291-IVEONTE, TIONTEO E SPEON NELLE TERRE SENZA PACE

Era quasi trascorso un bimestre, da quando Iveonte, Tionteo, Speon e i loro accompagnatori lutrosini avevano lasciato il villaggio moianese, allorché essi si ritrovarono a percorrere le Terre senza Pace. Si trattava di un vasto territorio pianeggiante, che si estendeva sul lato destro della strada maestra di nostra conoscenza. Quest'ultima era quella che, attraversando la Regione dei Laghi, aveva termine sulle coste del Mare delle Tempeste. In relazione alle terre in questione, è opportuno fare una coppia di precisazioni. Con la prima, si vuole chiarire che il gruppo delle persone citate vi era capitato per puro caso, dopo esserci stato un forte temporale, il quale aveva visto gli elementi della natura scatenarsi con una violenza ciclonica. Esso, infatti, ad un certo momento, in ogni parte della zona aveva sconvolto in modo inusitato la vegetazione ed aveva atterrito come non mai gli esseri animali che l'abitavano. Con la seconda, invece, si intende far presente la ragione per cui era stato dato il nome di Terre senza Pace al territorio che adesso essi stavano percorrendo. In merito al quale, va aggiunto che, da tempo immemorabile, vi si erano stanziati due popoli fieri e bellicosi, che non avevano mai voluto sapere di andare d'amore e d'accordo. Al contrario, essi avevano preferito contendersi la supremazia sulla regione con continui ed aspri conflitti, senza mai sotterrare l'ascia di guerra. Tra i due eserciti, inoltre, non avevano mai avuto successo neppure i molti tentativi di insidia e di inganno, che ciascuno operava di continuo a scapito dell'altro. Essi, infatti, erano stati ogni volta sventati in tempo reale da quello che li stava per subire, evitando così, da parte sua, di cascarci e di farsi debellare dall'altro. Neppure erano mancate frequenti scaramucce tra gruppi di guerrieri appartenenti ai due popoli avversi. Ma quando esse erano avvenute, ora gli uni ora gli altri avevano subito delle perdite consistenti. Così, a turno, essi se ne erano ritornati nel loro villaggio a volte impettiti ed orgogliosi del successo riportato; altre volte mogi e con la coda tra le gambe, a causa delle batoste ricevute. In verità, più che il valore militare, era stata sempre la superiorità numerica a permettere a ciascun drappello di avere la meglio su quello avversario, massacrandone una parte e mettendo in fuga quanti l'avevano scampata.

Le due etnie in questione erano quella dei Boios e quella dei Normuk, i cui rispettivi capi erano Duzon e Felub. I quali, restando fedeli ai loro predecessori, continuavano a lottarsi senza tregua, tenendo accesa tra i loro due popoli la reale conflittualità esistente da sempre. Va altresì specificato che, se essi seguitavano a sopravvivere tuttora, ciò era dovuto al fatto che in ogni battaglia da loro intrapresa il numero delle forze in campo e il valore dei loro soldati si erano sempre equivalsi. Per la qual cosa, nessuno dei due schieramenti era mai riuscito a sopraffare l'altro in modo preponderante. Ciò, perché si erano sempre registrate pesanti perdite tra i combattenti di ambedue gli eserciti. Allora esse, pur non facendo cessare tra di loro le secolari ostilità e rivalità, avevano costretto sia i Boios che i Normuk a brevi periodi di relativa calma, sia per leccarsi le profonde ferite sia per rifarsi delle perdite subite. Durante le pause di non belligeranza, i due popoli erano stati impegnati a conseguire i seguenti due obiettivi: il consolidamento del proprio esercito e il procacciamento delle derrate alimentari, di cui avevano bisogno per sfamarsi e sopravvivere. Ma il secondo obiettivo poteva essere raggiunto, dedicandosi esclusivamente all'agricoltura e alla caccia. La prima consisteva nella coltivazione di piante indispensabili per una crescita sana, cioè le farinacee e le leguminose; mentre la seconda era diretta ai mammiferi di media grandezza e agli uccelli di grossa taglia, le cui carni erano prelibate. A questo punto, non ci resta che avere qualche notizia sui capi dei due popoli rivali. Così saremo informati della nuova vicenda, quando ci tocca approfondirla per nostro dovere di cronaca.

Iniziamo a parlare di Felub, il terribile capo dei Normuk, che aveva un carattere forte. Fisicamente, si presentava con una corporatura mastodontica, tozza e possente. Invece la sua altezza, siccome superava abbondantemente i due metri, lo presentava come una figura tremenda, la quale riusciva ad incutere terrore solo a guardarsi. Oltre ad avere una forza gigantesca, il capo normukese era un ottimo conoscitore di armi. Di lui si diceva che, servendosi di un'ascia, fosse in grado di spaccare a metà una zucca posta alla distanza di trenta metri. Inoltre, egli era anche un esperto maneggiatore della spada, della lancia e dell'arco. Dalla moglie Istea, il forte capo normukese aveva avuto tre figli, i nomi dei quali erano i seguenti: il primogenito Forkun, di ventisette anni; il secondogenito Lembor, di ventitré anni; la terzogenita Elkes, che aveva compiuto da un mese diciannove anni. Il motto di Felub era il seguente: "Nemico dei Boios per l'eternità!" Per il quale motivo, egli non ammetteva, nel modo più assoluto, che un suo suddito si mostrasse tenero verso un Boios per nessunissima ragione. Ciò, anche quando si trattava di un dovuto atto di riconoscenza. A suo parere, non era affatto pensabile che tra l'uno e l'altro potesse nascere un sentimento di amicizia o di altro tipo ancora più profondo. Restando nell'argomento, ci sarà utile apprendere un episodio, il quale era accaduto tre anni addietro ed aveva interessato un abitante del suo villaggio.

Un giorno il capo dei Normuk si era trovato a giudicare un suo valoroso guerriero, il cui nome era Verkus. Costui, come un paio dei suoi guerrieri gli avevano riportato, era stato visto stringere amichevolmente la mano ad un Boios. Allora, dopo avergli fatto presente ciò di cui era stato accusato da altri, il suo capo Felub gli aveva domandato:

«Verkus, cosa hai da dirmi a tua discolpa, per il reato che ti viene addebitato? Non posso negare che sei sempre stato un prode guerriero; ma a nessun Normuk è permesso violare i miei ordini, tra cui quello di non mostrarsi mai gentile verso qualunque Boios! Non asserirmi che lo ignoravi oppure che la circostanza ti ha indotto a farlo!»

«Ad esserti sincero, mio capo Felub, non ho da dirti proprio niente,» gli aveva risposto pacatamente l'accusato «considerato che da parte mia non c'è stata alcuna colpa! In quel momento, stavo solo ringraziando una persona, la quale da poco mi aveva salvato la vita, e non un Boios, che aveva tentato di uccidermi. Quindi, vuoi dirmi cos'altro potevo fare, se non stringergli la mano in segno di doverosa gratitudine?»

«Invece avresti dovuto accopparlo all'istante, dopo che egli ti ha tratto in salvo dalle turbolente acque del fiume! Allora, poiché non lo hai fatto ed hai preferito essergli riconoscente, ti condanno a tre mesi di segregazione. Comminandoti questa pena, sono certo che così la volta ventura imparerai a comportarti come si deve nei confronti di un cane Boios, mentre il tuo comportamento dopo sarà quello di un vero Normuk!»

Tale pena detentiva consisteva nell'isolamento del condannato in una segreta. Si trattava di una buia ed umida fossa situata a cinque metri sottoterra. Mentre vi restava isolata, la persona segregata veniva nutrita con un pasto giornaliero per niente sostanzioso, poiché consisteva in un tozzo di pane stantio e in una ciotola di latte.

Adesso passiamo a riferire anche su Duzon, il duro capo dei Boios. Ebbene, pure riguardo a lui vanno precisate alcune cose, le quali in avvenire ci aiuteranno a comprendere meglio i motivi che lo spingeranno ad assumere taluni atteggiamenti. Essi, per la verità, di certo non lo porranno sul piedistallo della giustizia e del buonsenso, per la loro ferrea intransigenza. Ebbene, iniziamo a presentare la sua straordinaria prestanza fisica, poiché essa era differente da quella del suo acerrimo nemico Felub. Egli aveva un fisico muscoloso ed aitante, con le varie parti del suo corpo ben proporzionate, per cui formavano un complesso armonico e quasi scultoreo. Relativamente alla sua altezza, che anche superava i due metri, essa era imponente e lo faceva apparire un vero gigante rude e temibile. Anche Duzon aveva un proprio motto, che era il seguente: "Morte ai Normuk: ora e sempre!" Caratterialmente, il capo dei Boios non era un tipo scorbutico, come quello del popolo nemico, siccome egli aveva una indole più ragionevole e si mostrava più affabile verso i suoi sudditi. Comunque, pure lui era avverso a qualsiasi tipo di rapporto tra un appartenente alla sua gente ed un Normuk. Per un reato del genere, egli, allo stesso modo del normukese Felub, era propenso a punire con la pena della segregazione un simile reato. Quanto al suo nucleo familiare, lo stesso non era numeroso ed era composto da sé stesso, dalla moglie Dunia e dai loro tre figli, i quali vengono riportati qui di seguito: il primogenito Zeruk, di trent'anni; il secondogenito Sulpus, di venticinque anni; il terzogenito Nolup, di venti anni.

Apprese queste prime sommarie informazioni sulle Terre senza Pace, ossia sui due popoli stanziati sopra i loro territori, sui loro capi e sulle rispettive famiglie, è nostro dovere ricondurci al nostro invincibile eroe. Egli, come sempre, è in procinto di essere coinvolto in una nuova vicenda avventurosa, la quale si presenterà ai lettori assai accattivante. Il suo contenuto, pur affiorando da una fornace di rudezza e di barbarie, come tra poco ce ne accerteremo, ci si rivelerà senza dubbio colmo di pathos e di una liricità sorprendente, la quale ci farà stupire enormemente e commuovere.


Raggiunta una piccola radura, Iveonte aveva dato ordine ai Lutros di piantarvi l'accampamento, per cui essi adesso si stavano adoperando con grande lena per portare a termine le ultime operazioni di rizzamento delle tende e di risistemazione in esse delle loro masserizie da campo. In pari tempo, egli aveva convocato Speon nella sua tenda per avere da lui qualche notizia attinente a quei territori sconosciuti. Dopo averlo fatto accomodare, lo stava interrogando alla presenza dell'amico Terdibano, facendogli varie domande, come queste che seguono:

«Speon, sai dirci qualcosa su questi luoghi? Se tu potessi darci il più piccolo ragguaglio inerente ad essi, te ne saremmo molto grati! Ma se non ne sei in grado, a causa della tua disinformazione sugli stessi, per me e per Tionteo fa lo stesso! Perciò non dovrai sentirti in colpa.»

«Di preciso, Iveonte, non mi è consentito di riferirvi alcuna cosa su questa regione, anche perché ignoro il posto in cui siamo venuti a trovarci. Dopo la sconvolgente tempesta di ieri pomeriggio, la quale ci ha costretti ad avanzare alla cieca su queste nuove terre, mi risulta molto difficile dirti con certezza dove attualmente siamo finiti. Al massimo, posso azzardare qualche ipotesi; la quale, però, sarebbe ancora tutta da verificare.»

«Speon, allora mettici a conoscenza di ciò che supponi, poiché una supposizione vale più di niente: non sembra anche a te? Perciò prova ad avanzarcela, dandoci una indicazione di questo territorio! Così dopo potremo avere almeno una vaga idea su dove ci troviamo in questo momento!»

«Iveonte, penso che il fortunale, dopo averci imposto varie peripezie, ci abbia infine fatti ritrovare nelle Terre senza Pace, probabilmente sul territorio dei Boios. Dal quale faremmo meglio ad allontanarci al più presto, se non vogliamo ritrovarci impelagati in un'altra peripezia. Essa, per il nostro bene, non sarebbe assolutamente auspicabile!»

«Come mai, Speon, è stato dato un nome simile a questa regione? E perché dovremmo abbandonarla in fretta? Hai forse dimenticato che nessuno potrà mai arrecarci il male a cui hai pensato?»

«La risposta è molto semplice, Iveonte. I due grandi popoli, i quali vi si sono stabiliti da secoli, ossia quello dei Boios e quello dei Normuk, si sono combattuti senza tregua e continuano a farsi guerra tuttora con folle incoscienza. Essi si dimostrano popoli inospitali e almeno uno di loro, cioè quello boiosino, potrebbe anche crearci dei seri problemi, se un numero consistente dei suoi guerrieri ci sorprendesse sul loro territorio! Guarda caso, ci troviamo attendati proprio su di esso! Ora mi comprendi, amico mio?»

«Conosci, Speon, le ragioni, per le quali tali popoli si danno battaglia da tantissimo tempo? Una ce ne sarà senza meno, se la serie delle loro guerre continua ad andare avanti senza fine!»

«In verità, Iveonte, non te lo so dire con precisione, come vorresti. Si sa soltanto che i Boios e i Normuk si odiano a morte da oltre un millennio, ossia fin dal loro primo trapianto sui territori che occupano al tempo d'oggi. Perciò essi sono sul sentiero di guerra in ogni giorno dell'anno, ossia durante la loro intera esistenza, senza mai avere in questo modo un solo attimo di pace. La quale forse non ci sarà mai più per entrambi i popoli!»

«Mi immagino a quante migliaia di morti ingiustificate i loro ininterrotti conflitti hanno dato luogo!» osservò esterrefatto Tionteo «Tra i Boios e i Normuk, come constato, avviene l'esatto contrario di quanto viene attuato tra i due popoli di Calput e di Abruok! I primi due sul serio dovrebbero imparare da questi ultimi, per iniziare a vivere civilmente!»

«Hai senz'altro ragione, Tionteo!» approvò il giovane eroe «Il gemellaggio, che si è instaurato tra gli Abruokesi e i Calputiani, dovrebbe servire da ottimo esempio a tutti gli altri popoli del mondo. In questo modo, non ci sarebbero più guerre tra gli uomini della terra e trionferebbe fra tutti loro lo spirito di sentita fratellanza e non quello di stupido campanilismo! Comunque, speriamo soltanto che un giorno essi rinsaviranno!»

«Purtroppo, ciò non è mai accaduto, Iveonte. Per tale motivo, quanto si verifica tra le popolazioni di Abruok e di Calput resta la sola eccezione al mondo! Ecco perché le guerre prendono il sopravvento sui diversi popoli e finiscono per mietere una ingente quantità di vittime tra quelli che entrano in conflitto incoscientemente e si guerreggiano a vicenda! Ma tu, Iveonte, non potresti dare a questi due popoli una mano a tornare in sé e a porre fine per sempre alla loro guerra millenaria? Sono convinto che, se tu lo volessi, riusciresti senza difficoltà ad operare anche quest'altro tipo di miracolo! Allora, amico mio, sei disposto ad aiutare costoro, tempo cronologico permettendolo?»

«Con molte probabilità, Tionteo, avrei senz'altro successo in una simile opera filantropica; però non mi va di continuare a procrastinare la conoscenza delle mie radici. Essa rappresenta lo scopo primario di questo mio viaggio, che ho intrapreso attraverso queste terre ignote ed infide. Inoltre, quando non parte da loro medesimi il desiderio di smettere di farsi guerra, sono convinto che dopo la pace non sopravviverebbe a lungo presso tali popoli, se io li costringessi ad accettarla con la forza! Comprendi, amico mio, perché non sono disposto ad intervenire nelle loro faccende?»

«Questo è indubitabile, Iveonte!» acconsentì il Terdibano «Ma se si suggerisse ai Normuk e ai Boios di contrarre matrimoni alla stessa maniera dei due popoli gemellati, nella loro coscienza si smorzerebbe quel radicato rancore, il quale li incita a combattersi senza sosta. Così facendo, verrebbero meno anche le incessanti guerre che si susseguono interminabili tra di loro, dando luogo a numerose vittime in entrambi i popoli.»

«Può anche darsi, Tionteo, che tra i due litigiosi popoli ci sarebbe una svolta in questo senso; ma noi non disponiamo del tempo necessario per tentare di fare da pacieri intermediari tra l'uno e l'altro. Domani mattina, dopo aver tolto le tende, ripartiremo alla volta della nostra lontana meta, la quale è stata da noi tralasciata da parecchio tempo! Ecco: questa è la decisione che adesso ho presa e non mi smuoverò da essa!»

Iveonte volle in questo modo tagliare corto su un discorso dal quale intendeva estraniarsi, finendo per essere categorico sull'argomento. Il quale era stato aperto e caldeggiato da Tionteo con l'intento a noi noto. Ma dopo che il giovane eroe ebbe espresso chiaramente il suo parere circa un possibile suo intervento per fare ragionare i due popoli nemici, si presentarono nella sua tenda sei Lutros. Essi si conducevano dietro un giovane dall'apparente età di venti anni. Il più anziano di loro si affrettò a riferirgli:

«Grande Iveonte, si stava discorrendo tra di noi nel campo, allorquando è piombato in mezzo al nostro capannello questo stanco giovane. Allora, ritenendola la cosa più giusta da farsi, non abbiamo esitato a condurlo al tuo cospetto! Speriamo soltanto di non esserti stati di disturbo, mentre ti intrattenevi con i tuoi due amici!»

«Non preoccuparti, Olmen, perché avete fatto la cosa migliore! Ora, però, puoi ritirarti con i tuoi compagni, poiché penseremo noi al giovane forestiero. A prima vista, per fortuna, egli non si presenta ridotto abbastanza male. Ti ringrazio, comunque!»

Appena i sei Lutros se ne furono andati, i tre amici si soffermarono a scrutare il giovane sconosciuto, il quale mostrava un volto stralunato. Il poveretto pareva non credere ai propri occhi di trovarsi davanti a loro, essendo convinto che i presenti e gli altri del campo erano persone avventizie mai viste prima. Nel medesimo tempo, però, i suoi sguardi furtivi, oltre che una palese incredulità, continuavano ad esternare un forte timore ed una grande preoccupazione. Allora il suo stato emotivo, il quale lo faceva tribolare interiormente ed essere allo stesso tempo assai sospettoso, non sfuggì ad Iveonte. Perciò egli, volendo appurarne la causa, si rivolse al giovane e si diede a parlargli in questo modo:

«Vuoi farci sapere chi sei e come mai sei giunto nel nostro campo tutto trafelato, anzi più veloce di una lepre? Sei forse inseguito da qualcuno che, per un motivo a noi ignoto, desidera arrecarti del male? Se non mi sbaglio, direi proprio di sì! Ma sappi che presso di noi puoi considerarti più che al sicuro, senza temere alcun male da parte di nessuno!»

«Sono Eliun ed appartengo al popolo dei Boios, il quale ha stabile dimora su questi territori. Sono inseguito da un manipolo dei nostri guerrieri. Essi intendono acciuffarmi e consegnarmi al nostro capo Duzon. Perciò, se mi attardo di più a stare insieme con voi, essi finiranno per raggiungermi, facendo di me quello che vi ho detto. Ma voi chi siete? Che ci fate sulle nostre terre? Quali sono le ragioni che vi ci hanno condotti? Voglio avvertirvi che i miei inseguitori se la prenderebbero molto a male, se vi trovassero in questa zona. Allora pure per voi ci sarebbero guai seri! Io saggiamente suggerisco di andarcene senza indugio da qui, io e voi insieme, evitando di farci raggiungere e sorprendere qui dai miei conterranei.»

«Noi, Eliun, siamo capitati per caso su questo territorio e non abbiamo intenzioni ostili verso il suo popolo sovrano. Quindi, non abbiamo nulla da temere dai tuoi corregionali inseguitori. Ma adesso ti faccio presente che i nostri nomi sono i seguenti: Iveonte, è il mio; Tionteo, è quello del mio primo amico, che vedi alla mia destra; Speon, invece, è quello del secondo mio compagno, che puoi scorgere alla mia sinistra.»

«Iveonte, poiché vi trovo assai simpatici, sono lieto di fare la vostra conoscenza! Ritornando al nostro precedente discorso, devi sapere che l'uomo, il quale comanda i guerrieri miei inseguitori, è Traxos. Egli di sicuro non vorrà accertarsi della verità, circa il vostro casuale sconfinamento. Perciò c'è il reale pericolo che egli deciderà di punire pure voi, oltre che me, senza sentire ragioni. Perciò ci conviene scappare subito!»

«In quel caso, Eliun, vorrà dire che il tuo conterraneo se l'avrà proprio cercata, se sarò costretto ad impartirgli la lezione che si sarà meritata! Non sei d'accordo anche tu?»

«Ma che dici, Iveonte! Sei forse uscito di senno? Traxos è un valorosissimo guerriero ed è secondo soltanto al nostro capo Duzon! Pure quelli che lo accompagnano sono dei guerrieri abbastanza ardimentosi; altrimenti essi non farebbero parte della sua scorta! Perciò cerchiamo di risolverci alla svelta e facciamo l'unica cosa che adesso è meglio mettere in pratica, se non vogliamo finire nelle mani dei guerrieri boiosini!»

«Sarebbe, Eliun, la cosa migliore che, secondo il tuo parere, sarebbe da farsi?» gli chiese il giovane eroe.

«Iveonte, vi consiglio di smontare subito il campo e di abbandonare le nostre terre, prima che Traxos e i suoi guerrieri ci trovino da queste parti! Io, per forza di cose, vi seguirò. Se fuggiamo via ora, potremo ancora farcela ad oltrepassare il confine del territorio boiosino. In questo modo, essi non saranno più in grado di scovarci!»

«Se lo vuoi sapere, Eliun, la tua idea non mi alletta; dunque, mi rifiuto di farla mia. Preferisco invece affrontare i tuoi connazionali e ridurli alla ragione con le buone oppure con le cattive. In quale altra maniera te lo devo fare comprendere, benedetto ragazzo, che è quanto farò? Non essere di poca fede, restandotene sulla tua errata posizione!»

Proprio in quel momento, si udì un chiassoso accorrere di cavalli, i quali invadevano l'accampamento dalla zona sud. Allora l'arrivo rumoroso ed improvviso dei cavalieri boiosini fece dare un grido di stizza al giovane Eliun. Inoltre, egli si diede ad urlare forte: "Ecco che sono arrivati! Lo sapevo che non ce l'avrei fatta a sfuggirgli!" Poi, rivolgendosi ai presenti, aggiunse con immensa amarezza:

«A questo punto, non mi sarà più possibile scappare da Traxos e dalla sua scorta; mentre voi non potrete evitare la mia cattura! Con molte probabilità, la vostra stessa sopravvivenza sarà a rischio, simpatici forestieri, nel caso che non riuscirete ad essere abbastanza convincenti con loro, circa il vostro sconfinamento involontario!»

Iveonte, cercando di tranquillizzarlo almeno un poco, gli disse:

«Tu restatene nascosto nella mia tenda, Eliun, poiché al resto penseremo io e Tionteo! Il mio amico Speon, invece, rimarrà qui con te a farti compagnia. Vedrai che metteremo ogni cosa a posto e non consentiremo a nessuno di loro di prenderti e di condurti via!»


Poco dopo, Iveonte e l'amico montarono sui loro cavalli e si diressero verso il gruppo dei guerrieri boiosini, dove trovarono il loro comandante, il quale si era messo ad inveire contro i loro Lutros e non la smetteva più. Anzi, egli seguitava a sbraitare agli uomini del campo, che si erano assiepati intorno ai nuovi arrivati. Rabbiosamente, adesso il corpacciuto Boios stava usando contro di loro il seguente tagliente linguaggio:

«Forestieri, come vi siete permessi di sconfinare nella nostra regione? Imbelli ed incoscienti che non siete altro! Magari avevate anche intenzione di fare razzia sui nostri territori! Ma io vi farò pentire di avere osato tanto e vi farò rimpiangere di aver messo piede sulle nostre terre! Voi non sapete con chi avete a che fare! Presto ne verrete a conoscenza a vostre spese! Certo che sarà come vi ho detto, miserabili forestieri! Parola di Traxos!»

A quelle sue frasi minacciose, intervenne a rispondergli Iveonte. Egli stava sopraggiungendo con il suo amico Tionteo proprio in quel momento, tra il sollievo dei suoi Lutros. I cui animi prima si stavano mostrando abbastanza intimoriti dal torvo omaccione.

«Sappiamo benissimo chi sei, Traxos! Invece sei tu ad ignorare che noi non temiamo affatto le tue minacce, considerato che esse possono spaventare solamente delle timide colombe! Ma qui, per tua sventura, non ti trovi affatto in una colombaia, dove sei abituato a fare il gradasso a tuo agio, minacciando a destra e a manca! Ti sono stato chiaro?»

«Solo perché siete più numerosi di noi, forestiero, credi di essere anche i più forti? Al posto tuo, me ne guarderei dal pensare una cosa simile, per non pentirmene! Ma presto ti farai un altro concetto di noi Boios!»

«Non lo penso affatto, Traxos; ma ne sono assolutamente convinto! Ad ogni modo, noi siamo capitati da queste parti soltanto per errore e non abbiamo intenzioni ostili contro quelli che vi risiedono. Perciò faresti meglio a cambiare tono nei nostri confronti, prima che io ti costringa a ricrederti con i fatti davanti al gruppo dei tuoi guerrieri!»

«Non ho capito ancora, forestiero, se le tue parole hanno voluto significare delle semplici scuse oppure delle autentiche minacce. Perciò vuoi essere più esplicito a tale riguardo, affinché io intenda meglio qual è la verità? Anzi, desiderano saperlo anche i miei prodi guerrieri, prima di essere costretti ad arrabbiarsi giustamente con voi!»

«Non ho problemi a farlo, Traxos. In merito alle mie parole, voglio farti presente che dipende da te come vuoi farle diventare. Se ti decidi ad assumere un atteggiamento ragionevolmente accettabile nei nostri confronti, puoi ritenerle delle mere scuse. Se invece vuoi continuare a mostrarti arrogante ed insofferente della nostra presenza in questo posto, in tal caso ti invito ad interpretarle come serie minacce. Ora sono convinto che esse vi sono state molto chiare, se non siete dei baggiani ed avete un minimo di comprendonio! Allora ti sono bastate le mie ulteriori spiegazioni, circa il nostro discorso di poco fa?»

«Prima di andare fino in fondo nella nostra accesa discussione, forestiero, desidero chiarirti quanto segue. Visto che conosci il mio nome, ciò mi induce a pensare che abbiate già fatto la conoscenza di Eliun, il giovane che stiamo inseguendo. Magari lo tenete anche nascosto presso di voi! Ebbene, se me lo consegnate di vostra volontà, può darsi che chiuderò un occhio sul vostro sconfinamento. Vi permetterò di lasciare indenni le nostre terre, per averci fatto risparmiare un bel po' di tempo nel trovarlo. A questo punto, sta a voi decidere quale piega far prendere al nostro incontro!»

«Poiché non mi è mai piaciuto mentire, Traxos, non nego che Eliun è capitato da poco nel nostro campo e si trova nella mia tenda. Adesso, però, egli è sotto la mia protezione e nessuno mai potrà fargli del male. Chi vuole fargliene dovrà prima passare sul mio cadavere! Perciò puoi scordartelo, se credi che te lo consegni da uomo infame!»

«Siccome la metti in questi termini, forestiero fanfarone, vorrà dire che farò prima fuori te e poi, dopo averlo catturato, mi porterò via Eliun! Quanto agli altri che hanno sconfinato insieme con te, dopo che verrai ucciso da me, avranno tre ore di tempo per abbandonare il nostro territorio. Se non lo avranno fatto entro il termine da me fissato, la loro sorte risulterà inevitabilmente segnata, come quella tua! Ti assicuro che i trenta guerrieri al mio seguito bastano d avanzano per stritolare il centinaio di smidollati che rappresentano il tuo seguito! Tra poco te lo dimostreremo con i fatti!»

«Traxos, può darsi che i tuoi guerrieri siano in grado di battere i miei uomini, visto che essi sono poco avvezzi alle armi. Te lo confermo, senza nascondertelo. Invece devi sapere che con me non sarà la stessa cosa. Da solo, infatti, sono sufficiente a spezzare le corna a te e a tutti i tuoi guerrieri di scorta! Tra breve sarai tu a rendertene conto malvolentieri, visto che le cose andranno proprio come ti ho appena fatto presente!»

«Vedo che con le chiacchiere ci sai fare meglio di una femminuccia, forestiero. Ma io sono convinto che non sarai altrettanto bravo a dimostrarmelo con i fatti! Tra poco conoscerai chi è Traxos e come egli è capace di conciarti per bene senza la minima difficoltà. Mi dispiace solo che non avrai il tempo di pentirti di avere osato sfidare chi è molto superiore a te nell'uso delle armi e nella lotta libera!»

«Questo è ancora da vedersi, Traxos. Comunque, prima di dartele di santa ragione, ci tengo a farti conoscere il mio nome, il quale è Iveonte. Così, durante la penosa agonia, saprai chi ti ha colpito a morte! In una circostanza simile, un fatto del genere non ti si presenterà come una buona prospettiva; a mio giudizio, però, sarà meglio che niente! Non lo credi anche tu, che stai per dare per sempre l'addio all'esistenza?»

«Continua a sognare l'impossibile, emerito spaccone, ed approfittane pure, finché ti viene consentito dai pochissimi spezzoni di vita che ti restano da trascorrere. Anche perché ti è rimasto poco tempo per seguitare a farlo! Beninteso, ti affronterò da solo e ti schiaccerò come un vero pidocchio. I miei uomini, divertendosi un sacco, faranno da gaudenti spettatori, poiché essi non hanno dubbi chi sarà il vincitore della tenzone fra noi due!»

A quel punto, i due contendenti smisero di stuzzicarsi con le parole e passarono a vie di fatto. Con il ricorso alle armi, ciascuno di loro voleva dimostrare a quanti erano presenti che prima era stato lui a non avere esagerato e parlato a vanvera. Traxos era un omone, la cui corporatura era gigantesca quanto quella del suo capo Duzon. Costui, però, al contrario di lui, poteva vantare una muscolatura imponente ed armonica nel suo insieme. Anche la sua formidabile massa corporea faceva sfoggio di bicipiti e tricipiti davvero possenti, i quali riuscivano ad intimorire quanti venivano a trovarsi al suo cospetto. Invece la sua lunga capigliatura e la sua incolta barba gli conferivano un aspetto terribile. Se poi al tutto veniva ad aggiungersi l'espressione accigliata del suo volto, la sua fisionomia si rivelava qualcosa di incredibilmente orribile. Per le ragioni che conosciamo, Iveonte non si lasciò intimidire né dalla sua complessione enorme né dal suo aspetto tremendo. Per questo, quando il boiosino Traxos diede di piglio al suo lungo spadone, allo scopo di tranciarlo in due, egli lo imitò senza scomporsi. Così facendo, accelerò l'inizio dello scontro. Il quale venne a svolgersi in mezzo al cerchio che era stato formato intorno a loro dagli agguerriti e schiamazzanti cavalieri boiosini.

Il primo a sferrare il suo poderoso colpo di spada fu Traxos; ma l'avversario lo sostenne con la sua usuale irremovibilità, contrattaccando subito dopo il gigantesco rivale con una serie di colpi tremendi, che non ebbero difficoltà a sbalzarlo da cavallo. Al forzato scavalcamento che Iveonte aveva operato magistralmente ai danni del loro campione, i Boios, i quali prima si erano dati a fare schiamazzo e a tifare per lui, ammutolirono di colpo. Quanto a Traxos, in seguito al suo primo smacco, si sentì deprimere per l'umiliazione che aveva subita. La sua depressione era dovuta al fatto che il rivale lo aveva mortificato proprio davanti ai suoi uomini delusi. Poco dopo, l'autorevole e corpulento Boios cercò di reagire, ripromettendosi di riprendersi la rivincita a qualsiasi costo contro il giovane forestiero. Egli intendeva farlo pentire di averlo umiliato in maniera così eclatante! Nel frattempo anche Iveonte, dopo essere sceso dal proprio cavallo, era pronto ad ingaggiare con lui il nuovo duello a piedi, il quale si faceva prevedere senza risparmio di colpi e all'ultimo sangue. Da parte loro, Tionteo e i Lutros si sentivano tranquilli e non avevano dubbi sull'esito dello scontro. A parere di tutti loro, esso sarebbe stato senz'altro favorevole al loro invincibile campione.

Una volta che si fu rialzato da terra con la spada in pugno, Traxos si affrettò ad assalire Iveonte con una raffica di colpi irresistibili. Essi, però, non scomposero minimamente l'eroico giovane. Egli, a sua volta, reagì con altrettanta irruenza, ma con differente profitto. I suoi possenti colpi, infatti, cominciarono a grandinare inclementi e senza nessuna compassione, fino a costringere il loro destinatario ad arretrare in continuazione, demolendone alla fine la difesa e il vigore. In ultimo, dopo averne fiaccato anche le residue resistenze, lo disarmarono e, tra lo sconcerto dei suoi sdegnosi guerrieri, gli fecero assaggiare l'amaro sapore della sconfitta. Anche il loro capo non l'accolse con animo giulivo e festoso, com'era evidente! Iveonte, invece, evitò di finire l'avversario in quelle condizioni, non essendo abituato ad infilzare dei nemici inermi. Perciò, dopo essersi privato della sua spada, lo invitò a misurarsi con lui a mani nude, cioè in una lotta eterogenea senza esclusione di colpi. In verità quello era un tipo di lotta nel quale il suo contendente era ritenuto da tutti i Boios un vero asso. Anche il suo capo Duzon non era mai riuscito a batterlo negli scontri che si erano disputati in passato, concludendosi sempre in parità tra loro due. Rincuorato da quell'ottima opportunità che veniva ad offrirgli il rivale, Traxos ritornò a mostrarsi fiero ed animoso. Nacque in lui perfino il proposito di far mangiare la polvere al giovane, il quale fino a quel momento lo aveva fatto sfigurare come un tapino davanti a tutti. Ma bisognava vedere se egli sarebbe stato capace di portare a compimento ciò che si era prefissato a danno del fiero forestiero, oppure avrebbe capitolato di nuovo con una ulteriore sconfitta.

Così, dopo un avvio di reciproco studio, il Boios stabilì di dare il primo assalto, intenzionato a frantumare il suo antagonista. Il quale, pur presentando un fisico eccezionale, non aveva né la sua statura né la sua spropositata corpulenza. Allora Iveonte, con una serie di mosse tecniche ed inafferrabili, badò prima a neutralizzare ogni presa dell'avversario. Poco dopo, invece, aggredendolo a sua volta con molta determinazione, lo fece ritrovare sbattuto per terra e con la schiena rasente il suolo. Atteso infine che l'avversario fosse ritto di nuovo, il nostro eroe subito si diede a tempestarlo di poderosi calci, facendoglieli arrivare in ogni parte del corpo, intanto che eseguiva delle acrobatiche piroette. Esse, come si constatava, venivano effettuate da lui con una tecnica speciale, che lo faceva ricorrere a volte a salti in aria, altre volte a giravolte al suolo, mostrandosi sempre scattante nelle varie azioni. Infine le sue poderose pedate si avviavano a sfondare la cassa toracica del borioso Boios, intanto che gli rendevano tumefatte oppure gli riempivano di lividi le rimanenti parti del corpo. Invece, prima che ciò succedesse, Traxos si rovesciò per terra per l'ennesima volta, per cui fece capire a tutti in modo manifesto che egli non aveva più un grammo di forza per rialzarsi da terra e continuare così la lotta, che era in svolgimento.

Allora Iveonte lo raggiunse e gli prese la testa tra le mani, pronto ad operare su di essa quel movimento brusco e violento, che gli sarebbe risultato mortale per la rottura dell'osso cervicale. Ma prima di agire rovinosamente in tal senso sul malconcio corpo dell'avversario, egli preferì parlare al perdente Boios con una certa fermezza, facendogli presente:

«Come vedi, Traxos, mi basta un niente per spezzarti l'osso del collo, benché esso si presenti tozzo e forte. Sta a te decidere se devo proseguire in tal senso oppure mi devo fermare. Soltanto se mi prometti che dopo rinuncerai al giovane Eliun, ti faccio grazia della vita. Sennò mi obblighi ad ucciderti come un cane. Scegli tu se vuoi vivere oppure morire! Io attendo la tua risposta, ma non tardare a darmela, se ci tieni a restare in vita!»

«Hai dimenticato, straniero, che ci sono ancora i miei guerrieri, i quali si mostrano impazienti di combattere? Ad un mio ordine, essi reagiranno e vi faranno tutti fuori!»

«Quelli non li temo per niente, Traxos. E poi non ti sei accorto che i miei uomini li tengono già sotto il tiro dei loro archi? Non appena i tuoi guerrieri alzeranno un dito per reagire, saranno fulminati sul colpo dalle loro micidiali frecce. Te ne puoi rendere conto di persona, guardandoti intorno! Anche adesso osi ancora minacciare?»

Tionteo, infatti, nel frattempo che l'amico lottava con il suo avversario, aveva fatto disporre alle spalle dei cavalieri boiosini i loro Lutros, i quali potevano considerarsi ormai dei provetti arcieri. Dopo li aveva anche invitati a tenersi preparati a colpirli con le loro saette, se fosse stato ritenuto davvero necessario da Iveonte. Perciò adesso attendevano l'ordine del loro insuperabile eroe. Allora, preso atto della situazione che si presentava precaria anche per i suoi guerrieri, Traxos fu costretto a promettere al suo vincitore che essi avrebbero rinunciato alla cattura di Eliun, se lo avesse risparmiato. Fu così che egli, dopo essere stato graziato dal forestiero, abbandonò il campo degli abusivi con gli altri Boios, allontanandosene e dirigendosi verso il loro villaggio. Solo quando essi scomparvero all'orizzonte, Iveonte rientrò nella sua tenda, nella quale pretese dal suo protetto di riferirgli il motivo che aveva spinto la sua gente a dargli la caccia.

Alla richiesta di Iveonte, Eliun si diede a raccontare l'intera storia in merito alla lunga vicenda, che lo aveva coinvolto. In verità, essa aveva riguardato non soltanto lui, ma anche molti giovani di entrambi i popoli, i quali erano costretti a farsi guerra da secoli. Più in particolare, si era incentrata su due suoi amici, i quali, pur essendo l'uno un Boios e l'altra una Normuk, erano diventati degli innamorati eccezionali. Difatti i due giovani, pur di difendere il loro fervido e sentito amore, si erano dimostrati disposti a qualunque sacrificio e perfino al martirio supremo. Ciò, nel caso che la circostanza lo avesse richiesto, come appunto sarebbe avvenuto nei loro due villaggi, se qualcuno non li avesse soccorsi.