290-IVEONTE DEBELLA LA MAGIA DEL MAGO ZEGOVUT
La mezzanotte si approssimava ed Iveonte era già pronto ad attendere il suo arrivo, poiché essa avrebbe dovuto dare inizio alla sua contesa con Zegovut. Sarebbe andato a scovarlo nella sua stessa fortezza irreale dove si annidava, avendo stabilito di costringerlo a battersi contro di lui ad armi pari. Per l'eroe adesso i minuti trascorrevano lenti come non mai; sembravano essersi impigliati in un settore, dove al tempo era passata la voglia di darsi al suo normale fluire. Infine i raggi lunari, che adesso avevano raggiunto la giusta inclinazione e davano alle ombre la nota lunghezza, l'annunciarono inequivocabilmente ai Drucifi. Costoro, per il motivo che conosciamo, stavano ancora svegli ed attenti, non volendo rinunciare in quella notte ad assistere al grande evento. Esso, infatti, avrebbe permesso a tutti loro di scrollarsi di dosso il gravoso peso impostogli dal mago. Nel medesimo istante, nella valle incominciò il macabro spettacolo dei Cavalieri Ombre, i quali si diedero alle loro solite incursioni. Anche se, da qualche tempo, esse non risultavano più di terrore, venendo neutralizzate dall'espediente suggerito da Iveonte, il quale a sua volta lo aveva appreso dalla divina Kronel. Perciò, da alcuni giorni, la visione da loro inscenata aveva vita breve, siccome il girotondo della terna di bambini drucifini obbligava coloro che la rappresentavano a fare presto ritorno nella loro complessa irrealtà di origine. Difatti era in quel luogo che il mago aveva voluto che i Cavalieri Ombre esistessero, dal quale poi partivano a mezzanotte in punto per portare a termine la loro missione, dopo essersi trasformati in miraggi vaganti che avevano l'identica destinazione.
Quindi, anche quella notte i bambini intervennero a vanificare l'opera diabolica dei Cavalieri Ombre, cantilenando la loro breve quartina, che aveva rima alternata. Essi, infatti, si erano messi a farla sentire agli intrusi cavalieri per le tre volte consecutive. Naturalmente, il risultato fu che i Cavalieri Ombre derivati, come le notti precedenti, tornarono ad essere le normali persone di prima. Quanto ai sette Cavalieri della Vendetta, i quali erano i prototipi che guidavano le loro brigate di fantasmi a cavallo, dopo essersi cangiati in lunghe scie lampeggianti, decisero di ritirarsi nel castello da cui erano provenuti, stando in groppa ai loro rampanti e focosi destrieri. Allora, non appena li ebbe intercettati, intanto che intraprendevano la loro fulminea ritirata, all'istante Iveonte ne approfittò per sintonizzarsi con l'ultimo di loro. Per questo, dopo averlo agganciato mediante un lavorio mentale, si fece trasportare da lui fino alla dimora illusoria del mago Zegovut.
Dopo averla raggiunta, l'eroico giovane si diede a visitarla, con la speranza di ritrovarsi al più presto faccia a faccia con il suo rivale illusionista. Avanzando così attraverso le varie strutture architettoniche, le quali erano state elaborate dalla mente del mago con materiale esistente unicamente nell'illusione, Iveonte se ne meravigliava moltissimo. Anzi, gli pareva di stare a vivere quella strana situazione, quasi stesse vivendo un autentico sogno; né poteva essere altrimenti. I suoi ambienti si presentavano ricchi di artifici decorativi che incantavano; in pari tempo, essi confondevano il senso visivo dell'osservatore, poiché i suoi occhi se ne potevano solo stupire incredibilmente. Intanto una specie di tenue nebbiolina, variamente colorata, pareva fuoriuscire da ogni angolo dei singoli reparti, avvolgendo e blandendo il tutto in modo fantastico. Essa, inoltre, creava coreografie che lusingavano e davano luogo a prodotti scenografici di insuperabile attrattiva. Da parte sua, il nostro eroe procedeva del tutto incurante di quel luogo, il quale si dava a suscitare ovunque allucinazioni di ogni tipo, fino a creare un mondo arcano e surreale. Anche quest'ultimo rappresentava una verace fata Morgana di colossali proporzioni, la quale si mostrava priva tanto della dimensione spaziale quanto di quella temporale. Allora Iveonte prendeva coscienza che Zegovut, se riusciva a produrre con la mente delle irrealtà sensoriali così straordinarie e seducenti, senz'altro si rivelava un mago portentoso, dimostrando di possedere grandi capacità immaginose e creative. Le quali si rivelavano ammirevoli nei loro molteplici aspetti.
Nel frattempo, il reale Iveonte, ossia quello che era fatto di carne ed ossa, ma pure risultava del tutto assente dalla sua mente, dove si trovava e in quale altra attività era impegnato? Visto che non aveva potuto seguire la sua copia irreale, poiché adesso essa si dava a navigare nel fantastico mare dell'assurdo, in un posto egli doveva pur esistere in concreto. Comunque, doveva presentarsi menomato della sua reale e vigile coscienza! Ebbene, il giovane, per niente consapevole del mondo che lo circondava, se ne restava nella capanna messa a sua disposizione dal capo Tillisan, dove viveva in un immobilismo totale. Prima di iniziare la sua avventura nell'irreale per combattere il suo rivale, egli aveva pregato l'amico Tionteo di lasciarvelo tutto solo fino al mattino e di non farlo disturbare da qualcuno per nessuna ragione. Perciò il Terdibano, in quel momento, stava vegliando fuori all'aperto, attento a non farlo distrarre da nessuno. Per fortuna, si era voluto unire a lui anche il capo dei Drucifi, il quale, dandogli da parlare in continuazione, gli evitava di essere assalito da un improvviso colpo di sonno. Adesso essi controllavano insieme che nessuna cosa e nessun essere vivente distraesse il campione nella sua tenda, mentre era alle prese con Zegovut soltanto con la mente, la quale in quel momento viaggiava al di là del suo corpo e della sua realtà.
Mentre Iveonte se ne andava a spasso per il quartier generale del mago Zegovut, costui non osava ancora affrontarlo. Si poteva supporre che egli, prima di avere un combattimento mentale con l'ospite non invitato e non desiderato, voleva studiarlo a fondo, siccome il giovane aveva dimostrato di essere un uomo diverso dagli altri. Infatti, era riuscito perfino ad arrestare i suoi Cavalieri Ombre, ricorrendo ad un espediente che lo aveva sorpreso tantissimo, escludendo a priori che esso potesse esistere. Perciò si andava chiedendo di chi potesse trattarsi. C'erano poi almeno altri tre buoni motivi, i quali facevano stimare l'intruso una persona eccezionale, che adesso passiamo ad elencare. Primo, in precedenza il giovane lo aveva reso impotente di fronte ai Drucifi, rivelandogli che le sue creature potevano essere sconfitte facilmente. Bastava solamente ignorarle e considerarle inesistenti, senza accettare in alcun modo le loro provocazioni. Secondo, in seguito egli era stato in grado di fermare i suoi cinque uomini, che avevano già il marchio potenziale del Cavaliere Ombra. Così facendo, non aveva permesso a nessuno di loro di cavalcare il proprio cavallo frutto della fantasia e di trasformarsi in Cavaliere Ombra, al fine di mettersi agli ordini di uno dei suoi sette Cavalieri della Vendetta. Terzo, con un singolare stratagemma, era riuscito ad ottenere libero accesso ad Illuxis. La quale, oltre ad essere la propria fortezza, poteva considerarsi la fucina di ogni suo prodotto ingannatore, in quanto si presentava del tutto avulso dalla realtà. Dunque, concludendo il suo studio sull'ospite intruso, Zegovut ne aveva dedotto che, se voleva evitare sorprese sgradevoli, con lui doveva andarci con i piedi di piombo. Esclusivamente usando la massima cautela, poteva riuscire a frastornare il suo rivale con la propria magia allucinogena e ad averla vinta contro di lui. Del resto, non sapeva fino a che punto poteva fidarsi anche di quella, data l'eccezionalità di colui che era voluto andare a sfidarlo addirittura nella sua insidiosa dimora. La quale era situata nel mondo extrasensorio dell'irrealtà da lui macchinata in un mondo illusorio.
Attualmente Zegovut si andava facendo varie domande. Doveva attaccarlo direttamente, senza alcun preambolo; oppure era meglio intraprendere prima un colloquio con lui a quattr'occhi, cercando di spaventarlo e di demoralizzarlo, come sapeva fare lui? Ma poi pensò che, se avesse intavolato un discorso con il proprio sfidante, forse ne avrebbe avuto il vantaggio di conoscerlo meglio e di apprendere quali erano i suoi punti nevralgici. I quali dopo gli avrebbero consentito di colpirlo dove la sua debolezza era più marcata; mentre le armi sofisticate del proprio ingegno avrebbero potuto provocare dei danni maggiori nella sua sfera psichica. Egli, perciò, si dava a dibattersi tra questo sciame di pensieri, i quali in un certo senso lo preoccupavano, allorquando all'improvviso gli pervenne all'orecchio la voce squillante dell'avversario. Iveonte, usando un tono di voce determinato, aveva incominciato a gridargli forte:
«Zegovut, dove ti sei precipitato a nasconderti? Neppure nella tua dimora hai il coraggio di manifestarti, dimostrandoti quello che credi di essere? Se aspetti che ti snidi io, stanne certo che lo farò senz'altro, essendo questo il mio obiettivo attuale, adesso che mi trovo qui per farlo!»
Alle parole del giovane, il mago, principalmente per una questione di orgoglio, si affrettò a rendersi manifesto ai suoi occhi e a farsi sentire dalle sue orecchie. Per questo, al duro richiamo dell'intrepido avversario, cercò di giustificarsi con le seguenti parole:
«Ti garantisco, giovane saccente, che non mi stavo sottraendo alla tua vista per qualche ragione particolare. Oppure pensavi che mi facessi spaventare da un poppante come te, il quale è nato appena ieri? Sappi che sulle mie spalle ci sono un cumulo di secoli, i quali hanno sempre testimoniato a tutti la mia potenza e la mia invincibilità!»
«Cerca pure di darti coraggio, approfittatore dell'ingenuità degli esseri umani! A mio parere, le tue centinaia di anni oggi hanno cessato di farti essere potente ed invincibile; essi ti hanno relegato nella decrepitezza e nell'impotenza. I Drucifi, che hanno smesso di farsi dominare da te, ne sono una dimostrazione lampante. Adesso, però, mi toccherà convincerti che ormai ti sei ridotto ad una nullità, per cui vali meno di zero!»
«Presuntuoso figlio di una cagna, tra poco sarò io a dimostrarti fin dove è capace di arrivare la mia potenza e come essa saprà ridurti nel più miserevole degli uomini. A quel punto, avrai di che lamentarti, dal momento che ti sentirai crollare il mondo addosso e vedrai ogni tua realtà accapigliarsi con il proprio fantasma irreale! Ti prometto che sarà esattamente così, dopo che ti avrò aggredito ed avrò frastornato la totalità dei tuoi pensieri, che non usciranno più a connettere in modo regolare!»
«Neppure scagliandomi contro le tue minacce, mago ormai finito, sarai in grado di scacciare da te la paura. Ciò che non sai ancora, è che potevo distruggerti in un attimo, anche senza ingaggiare alcuna lotta contro di te, come in questo momento sto facendo; ma ho preferito di non farlo. Se fosse stata mia intenzione annientarti in quel modo, adesso avresti già smesso di esistere da un bel po' di tempo! Io ero all'altezza di frantumare te e le tue sofisticazioni dell'immaginario altrui in un soffio di tempo. Invece ho deciso di affrontarti ad armi pari, con le sole forze della mente, per dimostrarti che non sei imbattibile pure in quel campo, come hai sempre creduto. Presto tra poco te ne accorgerai!»
«Se pensi che io ti creda, sognatelo, essere umano insignificante! Nessun uomo può avere tale potere nei miei confronti. Gli artifici mentali rappresentano il mio piatto forte e nessuno dei maghi di questo mondo può competere con la mia esperienza plurisecolare. Anche se essi si mettessero tutti insieme contro di me, li sconfiggerei ugualmente, senza avere nessuna difficoltà! Ecco come stanno realmente le cose!»
«Eppure, Zegovut, tu sarai battuto da me, sebbene io non sia nemmeno un mago! Vincere è il mio passatempo preferito, specialmente quando la mia vittoria consegue da una sconfitta della sopraffazione e dell'abuso. Sono al corrente che alcuni prepotenti, tuoi degni compari, trovano gusto ad esercitare l'una e l'altro a danno di persone, quando le trovano molto deboli oppure indifese psicologicamente! Perciò, quando mi capita, con piacere intervengo a bloccare e a sconfiggere la loro inqualificabile mania.»
«Staremo a vedere, mio miserabile pivello, se alle parole saprai far seguire dei fatti concreti, dopo che avrò iniziato a dissestarti la mente e a scombussolarti l'esistenza! A questo punto, però, è meglio porre fine alle chiacchiere e, al loro posto, permettiamo alle azioni, anche se fittizie, di intervenire con grande determinazione e con indubbia efficacia!»
La frase conclusiva del mago, il quale aveva lasciato intendere che sarebbe seguito un suo imminente attacco, all'istante allertò il suo rivale Iveonte. Costui era convinto che esso non sarebbe stato contenuto; ma avrebbe manifestato un inizio delle ostilità burrascoso e tremendo. Per cui occorreva prepararsi ad accoglierlo con una difesa adeguata, attutendone i colpi con contromosse intelligenti, cioè capaci di frenarli e di ridimensionarne la potenza espressiva e l'intensità. Così poco dopo, come previsto, Zegovut azionò in grande stile la sua offensiva e si preparò a farla pervenire al suo giovane avversario con una gamma di allucinazioni. Esse si sarebbero dovute rivelare di alto livello, intanto che esplodevano a raffiche intorno al nostro campione, al fine di ghermirgli la coscienza del reale, sommergendogliela sotto una caterva di irrealtà traumatizzanti. Anzi, assumendo l'apparenza di uno sciame di meteore fosforescenti, si sarebbero dovute mettere a roteare all'impazzata sopra la testa del suo sfidante per frastornargliela nel modo peggiore.
Tra poco ci daremo a conoscere i vari fenomeni ostili che Iveonte stava per subire, essendo imminente l'esordio dell'attività aggressiva del mago. Nello stesso tempo, ci renderemo conto dei rimedi, ai quali egli ricorrerà per non venirne sopraffatto. Zegovut, in verità, volendo risolvere lo scontro con un unico attacco, si stava attivando in tal senso. In particolare, era sua intenzione punire il suo sfidante, facendogli rimangiare la sua protervia palesata fin dal suo primo arrivo sopra Illuxis. In quel modo, gli avrebbe dimostrato che nessuno poteva permettersi la libertà di arrecargli un affronto impunemente. Ancor più se esso ci fosse stato addirittura nella sua dimora! In verità, durante la fase iniziale dell'azione punitiva del mago, ci sarebbero stati per il giovane degli attimi alquanto critici. Perciò essi avrebbero potuto prendere una piega catastrofica, se egli non avesse opposto una validissima difesa capace di controbilanciare la magia disturbatrice del suo esperto assalitore. Costui, infatti, all'improvviso avrebbe fatto sperimentarne all'eroico giovane gli effetti in un clima tutt'altro che confortante. Essi, volendo giudicarli meglio, avrebbero avuto come obiettivo la destabilizzazione di ogni sua attività psichica ed intellettiva, con il precipuo intento di massacrarne la lucida ed attenta coscienza.
In principio, sopraggiunse ad impegnare Iveonte l'azione invasiva di un mare in tempesta, con le sue acque livide che si mostravano in grandissimo sommovimento. Allora svariate onde gigantesche, ergendosi prima rabbiose ed altissime contro il cielo, dopo si abbatterono sopra di lui, allo scopo di trasmettergli l'impressione di un immediato annegamento. Ovviamente, permettere ad esse di travolgerlo e di farsi annegare significava cadere in balia del mago e divenirne prigioniero, cioè pronto per esserne sopraffatto. Ma non era intenzione di Iveonte fare accadere qualcosa del genere. Egli, intanto che nuotava nelle agitate acque marine e le teneva sotto controllo, cercava di capovolgere la situazione. Si poteva affermare che il nostro eroe, da una parte, andava suscitando in sé la convinzione dell'inesistenza del mare e dei suoi marosi; dall'altra, mirava ad un ribaltamento dell'opera ingannevole di Zegovut. Alla fine, con uno sforzo immane di volontà e di risolutezza, egli si ritrovò fuori dalle acque e di nuovo a contatto con l'irrealtà di Illuxis. Il mago, invece, essendo stato costretto a sostituirsi a lui nella disagiata situazione, dovette far fronte ai cavalloni devastanti del mare. Ma anche lui, da parte sua, non vi restò a lungo, poiché riuscì a fare svanire nella sua mente l'allucinazione dell'acqua, che egli stesso aveva provocata. Così ne venne fuori rapidamente e in modo egregio, comunque non senza esserci stati alcuni scombussolamenti di rilievo nella sua mente.
Il contenuto illusorio della seconda offensiva di Zegovut fu il fuoco, le cui lingue volubili all'istante si diedero ad avvolgere Iveonte, come se volessero procurargli scottature doloranti e divorarselo. Esse gli si avventavano contro voraci, allungandosi ed accorciandosi; nonché assumevano spostamenti celeri ed incontrollabili. Minacciose nella loro aggressione, le fiamme non gli lasciavano spazi intorno e cercavano di stringere il loro bersaglio umano in una morsa spietata. L'eroe, dal canto suo, anziché mettersi a contrastarle oppure ad eluderne i brucianti attacchi, faceva concentrare la propria mente sulla non intercettazione delle medesime. Ossia si deconcentrava per non percepirle e per confinarle nella propria incoscienza. Raggiunta infine la facoltà di districarsi agevolmente tra le fiamme, avvertendole come loro osservatore anziché diventarne succube, Iveonte fu in grado di scaraventarle contro colui che, dopo averle generate, le aveva messe in circolazione, allo scopo di farlo danneggiare da esse. Così Zegovut, per la seconda volta, fu costretto a difendersi dal suo stesso prodotto allucinogeno che, dopo esserglisi rivoltato contro, adesso cercava di attanagliarlo nella sua stretta infuocata. Ma pur fra i disagevoli momenti della nuova situazione, il mago se ne liberò ancora con pieno successo. Comunque, l'amaro pungente della delusione, quella che gli procuravano le valide controffensive di Iveonte, gli restava ancora dentro a mordergli l'animo e a contristargli l'esistenza, come non gli era mai accaduto prima.
Per scatenare il suo terzo attacco, il mago si servì di una massa d'aria, la quale poteva definirsi ciclonica sotto tutti gli aspetti, per il fatto che iniziò ad assalire Iveonte da ogni parte, come se intendesse trascinarlo via con la sua furia veemente. Anche nella nuova circostanza fittizia, il giovane si ritrovò a gestire una situazione impossibile. Difatti le sferzanti raffiche di vento, facendo sentire il loro urlio tanto fragoroso quanto spaventoso, a volte cercavano di scaraventarlo a tutti i costi in un baratro voraginoso. Altre volte, invece, esse tentavano di farlo cadere da un dirupo, il quale era situato ad altissima quota, trasmettendogli delle paurose vertigini. Ebbene, pur stando in mezzo ai gelidi e taglienti venti a cui il ciclone dava origine, Iveonte non si scompose per niente. Ma seguitò a mostrare la medesima imperturbabile calma, quella che aveva già manifestato durante i due precedenti fenomeni partoriti dalla mente di Zegovut. Ma egli fu ancora in grado di imbrigliare la nuova potenza, che ora era aeriforme, rinchiudendola nella sua indifferenza totale e facendole spiccare il volo nel suo non essere. Un istante dopo, ridando ad essa l'iniziale energia, egli la obbligò ad aggredire colui che l'aveva generata sotto forma di illusione ottica.
A quel punto, il mago dovette vedersela anche con il terzo fenomeno, quello che aveva trasformato l'aria in un vento disastroso e dedito a far piazza pulita di ogni cosa, soprattutto di chi gli aveva dato l'origine. Quindi, si sentì maltrattare da esso, come se fosse un oggetto qualunque, senza ricevere neppure un po' di riguardo, nonostante fosse stato lui a dagli una consistenza fallace. Al termine, però, alla stessa maniera delle volte precedenti, fece sì che la situazione si appianasse a suo favore, dopo averne ripreso le redini ed aver riequilibrato le sorti del loro scontro oltre i confini della realtà. Allora si ritrovò a competere ancora con il bravissimo giovane, il quale, stando al suo ultimo giudizio, si rivelava un avversario molto in gamba e di arduo assoggettamento. Anzi, per certi aspetti, egli si dimostrava anche estremamente pericoloso anche per un mago come lui.
Alla fine Zegovut si rese conto che ogni allucinazione da lui prodotta si risolveva sempre con un totale fallimento. Anzi, si ritorceva perfino contro sé stesso, poiché il suo avveduto avversario si dava a farlo rivivere anche a lui. Per questo motivo, egli smise di provocarne altre, almeno quelle di tipo generico. Andando poi avanti le cose in quella maniera, il mago pensò di assegnare una tattica differente alla sua lotta contro l'inossidabile suo rivale. Secondo lui, ogni essere umano, per atavica ereditarietà, aveva la sua fobia per qualche animale o per qualche situazione, latente o palese che fosse. Essa riusciva a scatenare in lui un panico in nessun modo reprimibile e gli faceva perfino perdere il controllo di sé stesso. Dunque, anche il suo giovane sfidante, all'apparenza tanto sicuro di sé, doveva essere affetto da qualche paura patologica. Per conoscere la sua innata fobia, bastava farlo trovare davanti a diverse situazioni fobiche e vedere a quale di esse egli si sarebbe mostrato positivo, fino a risultarne vulnerabile. Nel qual caso, il protervo avversario sarebbe stato messo alle strette dalla sua fobia congenita. Essa lo avrebbe trasformato in un rottame di uomo, senza più né vigore né voglia di combattere, costringendolo alla definitiva capitolazione. Così, dopo averlo messo in ginocchio, ci sarebbe stata per lui la resa incondizionata e per sé la sicura e meritata vittoria. Di lì a poco, il mago iniziò a far pervenire al suo nemico le sue allucinazioni specifiche, con lo scopo di conoscere quale animale oppure quale fenomeno della natura facesse scatenare la sua fobia connaturale. Facendolo trovare in mezzo ad una invasione di gatti, la sua indifferenza per tali animali lo convinse che il giovane non era affetto da ailurofobia; né i temporali, con i loro tuoni e lampi, dimostrarono che egli era un brontofobo. Pure la cinofobia non si rivelò una sua affezione patologica, visto che neanche i cani gli facevano impressione. Quanto all'acrofobia, la paura di cadere nel vuoto, alla pirofobia, la paura del fuoco, e alla talassofobia, la paura per il mare, esse avevano già dato esito negativo durante le tre allucinazioni generiche precedenti, per averle egli vissute e superate senza problemi. Così pure risultarono infruttuosi gli altri suoi tentativi tendenti a far trovare il giovane di fronte a situazioni scabrose, rivelandosi indenne da ogni fobia ancestrale, che potesse metterlo in seria difficoltà e fargli gettare la spugna.
Alla fine Zegovut fu costretto ad avere un confronto diretto con Iveonte, senza più ricorrere ad artifici allucinogeni, per cercare di avere la meglio su di lui. Così ebbe inizio, tra i due forti contendenti, un combattimento ravvicinato, ossia mente contro mente, pensiero contro pensiero, volontà contro volontà. A volte si faceva addirittura ricorso a forme larvate di ipnotismo, le quali tendevano ad annullare la coscienza nell'avversario, allo scopo di renderlo così un automa rottamato. Allora si assistette a due forze volitive e pienamente coscienti, le quali erano intenzionate a dominare l'una sull'altra, estrinsecando fermezza e determinazione, incrollabilità ed ostinazione, puntigliosità e massima cautela. Si trattava, quindi, di un difficile ed aspro duello mentale, durante il quale un qualsiasi errore era in grado di risultare fatale a chi lo commetteva. Esso poteva essere causato perfino da una piccola distrazione momentanea. Per il quale motivo, entrambi si spremevano le meningi, al fine di trovare il modo di mettere in grave disagio l'avversario e farlo trovare in tal modo in fallo. Ma l'una e l'altra mente si dimostravano rigorosamente allenate a non commettere sbagli e a non farsi trovare in difetto. In quella circostanza di conflitto frontale, il mago si rendeva conto che non c'era alcuna probabilità di spuntarla contro il rivale. Il quale, benché avesse una età più o meno giovane, si dimostrava senza dubbio mentalmente agguerrito e con i nervi ben saldi. A quel punto, il deluso mago, rivolgendosi ad Iveonte, gli disse:
«Non riesco a comprendere come mai in te la forza mentale sia così tenace, da opporsi alla mia con fierezza e senza cedere. Nessuno mai è stato in grado di resistermi come stai facendo tu. Non illuderti, però, poiché conosco il modo di farti crollare con facilità e di ridurti finalmente al mio dominio e al mio signoreggiamento!»
«Se sei convinto di poterlo fare, Zegovut, che cosa aspetti a mettermi in difficoltà e a battermi, come hai affermato? Invece non ci sei riuscito fino adesso, pur mettendocela tutta nel cercare di dominarmi! Ma mi dici come potrai ottenere ciò, se non scorgo alcuna maniera con cui tu possa farlo? Secondo me, i prodromi dell'imminente sconfitta ti stanno dando talmente forte alla testa, da farti iniziare a vaneggiare!»
«Ti sconfiggerò in un modo molto semplice, giovanotto! Andrò a scombussolare il tuo corpo assorto nel vuoto assoluto. La qual cosa provocherà anche alla tua mente un conseguente dissesto. Ma soprattutto arrecherà ad essa la incapacità di elaborare i pensieri e di coordinare le idee, permettendo infine alla mia mente di asservirla indisturbata come desidera! Quindi, prepàrati ad affrontare questa mia nuova strategia!»
«Se vuoi ricorrere a questa scappatoia, mago, io non te lo consiglio. Finiresti per tirarti la zappa sui piedi da solo. Se adesso ti rimane una possibilità di successo; invece, dopo aver messo in pratica quanto hai affermato, per te la fine sarà inevitabile ed avverrà in brevissimo tempo. Mi costringerai a mettere mano all'arma, a cui ti ho accennato prima. Dopo che vi sarò ricorso, in un attimo essa ti spazzerà via dalla tua esistenza reale e da quella irreale, fino a relegarti nell'assoluto oblio di te stesso!»
«Credi davvero, povero illuso, che io prenda sul serio le tue parole? Lo sai anche tu che, non appena avrò ricondotto la tua mente al tuo corpo, per te non ci saranno più speranze di sopravvivere. In quel caso, ne sono certo, ti sconfiggerò all'istante e ti farò venir meno perfino alla tua realtà, quella che ti tiene in vita e ti fa rendere conto di te stesso! Per la quale ragione, in questo momento mi adopererò in questo senso.»
«Fai pure come desideri, incredulo mago! Io ti ho avvertito. Se non lo sai, in casi analoghi, noi esseri umani siamo abituati a dirci: "Uomo avvisato, mezzo salvato!" Ma ci tengo pure a farti presente che dopo non avrai neanche il tempo di pentirtene, visto che chi ha cessato di esistere non può più farlo! Non sei d'accordo anche tu che sarà così?»
«Lo vedremo molto presto, mio caro saputello, che invano tenti di spaventarmi, come se io fossi uno sprovveduto, nato nella giornata di ieri! Invece sei grandemente in errore, a pensarla così!»
Fu a quel punto che Zegovut, intanto che si contrapponeva al rivale sopra Illuxis, andò a smuovergli il corpo nella sua tenda, che era situata nel villaggio drucifino, allo scopo di farlo ricongiungere alla sua mente. Perfino Tionteo e Tillisan, i quali erano di guardia all'esterno di essa, avvertirono dal di fuori il baccano indiavolato che il mago aveva suscitato nella tenda di Iveonte, allo scopo di destarlo. Esso li fece allarmare e li spinse a controllare cosa stesse succedendo nel suo interno. Ma vi trovarono l'eroe già completamente sveglio e con la mente non più nella dimora del mago, come era stato fino a quel momento. Allora egli, sebbene fosse un po' confuso, all'istante si precipitò fuori la sua tenda. Una volta all'esterno di essa, preso subito di mira il castello di Zegovut con il suo anello, gli comandò: "Distruggilo, insieme con il mago che lo ha creato!" Al suo ordine, guizzò da esso un raggio di colore rosso, il quale raggiunse il castello e lo avvolse con la sua energia. Così, in un attimo, lo trasformò in un immenso rogo, fino a provocarne la distruzione totale. Non appena la fortezza del mago sparì dalla cima del monte, tutti i guerrieri drucifini, i quali erano periti per mano dei Cavalieri Ombre e che giacevano sepolti, si ritrovarono vivi e vegeti sopra le rispettive tombe. Invece gli altri, ossia quelli che erano costretti a trasformarsi nottetempo in Cavalieri Ombre a servizio del mago, furono liberati da tale servitù. Avvenute entrambe le cose, Iveonte si rivolse al capo dei Drucifi e gli fece presente:
«Finalmente, Tillisan, il vostro nemico Zegovut è stato sconfitto e distrutto per sempre! Da ora in avanti, il tuo popolo non dovrà più temere le sue diavolerie camuffatrici. Inoltre, i tuoi uomini, che erano rimasti vittime del mago, adesso sono resuscitati e stanno per fare ritorno presso le loro famiglie. Sono guariti anche quelli che erano costretti a diventare Cavalieri Ombre. Perciò, poiché qui la mia opera è terminata, io e il mio amico Tionteo possiamo lasciare il vostro villaggio e raggiungere i nostri uomini. Anche perché dobbiamo riprendere subito il viaggio verso la nostra meta, la quale si trova ancora parecchio lontana. Quindi, non ci resta che darci una salda stretta di mano e lasciarci per sempre!»
«Grazie, Iveonte, per tutto quello che hai fatto per i Drucifi, che riteniamo un dono assai prezioso. Tu resterai in eterno nel nostro cuore e nella nostra mente, essendoti prodigato per noi in modo ammirevole. Che la fortuna ti assista ovunque sarai!»
Quando i due giovani si congedarono dal popolo drucifino, gli abitanti del villaggio vollero festeggiarli, osannarli e riempirli di moltissimi doni, come atto di somma riconoscenza verso il grande eroe forestiero. Il quale, con vero disinteresse e con magnanimo spirito di altruismo, li aveva liberati da disavventura allucinante, che essi avrebbero ricordato per tantissimo tempo. Da quel giorno indimenticabile, da parte loro, i Drucifi smisero di dare alla loro bellissima e ferace valle l'appellativo di "maledetta", poiché non ce n'era più bisogno. Tra di loro, oramai, era ritornata ad esserci una felicità immensa, della quale avevano ricominciato a bearsi a non finire, ritrovandosi essi a vivere di nuovo nella loro Valle Benedetta, quella che era stata un tempo.