301-IVEONTE E LERINDA SI RINCONTRANO IN SOGNO
Il crepuscolo si era appena adagiato sulla stanca natura, rattristando i suoi bei paesaggi, quando Iveonte e i suoi accompagnatori raggiunsero Speon e il grosso dei Lutros. Essi si erano accampati sul margine destro della ben nota strada maestra, che conduceva al Mare delle Tempeste. Siccome era l'ora in cui le tenebre iniziavano a spadroneggiare dappertutto, il giovane eroe accusava una insolita stanchezza. Allora, non appena ebbe consumato alla svelta la cena insieme con Tionteo e Speon, egli preferì appartarsi nella sua tenda. Così vi si recò senza perdere altro tempo, dopo aver rivolto ai due amici il suo consueto augurio di una notte serena. Una volta all'interno di essa, Iveonte si distese sul suo comodo giaciglio; senza però avere ancora intenzione di concedersi al sonno. Comunque, anche se avesse voluto addormentarsi, la sua mente non glielo avrebbe permesso, poiché essa era intenta a rimuginare l'intensa passione, che adesso stavano vivendo Nolup ed Elkes. Secondo lui, i due novelli sposi formavano una splendida coppia di innamorati, la quale era da stimarsi invidiabile sotto svariati aspetti. L'amore, che era sbocciato e stava fiorendo fra i due giovani sposi, si qualificava viscerale in ogni sua estrinsecazione; nello stesso tempo, si rivelava qualcosa di trascendentale e di una sublimità non comune. Il suo candore, la sua freschezza e la sua genuinità trasparivano soprattutto da una passione che nell'uno e nell'altra andava pulsando limpida, coesa, ardente, ineffabile ed irrefrenabile. Come constatava, all'infuori della morte, nessuno sarebbe stato capace di spegnerla in entrambi in un modo qualsiasi!
Perciò Nolup ed Elkes potevano rinunciare ad ogni altra cosa, ma non al loro amore puro e sincero. Per difendere tale sentimento, essi erano disposti ad immolarsi, a sopportare ogni terribile tortura, a subire le più grandi umiliazioni; ma nessuna di queste difficoltà sarebbe mai riuscita a scomporglielo oppure a scalfirglielo neanche minimamente. Ciò, perché il loro amore, anche a parecchia distanza, li avrebbe sorretti e resi inattaccabili perfino da parte della più catastrofica delle intemperie. Infatti, i due fervidi innamorati, oltre a viverlo in una maniera davvero rara, che era degna della massima ammirazione da parte di ognuno, si mostravano pronti a combattere per esso contro tutti e contro ogni evenienza burrascosa della vita. I due ardenti innamorati lo coltivavano nel loro intimo, come il tesoro più prezioso della loro esistenza. Per la quale ragione, pur di farlo restare intatto ed incontaminato nel loro intimo, erano disposti a difenderlo con qualunque mezzo: perfino con le unghie e con i denti, se fosse stato necessario! Inoltre, si poteva asserire che, per loro due, l'amore, che essi si ritrovavano a vivere, costituiva l'emblema della propria vita interiore. Per cui l'uno e l'altra si tenevano avvinti ad esso saldamente, con tutta la loro fede e con l'intero loro orgoglio. Guai a vedersene e a sentirsene privati! Se per caso ciò fosse accaduto, essi avrebbero scorto la terra squarciarsi sotto i loro piedi ed inghiottirseli oppure avrebbero visto venir meno dentro di loro ogni speranza ed inaridirsi qualsiasi aspirazione. Invece i loro animi avrebbero iniziato a languire nella tenebra più malefica e tormentosa, visto che essi sarebbero stati privati della capacità di nutrire un sentimento così nobile, qual era appunto l'amore.
Mentre si addentrava sempre di più nella fragrante passione esplosa tra i due giovani incontrati in quelle terre che non erano più da definirsi senza pace, facendosi trascinare dall'onda delle emozioni, Iveonte alla fine si vide trasportare verso la sua cara Lerinda. Allora si diede a rivivere le ore vissute insieme con lei, le quali in precedenza erano risultate di incommensurabile piacere; anzi, lo avevano estasiato e reso felice come nessun altro uomo al mondo. Al loro ricordo gratificante, in lui venne a vibrare il forte desiderio di riaverla tra le braccia e di amarla come era accaduto tutte le altre volte. Per questo avvertì l'irrinunciabile ed indifferibile esigenza di gustarne le affabili carezze, di stare accanto a lei a rasserenare la propria esistenza, dedicandosi anima e corpo alla passione più sfrenata e soddisfacente. Nel contempo, il giovane, grazie alle proprie dolci moine, avrebbe desiderato vedere pure lei fruire del godimento più grande e raggiungere il settimo cielo della felicità. In definitiva, Iveonte bramava che la loro coppia divenisse la depositaria di tutti i binomi positivi, come sollievo e gioia, appagamento e serenità, tripudio e consolazione, lirismo e poesia, pathos e purificazione; e tanti altri ancora, che qui non vengono citati. Intanto, però, gli bastava soltanto vivere degli attimi travolgenti abbracciato a lei, sentirla sua in una stretta passionale gaudiosa e reale, ricavare dal suo corpo e dal suo animo sensibile le delizie più meravigliose che venivano concesse dalla stupenda magia amorosa.
Ma come poteva ottenere quanto ambiva in quel momento con tutto sé stesso, se la sua Lerinda si trovava ad una distanza remotissima? Restando essi separati in quel modo, ogni sua bramosia poteva soltanto arrendersi davanti alla sua impotenza. La quale, così, finiva inevitabilmente per inficiare ogni suo sforzo che veniva fatto in quella bramata direzione. Poco dopo, invece, Iveonte si rammentò che solo la diva Kronel era all'altezza di appagarlo in quell'ardimentoso suo capriccio, siccome già una volta ella si era adoperata in tal senso a loro insaputa. In quella circostanza, in verità, egli aveva chiesto alla sua protettrice di non fare più avere ad entrambi quei sogni dal contenuto reale, anche se ella li permetteva per consentire a loro due di ricavarne il diletto più esilarante. A quel tempo, la diva gli aveva anche promesso che sarebbe stata lieta di accontentarli, qualora in seguito le fosse pervenuta da parte loro una richiesta di quel tipo. Inoltre, se la memoria non lo tradiva, era stata la stessa Lerinda, al momento della sua partenza e della loro separazione, a pregarlo perché ottenesse dalla sua spada un favore di quel genere per addolcire così la loro lontananza. Per questo egli era convinto che, prendendo una simile iniziativa, il forzato distacco sarebbe stato accettato da loro con uno spirito più disposto alla rassegnazione e alla tolleranza nei confronti di esso. Allora, sollecitato da quel ricordo remoto, Iveonte decise di appagare il desiderio dell'amata, il quale, dopotutto, veniva covato pure nel proprio intimo. Come? Naturalmente, rivolgendosi all'ultimogenita del dio Kron e chiedendole ciò che desideravano entrambi. Anche perché quello era l'unico modo di ottenerlo. Perciò, dopo che si fu tolta la spada e la ebbe deposta in un canto, le si rivolse e la pregò con queste parole:
"Divina ed amabile Kronel, sono qui a farti richiesta di quello che di sicuro già conosci, visto che riesci a leggere i miei pensieri e sai interpretarli nella maniera giusta. Ma ugualmente voglio rivelarteli e rendertene partecipe, come se tu li apprendessi dalla mia bocca proprio in questo momento, poiché sono persuaso che ciò ti recherà un piacere immenso. Ebbene, era da mesi che avvertivo la mancanza della mia Lerinda; però mi sono sempre sforzato di non dare troppo peso ad un fatto del genere, ritenendo la mia missione superiore ad ogni mio sentimento. Il ricercare le mie origini, come sai, è diventato per me un dovere impreteribile e non potrei avere pace, se cercassi di tralasciarlo. Oggi come oggi, esso si identifica con la voce della mia coscienza, la quale giammai vorrà farsi ignorare oppure soffocare da me. Per tale motivo, continuerà a reclamare il suo diritto ad essere una persona con delle proprie radici, che affondino in un albero genealogico ben noto.
Adesso, però, dopo essere venuto a conoscenza dello straordinario amore che stanno vivendo Nolup ed Elkes, il bisogno di incontrarmi concretamente con la mia Lerinda è divenuto insopprimibile. Dentro di me, sento agitarsi uno spirito che non riesce più a frenarsi, spinto com'è dal desiderio di averla accanto a me. Per la qual cosa, esso indirizza le proprie brame in direzione di lei e vorrebbe raggiungerla a qualunque costo, allo scopo di chetarsi, stando abbracciato al suo corpo, sospirare tra le sue braccia, gustare il nettare soave delle sue labbra e sublimarsi in grembo alla sua passione infuocata e travolgente. Perciò, mia dolce diva, sono ricorso a te, essendo convinto che tu sola puoi concedere a me e alla mia amata quanto ci occorre per ridiventare due esseri felici e sognare, stando l'uno tra le braccia dell'altra. Perciò ti imploro di venirci incontro, rendendo i nostri sogni delle concrete realtà, dedite a soddisfare le nostre esigenze di natura affettivo-sentimentale. Inoltre, sono convinto che sarai lieta di esaudire la mia preghiera, che è anche quella della mia adorata ragazza. Non fosti tu stessa nel passato ad invitarci a chiedertelo, nel caso che ne avessimo avvertito l'esigenza? Sono sicuro che ben lo rammenti e che nel frattempo non avrai cambiato parere in merito! Ti ringrazio in anticipo anche a nome della mia Lerinda, la quale si starà chiedendo da tempo come mai io non ci abbia ancora pensato!"
La supplica di Iveonte era appena terminata, allorché si vide la sua spada trasformarsi in una spirale fumogena. Poi, quando essa ebbe dato origine ad una nuvoletta fusiforme alta appena due metri, ne venne fuori una donzella stupenda. Allora il giovane all'istante riconobbe in lei l'incantevole diva Kronel, siccome ella già gli era apparsa allo stesso modo in un'altra occasione. A tale riguardo, il lettore, che ha una buona memoria, ricorderà che la sua prima comparsa al proprio pupillo c'era stata esattamente, prima che egli attraversasse l'Arco della Sacralità, per fargli prendere il posto di Francide nell'ardua impresa. Ebbene, mostrandoglisi incantevole nel suo magnifico aspetto e senza consentirgli di parlare per primo, la diva incominciò a rivolgersi al suo pupillo con un tono di voce accattivante e suadente, dandosi a dirgli:
«Senz'altro, mio generoso eroe, tu e la tua Lerinda sarete accontentati da me! Fino ad oggi, me ne sono ben guardata dal farlo, unicamente perché mi avevi chiesto di sospendere il mio prodigio, almeno fino a quando non fosse partita direttamente da voi una esplicita richiesta di tal genere. Perciò non ho fatto altro che rispettare la vostra decisione presa! Adesso, però, dal momento che hai manifestato una simile volontà anche a nome della tua ragazza, non ho alcuna difficoltà ad esaudire il vostro volere. Perciò puoi stare tranquillo che già da questa notte i vostri sogni inizieranno a svolgersi secondo i vostri intimi desideri, poiché ricomincerò a farveli pervenire vestiti di realtà. Dopo aver fatto combaciare il tuo sogno e quello di Lerinda, vedrete che li renderò uno solo e con voi i loro unici protagonisti. Ti garantisco che essi saranno identici a quelli vissuti nel passato! Sei soddisfatto, mio eroe, adesso che ti ho promesso che ricomincerete a fare i vostri incantevoli sogni?»
«Come potrei non esserlo, Kronel? Ti ringrazio per la tua squisita magnanimità! Io e Lerinda te ne saremo immensamente riconoscenti per l'intera nostra esistenza, siccome te lo meriti. Se non ti dispiace per nulla, adesso vorrei chiederti un ulteriore favore, il quale è sempre attinente ai sogni che sei in grado di farci vivere nella realtà.»
«Dimmi di cosa si tratta, Iveonte, perché sono qui tutt'orecchi ad ascoltarti. Così, se ciò che intendi chiedermi rientrerà nelle mie facoltà, sarò lieta di mettermi a tuo servizio e di appagare tutto ciò che desideri! A chi, se non a te, posso rendere i miei servigi, mio speciale protetto? A nessun altro essere umano, come dovresti sapere!»
«Siccome l'altra volta, oltre che amoreggiare, non ci era permesso di fare nient'altro, questa volta, Kronel, vorrei che tu ci consentissi anche di dialogare tra di noi. In questo modo, Lerinda ed io potremo esprimerci i nostri pensieri, scambiarci le nostre idee e riferire sui fatti che ci stanno accadendo al momento. Ovviamente, ammesso che ciò sia nelle tue possibilità! Dunque, puoi accontentarci come ti ho appena detto?»
«Invece quanto adesso desideri da me, Iveonte, va contro le ineluttabili leggi del Fato. Se mi fosse stato possibile un fatto del genere, già la volta scorsa ve lo avrei permesso: non ti pare? Devi convincerti che ciò che vi concedo è già il massimo che posso fare per voi due. Saggiamente, quindi, tu e la tua ragazza accettate quello che soltanto a voi viene offerto, fra tutti i Materiadi che vivono in Kosmos, siccome per voi un fatto del genere è già una cosa meravigliosa!»
«Sarebbe stato senz'altro molto meglio, dolce Kronel, se io e Lerinda avessimo potuto anche conversare su tante cose durante i nostri sogni. Ma tenuto conto che un evento di questo tipo non è per niente ottenibile, siccome non rientra nei tuoi poteri e in quelli di qualunque altra divinità, vorrà dire che ci rassegneremo. Perciò, essendoti molto grati, ugualmente noi due non ci asterremo dal far piovere su di te i nostri innumerevoli ringraziamenti, essendo un nostro preciso dovere farlo!»
«Come già ne sei al corrente, Iveonte, da te non mi attendo gratitudine e riconoscenza. Se mi mostro bendisposta nei tuoi confronti, mettendomi ogni volta volentieri a tua disposizione, è perché sono felice di prodigarmi per te. Tu rappresenti per me l'essere mortale più caro e ti voglio lo stesso bene che un tempo nutrivo per Luciel. Il quale, come hai appreso, da poco è divenuto mio germano.»
«Il tuo benigno atteggiamento nei miei confronti, Kronel, mi fa onore ed attesta che la mia condotta verso gli altri è giusta ed ineccepibile. Altrimenti, non ti vedrei schierata dalla mia parte, sempre pronta a farti in quattro per me! La tua protezione premurosa mi rende fiero e mi gratifica immensamente, non tanto per i vantaggi che alcune volte ne ricavo, quanto per la stima e l'affetto che mi mostri, senza mai stancarti! La qual cosa mi inorgoglisce e mi soddisfa come neppure immagini!»
«Iveonte, non trascurare il fatto che sei il più valoroso dei mortali guerrieri esistenti in Kosmos. Ti dimostri impareggiabile nel maneggio di ogni tipo di arma e nelle varie arti marziali, senza che io abbia in ciò alcun merito. La tua ineguagliabile perizia in tali ambiti è esclusivamente frutto delle eccellenti capacità che hai conseguito nel passato. Se sei riuscito ad acquisirle in te in modo assai egregio, lo devi anche all'incomparabile opera di un maestro, il quale poteva essere certo di non avere pari nella storia. Ma lo devi soprattutto alle tue strabilianti peculiarità innate, avendo dimostrato di possederle nei due campi. Esse ti hanno perfino fatto superare il tuo insigne maestro (né poteva essere altrimenti), il quale, a tale proposito, a suo tempo volle perfino compiacersene con grande orgoglio! Dovresti ricordartelo, mio grande eroe!»
«C'è molta verità nelle tue parole, Kronel. Ma non posso disconoscere che qualche volta il tuo aiuto e quello dell'anello mi sono stati abbastanza preziosi. Probabilmente, senza che essi mi soccorressero, a quest'ora sarei già un putrido cadavere! Non ne sei convinta anche tu, mia generosa diva, essendo questa una verità inconfutabile?»
«Può anche darsi, Iveonte, che sia come hai detto! Ma ciò non impedisce che tu venga considerato il primo in assoluto sia nell'uso delle armi che in ogni specie di lotta. Inoltre, per quanto io ne sappia, hai sempre sfidato la morte soltanto per dovere, mostrandoti sempre sprezzante di ogni pericolo e mai facendoti forte del nostro intervento, come tua difesa, se tu ne avessi avuto bisogno. Ciò ti deve bastare, mio ottimo amico, per farti sentire con la coscienza a posto ed orgoglioso del tuo operato a carattere filantropico!»
«Questo è altrettanto vero, mia graziosa Kronel, per cui non posso dissentire da te su quanto hai affermato. Ora, sempre che tu non reputi una indiscrezione la mia domanda prettamente personale, posso domandarti che tipo di sentimento provi nei miei confronti? Era da tempo che volevo rivolgertela; ma soltanto questa sera sono riuscito a cogliere l'occasione adatta per farlo. Ti invito a scusare la mia impertinenza, se tale dovessi tu giudicarla, poiché la domanda mi è venuta spontanea!»
Ciò che le aveva chiesto il suo pupillo mise in serio imbarazzo la figlia del dio del tempo e le fece trasfigurare il volto, siccome ella già da tempo si era invaghita di lui, anche se aveva sempre evitato di palesarglielo apertamente. Per tale ragione, anziché rispondergli, la diva preferì tacere. Nello stesso tempo, però, sul suo viso iniziò a dilagare un rossore, che non le fu facile nascondere. In quell'istante, neppure la sua sfera emotiva accusò delle difficoltà minori. All'improvviso, la si vide venire invasa da sensazioni interiori, le quali le scombussolavano la psiche e la facevano sentire in preda ad un disorientamento quasi totale. Anch'ella, quindi, apparve palesemente traballante, priva di un solido appoggio capace di sottrarla a quella sua perplessità. Anzi, ora essa non le dava tregua alcuna e le creava qualche problema nel decidersi a rispondere al suo protetto. Ma dopo quel breve traccheggio, facendo un grande sforzo reattivo, ella girò la domanda al suo interlocutore, chiedendogli:
«Invece tu, Iveonte, mio caro, che cosa ne pensi in merito? Ti sei fatto ancora un indubbio concetto sui sentimenti che provo nei tuoi confronti? Avanti, dimmelo disinvoltamente, senza lasciarti influenzare da niente, poiché ci tengo a conoscere la verità su quanto ti ho chiesto!»
«Ehi, Kronel, non si fa così! Come vedo, vuoi farmi dire ciò che non hai voluto palesarmi tu: non è vero? E poi potrei anche sbagliarmi sul tuo conto, dal momento che non sono dentro di te a leggere i tuoi pensieri! Invece, se fossi tu a farlo, saresti una interprete fedele e precisa nel parlarmi di te e nel chiarirmi icasticamente quello che in realtà provi nei miei riguardi. Non ne sei anche tu convinta, mia amabile diva?»
La diplomatica risposta del giovane mise di nuovo in difficoltà la giovane dea. Ella non aveva alcuna intenzione di esprimersi su quel delicato argomento, benché fosse stata lei stessa a tirarlo in ballo. Così, pur di non esserci costretta a farlo, ella stabilì di porre fine a tale discussione, adducendo una banale scusa. Per questo, mostrando un evidente disagio nell'esprimersi, la diva gli fece presente:
«Che sbadata che sono stata, Iveonte! Dovevo incontrarmi con Urbus, il dio dei boschi, e me ne sono completamente dimenticata! Adesso corro subito a raggiungerlo, prima che egli si spazientisca troppo! Devi sapere che devo risolvergli dei problemi di una certa importanza. Per questo senz'altro vorrai scusarmi, mio intelligente eroe, se adesso, mio malgrado, mi vedo costretta a congedarmi da te in fretta e furia!»
«Certo che sei scusata da me, Kronel! Ci mancherebbe che non lo facessi per te, che sei la mia ombra tutelare! Allora al prossimo nostro incontro, mia graziosa diva!»
«Ero sicura, mio cortese Iveonte, che avresti compreso e te ne ringrazio! Ma adesso ti lascio, senza perdere altro tempo ed augurandomi che il nostro nuovo abboccamento avvenga al più presto possibile, considerato che esso fa piacere anche a te!»
In quell'istante, la diva svanì agli occhi di Iveonte, facendo comparire al suo posto l'arma invincibile. Perciò il giovane eroe rimase solo, in compagnia di alcuni suoi eccitati pensieri, che si andavano rallegrando per la notte in arrivo. Essi già se la prefiguravano come generosa dispensatrice di attimi gioiosi ed indimenticabili, intensi di un amore e di una passione travolgenti, come era avvenuto le volte precedenti.
A tarda sera, non appena il suo corpo affondò sul soffice pagliericcio, il giovane si sentì prendere da una sonnolenza irresistibile, la quale ben presto lo strappò alla sua reale esistenza e lo consegnò all'irreale mondo dei sogni. Egli non osò opporsi a quella magica evenienza, siccome la stava aspettando con ansia e trepidazione, per il motivo che conosciamo. L'incontro onirico di Iveonte con la sua Lerinda avvenne, quasi subito dopo essersi addormentato, durante il quale egli si ritrovò sopra un prato verde, dove crescevano in abbondanza fiordalisi e bucaneve. Ma l'ampia estensione prativa non faceva scorgere intorno a lui né colline né montagne; invece vi si poteva intravedere solo il lontano orizzonte. Esso si mostrava immoto e appena arcuato, consentendo in maniera sfumata l'idillico abbraccio tra l'azzurro cielo e la verdeggiante terra.
In un primo momento, Iveonte apparve disorientato, non sapendo in quale direzione incamminarsi. Ma poi, dalla sua parte frontale, egli scorse la sua Lerinda andargli incontro correndo. Ella, facendosi largo tra quella immensa distesa di erbe e di fiori, era tutta presa dall'ansia di raggiungerlo. Anche il giovane ansioso, appena la ebbe intravista, si lanciò verso di lei, bramando tantissimo di accorciare i tempi dell'incontro. Sembravano entrambi in preda ad una tremenda e forsennata voglia di incontrarsi e di abbracciarsi, come se avessero paura di perdere quella occasione e di non poterlo più fare. Per cui essi cercavano di affrettarsi il più possibile, volevano quasi bruciare la distanza che li separava e non intendevano concedere al tempo alcun indugio. In ognuno di loro, il desiderio di sentirsi quanto prima tra le braccia della persona amata che le correva incontro, senz'altro veniva avvertita incommensurabile, incontenibile, imprescindibile, irrinunciabile ed irrimandabile.
Quando infine si ebbe l'impatto amoroso tra i due innamorati, più che un incontro, esso si rivelò uno scontro di sentimenti evocativi, i quali tendevano al medesimo effetto. Sull'onda delle passate emozioni, essi miravano alla loro fusione e alla loro immedesimazione. La stessa foga di manifestarsi ciò che avvertivano nell'intimo, poiché essi lo covavano da tempo, all'improvviso si espresse talmente dirompente, da sembrare un urto carico di passione esplosiva. Il loro abbraccio si manifestò all'istante una fiammata di passionalità che, fin dal suo esordio, li accese di un desiderio dissoluto ed ingordo, facendoli partire in quarta nel darsi ad appagarlo. A guisa di un lampo, Iveonte e Lerinda si ritrovarono interamente nudi, poiché i loro capi di vestiario erano stati sottratti ai rispettivi corpi da mani estranee, per il semplice fatto che ciascun partner fu spogliato dalle mani dell'altro. Le quali, in quel momento, si mostravano anche dedite a razzie di ogni singola parte del loro corpo, dalla testa ai piedi, dove la facevano da padrone. Anche questa volta, i due giovani, non potendo comunicarsi a vicenda i propri pensieri neppure a fior di labbra, adoperavano le bocche unicamente per baciarsi e prodursi sulle varie membra mutue sensazioni gradevoli. Ma esse erano originate non soltanto dagli sfioramenti e dai succhiamenti delle labbra, bensì anche dai mordicchiamenti, che i denti producevano con piacevole leggerezza, all'inizio a livello dei colli ed in seguito sulle restanti parti del corpo. Venuti poi a cessare i preliminari amorosi, nei quali avevano predominato moine e tenerezze di vario tipo, Iveonte e Lerinda si diedero all'attività sessuale vera e propria. Allora essa si presentò intensa e rapinosa fin dal principio. Anzi, essi ne furono calamitati irresistibilmente, poiché erano molti mesi che non godevano di un simile beneficio dell'organismo. Il quale adesso si dava ad esplodere in mille sensazioni inebrianti, coinvolgendo il loro corpo, la loro psiche e il loro spirito.
Tra i due innamorati, ad un tratto, era venuta ad attuarsi una magica compenetrazione di tutte le componenti della persona umana, per cui essa cominciò ad estasiarle nella forma più esaltante e beatifica. Vivendola intensamente, sia Iveonte che Lerinda persero perfino la cognizione del tempo. Ad ogni modo, quest'ultimo trascorreva in una dimensione irreale, sebbene ospitasse un abbraccio amoroso sostanzialmente reale e non posticcio! In quella circostanza, il loro amplesso beato procedeva a gonfie vele, senza pause e con un ritmo che risultava il più gradevole e il più soddisfacente possibile. Per tale motivo, esso li faceva sentire prede di un godimento inesprimibile ed interminabile, il quale, a sua volta, li proiettava piacevolmente nel regno del gradimento senza fine. In qualità di persone amanti e gaudenti, entrambi, essendo in balia della frenesia più folle, si scatenavano e davano sfogo alla loro infuocata passione. Il sapore della sensualità, avendo raggiunto l'apogeo della sua concitazione, li faceva esaltare e li immetteva in una spirale di gaudio elettrizzante ed indefinibile, ma sempre oltremodo sublime.
Dopo alcune ore di intensa attività sessuale, Iveonte e Lerinda pervennero alla saturazione di ogni sensazione edonistica e di ogni gioia, le quali adesso si presentavano ineguagliabilmente appagate. A quel punto, dunque, essi decisero di porre fine alle loro intraprendenze amorose. Volevano liberare i loro stremati corpi dai fremiti e dai brividi, i quali a ciascuno di loro continuavano a provenire da esse copiosi ed inesauribili. Così ci fu nell'uno e nell'altra un rilassamento totale delle varie membra, soprattutto di quelle che erano state impegnate nella loro lussuriosa esternazione passionale. Senza trasfigurare la verità, la loro passione si era meritata il privilegio di essersi dilettata nel miglior modo possibile e di aver fruito di dolcezze corporali indicibilmente emozionanti. Ma al termine del loro gradevole atto amoroso, il quale era andato incontro ad una sensualità piena, scatenata, lasciva e compiacente, Iveonte e la sua ragazza si videro scivolare di nuovo in una realtà malferma, non più garante di un vissuto effettuale e tangibile. Allora l'irreale finì per dominare il loro sogno, almeno fintantoché essi non si destarono del tutto dal loro sonno e non incominciarono a considerare con vero compiacimento la parte reale relativa al suo gratificante contenuto onirico.