293°-L'UCCISIONE DEI GIOVANI PACIFISTI SPINGE LE MADRI A SUICIDARSI

Erano alcuni mesi che i giovani pacifisti avevano smesso di battersi per la loro nobile causa con tutti i mezzi che potevano avere a disposizione. Per cui la loro presenza attiva era venuta meno in ogni angolo dei due villaggi. Al contrario, in precedenza nei medesimi luoghi si scorgevano in ebollizione il loro fervore e la loro tempra combattiva, a difesa degli ideali di pace e di rispetto per la persona umana. A quanto pareva, la linfa vitale della loro esistenza si era prosciugata per intero nei loro spiriti, da quando era stata negata ad ognuno di loro la libertà di manifestare le proprie idee pacifiste ed umanitarie. Essi, in fin dei conti, con la loro rivoluzione avevano avuto come obiettivo il bene comune e non avevano affatto mirato a scardinare un sistema di cultura e di costumi sociali basato su sani principi morali! Perciò adesso, essendo stato vietato a tutti loro di estrinsecare liberamente le loro buone intenzioni e di adoperarsi per la loro attuazione, i giovani pacifisti avevano cambiato il vecchio stile di vita, assumendo un atteggiamento nuovo. Essi avevano imboccato la strada del silenzio assoluto e della non comunicazione nei confronti di qualsiasi persona che non la pensasse come loro. Inoltre, se ne restavano a meditare nel loro intimo il grande progetto che avevano elaborato a unanimità. Per cui non vedevano l’ora di realizzarlo nel modo e nel tempo che avevano prestabilito. Anzi, aspettavano l’occasione giusta di metterlo in pratica, dando così uno schiaffo morale a quanti avversavano la loro condotta.

A quel mutismo persistente messo in atto dai propri figlioli, le madri avevano iniziato a mostrarsi inquiete, poiché in esso, riflettendoci bene, non riuscivano ad intravedere nulla di buono. Perciò, in preda ad un pessimismo nero, le poverette erano indotte a leggervi simultaneamente una gioia insolita ed una sofferenza indicibile. Quest'ultima pareva addirittura che volesse sfociare a momenti in una tragedia immane. Ad ogni modo, esse invano tentavano di apprendere più cose possibili sul comportamento dei loro figli, il quale seguitava ad impensierirle e a mettergli addosso una agitazione ed una preoccupazione inverosimili. Alla fine, vedendosi nell’impossibilità di apprendere qualcosa dal loro atteggiamento abbottonato, le preoccupate donne rinunciarono a capirci qualcosa e fecero cessare le loro apprensioni materne. In pari tempo, però, si auguravano che le loro sensazioni pervase di nefasto avvenire si dimostrassero tanto ingiustificate quanto inopportune. Ma se le madri non erano state capaci di cavare un ragno dal buco, in merito alla futura sorte dei loro tormentati figlioli, non l'identica cosa si poteva dire degli astri sia diurni che notturni. Il sole e le stelle, essendo a conoscenza della verità, non potevano che aborrirla nel modo più assoluto. Dall’alto del cielo, l’uno e le altre, essendo stati in grado di spiarlo in anticipo, adesso ne prevedevano l’assurdo dramma e lo condannavano senza alcuna esitazione. In verità, essi non potevano intervenire in alcun modo per far sì che la stessa non esplodesse in una tragedia inconcepibile e spaventosa. La quale, a sua volta, avrebbe dato origine ad un nuovo dramma più tragico e più folle del primo. La sola cosa che veniva consentita a tali astri, in quella circostanza, era quella di vestire l’abito degli spettatori, dandosi ad assistere attoniti ed impotenti ad una immane e disumana efferatezza. Comunque, di fronte ad essa, non potevano esimersi dal mostrarsi affranti dal dolore più tremendo, a causa della loro impotenza a fare qualcosa perché non si compissero l'una e l'altro.

Ma perché le madri boiosine e normukesi interpretavano il mutismo dei propri rampolli come qualcosa di assai raccapricciante? A dare retta alle loro impressioni, da un momento all’altro, si attendeva da parte loro qualche atto inconsulto, il quale si sarebbe rivelato irreparabile e lugubre. Era lo sguardo dei loro figli a farle preoccupare maggiormente, siccome avevano cominciato a scorgerlo del tutto vuoto ed assente come non mai dalla realtà presente. Attraverso i loro occhi, esse constatavano che negli stessi il tempo si era fermato e non voleva più addentrarsi nei sentieri del futuro. Alle poverette sembrava che nei loro pensieri la speranza si fosse dissolta, avendo rinunciato a stare dietro ai loro desideri e ad attaccarsi, come una volta, a scampoli di sogni e di illusioni. Esse si avvedevano che nei loro melanconici ragazzi ogni stimolo ad esistere e a divagarsi si stava smorzando, poco alla volta e inarrestabilmente, come residui di torce morenti. Difatti li vedevano protrarre la loro stentata esistenza nell’agonia di una morte annunciata, essendo costretti ad avvertirla come il minore dei mali. Nei villaggi dei Boios e dei Normuk, dunque, le cose procedevano da tre mesi nell’anomalo modo descritto. Ciò, da quando erano state bandite le varie manifestazioni pacifiste; inoltre, era stato perfino vietato professare ogni idea che avesse a che fare con il pacifismo e con la pervicace ostilità alla guerra da esso promossa.

Un giorno vennero ad incontrarsi in zona neutrale un drappello di guerrieri boiosini ed un altro di guerrieri normukesi. Quest’ultimo era comandato da Ulcos, il fratello di Felub, il noto capo dei Normuk. In seguito ad una serie di battibecchi reciproci, che essi si erano scambiati in tono ora ingiurioso ora derisorio, ne nacque una violenta scaramuccia. Alla fine furono i guerrieri normukesi ad essere messi in fuga, lasciando sul campo sette dei loro commilitoni, tra i quali anche Ulcos. Invece, tra i Boios, si contarono appena tre guerrieri morti, per cui si diedero a gloriarsi della loro vittoria sui normukesi. Quando poi i Normuk scampati con la fuga pervennero al loro villaggio e riferirono l’accaduto al loro capo Felub, costui andò su tutte le furie. Così, prima ancora di piangersi la morte del caro fratello ammazzato, stabilì di muovere guerra ai suoi nemici Boios per vendicare l’amato consanguineo. Anche Duzon, il capo boiosino, fu informato di ciò che era successo. Allora, conoscendo bene il suo rivale e prevedendone una reazione lampo, anch’egli decise di comportarsi di conseguenza, cioè armando senza indugio il suo esercito. Nei due villaggi, perciò, ci fu una nuova mobilitazione generale, con una immancabile chiamata alle armi in piena regola. In ciascuno di essi, si pensò ad approntare in tempi brevi un valido esercito da contrapporre a quello dei loro irriducibili nemici. A tale riguardo, vi faccio presente che presso entrambi i popoli anche le donne prendono parte attiva alla guerra. Anzi, nei precedenti fatti d’armi, spesse volte esse si sono dimostrate più temibili e più impietose degli stessi uomini, fossero essi amici o parenti!

Come previsto, tre giorni dopo l’avvenuto fatto di sangue che vi ho riportato, i due eserciti rivali erano già pronti per affrontarsi e per ingaggiare un’altra delle loro solite accanite battaglie. A detta dei loro capi, essa sarebbe dovuta rimanere memorabile per molti anni avvenire. In merito alla quale, per dovere di cronaca, devo segnalarvi che, sia nell’uno che nell’altro esercito, la fanteria costituisce l’avanguardia e la cavalleria forma la retroguardia. Inoltre, devo aggiungere che, per un motivo a tutti sconosciuto, i giovani pacifisti dell’uno e dell’altro schieramento militare avevano chiesto ed ottenuto di trovarsi nelle file più avanzate. Quel loro comportamento aveva fatto perfino stupire i loro capi, i quali non se l’aspettavano per niente che essi arrivassero a fare una tale decisione!

Ebbene, la rosea aurora stava candidamente annunciando il nuovo giorno, quando i due eserciti si mossero dai rispettivi villaggi. Era loro ferma intenzione pervenire all’ampia piana, che si estendeva tra il territorio boiosino e quello normukese, allo scopo di scontrarsi con la massima violenza. Si avanzava a marce forzate, per il fatto che il luogo dello scontro era situato ad una decina di miglia da entrambi i villaggi belligeranti. Per tale motivo si cercava di raggiungerlo, quando mezzogiorno non era ancora arrivato, per una ragione molto semplice. Prima di battagliare con fierezza e furore, i soldati avrebbero dovuto consumarvi un pasto abbastanza sostanzioso e riposare dopo almeno per un paio di ore. Agendo in quel modo, come la vedevano i loro due capi, essi avrebbero affrontato il nemico in ottima forma, senza soffrire di alcuna debolezza fisica ed organica.

Si era a metà pomeriggio, quando i due eserciti avversari si ritrovarono nella piana indicata, dove incominciarono a schierarsi l’uno di fronte all’altro. Essi si presentavano agguerriti e minacciosi, come lo erano stati poche volte. Avvenuto poi il completamento dei due schieramenti, un silenzio sepolcrale si diede ad imperare su tutti e su ogni cosa; mentre gli esseri vegetali ed animali venivano scorti in una immobilità statuaria. Nell’aria, però, stranamente si respirava un clima di costernante attesa, come se da un momento all’altro dovesse verificarsi l’evento più sconcio ed osceno della storia. Perfino i condottieri dei due eserciti schierati, venendo soggiogati da quell’atmosfera grigia e funerea, apparivano titubanti e non si risolvevano ad impartire l’ordine, che avrebbe dovuto dare inizio all'orribile e sanguinosa battaglia. Invece più tardi quel senso di silenzio e di immobilismo non fu infranto dal fragore delle schiere guerreggianti, come ci si aspettava. Al suo posto, venne ad aversi un avvenimento del tutto inusuale, quello che mai nessuno avrebbe potuto immaginare, per il suo contenuto totalmente irrituale. Ad un certo punto, senza attendere alcun ordine da parte dei rispettivi capi, i soldati delle prime file di entrambi gli eserciti furono visti staccarsi dal loro nucleo principale. Poi, lanciandosi a tutta corsa per la piana, gli uni andando incontro agli altri con intenzioni tutt’altro che ostili, badarono a raggiungersi con animosità. Intanto che si precipitavano in quella maniera strana, considerata quasi folle, si davano a privarsi delle armi e degli abiti, fino a restare interamente ignudi. Mentre accadeva, quell’episodio faceva stupire gli altri loro commilitoni, i quali, costituendo il grosso del proprio esercito, erano rimasti compatti nei rispettivi schieramenti; ma non sapevano spiegarsi in nessun modo un fenomeno di quel tipo. Esso, a memoria d'uomo, non si era mai verificato nelle innumerevoli precedenti battaglie da loro strenuamente combattute. Quando infine si furono denudati e si raggiunsero con grande slancio, i giovani combattenti dei due eserciti formarono due file contrapposte di corpi nudi, restando ciascuna distante dall’altra appena un metro e facendo corrispondere ad ogni soldatessa di una riga un soldato dell’altra.

Ad essere precisi, la loro disposizione era avvenuta in maniera che ogni coppia di fidanzati occupasse lo stesso numero di posto nelle due file che si fronteggiavano. Così ciascun partner si trovò proprio di fronte a colui o a colei che amava. Poco dopo, tutti quanti insieme si voltarono ciascuno verso il rispettivo esercito con le mani alzate e dandosi a gridare a gran voce: "Noi non vogliamo la guerra, ma la pace; per cui non desideriamo combatterci, ma amarci!" Esclamate per tre volte consecutive tali frasi, essi tornarono ad assumere la posizione iniziale, quella che li vedeva contrapposti. Adesso, però, dopo avere allungato le braccia in avanti, gli innamorati si tenevano per mano e si trasmettevano con gli occhi una irrefrenabile voglia di congiungersi carnalmente. Qualche istante dopo, infatti, essi furono scorti dagli altri soldati schierati sui due fronti, mentre si davano ad un passionale amplesso. Tutti potevano vederli, mentre si dedicavano, con l'intera bramosia dei loro sensi, ad una pratica sessuale vera e propria, senza mostrarsi affatto pudibondi in quegli istanti di assoluto silenzio. Lo spettacolo offerto dai tanti corpi nudi, che si dimenavano e facevano sesso davanti ai loro commilitoni con la massima disinvoltura, produsse un certo sconcerto in coloro che li guardavano. Ma essi non potevano fare altro che assistere attoniti e cercare di darsi una spiegazione qualsiasi su quanto stava accadendo davanti ai loro occhi increduli. Comunque, non era facile dare un significato a quell’insolito evento, poiché esso, se da una parte li sconvolgeva; dall’altra, faceva provare a ognuno di loro una inspiegabile tenerezza verso le tante coppie di amanti. Le quali amoreggiavano senza pudore, come se ciascuna di loro si trovasse a consumare l’atto amoroso in un luogo riposto e al riparo da ogni occhio indiscreto!

Duzon e Felub, stando al comando dei rispettivi eserciti, lì per lì non sapevano come gestire con determinazione quel singolare episodio. Entrambi, fin dall’inizio di tale situazione scabrosa ingenerata dai giovani pacifisti, allo stesso modo dei loro soldati, si erano trovati imbarazzati ed impreparati. Per questo si erano limitati soltanto a definirlo uno spettacolo assurdo e disdicevole. In seguito, però, al di là di ogni loro parere negativo a tale riguardo, l'uno e l'altro si diedero a riflettere su come reagire nei confronti di un simile fenomeno e sul provvedimento da adottare per spazzarlo via nel più breve tempo possibile. Infine, per la prima volta nel corso di una battaglia tra i loro popoli, essi addivennero ad un accordo, che era da considerarsi un fatto davvero strano. In base al quale, essi decretarono insieme il modo di sbarazzarsi di quel carnaio umano, che adesso formava una sorta di siepe tra i loro eserciti. Secondo il loro parere, poiché i due gruppi di soldati stavano disonorando i popoli da loro governati e nello stesso tempo ne stavano insozzando la rispettabilità, essi andavano repressi senza pietà. Così, ad un loro segnale, Duzon e Felub ordinarono nello stesso istante ai loro eserciti di avanzare verso le due barriere umane, costituite dai giovani pacifisti di ciascun popolo. Quando poi l’uno e l’altro esercito furono a venti metri dal rispettivo obiettivo, in seguito ad un nuovo ordine dei loro capi, essi si arrestarono. A quel punto, alle prime file di ciascuna fanteria fu ordinato dai loro comandanti di scagliare contro gli amanti pacifisti ogni sorta di armi da lancio, come frecce, lance, giavellotti ed asce, fino a quando non li avessero sterminati e spazzati via totalmente.

L’obbrobrioso ordine, però, fu ignorato dai soldati ai quali era stato impartito, poiché essi lo avevano considerato esageratamente iniquo. Inoltre, i medesimi non se l’erano sentita di massacrare dei giovani disarmati ed intenti a fare all’amore, anche perché notavano che tra quelli probabilmente c’erano anche i loro figli, i loro fratelli e i loro intimi amici. Allora l’ordine fu ripetuto ai loro destinatari in modo categorico; ma la risposta, da parte dei fanti coinvolti, fu identica alla prima. In loro venne a manifestarsi molta titubanza, che li faceva trattenere dal compiere un misfatto del genere, non volendo uccidere nessuno di loro senza un valido motivo. Solo quando entrambi i capi ordinarono ai guerrieri a cavallo di colpire con gli archi quanti si sarebbero rifiutati di eseguire il loro terzo ordine, i fanti renitenti, anch'essi di malavoglia, si piegarono al loro odioso comando. Fu così che, da parte di tutti loro, si diede il via all’inumana carneficina contro i propri conterranei, i quali adesso venivano colpiti dai vari tipi di armi alla schiena, essendo essa l'unica parte che volgevano ai propri eserciti, mentre erano intenti nel loro rapporto intimo. Ovviamente, non era affatto bella a vedersi quella disumana mattanza, la quale abominevolmente andava falciando centinaia e centinaia di vite umane, senza che esse cercassero di difendersi in qualche modo. Le giovani coppie, venendo troncate nei loro attimi più belli e vissuti nella migliore maniera, accettavano volentieri la morte, senza temerla. Invece quelli che le scorgevano soccombere martoriate ed uccise, non si beavano e non si divertivano in nessuna maniera. Nel loro animo, invece, si andava accumulando una pena inesprimibile, intanto che vi si apriva altresì una voragine di angoscia senza fondo. Inoltre, vi veniva vissuta una esperienza traumatica, che non avrebbero mai più desiderato rivivere per il resto della loro esistenza.

Nel frattempo che i corpi dei giovani colpiti a morte crollavano al suolo esanimi e squarciati dalle inesorabili armi dei loro compatrioti, il terreno si andava tingendo di rosso, poiché il rutilante sangue vi si spargeva sempre più copioso ed invasivo. Alla fine, non essendoci più altre giovani vite da mietere e da rendere vittime dell’inumana carneficina, ebbe termine l’infame massacro. Esso, in brevissimo tempo, aveva visto sopprimere più di duemila giovani pacifisti innocenti, che avevano preferito la morte alla guerra. Ma dopo essere stati costretti a massacrare tanti inermi conterranei, i quali si erano mostrati incuranti delle trafitture ricevute da loro, i soldati, che erano stati obbligati a colpirli, non riuscirono a sopportare da vicino lo sterminio, del quale si erano resi colpevoli contro la loro volontà. Perciò essi divennero prima taciturni e disgustati; poi si diedero a scappare via inorriditi, dirigendosi verso i loro due villaggi. Ad ogni modo, tali soldati non furono i soli ad abbandonare il proprio esercito, poiché furono seguiti dal resto dei fanti, siccome anch’essi avevano deciso di defezionare in massa e di ritornarsene a casa. La loro iniziativa si ebbe ugualmente, nonostante ci fossero state delle intimidazioni da parte dei loro capi supremi. Questi, infatti, avevano seguitato a minacciarli che, se non fossero rientrati nei ranghi, li avrebbero passati tutti per le armi, pur senza deferirli alla corte marziale. Ma le loro minacce non bastarono per farli ritornare sui loro passi. Allora, essendo rimaste sul campo soltanto le loro cavallerie a contendersi la palma della vittoria, i capi Duzon e Felub dovettero desistere. Perciò, dopo aver parlamentato fra di loro, stabilirono insieme di non darsi battaglia almeno per quel giorno e di rientrare subito nei rispettivi villaggi.

Come avevano promesso i comandanti dell’uno e l’altro esercito, quella battaglia davvero sarebbe rimasta memorabile negli annali dei propri popoli, anche senza essere stata combattuta. Essa, però, sarebbe stata ricordata non per le eroiche gesta dei combattenti che vi partecipavano; bensì per l’infamante eccidio che vi era stato commesso, ai danni di giovani vittime innocenti. Le quali non avevano avuto altra colpa che quella di aver difeso tenacemente la pace, quando la guerra stava per infuriare con tutta la sua terribile violenza. Nel medesimo tempo, esse avevano mirato a porre fine al millenario odio esistente nei loro popoli, poiché essi si mostravano ostinatamente ottusi nel perseguire i loro disegni di belligeranza a oltranza. In verità, il peggio doveva ancora accadere su quello stesso campo, dopo che era stato lordato dal sangue innocente di migliaia di giovani pacifisti. I quali erano stati uccisi sul campo senza combattere e senza difendersi!

Duzon e Felub, una volta fatto ritorno con le cavallerie ai loro villaggi, anziché darsi a punire i fanti disertori, preferirono chiudere la turpe vicenda al più presto possibile, senza neppure rimuginarci sopra. Inoltre, non avevano permesso agli altri di continuare a parlarne tra di loro più del necessario! Perciò ben si guardarono dallo stilare lunghe liste di proscrizione o di condanna alla pena capitale, al fine di punire coloro che avevano disertato il campo di battaglia. Anche perché essi erano convinti che un nuovo bagno di sangue, allo scopo di perseguire gli ammutinati, sarebbe servito soltanto a renderli ostili ai loro sudditi, ancor più che non lo erano già. Sebbene essi avessero voluto seppellire alla svelta quella sporca vicenda e dare alla gente la sensazione che nulla fosse accaduto sul campo di battaglia, nel giro di un giorno, il ciclone del vituperoso massacro sarebbe piombato sui due villaggi più veemente di come previsto. Esso, duplicandosi in entrambi, stava per far sentire raddoppiato il dramma luttuoso che vi si viveva di nascosto, fino ad esplodere come lo schianto doloroso di una inconcepibile tragedia.


Non appena le madri dei giovani pacifisti vennero a conoscenza del modo in cui erano periti i loro figli, all’inizio la loro morte atroce le conturbò in modo incredibile. Poi ci fu in loro una spirale di angustiante tribolazione, la quale le andò distruggendo interiormente, come se si sentissero dilaniare il cuore ed inebetire la mente. Infine esse reagirono a tali sensazioni scombussolanti, che venivano ad opprimerle in vari modi, per cui deliberarono di condursi sul luogo funesto dove era stata perpetrata la feroce strage. Vi si trasferivano con un cuore gravemente ferito, che non riusciva a reggere più l’immenso dolore che vi era penetrato, e con una mente, la quale aveva perduto la capacità di connettere. Lungo il percorso, che non era tanto vicino, la forsennatezza dei loro gesti faceva paura. Essa le presentava in preda ad una ossessione sconcertante, oltre che vittime represse di un pietoso delirio deconcentrante. Dopo che ebbero raggiunto le salme, che formavano un cordone di morti ammazzati lungo un miglio, ogni madre si diede a cercare il proprio figlio oppure la propria figlia fra gli innumerevoli cadaveri. Ma essi si mostravano interamente insanguinati ed avevano gli occhi spenti in un desiderio, che in loro era rimasto per sempre inappagato. Una volta che li ebbero trovati, le sconsolate donne iniziarono a piangerseli con grandissima pena. Pareva che, con loro, si fosse estinta anche una parte della loro esistenza; mentre l'altra, la quale ancora viveva, andava avvertendo un forte impulso ad imitare quella che risultava morta. Tenendosi avvinte ai lividi ed insanguinati corpi dei propri figlioli, le poverette urlavano, smaniavano, deliravano, sconnettevano, profondevano lacrime, inorridivano, si abbattevano e convivevano con la disperazione più pazzesca e frustrante. Inoltre, provavano mille e mille sensazioni raccapriccianti, le quali non smettevano di riddare in un macabro ed agghiacciante sconcerto. Per tutte loro, oramai, il sole aveva smesso di illuminare il giorno; i fiori avevano cessato di spandere il loro profumo; l’acqua non scorreva più negli alvei dei fiumi, essendosi essiccata; le stelle non luccicavano più nel cielo notturno, per esservi sparite; la speranza, essendo morta più di ogni altra cosa, non alimentava più i loro sogni fantastici.

Mentre la situazione era quella che vi ho appena descritta, amici, ad un certo momento, la voce di una madre si levò al di sopra di ogni sofferenza, di ogni pianto, di ogni gesto disperato, perfino al di sopra del marasma collettivo che vi dominava. Quando poi ebbe ottenuto il silenzio e l’attenzione da parte di tutte le altre madri afflitte, ella incominciò a scandire sdegnose frasi di protesta contro gli assassini dei loro figli. Esse possono essere apprese nell'invettiva che adesso sto per riportarvi integralmente:

"Ascoltatemi, madri sventurate, che state tutte penando come me! Per favore, ponete orecchio alle mie parole di sdegno, poiché esse intendono denunciare l’obbrobrio snaturato che i nostri mariti hanno commesso oppure hanno ordinato senza un briciolo di pietà! Essi non avrebbero dovuto arrecarci questo dolore immane, il quale ci sta distruggendo nel corpo e nello spirito. Come pure non avrebbero dovuto farci un simile imperdonabile torto, il quale merita da parte nostra una ritorsione immediata e brutale! Perciò vendichiamoci di loro subito e nel modo più appropriato! Non permettiamo più che i malvagi si delizino con i nostri corpi, priviamoli delle nostre carezze e di ogni altra nostra effusione amorosa, oltre che della nostra servitù quotidiana! Rinunciamo a fare da madri ai loro figli minorenni e non diamogliene più per l’avvenire, siccome essi verranno poi trattati peggio delle bestie. Infine lasciamoli soffrire nella loro vuota solitudine, dal momento che senza di noi i colpevoli di sicuro non sapranno più né come riempire la loro vuota vita né dare un senso ad essa! Questo ve lo posso garantire! Vi state forse chiedendo in che modo possiamo procurare tanti danni ai nostri mariti? Ebbene, adesso ve lo suggerisco io! Sappiate che ne esiste uno solo, il quale possa riuscire ad attuare la nostra vendetta e possa privarli dei tanti benefici che derivano a tutti loro dalla nostra esistenza. Volete proprio conoscerlo? Allora vi affermo che possiamo rivalerci su di loro unicamente con il nostro suicidio in massa. A tale proposito, mi sentirò orgogliosa di dare il primo esempio!" Così dicendo, l’afflitta donna all’istante estrasse il giavellotto dal corpo del proprio figliolo e se lo conficcò nell’addome, riversandosi subito dopo al suolo priva di vita.

All'inizio, la morte della poveretta sconvolse tutte le altre madri, per avere assistito esterrefatte al suo coraggioso gesto, il quale era da definirsi proprio di un’autentica eroina. Anzi, lo compiansero come un gesto, che non aveva niente a che fare con il loro stato di amarezza e di terrore. Ma poi esse si andarono convincendo che il volontario martirio di quella madre distrutta non era estraneo a loro tutte. Si poteva riconoscere che esso già serpeggiava nel loro subconscio, come un qualcosa che si stava facendo strada verso l’esterno con la sua virulenta deflagrazione. Esso oramai andava prendendo vigore in loro, senza più potersi reprimere in qualche modo. Alla fine le sventurate madri non ebbero più neppure il tempo di rifletterci sopra, allorché avvertirono il suicidio come un bisogno insopprimibile da soddisfare senza pensarci due volte. Così ciascuna di loro, imitando colei che si era immolata per prima, si trafisse con la stessa arma che in precedenza aveva colpito ed ucciso il proprio figlio innocente, facendo riversare il suo corpo esanime su quello dell’amato congiunto estinto. Quando poi si consumò l’ultimo suicidio materno, il numero dei morti che giacevano sul suolo insanguinato non risultò raddoppiato, soltanto perché qualche madre si era ritrovata a fare i conti con più di un figlio trucemente assassinato.

Nel frattempo, nei due villaggi dei Boios e dei Normuk, non avendo visto tornare alle loro case le mogli, le quali erano partite per andare a piangersi i loro cari figli sul campo di battaglia, gli uomini interessati si erano allarmati moltissimo. Secondo loro, dopo due giorni di assenza, esse già sarebbero dovute ritornare presso le loro case. Allora, per rendersi conto di ciò che era successo realmente alle loro donne assenti da casa, i preoccupati mariti raggiunsero a cavallo il luogo dell’infame massacro. In quel posto, dopo aver fatto la macabra scoperta, essi restarono come inebetiti per alcune ore. Una volta ritornati in sé, essi, ad evitare il diffondersi di epidemie, si affrettarono a bruciare i cadaveri dei loro figli e delle loro consorti, poiché essi già erano cominciati a decomporsi, facendo spandere nei dintorni il loro olezzo nauseabondo. Quando infine i rammaricati uomini fecero ritorno ai rispettivi villaggi e diedero la notizia del suicidio in massa delle loro mogli, la gente non voleva credere alle proprie orecchie. In quell’occasione, in ciascun villaggio non furono poche le voci di protesta da parte di tutti gli abitanti, i quali se la presero con il loro capo. Infatti, essi lo ritennero il principale responsabile dei due gravi lutti, che in entrambi i popoli avevano colpito un gran numero di famiglie!