309°-TOUK PORTA A TERMINE LA SUA VENDETTA

Durante la sua permanenza in Ramnek, anche Touk, come abbiamo già appreso, era venuto a sapere che in città ci sarebbe stato un torneo a breve scadenza e che negli anni precedenti in esso avevano trionfato ogni volta i primi cinque figli maschi di Nerpus. Perciò si era precipitato ad iscriversi alle varie gare, volendo sconfiggere una parte della prole del suo nemico davanti alla folla degli spettatori. Siccome prima dell’iscrizione ogni aspirante alle gare era tenuto a leggersi il regolamento del torneo, dalla sua lettura, egli era venuto a conoscenza della legge che vigeva nell’arena, la quale risultava a favore in ogni caso di coloro che si battevano. Essa lo aveva rallegrato infinitamente, dal momento che gli offriva l’opportunità non solo di sconfiggere i figli di Nerpus, ma anche di poter troncare la testa a ciascuno di loro, come appunto si era ripromesso di fare. A Touk non era sfuggita neppure la presenza in Ramnek dei cinque Kulten, avendoli individuati all’istante dai loro atteggiamenti esteriori. Nello stesso tempo, aveva avuto la certezza che essi erano stati assoldati da Nerpus per farli intervenire contro di lui. Ma un simile pensiero non lo aveva intimorito neppure un poco, essendogli stata insegnata ogni cosa sull’attività dei Kulten, compreso il modo di prevenirli e di difendersi da loro. Presso la loro palestra, egli aveva perfino vinto cinque tornei di seguito, che era il massimo numero di volte consentito, come già era accaduto anche al padre suo maestro, che era Oksur. Infatti, il nome del Kulten, che riusciva a vincere il torneo cinque volte di seguito, veniva iscritto nell’Albo d’Oro della loro scuola. Dopo, però, non gli era più permesso di partecipare ai successivi tornei che si discutevano ogni anno presso la medesima palestra.

Già la notte prima dell'apertura delle gare, Touk aveva voluto dimostrare a Nerpus che neanche le sue nuove guardie del corpo potevano niente contro di lui. Così al mattino, al suo risveglio, il capo dei Mornut aveva fatto una macabra scoperta. Il corpo acefalo della moglie gli giaceva accanto in una gran pozza di sangue. Da parte loro, i prodigiosi Kulten non avevano saputo spiegarsi come avesse fatto l'assassino della donna ad eludere la loro sorveglianza. Allora avevano compreso che l'avversario, dal quale dovevano difendere il loro datore di lavoro, non aveva nulla da invidiare a loro stessi. Con molte probabilità, dunque, egli si sarebbe dimostrato un osso assai duro nella lotta che stavano per intraprendere appunto contro di lui sia nell'arena che nella prestigiosa dimora del loro datore di lavoro. La macchina del torneo, però, oramai si era messa in moto e nessuno più poteva fermarla. Lo stesso Nerpus, benché avesse il lutto in casa, non aveva potuto differirlo ad altra data da destinarsi. Per questo, dopo aver fatto dare una sommaria sepoltura alla consorte, non aveva voluto assentarsi dalle gare e le aveva presenziate con la sua autorevolezza di capo. Ad ogni modo, egli non si era fatto scortare dai suoi provetti Kulten nel raggiungere l’arena, poiché essi avrebbero dovuto prendere parte alle gare e punire con il loro intervento la prepotenza del suo nemico. Al loro posto, invece, era stato il suo luogotenente Ebriuz a scortarlo all’agone con un centinaio di soldati. Ai quali egli aveva raccomandato lo stato di massima allerta.

Un paio di ore prima di mezzogiorno, Touk aveva preceduto tutti gli altri nell’apparire nell’arena, applaudito dalla folla degli spettatori presenti, sebbene egli non fosse stato mai visto prima in quel luogo. Mentre lo applaudivano, lo sconosciuto guerriero faceva pure chiedere a tutti loro chi fosse mai e da dove fosse sbucato. Poco dopo, il giovane era stato raggiunto da cinque suoi avversari, che indossavano la classica divisa dei Kulten, la quale si presentava nera, con un sole giallo disegnato sulla parte che copriva il petto. Ma il loro ingresso nell’arena era stato accolto con un silenzio tombale dai numerosi spettatori. Costoro adesso si andavano domandando chi fossero mai i nuovi arrivati, i quali si erano presentati in quel posto vestiti in modo strano e con il volto coperto. Nerpus e il suo luogotenente, però, non si erano rivolte simili domande, poiché essi credevano di sapere tutto sul quintetto di combattenti vestiti in quella maniera lugubre. Anzi, entrambi a momenti si aspettavano da loro la rapida uccisione del misterioso guerriero, il quale, dei sei combattenti presenti, era il solo ad avere il volto scoperto. Ma sarebbe poi avvenuto ciò che essi si attendevano da loro? Ci accerteremo tra poco se essi avevano ragione oppure no.

Ebbene, i cinque personaggi neri, dopo averlo accerchiato, adesso si stavano avvicinando al loro avversario con passi ben studiati e con un atteggiamento guardingo. Da parte sua, Touk non si era lasciato ingannare da loro, poiché subito si era accorto che essi non potevano essere i Kulten assunti dal suo nemico Nerpus. Allora di chi si trattava? Egli si andava chiedendo, anche se una mezza idea ce l’aveva, avendo immaginato ogni cosa con un suo ragionamento, il quale gli aveva fatto risolvere poco dopo il rebus. Secondo lui, i suoi avversari potevano essere unicamente i cinque figli del suo nemico giurato, anche se poi non sapeva spiegarsi come essi avessero fatto a gabbare i Kulten, sostituendosi ai temibili guerrieri all'insaputa del padre. Perciò quella sua conclusione lo aveva fatto irraggiare di gioia. Infatti, quella circostanza, che prima non aveva affatto sperato, gli stava fornendo la possibilità di decapitare già cinque dei venti figli del vigliacco capo dei Mornut, arrecandogli così un secondo immenso dispiacere.

Poco dopo, non appena i suoi antagonisti gli furono a tre metri di distanza, Touk aveva effettuato un grande balzo in avanti, che lo aveva fatto trovare fuori del cerchio da loro formato. Il suo movimento di scavalcamento era apparso un autentico volo ai numerosi spettatori che erano accalcati sugli spalti, per cui essi se ne erano stupiti grandemente. Effettuato quel suo spostamento aereo, il quale lo aveva fatto sollevare di oltre tre metri, Touk era saltato in mezzo a loro come un cuneo penetrante, mettendosi a trapassare, a sfondare e a sgretolare il suo ostacolo umano. Il suo rapido passaggio in mezzo ai suoi cinque avversari si era rivelato esattamente come descritto, essendo risultato diabolicamente scattante, fulmineo e dispensatore di morte. Quando infine egli era passato dall’altra parte, dietro di sé giacevano al suolo cinque corpi privi di vita. A dire il vero, nessuno degli spettatori era riuscito a farsi una propria idea circa la tecnica di combattimento messa in atto dallo sconosciuto guerriero senza nome. Essa, comunque, gli aveva permesso facilmente di spiazzare e trucidare i suoi antagonisti in un battibaleno, senza che gli stessi se ne rendessero neppure conto, mentre venivano infilzati e feriti a morte, tra lo stupore di quanti assistevano allo scontro.

A quella prima esibizione di colui che poteva essere solo il suo nemico, Nerpus si era acceso di sdegno. Il quale, però, come tra poco avremo modo di constatare, si sarebbe trasformato ben presto in un dolore immenso, più grande di quello che aveva provato per la uccisione della consorte. Ciò era avvenuto, quando lo straordinario forestiero, dopo aver eseguito le cinque uccisioni, era ritornato sui suoi passi e si era soffermato tra i corpi esanimi di coloro che lo avevano sfidato. In quel posto, dopo aver scoperto il capo ad ognuno dei cadaveri ed averglielo sollevato, prendendolo per i capelli, era passato a troncarglielo con un reciso colpo di spada. Alla macabra esecuzione, che era stata messa in atto cinicamente dall’incredibile vincitore tra l’orrore generale, se tutti si erano sentiti raggelare il cuore, alcuni invece erano perfino svenuti, risultando vili di stomaco. Quando poi i Mornut presenti nell’arena avevano scoperto a chi appartenevano i corpi degli uccisi, erano stati assaliti da una certa ambascia; ma più di tutti, ne aveva sofferto il loro genitore. Egli, in preda ad una grande costernazione, si era rivolto ai suoi soldati, urlando: "Vi ordino di ammazzatelo come un cane!"

Ma prima ancora che i gendarmi intervenissero contro di lui con l’intento di trafiggerlo con le loro frecce, si erano levate dagli spalti le vibranti proteste della gente. Essa si era data a gridare a gran voce: "Nerpus, nessuno può violare la legge del torneo! Neppure tu puoi farlo, pur essendo il nostro capo! Perciò non puoi fare punire chi ha ucciso e mutilato i tuoi figli nell’arena! Quindi, la vita del vincitore, essendo protetta dalla legge del torneo, non può essere soppressa!" Alle forti rimostranze popolari, il costernato capo dei Mornut aveva ritirato l’ordine spiccato poco prima contro l’uccisore dei suoi figli. Essendo però stato indispettito dall'atteggiamento avverso dei suoi sudditi, per ripicca, egli aveva ordinato la sospensione degli scontri per il resto della giornata. Ma essi non avevano accolto la sua decisione come una chiara vendetta nei loro confronti, bensì come l’esigenza di un padre che intendeva dare una degna sepoltura ai suoi familiari. Essi gli erano stati ammazzati con una crudeltà senza precedenti.

Come avevano fatto i figli di Nerpus a sostituirsi ai cinque Kulten, che erano stati assoldati dal padre? Si tratta di un particolare che tutti siamo ansiosi di conoscere, in merito al quale desideriamo anche avere delle spiegazioni più o meno attendibili, ossia che ci possano convincere.

Va fatto presente che il capo mornutese aveva affidato ai suoi figli il compito di accompagnare i Kulten all’arena. Ma essi, contro la volontà del padre, si erano accordati di combattere il suo nemico al posto dei guerrieri da lui prezzolati. Per prima cosa, perciò, avevano drogato la colazione dei cinque fuoriclasse, facendoli addormentare alcuni minuti dopo. Di lì a poco, li avevano spogliati ed avevano indossato i loro indumenti, conducendosi all’arena vestiti da autentici Kulten. Con quel loro comportamento, i figli di Nerpus si erano messi in testa di dimostrare al genitore che bastavano soltanto loro a difenderlo da colui che da vari giorni gli andava arrovellando l’animo. Così, nonostante l'ammonimento paterno, gli sciagurati non si erano resi conto per niente di stare a competere con un guerriero invincibile. Il quale era di gran lunga superiore a loro, pur affrontandolo essi tutti e cinque insieme!


Il giorno seguente, alla stessa ora, le gare avevano ripreso a svolgersi puntualmente nell’arena. Allora Nerpus non vi aveva fatto mancare la sua presenza, siccome questa volta egli intendeva assistere all’annientamento del suo odiato nemico da parte dei Kulten, i quali stavolta sarebbero stati quelli veri a combattere contro di lui. Anche Touk era abbastanza convinto che quella mattina avrebbe combattuto contro i Kulten assunti da Nerpus e non con i loro sostituti, come era avvenuto il giorno precedente. Ma egli, pur potendo farne a meno, lo stesso aveva voluto combattere nell'arena, siccome intendeva dimostrare al suo nemico mortale che egli non li temeva; invece li avrebbe sconfitti senza difficoltà. Prima di scontrarsi con loro, aveva predisposto a puntino ciò che era da farsi, al fine di prevenire la pericolosità di ogni loro assalto. Soprattutto aveva cercato di difendersi da quei loro attacchi che si sarebbero avuti mediante piccole armi metalliche da getto di varia foggia. Esse, infatti, il più delle volte avevano un potere infettante, se non proprio venefico. In quei casi, per difendersi da simili armi, Touk ricorreva al parut, siccome con tale arnese riusciva a pararle abilmente, senza permettere a nessuna di esse di colpirlo in qualche parte del corpo.

Volendo soffermarci in breve su tale arma da difesa, va fatto presente che si trattava di una piastra metallica rotonda, che aveva un diametro di quindici centimetri ed uno spessore di cinque millimetri. Inoltre, nella sua parte posteriore, essa era munita di una impugnatura, che permetteva a chi lo reggeva di afferrarla con la sua mano sinistra, proprio come avviene con il comune frattazzo dei muratori. Uno strumento difensivo di quel tipo gli serviva anche per parare i colpi della spada e del pugnale; ma al bisogno, poteva usarlo come arma di offesa, fracassando con esso la testa ai suoi nemici. Bastava una sua schiacciata in pieno volto all’avversario per ridurlo male e, a volte, anche stordirlo. Per la verità, di regola Touk evitava le armi da getto nemiche, ricorrendo soltanto a rapidi spostamenti del corpo verso qualunque direzione oppure effettuando degli scattanti piegamenti del torso in avanti, fino a formare con il suolo un angolo retto.

Anche il secondo giorno, così, Touk era stato il primo a presentarsi nell’arena; ma non era stato applaudito come la giornata precedente, poiché la sua comparsa aveva gettato tutti gli spettatori in un silenzio sepolcrale. Sembrava che nel loro animo continuasse a persistere molta mestizia, la quale era dovuta al truce spettacolo, di cui egli si era reso autore ventiquattro ore prima con sadica insensibilità. Invece cinque minuti dopo, quasi si stesse ripetendo il copione del giorno antecedente, gli ammutoliti astanti di nuovo avevano visto presentarsi nell’arena cinque guerrieri, i quali erano vestiti come lo erano stati il giorno prima i figli del loro capo. Se qualcuno aveva creduto che sarebbe seguito il medesimo rituale, rapido e truculento nel suo svolgimento, si era invece dovuto ricredere. Difatti questa volta le cose sarebbero andate assai diversamente, poiché gli uomini mascherati non si sarebbero dimostrati degli ingenui come le loro false copie, che poi erano risultate i figli più grandi del loro capo. Al contrario, essi avrebbero fatto sfoggio di altre attitudini combattentistiche inerenti sia all'offesa che alla difesa.

Ebbene, appena i cinque Kulten erano apparsi nell’arena, all’istante Touk aveva munito la sua mano sinistra del prezioso parut; mentre con la destra brandiva la sua luccicante spada, la quale non vedeva l’ora di sbizzarrirsi contro i suoi nuovi avversari. Costoro, come da lui previsto, avevano dato inizio alla loro aggressione con il lancio di una sfilza di stelline a cinque punte e di chiodi con capocchia a forma di piramide triangolare. Ma il figlio naturale di Sartok era riuscito ad evitare la maggior parte di tali armi insidiose con il parut, altre con la lama della spada e le rimanenti con rapidi movimenti del torso simili a flessioni o con balzi verticali. Allora i Kulten, preso atto dell’insuccesso a cui erano andati incontro con le loro armi da getto, avevano tentato di fare di meglio con le spade e con le catene. Ciascuno di loro, perciò, si era armato di una spada con la destra e di uno spezzone di catena con la sinistra. Invece Touk aveva sostituito soltanto il parut con una seconda spada. In quel modo, era iniziata, sia da parte sua che da parte degli avversari, una valanga di acrobazie schermistiche, che stupivano a non dirsi gli spettatori, i quali assistevano incantati dagli spalti dell’arena. I loro assalti, spesso combinati con voli acrobatici atti a deconcentrare l’avversario, facevano mostra di abilità tecniche, che venivano considerate impossibili per un comune guerriero. Le loro azioni di sbarramento e di sbandamento, nello stesso tempo, erano e non erano, apparivano e si celavano, si allungavano e si ritraevano, cercavano di essere offensive, mentre venivano impostate come difesa. Per questo tali azioni spesse volte finivano per colpire là dove già era venuta meno la presenza del nemico, frustrando ogni loro intenzione di chiudere la partita per sempre.

Quanto alla folla, essa impazziva dallo stupore ed assisteva estasiata al loro diluviare di colpi, i quali erano dati non alla vecchia maniera. Al contrario, li si effettuavano con balzi che prescindevano dagli schemi tradizionali. Sgranando tanto di occhi, essa se ne esaltava in continuazione, si rendeva conto che quei sei combattenti, in particolar modo quello solitario, si mostravano davvero dei fenomeni viventi. Anzi, se li si osservava bene, essi a volte andavano perfino contro la legge di gravità. La maggioranza degli spettatori, comunque, tifava per il guerriero che si batteva da solo. Egli, a loro parere, nella sua contesa contro i suoi avversari mascherati, si dimostrava più all’altezza della situazione, operando dei veri prodigi e rendendo sistematicamente vani tutti i loro tentativi di trafiggerlo. Inoltre, il medesimo li assaliva con assalti di estrema pericolosità, sconvolgeva ogni loro intenzione di colpirlo, perturbava i loro reconditi disegni a suo danno. Li minacciava in quella che consideravano la loro sicurezza stabile ed incrollabile. Alla fine Touk, dopo averli stancati fisicamente e distrutti psichicamente, privandoli di ogni velleità di supremazia, si era adoperato per abbattere il loro equilibrio interiore. Agendo così, era sicuro che la perdita di esso, da parte loro, avrebbe causato agli avversari pure lo sfaldamento delle loro convinzioni più assolute e il tracollo di una mentalità abituata a non essere sconfitta, ma a vincere sempre e ovunque. Raggiunto tale scopo, l’allievo di Oksur non aveva più trovato difficoltà ad eliminare i cinque Kulten. Difatti essi, uno alla volta, erano stati sorpresi e colpiti gravemente in organi vitali, mediante l'esecuzione di profittevoli stoccate. Le quali erano state studiate e portate a segno con assoluta maestria e con un certo rigore. Allora dagli spalti del circo si era levata una ovazione generale a favore del grande ed insuperabile Touk. Ovviamente, non si erano uniti a tale esaltazione popolare né Nerpus né il suo luogotenente Ebriuz. Nel loro capo, c’era stato tutt’altro sentimento verso il vincitore, poiché gli aveva riservato unicamente rancore, disprezzo e malanimo in modo esagerato.

Già dal terzo giorno, Touk aveva smesso di partecipare alle gare nell’arena, essendo venuto meno ogni suo interesse per esse, dopo aver decapitato i figli di Nerpus ed aver eliminato anche i suoi sicari. Invece egli si era interessato esclusivamente ad eliminare i restanti quindici figli dell’uccisore dei suoi familiari. Uno al giorno, così, essi erano stati raggiunti, ammazzati e decapitati da lui, nonostante la sorveglianza su di loro risultasse senza dubbio ineccepibile. Le loro uccisioni non avevano fatto altro che intossicare l’esistenza del capo dei Mornut. Ma tre giorni dopo che aveva ucciso l’ultimo dei suoi figli, Touk aveva stabilito di arrecare la morte allo stesso Nerpus. Perciò si era dato a studiare come ottenere la sua uccisione nella maniera che lo soddisfacesse di più.

Era notte fonda, quando egli furtivamente si era presentato nella camera del capo mornutese, il quale aveva preso sonno proprio in quel momento. Allora, scuotendolo con la punta della sua spada, lo aveva svegliato e gli aveva parlato così: "Adesso tocca a te, sporca canaglia, saldare i conti con il passato! Ci sono migliaia di morti che reclamano vendetta dall'Oltretomba. Solo che, a differenza dei tuoi familiari che sono stati decapitati da morti, a te spiccherò il capo dal collo, quando sei ancora in vita, come facesti con mio padre. La cui morte ottenesti solo con l'inganno e con viltà, colpendolo nel sonno da vero farabutto!"

A quella minaccia del suo nemico, Nerpus aveva cercato di alzarsi dal letto e di raggiungere la sua spada, che stava appesa sulla vicina parete. Ma nell’istante stesso che egli aveva poggiato i piedi per terra, l’arma di Touk, con un colpo bene assestato ed inflessibile, gli aveva fatto saltare la testa dal collo, facendola rotolare sanguinante sul pavimento. Prima di abbandonare la camera, egli vi aveva lasciato un rotolo di papiro, sul quale aveva già stilato il seguente messaggio, che era indirizzato al nuovo capo dei Mornut: "Per i suoi orrendi crimini, che nel passato commise a tradimento contro la mia famiglia e contro il mio popolo, Nerpus e i suoi familiari l'hanno pagata caramente. Comunque, mi comporterò allo stesso modo con lui, se il futuro capo dei Mornut scelleratamente oserà vendicarsi contro i coloni bankurini per il mio attuale atto di giustizia. Parola di Temos, il figlio del defunto primiur dei Bankur!"

Portata a termine la sua vendetta contro Nerpus, Touk aveva fatto ritorno tra i Monti dell’Oblio per riabbracciare il suo genitore putativo. A ogni modo, non era rimasto più in quel luogo, dal momento che aveva deciso di girare il mondo in lungo e in largo, allo scopo di combattere la prepotenza e l’ingiustizia, in qualunque parte l'una e l'altra la facessero da padrone. Il grande maestro Oksur non si era opposto al desiderio del figlio adottivo; anzi, se ne era compiaciuto e lo aveva esortato a non tradire mai la giustizia. Invece avrebbe dovuto difenderla con tutte le sue forze contro quelle persone che avevano il vizio di offenderla. Così Touk, il quale poteva davvero essere definito un cavaliere senza macchia e senza paura, aveva intrapreso il suo lungo viaggio attraverso terre remote, alla ricerca di posti dove la giustizia non era rispettata oppure vi veniva addirittura calpestata. Egli era bramoso di punirvi coloro che, con il loro comportamento deplorevole, la bistrattavano in modo grave, senza mostrare pudore.

Dopo alcuni mesi di continuo viaggiare, che gli avevano fatto conoscere terre sconosciute e nuove persone, mettendolo perfino di fronte a diversi modi di pensare e di concepire la vita, alla fine l’invincibile Touk era arrivato nella terra degli Ectonidi. In quel luogo si era imbattuto in Bison, l’eroe dei Cerdi, e nei suoi uomini, mentre si portavano via nel loro villaggio Elan, la bella figlia di Kleot, e la sua amica Cultra. Allora egli era intervenuto a favore delle due ragazze con i risultati che già abbiamo conosciuti, per averli appresi durante il racconto di Ansor, l’anziano guerriero cerdico. In quella occasione, però, il guerriero giustiziere, mosso a pietà della ragazza ed ingannato dal suo fare seducente, aveva commesso due errori madornali. Il primo era stato quello di innamorarsi della donna sbagliata, non essendo ella sincera e capace di amarlo. Il secondo, invece, era stato quello di abbracciare inconsapevolmente la causa di coloro che di continuo avevano vilipeso la giustizia ed avrebbero seguitato a farlo a sua insaputa, coinvolgendo perfino lui nel loro agire disonesto ed ignobile.