292-LE DIMOSTRAZIONI DEI GIOVANI BOIOSINI E NORMUKESI
Tra i popoli dei Boios e dei Normuk esiste una guerra atavica, assurda ed inconcepibile nel suo contesto, la quale affonda le proprie radici in un remoto passato, che non lascia intravederne le origini. Essa, tramandandosi di generazione in generazione nell'uno e nell'altro popolo, si è portata dietro una scia interminabile di vittime di entrambi i sessi. Perciò, allegoricamente parlando, la si può paragonare ad una pestilenza, che non è stata mai sconfitta. Ma che, nel corso dei secoli, è andata lasciando nei solchi del tempo le sue turpi orme di interminabili uccisioni di persone innocenti. Possibile che in nessuna delle due popolazioni, fra tanti capi che si sono succeduti, non ce ne sia stato neppure uno con la testa a posto? A quanto pare, amici miei, sembra proprio di sì! Altrimenti, egli si sarebbe lasciato prendere da propositi di pace e da intenzioni serie di porre fine alla millenaria mattanza. A giudicare i fatti, essi hanno continuato pedissequamente a tenere acceso l'odio implacabile, che si sono lasciato in eredità di padre in figlio, magari cercando di accrescerlo a dismisura nel tempo. Così esso viene a fare da fomite alle loro guerre assassine senza fine, irrigidendo ulteriormente le tensioni conflittuali esistenti tra le due popolazioni. Soltanto con la generazione precedente alla nostra, cominciarono ad aversi i primi segni di insofferenza e di ribellione contro lo scempio inconcepibile provocato dalle continue guerre. Ma essi nacquero in un esiguo numero di giovani appartenenti ad entrambi i popoli. Tra di loro, vennero a nascere perfino degli ottimi rapporti di amicizia sincera e di vero amore. Tali segni ebbero inizio venticinque anni or sono, come tra poco passo a raccontarvi.
Circa cinque lustri fa, un giovane normukese, di nome Tilod, si allontanò dal suo villaggio per darsi ad una escursione solitaria a cavallo. Era trascorsa già una mezza giornata, da quando si era dato a cavalcare, allorché raggiunse una piccola valle. Essa veniva considerata zona neutrale sia dal mio popolo che da quello normukese. Poiché vi scorreva un fiumiciattolo dalle acque cristalline ed egli in quel momento accusava una grande sete, il giovane, dopo essere sceso da cavallo, si avvicinò alla sua riva e cominciò a dissetarsi. Mentre beveva disteso per terra e a pancia in giù, tenendosi appoggiato al suolo con entrambe le mani, sopraggiunse alle sue spalle un altro giovane, che dimostrava di avere la sua stessa età. Si trattava del boiosino Aklan, il quale era il primogenito dello stregone del suo villaggio.
Appena il Boios scese dal suo destriero, Tilod, che nel frattempo aveva smesso di bere e si era rialzato, all'istante si armò della sua spada, siccome voleva difendersi da una sua eventuale aggressione. Stando poi con l'arma in pugno, egli si mise a studiare le mosse del nuovo arrivato, nutrendo giustamente verso di lui una esagerata diffidenza. Allora Aklan, essendosi accorto del suo atteggiamento sospettoso, da lui considerato ingiustificato e fuori luogo, immantinente cercò di rassicurarlo nel modo migliore. Quindi, con un fare assai tranquillizzante, provò a parlargli in questo modo:
«Ehi, tu, anche se sei un Normuk, tengo a precisarti che le mie intenzioni nei tuoi confronti non sono affatto ostili! Perciò metti via quell'arma, siccome tra noi due non c'è alcun motivo perché si possa giungere ad un combattimento! Mi scorgi forse con armi in pugno, come te? Certo che no! Allora a cosa ti serve essere armato senza un valido motivo?»
«Chi mi garantisce che stai parlando con la bocca della verità, Boios? Potresti benissimo ingannarmi, pur dandoti a sfoggiare i tuoi propositi di pace! Lo sai anche tu che è quanto i nostri due capi da sempre cercano di inculcare in ciascuno di noi, affinché risultiamo assai invisi gli uni agli altri!»
«Se lo vuoi sapere, Normuk, non sono d'accordo con il mio capo. Per questo puoi fidarti di me, che sono sincero! Non credi forse alla mia parola? A proposito, io mi chiamo Aklan. Se poi mi dici anche il tuo nome, dopo potremo iniziare a chiamarci con i nostri nomi, sempre che tu sia d'accordo, naturalmente! Ma vedo che dubiti ancora di me. Mi dici allora cosa devo fare per guadagnarmi la tua fiducia? Forse credo di aver capito come dissipare in te ogni dubbio e ogni sospetto verso la mia persona!»
Così, gettata via ogni arma che teneva addosso, il Boios aggiunse:
«Era ciò che volevi vedermi fare, diffidente Normuk? Se sì, potevi dirmelo subito apertamente! Comunque, ci ho pensato io, senza che tu mi abbia invitato a farlo. Allora ti sono stato convincente? Oppure desideri ancora qualcos'altro da me, perché ti convinca sul serio?»
Il Normuk, divenuto fiducioso verso il loquace Boios, gli rispose:
«Stando così le cose, devo fidarmi di te e credere nella tua buonafede. Perciò non ho neppure difficoltà a farti conoscere il mio nome, il quale è Tilod. Anzi, passo ad imitarti nel tuo gesto sensato, con cui saggiamente hai voluto privarti delle tue armi. Io sono del parere che bisognerebbe bandirle anche dai nostri villaggi per agevolare nei nostri due popoli il processo di pace, poiché esso ci indurrebbe a non farci più guerra!»
Una volta che il Normuk ebbe messo in atto quanto aveva dichiarato all'altra parte in causa, i due giovani si affrettarono a darsi una calorosa stretta di mano. Poco più tardi, gli stessi aprirono una interessante conversazione, il cui contenuto, fino a quel momento, era stato sempre considerato tabù presso i loro popoli, che erano in perenne lotta senza una giusta causa. Il primo dei due ad aprire l'argomento proibito, facendolo con un animo sereno e convinto, fu Tilod. Costui, superando ogni ritegno, si affrettò a formulare al suo interlocutore boiosino una domanda assennata, alla quale avrebbe fatto seguire immediatamente un suo sfogo personale, poiché lo considerava necessario.
«Tu che ne dici, Aklan, del fatto che i nostri due popoli si facciano di continuo guerra senza un motivo plausibile? Possibile che il nostro conflitto non debba avere mai fine, solo perché costituisce il testamento spirituale, che le varie nostre generazioni si tramandano da un tempo infinito? Se si fosse trattato di un retaggio positivo carico di nobili valori, lo avrei anche capito ed approvato. Ma giammai potrò comprendere una guerra, la quale per i nostri due popoli ha sempre rappresentato una spina nel fianco. Perciò essi, senza un attimo di tregua, si sono visti per secoli dissanguare da essa, oltre che venirne stremati ed abbrutiti, come ancora oggi continua a succedere! Tu non la pensi come me, disprezzando del tutto la guerra?»
«Non ti do torto per niente, Tilod! Anch'io sono contrario al fatto che i nostri popoli si debbano combattere, senza che ci sia una valida ragione. Per il qual motivo, le tue considerazioni sulla nostra guerra assurda sono pure mie. Sappi che non ho mai concepito ed approvato un'atrocità del genere ai danni delle nostre popolazioni, le quali di continuo ne vengono massacrate e gettate nella totale abiezione!»
«Allora, Aklan, se non ci pensano i nostri capi e i nostri padri a sopprimere questa ignobile e disumana guerra, perché non facciamo noi qualcosa, allo scopo di porre termine a tale bruttura bellica? Essa causa ingenti ecatombi presso le nostre genti, per cui bisognerebbe porre un freno ad essa, relegandola magari in un sarcofago eternamente chiuso!»
«Cosa potremmo fare noi due da soli, Tilod, per fare estirpare nei nostri popoli la tendenza a guerreggiarsi? Non credi che, di fronte a loro, rappresentiamo una coppia di persone del tutto insignificante, per poterlo attuare? Oppure avresti la bacchetta magica per riuscirci e salvarci così tutti dal mostruoso cruento conflitto? Magari fosse vero! Ne sarei contento!»
«Aklan, potremmo mobilitare i nostri coetanei, combinare incontri nascosti tra i giovani di entrambi i popoli e formare così in tutti loro una coscienza pacifista. Ovviamente, la nostra opera dovrebbe avvenire tra quelli che si dimostrassero simpatizzanti della causa del pacifismo e fossero disposti ad abbracciarla con sommo ardore. Potremmo anche intraprendere tutte quelle attività di lotta, le quali sono contrarie ad ogni forma di belligeranza, propugnando in questa maniera una pace duratura tra i nostri due popoli. Prima, però, ci toccherebbe muoverci tra le persone più fidate, ossia tra quelle che fanno parte della nostra cerchia di amicizie sicure. Mi riferisco a quelle che vedrebbero con molta simpatia la nostra iniziativa contro la guerra. Allora tu cosa ne pensi di questa mia fantastica idea? L'approvi alla mia stessa maniera oppure la temi?»
«Certo che l'approvo, Tilod, poiché essa non è niente male! Ma la tua idea dovrà essere realizzata con cautela, siccome saranno in molti a contrastarla. Essi useranno ogni mezzo per affossarla e per farla sparire per sempre dalla circolazione. C'è poi il rischio che qualcuno, ignaro che il nostro pensiero pacifista rappresenta un prezioso tesoro per tutti, ci additi come traditori della patria e tenti di farci condannare dai nostri capi!»
«Non ne dubito, Aklan! Anch'io do per scontato che la nostra battaglia, specie nei primi tempi, procederà sul filo di una lama, per cui dovremo stare bene attenti a non rivolgerci alle persone sbagliate. Infatti, è risaputo che l'instaurazione di un sano principio in seno ad una società presuppone parecchia opera di persuasione. A volte essa comporta pure dei grossi rischi per chi cerca di diffonderlo fra la gente!»
Alla fine della loro conversazione, che aveva evidenziato il loro nobile progetto, essi fissarono già un nuovo incontro per scambiarsi i risultati conseguiti nella loro incipiente opera di proselitismo. Questa volta, però, essi si sarebbero incontrati in una caverna abbastanza capiente, che era situata a brevissima distanza da quel luogo. La quale, in quella occasione, fu pure battezzata da loro "Antro della Pace", dovendo servire ad alimentare nei due popoli i semi della convivenza pacifica.
I primi passi della contestazione giovanile a favore della pace e contro la guerra furono fatti all'insegna della circospezione e della diffidenza. Ossia, le persone, che parteggiavano per il nascente movimento pacifista, ci andarono con i piedi di piombo. Anche perché all'inizio c'era in loro il palese timore che alcuni tra gli oppositori più intransigenti, dopo aver messo all'indice quanto essi si proponevano di conseguire, potessero farli diventare poi i destinatari di una caccia alle streghe. Comunque, seppure molto lentamente e con grande difficoltà, la loro idea antibellica iniziò a serpeggiare tra la giovane popolazione maschile e femminile di entrambi i popoli. Essa andava riscuotendo simpatie ed adesioni da parte della locale gioventù appartenente ai diversi ceti sociali. Perciò, già una ventina di giorni dopo, quando ci fu il loro primo incontro nell'Antro della Pace, si contarono in esso una cinquantina di presenze, tra i giovani boiosini e quelli normukesi appartenenti all'uno e all'altro sesso. La qual cosa invogliò i promotori a sperare per l'avvenire in una loro adesione più prospera e nutrita. In quel loro primo incontro collettivo, tra i giovani presenti provenienti dai due villaggi si andarono instaurando ottimi rapporti di amicizia, di solidarietà e di reciproco rispetto. Ci furono perfino colpi di fulmine tra alcuni di loro di sesso opposto, dopo essere stati presentati. Per questo, nei giorni successivi, essi si sarebbero perfino innamorati perdutamente gli uni delle altre e viceversa, nonostante tra i loro popoli continuasse ad esserci la pessima usanza di farsi guerra ad ogni costo, anche senza un giustificato motivo. Durante quella riunione, tutti i presenti promisero che si sarebbero dati da fare a più non posso nei rispettivi villaggi, con l'obiettivo di fare quanti più proseliti possibili alla loro nobile causa.
Adoperandosi essi con tale tenacia, accrebbe in modo rilevante, se non proprio a dismisura, il numero degli adepti che andarono ad ingrossare le file della protesta giovanile. Per cui, dai cinquanta giovani che erano stati all'inizio, rapidamente si passò ad un migliaio di affiliati, cinquecento per villaggio. Infatti, essi risultarono mille, quando fu organizzato un nuovo convegno, il quale avvenne sei mesi dopo che c'era stato il primo. Ciò lasciava supporre che tra i giovani, fossero essi boiosini oppure normukesi, l'esigenza di pace era fortemente avvertita. Per cui appariva manifesto che, in pari tempo, pure l'abominio per la guerra era altrettanto sentito da tutti loro. Ma bisognava anche ammettere che la maggior parte dei giovani restava ancora a militare dall'altra parte della barricata. Si trattava di pessimi soggetti fondamentalisti, che sognavano ancora gli atti di eroismo e si mostravano invasati dal puro patriottismo. Essi, siccome si vedevano come delle nullità quando si trovavano senza armi addosso, mai e poi mai avrebbero preferito la pace alla guerra. Sovente si erano ritrovati a schernire i primi fautori della pace, non risparmiando nei loro confronti improperi e provocazioni. In verità, pur considerandoli soltanto degli stolidi esaltati, gli stessi non avevano mai preso sul serio gli oppositori alla guerra. In virtù di tale loro ferma convinzione, i giovani bellicisti non si erano neppure sentiti in dovere di denunciarli all'autorità giudiziaria del proprio villaggio.
Nel terzo convegno, il quale si ebbe ad un anno esatto di distanza dal primo, il movimento pacifista dei giovani si ritrovò con un numero doppio di simpatizzanti. Costoro, tra l'altro, formavano tutte coppie di fidanzati, i quali non appartenevano allo stesso villaggio. Tanto i maschi quanto le femmine, avevano scelto apposta, come loro partner, un ragazzo od una ragazza che apparteneva all'altro popolo. Ritornando al nuovo raduno, questa volta esso, considerato l'esorbitante numero dei partecipanti, si ebbe all'aperto e non più nell'Antro della Pace. Ossia, si ammassarono in una grande radura, che era situata a breve distanza da tale antro. In quella occasione, Tilod, il quale era stato l'ideatore del movimento pacifista, davanti all'ingente folla dei convenuti, volle tenere il suo primo discorso solenne. Esso fu il seguente:
"Simpatizzanti del pacifismo, amici miei tutti, prima di ogni altra cosa, voglio ringraziarvi per essere intervenuti in massa a questo importante raduno. Per chi non lo sapesse ancora, esso costituisce la pietra miliare della nostra lotta a favore della pace e della cessazione di ogni ostilità tra i nostri due popoli. Secondo quanto mi hanno riferito, oramai abbiamo raggiunto il migliaio di adepti in ciascun villaggio, per questo la nostra voce può già cominciare a farsi sentire presso entrambi i nostri popoli. Essa dovrà arrivare vibrante e poderosa, quasi come una sfida, a quanti sono accecati dall'odio verso persone che neppure conoscono e vogliono venire alle armi contro di loro senza alcuna necessità. Questa usanza, però, non dovrà mai più essere accettata da noi Boios e Normuk! Da domani in poi, dunque, cominceremo a dilagare per le vie dei nostri villaggi, inneggiando alla pace e mostrando un immenso ribrezzo per gli orrori della guerra. La nostra protesta e la nostra contestazione dovranno farsi sentire con tutta la nostra forza, con tutta la nostra convinzione e con tutto il nostro entusiasmo! Soltanto in questo modo, esse avranno un senso, convinceranno i nostri padri e le nostre madri, giungeranno risonanti all'orecchio dei nostri due capi. Essi allora non potranno fare a meno di prendere atto dei nostri buoni propositi con il dovuto rispetto. Inoltre, non potendo opporsi alla nostra idea, saranno costretti ad agire di conseguenza, dando alla storia dei nostri dilaniati popoli un nuovo corso. Il quale questa volta dovrà essere improntato alla loro pacifica convivenza! Il nostro movimento, essenzialmente a favore della pace ed interamente contrario alla guerra, dovrà imporsi alla totalità degli abitanti dei nostri due villaggi come un processo irreversibile, ossia che non si potrà più far tornare indietro. Esso, simile ad un fiume in piena, dovrà marciare verso la riconciliazione dei nostri due popoli e verso la loro reciproca stima. Perciò, facendo di tutto per mettere le guerre al bando dai nostri due villaggi, saremo in grado di far germogliare fra i Boios e i Normuk il seme della concordia e quello della pace!"
Il discorso del normukese Tilod fu condiviso ed applaudito da tutti i presenti, i quali furono in tanti a volergli stringere la mano, poiché stimavano quel gesto un onore per loro stessi. Inoltre, valutarono quel raduno un evento eccezionale, per cui andava consacrato nella memoria per l'intera loro esistenza, oltre che in quella dei loro posteri. Ma dopo quella specie di orazione pronunciata dal loro fondatore, i giovani pacifisti si diedero a stilare un programma di quella che l'indomani sarebbe stata la loro prima dimostrazione nei loro villaggi, nei quali sarebbe dovuta svolgersi con le stesse modalità. Alla fine, essendoci stato l'accordo unanime su ogni cosa che riguardava la manifestazione a favore della pace, si passò a consumare la colazione al sacco, che ognuno di loro si era portata appresso. Quando poi si furono ben ristorati, gli spensierati giovani vollero darsi al diporto, spassandosela per delle ore a più non posso con vari giochi oppure intrattenendosi a conversare fra di loro su svariati argomenti. Questi ultimi risultarono abbastanza interessanti ed infervorarono maggiormente quanti vi avevano preso parte, esaltandosi ad inneggiare a quel pacifismo che non doveva conoscere confini.
Nella tarda mattinata del giorno seguente, sia nel villaggio dei Boios che in quello dei Normuk, incominciò a sfilare il corteo dei giovani contestatori. Intanto che avanzavano per le varie vie, essi davano origine a strepiti di ogni genere e gridavano frasi inneggianti alla pace e alla fine di ogni conflitto bellico. I loro slogan preferiti erano: "Viva la pace e abbasso la guerra! Impariamo a stimare e a rispettare il popolo che abbiamo sempre considerato nostro nemico! Basta con i massacri di tanta gente innocente! Dentro di noi, la saggezza subentri al più presto alla follia! Rinsaviamo una buona volta per sempre, se non vogliamo distruggerci a vicenda e sparire per sempre dalla faccia della terra!"
Al passaggio di tale corteo, la gente usciva dalle capanne e si assiepava sui due lati della strada, volendo godersi lo strano spettacolo, al quale non aveva mai assistito prima. Tra gli spettatori, oltre ai bambini che apparivano i più divertiti, c'erano persone di ogni età: giovani, adulti, anziani e vecchi. Non mancavano neppure l'abbaiare dei cani. Questi, stando sulle soglie delle loro capanne, alcuni dei quali legati ad un palo, preferivano accrescere il cancan che passava con i loro abbai a volte festosi altre volte ringhiosi. In verità, le frasi dei giovani e i loro clangori, questi ultimi ottenuti con gli aggeggi più idonei a produrli, se risultavano spassosi e graditi ai ragazzi, agli adolescenti e alle donne di qualsiasi età, nella componente maschile invece suscitavano effetti alquanto contrastanti. In una parte di loro, che era quella minoritaria, la forma di contestazione inscenata da alcuni giovani del luogo, in un certo qual modo, era vista con favore. Essi, considerandola una legittima rivendicazione, ne condividevano l'aspirazione alla pace e ad una vita serena, privata dello spettro della guerra. Invece la stragrande maggioranza dei presenti l'accoglievano negativamente, seppure con differenti atteggiamenti. Taluni cercavano solo di ridicolizzarla al massimo, scherzandoci sopra con fine ironia oppure con pungente sarcasmo. Altri, al contrario, opponendosi alquanto scocciati ad essa, si mostravano insofferenti della manifestazione ed apparivano gravi in volto. Inoltre, si chiedevano con stizza perché mai il loro capo non interveniva a porvi fine con tutta la sua autorevolezza. Invece, almeno per alcuni giorni, nessuno dei due capi volle prendere in seria considerazione quelle che ritenevano delle innocue piazzate di giovani scapati. Le quali, a loro parere, non andavano prese sul serio con l'attribuire ad esse un peso eccessivo.
In seguito, l'uno e l'altro capo constatarono che i giorni trascorrevano, ma le manifestazioni non accennavano a venir meno nel villaggio neppure un poco. All'inverso, esse si andavano acuendo sempre di più e coinvolgevano ogni giorno un crescente numero di giovani appartenenti ad entrambi i sessi. Perciò, siccome i cortei continuavano ad andare avanti in quel modo, i due capi, mutando atteggiamento nei loro confronti e facendo pesare la loro autorità, alla fine presero la decisione di non tollerarli ulteriormente e di intervenire contro i medesimi con intransigenza e drasticità.
Nel proprio villaggio, il capo dei Normuk stabilì di vedersela di persona per saldare la partita con i giovinastri dimostranti, ai quali, a suo giudizio, i tarli avevano roso il cervello. Così, durante la loro ennesima dimostrazione, egli attese all'esterno della sua capanna i giovani che erano in pieno assetto di sommossa. Essendo intenzionato a prenderli di petto e a far sbollire ogni loro esuberanza, Felub, quando essi gli furono di fronte, tenendo in mostra il suo spadone sguainato e mulinandolo di tanto in tanto sinistramente, ad un certo momento si diede a minacciarli con le seguenti parole: "È giunto il momento di smetterla con le vostre chiassate non autorizzate, miei mocciosi sudditi, che state tralignando dalla retta via! Adesso voi rappresentate dei veri e propri rivoltosi, i quali illegalmente perturbano la quiete del nostro villaggio e sovvertono l'ordine pubblico. Quindi, se non sfollate con la massima urgenza di vostra iniziativa le nostre vie, mi vedrò costretto ad imporvelo con la mia spada! In quel caso, non mi riterrei responsabile della strage, che da essa vi deriverebbe tremenda ed appropriata! Volete dare retta alle mie parole oppure devo passare subito a vie di fatto?" Alle sue parole minatorie, i giovani manifestanti non se la sentirono di sfidare né l'autorità né l'imponente mole fisica del loro capo, la quale torreggiava su tutti e su ogni cosa. Perciò, essendo stati spaventati dalle sue minacce ed essendo timorosi che esse potessero concretizzarsi da un istante all'altro, anche se non fu proprio un fuggifuggi generale, i pacifisti non ci misero molto a disperdersi nelle varie strade del villaggio, facendovi ritornare in quel modo la precedente calma.
Invece il capo Duzon se la sbrigò con i suoi giovani dimostranti ben diversamente. Dopo aver pazientato anch'egli per alcuni giorni, alla fine statuì di non permettere più ad una parte della gioventù locale di sfogarsi in quella maniera maltollerata da lui. A ciò era stato spinto soprattutto dal timore che quelle loro dimostrazioni sovvertitrici potessero con il tempo incancrenirsi in seno al suo popolo e diventare così incontrollabili, oltre che pericolose. Allora, stando alla testa di un centinaio dei suoi guerrieri a cavallo, un bel giorno affrontò il corteo dei pacifisti, poiché adesso egli li reputava sediziosi a tutti gli effetti. Duzon, quindi, gli ordinò di disperdersi nel minor tempo possibile, se non volevano essere caricati e sopraffatti dai suoi uomini. Comunque, pure da parte sua, egli non ebbe problemi di un certo rilievo con i giovani contestatori. Infatti, ad un certo punto, essi preferirono rinunciare alla loro manifestazione, anziché farsi caricare in modo cruento dai guerrieri del loro capo.
In seguito, in entrambi i villaggi, furono messe al bando non soltanto le manifestazioni dei giovani pacifisti, ma perfino le loro idee inneggianti alla pace. Allora quelli che propugnavano gli ideali di non belligeranza per i rispettivi popoli furono obbligati a professare tali loro idee nella clandestinità. Perciò ripresero a radunarsi in segreto nell'Antro della Pace, dove i raduni smisero di essere plenari, poiché non lo permetteva la sua capienza, potendo l'antro ospitare al massimo un migliaio di persone. Si trattava di convegni che prevedevano la partecipazione dei soli capigruppo referenti. I quali, quando essi terminavano, si incaricavano di fare da portavoce presso il proprio gruppo delle decisioni che erano state prese nell'ambito delle riunioni in relazione ai vari problemi trattati, ovviamente sempre pertinenti alla pace. Nel frattempo, però, tra i seguaci del movimento pacifista, venivano coltivati e rinsaldati i preesistenti rapporti di amicizia e di solidarietà, oltre a quelli amorosi. Mentre altri andavano nascendo in seno all'empito di una visione relazionale più allargata a menti e a coscienze di oltreconfine. Così veniva a lievitare in tutti loro un modo nuovo di concepire i rapporti interpersonali. Essi non li vedevano più relegati nella misera angustia del loro villaggio, ma li facevano proiettare al di là di esso. Era chiaro che, da parte loro, si desiderava che quei rapporti fermentassero in una concezione dell'esistenza universale basata sulla fattiva cooperazione tra i popoli, ad iniziare da quelli limitrofi. Ciò, naturalmente, in funzione di un progetto più umano e nobile, come quello che implicava la fine della guerra e il trionfo della pace sempre ed ovunque, a cominciare dai loro due sventurati popoli. I quali risultavano i più martoriati dalle guerre.
Col passare del tempo, i giovani pacifisti si resero conto che non c'era niente da fare con i loro retrivi genitori. Costoro, a loro volta, si erano dati ad applicare nei loro confronti una sorta di persecuzione esistenziale. Nel senso che, ricorrendo allo strapotere familiare, tormentavano la loro esistenza con divieti e restrizioni di ogni tipo. Allora, vedendosi braccati e sentendosi soffocati dal clima persecutorio che si era creato intorno a loro, i giovani pacifisti a unanimità presero la decisione di risolvere a modo loro l'annosa questione, che tenevano in sospeso con una generazione retrograda e misoneista. Alla fine, perciò, i movimentisti del pacifismo, trovandosi tutti d'accordo con la sapienza proverbiale che non aveva mai fallito nel corso dei secoli, decretarono di ricorrere ai rimedi estremi. Infatti, dal momento che non potevano sconfiggerli, essi cercarono di dare un rilevante scossone ed un inizio di cambiamento a quelli che consideravano oramai dei mali estremi. I quali, sebbene venissero scrutati da ogni angolazione possibile, si dimostravano difficili da estirparsi in quelle generazioni, che precedevano di poco quella loro.
Ma di cosa si trattava effettivamente, se è possibile anticiparne almeno qualche particolare? Invece ci sarà consentito di apprendere ogni cosa a tempo debito, cioè nel seguito dell'incredibile narrazione di Eliun. In essa, i suoi disperati protagonisti metteranno in atto i loro oscuri propositi e faranno rimanere esterrefatti i due popoli avversari, a causa del loro inatteso contenuto, il quale si avviava a diventare drammatico e mozzafiato!