperlo, fino a quando non ti sarai confrontato con lui ad armi pari. Ad ogni modo, secondo quanto ha potuto già appurare mio cugino Pulgus, egli è superdotato pure dei fattori che mi hai citati. Devi convenire con me che un guerriero in gamba come lui è difficile che non ne sia provvisto per propria formazione! Anch’egli li avrà acquisiti durante la sua formazione.»

«Lo sapremo domani mattina, Ormus, se ti sbagli oppure no. Ma adesso, dal momento che mi ritrovo con una fame da lupo, preferirei soddisfarla con una cena abbondante e succulenta. A proposito, cosa ha preparato la vostra brava cuoca per cena questa sera?»

«Non saprei dirtelo, Touk. Ma, da quanto ho appreso al riguardo da mia figlia, si tratterebbe di una ghiottoneria speciale, la quale dovrebbe farci festeggiare il tuo ritorno ad Ecton. Perciò la cena promette bene!»


Il sole, con la sua sfolgorante presenza in ogni luogo, aveva già ridestato la natura, tutti gli esseri animali che vi vivevano e gran parte delle persone, avendo esse un lavoro da svolgere. Fu allora che Iveonte si ripresentò per l’ennesima volta davanti alla fortificata Ecton. Come al solito, egli era accompagnato dal suo amico Tionteo e dalla piccola scorta cerdica. Diversamente dalle altre volte, però, quella mattina essi notarono che sulle sue mura vi stava un numero considerevole di Ectonidi. La qual cosa mise l’eroe dorindano sull’avviso che Touk era ritornato e che a momenti sarebbe venuto fuori dalla città. Per questo invitò l’amico e il piccolo drappello di Cerdi ad allontanarsi da lui e a tenersi a debita distanza dalla propria persona. Secondo Iveonte, in quella splendida giornata ci sarebbe stato il suo scontro con il validissimo campione ectone, il quale aveva per nome Touk. Allora i suoi accompagnatori si erano appena sistemati in un posto distante un centinaio di metri da lui, allorché furono scorte le porte di Ecton spalancarsi. Da esse subito dopo venne fuori un guerriero a cavallo dall'aspetto fiero e severo, il quale si arrestò ad una ventina di metri dal suo insistente ed intrepido sfidante. Al suo arrivo, l’eroe dorindano all'istante si diede ad affermargli:

«Il tuo portamento austero mi dice che puoi essere soltanto Touk: non è forse vero che è così? Comunque, nel fare la tua conoscenza, sto provando molto piacere, se ci tieni a saperlo! Naturalmente, non perché sei un eroico guerriero, ma perché, allo stesso modo mio, sei portato a lottare per la giustizia e ne persegui gli ideali più puri ed incontaminati! Perciò mi rispondi che non mi sono sbagliato?»

«Certo che lo sono, mio degno avversario, visto che anche la tua presenza mi palesa che puoi essere soltanto Iveonte. Inoltre, sul tuo conto mi hanno riportato che non sei una persona malvagia. Anche per questa ragione, sento il dovere di esprimerti l'identica simpatia che provi nei miei confronti, essendo mio preciso dovere farlo!»

«Neppure tu ti sbagli, prode Touk. Ma prima che iniziamo a batterci da valorosi guerrieri che siamo, desidero premetterti che conosco una cosa di noi due; invece tu ne sei totalmente all'oscuro. Ciò è dovuto al fatto che hai avuto poco tempo per apprendere tantissime cose sul mio conto, come è successo a me nei tuoi riguardi.»

«Sarebbe, Iveonte, questa cosa che ignorerei su di noi? Vuoi farmela conoscere, per favore? Così dopo, se ne varrà la pena, ti ringrazierò.»

«Sia tu che io, Touk, perseguiamo lo stesso ideale di giustizia e siamo disposti anche a sacrificarci per esso, quando occorre. Perciò combattiamo la prepotenza e l'abuso ovunque essi si trovino: combattiamo l’una e l’altro dove sono fino alla loro eliminazione totale. Non è forse vero quanto ho asserito sul nostro conto? Certo che è come ti ho riferito!»

«Se ciò che mi hai affermato corrisponde a verità, Iveonte, mi spieghi allora come mai ci ritroviamo a combattere la nostra battaglia da opposti fronti? Non risulta pure a te assurdo tale particolare? Se sei in grado di spiegarmi questa che si presenta un'assurdità, puoi farlo liberamente, poiché resterò ad ascoltarti tutt’orecchi, mentre me ne parli!»

«Sto qui davanti a te appunto per chiarirtela, Touk, prima di affrontarti e di essere costretto ad ucciderti. Se tu non fossi una persona giusta, che attualmente sta difendendo il torto solo a causa dell’inganno e della menzogna, non avrei aperto con te una simile discussione. Ti avrei trattato alla stessa stregua di tutte le altre persone malvagie, ammazzandoti senza indugio come un cane rabbioso! Sii certo di ciò!»

«Nessuno ti ha mai detto, Iveonte, che sei un emerito presuntuoso, come te lo sto dicendo io in questo momento? Comunque, se tu non fossi convinto di essere nel giusto, in questa circostanza anch'io avrei reagito in modo molto differente verso di te! E tu sai benissimo a quale modo mi sono voluto riferire con queste mie parole!»

«Più volte mi è capitato di essere tacciato di presunzione, Touk. E sono stati anche in parecchi a farlo! Ma chi si è azzardato a rinfacciarmelo non esiste più, poiché gli ho dimostrato il contrario, uccidendolo, subito dopo averlo fatto. Tu invece non meriti l'uguale trattamento che in passato ho riservato ai tanti miei iniqui avversari, poiché sei giusto!»

«Ma con me non sarà la stessa cosa, Iveonte, se lo vuoi sapere! Anche dopo averti chiamato presuntuoso, io seguiterò ad esistere e anche a sopravvivere a te. Ti do la mia parola che così sarà senza meno! Perciò tra poco verrò a vie di fatto con te e te lo dimostrerò!»

«Tu puoi pensarla come vuoi, Touk. Anche se queste sono le tue convinzioni, dovranno poi essere i fatti a dimostrarmelo. Non credi? Un conto è cercare di fare una cosa, un altro conto è portarla a termine, attuandola conformemente al nostro desiderio! Sebbene io sia a conoscenza che sei un guerriero eccezionale ed hai una eccellente preparazione nell’uso delle armi e nelle arti marziali, ti dico in anticipo che l’una e l’altra cosa non ti serviranno contro di me. Il motivo? Esse in te non raggiungono la perfezione, come si rivelano in me. Perciò convinciti che, tra noi due, sono io il destinato a vincere e non vorrei umiliarti davanti ai tanti Ectonidi, che ora ci osservano. Se invece ti lasci dire da me chi sono le persone che ti ingannano e ti relegano nel torto più marcio che esiste, poiché ti fanno difendere la prepotenza e l’ingiustizia, allora rinuncerò allo scontro con te e ti eviterò di farti ammazzare da me senza un giustificato motivo. Sta a te decidere ciò che vuoi fare, come vedi!»

«Allora mi riveli chi sarebbero tali persone, Iveonte? Vorrei conoscere i loro nomi per stabilire subito dopo se darti credito oppure considerarti un ignobile detrattore, il quale deve essere punito senza pietà!»

«Sono la tua Elan e il padre di lei, Touk! Sono essi che ti hanno fatto trovare dalla parte sbagliata della barricata, dove l’ingiustizia e la prepotenza regnano sovrane a tua insaputa, come è stato da quando li hai conosciuti! Ma non ti accorgi che da tempo sei vittima dell'inganno ed essi ti manovrano come un autentico burattino?»

Non appena Iveonte fece il nome della sua ragazza, il campione degli Ectonidi si infuriò come una bestia inferocita e non volle più sentire ragione. Per questo, preso dall'ira, per prima cosa egli interruppe la pacata discussione, che si era aperta tra lui e il suo interlocutore. Anzi, un attimo dopo, presentandosi colmo di asprezza, si rivolse a colui che gli stava di fronte, affermandogli con rabbia:

«Non avresti mai dovuto fare il nome della mia ragazza, Iveonte, perché ella per me è una persona sacra e, come tale, è al di sopra di ogni sospetto! Al massimo, ti avrei compreso, se tu avessi accusato il solo padre di lei, poiché egli non convince neppure me. Quindi, avendo tu cercato di infamare la mia innocente Elan con una tale ignominia, prepàrati a pagare con il sangue l’onta da lei subita da parte tua!»

A quel punto, Iveonte, non avendo altra scelta, ritenne chiuso il loro colloquio e si preparò ad arginare la stizza furibonda di Touk. Essa, come egli si rese conto, stava per abbattersi su di lui in modo folle e con il cieco proposito di vendetta. Anche gli Ectonidi, che assistevano dalle mura al loro incontro molto disteso, parimenti ai Cerdi che li seguivano da poco distante, compresero che la discussione tra i loro campioni era terminata e che si preparava ad accendersi tra l'uno e l'altro un aspro combattimento ad altissima conflittualità. Allora il respiro rimase quasi sospeso dentro tutti loro, intanto che mostravano degli sguardi pietrificati, a causa della loro ansia, che era in piena crescita. La quale, in quegli istanti, andava comprimendo il loro animo e li faceva apparire terrei, non sapendo a chi l’esito finale del conflitto avrebbe dato ragione. Esso, infatti, aveva fatto avvertire che era sul punto di scatenarsi furibondo e rovinoso fra i due validissimi contendenti. Il solo Tionteo non si lasciava impressionare per niente da quello scontro in arrivo, che stava per esplodere all’insegna del cataclisma più catastrofico. A suo parere, la vittoria dell’invincibile amico, che aveva ucciso in passato anche dei mostri terribili, era da reputarsi fuori discussione. Egli era convinto che in nessuna parte del mondo potevano esserci avversari talmente forti, da potere battere lui e il re Francide anche in stretta misura.

I primi momenti dei due combattenti furono da loro dedicati ad un intenso scrutarsi reciproco, partendo da ciascuno uno studio approfondito dell’avversario. Allora Iveonte si rese conto che, per la prima volta, aveva di fronte un avversario di tutto rispetto e degno di lui, anche se non era alla sua altezza al cento per cento. Quanto a Touk, da parte sua, anch’egli si fece un ottimo concetto del suo antagonista, il quale non aveva nulla da invidiare ai cinque Kulten che erano stati già da lui affrontati insieme e fatti fuori senza fatica. Squadrandolo meglio da capo a piedi, gli sembrava di vedere in Iveonte un altro sé stesso, con la medesima fierezza, con il medesimo ardimento e con il medesimo indomito coraggio. Inoltre, scorgeva in lui una sicurezza incrollabile, che lo presentava in anticipo come il dominatore dell’imminente scontro. In un certo senso, ciò lo preoccupò e gli fece chiedere se quell'immensa fiducia in sé stesso derivasse all’avversario dalla sua superiorità, quella che aveva voluto fargli presente nella precedente discussione. A tale proposito, Touk ripensò alle parole del suo moribondo genitore, quando gli aveva riferito il responso dell’amico mago. Secondo il quale, la sua vita molto presto sarebbe stata in pericolo; però senza indicarne il tempo, specificarne il movente e definire come sarebbe avvenuta la sua morte. Allora l’infausto presagio gli immalinconì l’animo. Ma anche lo spinse alla seguente considerazione: dovendo egli morire per cause ignote, la sua morte sarebbe stata più benaccetta, se a dargliela fosse stato un guerriero che avesse maggiore talento di lui in campo marziale. Invece l'avrebbe accettata malvolentieri, se gli fosse stata causata dal tradimento o, peggio ancora, per ragioni insignificanti.

Alla fase iniziale di scandaglio delle potenzialità insite nel suo rivale, ciascun campione fece seguire quella che mirava a procurarsi il miglior vantaggio possibile nello sferrare il proprio attacco fulmineo e risolutore dello scontro. Ma poi, sia l’uno che l’altro finirono per rinunciare ad un tale evento favorevole, ritenendo improbabile che l’altro glielo potesse permettere. Perciò essi si diedero a fare diluviare colpi di spada e grandi balzi di una tecnica speciale assolutamente nuova, la quale faceva allibire tutti coloro che erano presenti a godersi il grandioso spettacolo. Difatti i più impensabili assalti e gli adeguati atteggiamenti difensivi venivano messi in atto dai due superbi campioni, il cui fisico si mostrava saldo ed incrollabile. Durante il loro singolare combattimento, essi andavano compiendo dei veri prodigi e manifestavano varie abilità di brandeggio di spada, le quali si rivelavano a tutti mai conosciute. Li si vedevano azzuffarsi e separarsi così rapidamente, che i diversi loro spostamenti finivano quasi sempre per sparire alla vista di quanti erano intenti a seguirli con la massima attenzione. Non mancavano neppure dei balzi inverosimili, i quali, trasformandosi a volte in acrobatici volteggi di insuperabile maestria, li facevano somigliare ad esseri volanti impegnati in attacchi dal cielo e da terra. Quando invece le loro spade venivano fatte mulinare oppure si incrociavano, permettendo alle rispettive lame di cozzarsi tra loro, allora da esse si staccavano balenii accecanti e martellii assordanti, come se volessero esprimersi reciprocamente la loro immensa furia e il loro grande sdegno. Così nessuna delle due difese cedeva, sebbene gli assalti investitori si rivelassero insidie estremamente pericolose, quando non si manifestavano dei cataclismi di inusitata potenza e di particolare catastroficità. Ciascuno di loro, siccome era da considerarsi un asso della scherma e delle arti marziali, non si faceva prendere alla sprovvista da parte dell’altro, mentre tentava di scardinare ad ogni costo la sua difesa. Spesse volte i due combattenti usavano l’attacco dell’avversario come punto di partenza, al fine di condurre poi quello proprio contro di lui. Essi lo usavano come un vero contrattacco, appunto per trovare l’avversario del tutto spiazzato e disorientato. Ma i molteplici tentativi, fatti da ognuno di loro per disorientarlo e confonderlo, al fine di colpire nel segno, venivano inficiati dall’ottima preparazione difensiva della controparte.

Oramai Touk si era convinto che, contro un rivale come Iveonte, ogni sua dote di tipo schermistico, come pure quella di lotta libera, risultava impotente ed insufficiente a coglierlo in fallo, a sbandarne la difesa, a fiaccarne la resistenza, nonché a distruggerlo psichicamente e ad abbatterne lo spirito. Invece il nostro eroe non era ancora giunto ad una conclusione del genere nei riguardi dell'avveduto e potente rivale. Gli restavano ancora delle risorse da sfruttare, le quali erano differenti da quelle fino allora da lui messe in azione, senza sortire alcun effetto contro il coriaceo campione degli Ectonidi. Perciò adesso si preparava ad adoperare precisamente quelle che appartenevano al dieci per cento della sua migliore preparazione, poiché esse non potevano essere note all’avversario. Anche Touk, in un certo senso, aveva presentito qualcosa in merito a tali mosse ed attendeva di vederle esprimersi ed atterrarlo. Conoscendo colui che si affrettava a dare loro vigore ed efficacia, si mostrava convinto che esse sarebbero riuscite nel loro intento, non appena si fossero messe all'opera per abbatterlo.

All’improvviso, così, Iveonte fu visto compiere una piroetta obliqua verso l’alto, la quale era apparsa quasi invisibile. Essa lo fece poi ritrovare proprio sulla testa dell’avversario, a cinque metri di altezza. Lo stesso movimento, inoltre, spingendolo a caduta libera sopra di lui, gli consentì anche di sbatterlo per terra e di disarmarlo. Tutto era avvenuto in un batter d’occhio, senza che né Touk né quelli che assistevano allo scontro dei due assi della scherma e delle arti marziali riuscissero a seguire lo scattante spostamento dell'incredibile forestiero. Quando alla fine il figlio adottivo di Oksur si riprese dall’improvvisa batosta giunta dall'alto, si accorse che la punta della spada di Iveonte gli rasentava il collo e si mostrava pronta a squarciarglielo. Egli, però, pur subendo quel momento a lui sfavorevole che lo stava umiliando davanti a tantissime persone che assistevano allo scontro, continuava a mostrarsi fiero e per niente sottomesso al rivale. Il quale oramai poteva soltanto cantare vittoria. A quel punto, ovunque calò il sipario che invitava all’assoluto silenzio. Da parte sua, Iveonte, tenendolo sotto la minaccia della sua spada, gli disse:

«Touk, come gli Ectonidi e i Cerdi possono rendersi conto, io sono il vincitore e tu lo sconfitto. Ma non intendo approfittare di questa mia posizione di vantaggio, al fine di umiliarti davanti a tutti loro. Perciò, se mi dai la tua parola che non tenterai alcun colpo di mano mentre ti parlo, sono disposto a discutere con te, dandoti ampia libertà di movimenti, proprio come un uomo libero. Allora posso fidarmi di te?»

Quando il suo rivale assentì alla sua proposta con un eloquente cenno del capo, facendogli intendere che l’accettava, Iveonte riprese a parlargli in questo modo:

«Non è stata mai mia intenzione farti sfigurare ed ucciderti, Touk, come Tillia ti può confermare, per cui mi rifiuterò di farlo. Chi propugna la giustizia come me non può macchiarsi del sangue di un’altra persona, che pure si batte per il suo trionfo. Se io non posso ucciderti, neppure tu puoi negarmi di darmi ascolto e di credere alle mie affermazioni. Pensa che ho rischiato la vita, pur di ottenere ciò, sempre in nome della giustizia! Ma se tu mi dichiarassi la tua disponibilità a fidarti ciecamente di me, mi sentirei più tranquillo nel rivolgermi a te. Non fa parte del mio carattere costringere qualcuno a credermi con la forza e sotto la minaccia di una spada! Può capitare a tutti di sbagliare, come scambiare il bianco con il nero!»

«Ebbene, Iveonte, siccome mi hai sconfitto e mi hai risparmiato in nome della giustizia, mi obblighi a credere volontariamente ad ogni tuo asserto. Anche a costo di sacrificare la persona che oggi mi sta più a cuore, avendomi regalato dei giorni indimenticabili e dei momenti ricchi di intense emozioni! Secondo quanto ho potuto capire poco fa, è proprio lei che vuoi chiamare in causa, come principale imputata nelle asserzioni che stai per farmi. Non è vero che è Elan la tua principale accusata?»

«Non hai tutti i torti, Touk! Ti comprendo che è duro venire a sapere che la tua donna, quella che hai sempre amata e ami tuttora alla follia, sotto le direttive del subdolo genitore, ti ha sempre somministrato bugie ed inganni a non finire. Ti riuscirà ancora più duro convincerti che a causa sua, in tutti questi anni, inconsapevolmente hai difeso la prepotenza e l’ingiustizia. Devi sapere, Touk, che i veri oppressi sono e sono sempre stati i Cerdi e non gli Ectonidi, come ti hanno fatto credere la tua ragazza e il suo infido genitore. Per questo motivo, non ti sei mai stancato di combatterli e di farne strage ingiustamente. Ora che conosci la verità, règolati tu, fai della tua vita quello che credi più giusto; puoi pure continuare ad infangare la tua personalità con il tuo spregevole operato. Da parte mia, Touk, invece ti saluto e riprendo la mia strada con la massima serenità, siccome gli oppressi da me difesi dal giogo dei prepotenti sono stati sempre quelli che lo erano effettivamente. Non mi perdonerei mai, invece, di avere aggiunto altra sofferenza in chi ne era già pieno fin sopra i capelli! Adesso sono sicuro che non ci sarà bisogno che io rimanga tra i Cerdi a proteggerli da te. Dal momento che sei venuto a conoscenza della verità, sono convinto che non muoverai più un dito ai danni della giustizia! Addio, formidabile guerriero e mio pari, che sei divenuto mio avversario solo per un tuo madornale errore!»

Appena l’eroe dorindano gli ebbe voltato le spalle e cominciò ad incamminarsi verso il gruppo dei Cerdi, Touk prima badò a rialzarsi da terra. Subito dopo, si diede ad urlargli dietro:

«Iveonte, non puoi lasciare il lavoro a metà, specialmente ora che mi hai messo di fronte ad un’amara verità! Per come stanno le cose, ho bisogno soltanto della morte, avendo iniziato a vederla come mia sorella confortatrice. Oramai non riuscirò più a reggere alla disperazione, la quale già mi sovrasta senza assoluzione! Da oggi, i fantasmi dei Cerdi da me ingiustamente trucidati si presenteranno nei miei incubi, grideranno giustizia e pretenderanno da me l’espiazione dei miei delitti! Te ne prego, non aprirmi la porta che conduce al suicidio, poiché ho sempre ritenuto il suicida un essere abietto e vile. Vieni a trafiggermi con la tua spada, amico mio, perché per mano tua la morte mi risulterà più confortevole ed onorevole! Ti prego di darmi retta!»

Vedendo poi che Iveonte non stava ad ascoltarlo per niente, ma continuava imperterrito a proseguire per la sua strada, con un estremo atto disperato, gli gridò:

«Se tu ti rifiuti di finire il lavoro da te iniziato e di troncare l'odierna mia travagliata esistenza, Iveonte, allora so io a quale persona rivolgermi. Vedrai che la obbligherò a compiere un tale gesto, poiché ella non potrà negarmelo, dopo avermi ingannato per tantissimi anni! Tra poco la raggiungerò e la costringerò a farlo!»

Pronunciate quelle sue parole che lo angosciavano tremendamente, Touk all’istante montò a cavallo e si lanciò alla volta delle vicine mura della città. Pervenuto poi come un fulmine ad Ecton, l'eroico guerriero raggiunse il reparto personale della sua ragazza e la obbligò ad impugnare la sua spada. Dopo, portando la sua punta contro il proprio petto, incominciò a gridarle con molto sdegno:

«Su, Elan, spingila dentro il mio corpo, uccidimi e lasciami morire! Distruggi questa mia vita, quella che hai sempre ingannata e farcita di menzogne! Ed io, accecato dall’amore che nutrivo per te, non ho visto da che parte stava la verità; ho smarrito perfino i sentieri che conducevano alla giustizia. Così i poveretti Cerdi sono stati perseguitati da me iniquamente, sono stati ammazzati da me a centinaia senza alcuna pietà. Al contrario, era in Ecton che stavano il marcio e il sudiciume, era qui che dovevo fare pulizia e non altrove, tra gli sventurati Cerdi! Ora, siccome per colpa tua ho commesso tanti errori tremendi, almeno fammi un favore, Elan! Privami di questa esistenza vituperosa, che non riesco più a tollerare, non trovandola adatta a me e alla mia vita da uomo retto ed integerrimo! Su, sbrìgati a farlo, mia grande ingannatrice!»

Proprio in quel momento, essi erano stati raggiunti dal padre di lei. Allora, essendosi reso conto della reale situazione, Ormus si diede ad urlare alla dubbiosa figlia:

«Trafiggilo, Elan, e uccidilo, come egli stesso ti chiede di fare! Touk oramai non ti appartiene più, lo hai perduto per sempre! Per cui non potrà continuare ad aiutarci nella lotta contro i Cerdi, che sono i nostri nemici mortali! Avanti, ammazzalo, figlia mia, senza esitazione! Egli ha smesso di esserci utile, per tutto il tempo avvenire!»

Allora la ragazza, vinta ogni perplessità che restava ancora dentro di sé, cinicamente cominciò ad affermare all'uomo che aveva amato fino a qualche istante prima:

«Mio padre ha proprio ragione, Touk. Dal momento che il tuo amore per me non avrà più posto nel tuo cuore per continuare ad esistere a lungo, come pure il tuo braccio non potrà esserci più di alcuna utilità nella lotta contro il popolo cerdico, per me sarà più saggio che io ti ubbidisca. Anche tu mi hai fatto presente che almeno questo favore te lo devo senz'altro e non posso assolutamente negartelo! Così sia!»

Qualche attimo dopo, Elan spinse l’arma nel corpo di Touk, per cui ne venne trafitto gravemente. Di lì a poco, mentre egli si accasciava a terra agonizzante, sopraggiunsero anche Iveonte e Tillia. La ragazza all’istante si preoccupò di prendergli la testa tra le mani e di appoggiargliela sul proprio grembo. Intanto che gli sfiorava il volto con una mano in preda alla disperazione, non si asteneva dal sussurrargli:

«Peccato, Touk, che il destino non abbia voluto unire le nostre esistenze e farle fondere in un amore senza fine! Ma adesso acquiètati nel dolce sonno della morte e dimentica il male che Elan e suo padre ti hanno costretto a fare con l’inganno contro il mio popolo! Io e la mia gente ti perdoniamo gli ingiusti errori commessi a nostro danno, per cui tutti i Cerdi piangeranno compunti la tua ingloriosa morte!»

Allora l’eccezionale Touk, pur venendo impedito dalle sue forze, le quali erano divenute esili ed inefficienti, fece uno sforzo sovrumano, pur di rispondere alla figlia di Croed:

«Sono stato davvero uno sciocco, Tillia, per non aver pensato a te come alla donna della mia vita! Era di te che sarei dovuto innamorarmi e, in pari tempo, era il tuo popolo che avrei dovuto difendere! Così facendo, avrei ottenuto due risultati importanti: 1) la giustizia, il mio grande ideale per cui mi sono sempre battuto, non sarebbe stata bistrattata e calpestata da me; 2) accanto a te, che saresti stata una donna degna del mio amore, la mia vita, oltre ad essere più durevole, mi avrebbe regalato le gioie più ineffabili. Ne sono certo, mia dolce fanciulla, che hai la coscienza pura e linda come un giglio!»

Alla fine Touk emise l’ultimo respiro e si spense per sempre, facendo riempire di lacrime gli occhi della retta figlia di Croed, il capo dei Cerdi. Mentre poi la ragazza si piangeva l’uomo che aveva tanto amato nel segreto del suo intimo, senza potere esserne riamata a causa di eventi sfavorevoli, Ormus estrasse la sua spada e cercò di colpirla alle spalle. Ma Iveonte, che vigilava su di lei, prevenne il suo insano gesto e lo trapassò con la sua arma da parte a parte. Poco tempo dopo, il nostro eroe e Tillia, portando con loro la salma dell’eroico Touk, abbandonarono la città, senza che un solo soldato ectone si fosse azzardato a fermarli. Quando poi furono pervenuti con gli altri nel villaggio cerdico, badarono a fare avere delle solenni onoranze funebri e una degna sepoltura all’intrepido ed indomabile guerriero. A proposito del figlio adottivo di Oksur, il Temos divenuto Touk, i Cerdi a ragione lo avrebbero sempre ricordato nella loro mente come l'eroico cavaliere senza macchia e senza paura.