289°-IVEONTE ALLENA LA MENTE, PRIMA DI COMPETERE CON ZEGOVUT

Il giorno seguente, di buon mattino, il capo dei Drucifi si recò nella capanna messa a disposizione dei due forestieri. Tillisan intendeva ringraziare Iveonte per proprio conto, oltre che a nome del suo popolo, poiché egli, operando un grande prodigio, era stato in grado di sconfiggere la magia del mago Zegovut. Ma prima del suo arrivo, il Terdibano, rivolgendosi all’amico, gli aveva domandato:

«Non sembra anche a te, Iveonte, che qui ci troviamo di fronte ad un caso analogo a quello già affrontato presso la tribù dei Surcos? Mi riferisco allo sciamano Tonk, il quale si è dimostrato altrettanto bravo nelle sue eccezionali esibizioni! Oppure credi che io mi stia sbagliato nel mettere sullo stesso piano entrambi i personaggi?»

«Invece non è affatto come hai pensato, Tionteo! Nel villaggio surcosino il superstregone evocava le Forze Occulte del Male, facendole intervenire contro le sue vittime ed arrecando ad esse danni concreti e non posticci. Qui il mago Zegovut è impossibilitato a provocare dei mali reali contro chiunque. Egli tesse la sua ragnatela di irrealtà e costringe poi gli sprovveduti a trovarsi dentro di essa, allo scopo di trattarli come desidera. Perciò il mago agisce sempre irrealmente, cioè opera nel suo mondo artefatto ed appiccicoso, senza dare respiro a tutti coloro che cadono nella sua rete di ingannevoli simulazioni. Come vedi, si tratta di tutt’altra roba!»

Fu proprio in quell’istante che Tillisan si presentò ai due amici ospitati dai Drucifi e chiese di colloquiare con il loro eroico ospite. Allora Iveonte, interrompendo la sua conversazione con il Terdibano, lo invitò ad esprimersi in piena libertà. Una volta che ebbe avuto dal suo illustre interlocutore il permesso di parlare, il capo drucifino si diede a riferirgli:

«Stamani, Iveonte, ti reco la gratitudine ufficiale del mio popolo, il quale non sa come disobbligarsi con te, per il grandissimo favore che gli hai fatto questa notte. I Drucifi sono convinti che esso gli risulterà indispensabile, finché Zegovut non si sarà stufato di inviare invano contro di noi i suoi Cavalieri Ombre. Allora vuoi essere tu a farci sapere in quale modo desideri essere ricompensato da noi, come nostro segno di gratitudine per il prezioso servigio che ci hai reso? Attendo la tua risposta!»

«Ringrazia da parte mia il tuo popolo, Tillisan. In merito al mio operato, ti preciso che non c’è bisogno della vostra gratitudine. Devi sapere che mi dichiaro sempre disponibile a favore del mio prossimo, ogni volta che esso diventa vittima della sopraffazione. I Drucifi tengano presente soprattutto che mi metto a disposizione di chiunque necessiti del mio aiuto, senza mai pretendere alcuna ricompensa da parte di chi viene da me beneficiato! Questo mio atteggiamento ha sempre fatto parte della mia condotta.»

«Il tuo raro altruismo ti fa onore, grande Iveonte, e lo si può soltanto ammirare da parte nostra. Comunque, sono qui da te anche per altri motivi; ma credo che tu già li conosca almeno in parte, se non tutti. Volevo informarti che alcuni nodi restano ancora da sciogliersi, in merito alla vertenza che teniamo aperta con il mago nostro oppressore.»

«Questo lo so anch'io, Tillisan. Se non fosse così, il mio amico Tionteo ed io staremmo già lontani dal tuo villaggio, per aver ripreso il nostro interrotto cammino. Quanto ai nodi rimasti, a cui ti sei riferito, essi dovranno essere sciolti da voi stessi, convincendovi che Zegovut è una specie di miraggio e non una realtà, che può influire su di voi effettivamente. Perciò dovrete opporvi a lui, senza cercare di combatterlo, ma soltanto ignorandolo. Vale a dire che non occorre reagire alle sue provocazioni. Al contrario, bisognerà sfidarlo a farvi del male, dal momento che anche ciò non gli sarà possibile neppure un poco. Quindi, badate a difendervi dai suoi prodotti ingannevoli esclusivamente con la mente, assuefacendola a trattarli come cose e fatti inesistenti, che giammai potranno procurarvi qualche tipo di danno! Come vedi, non c'è un altro modo di sconfiggere il mago Zegovut.»

«In maniera particolare, eroico Iveonte, in verità sono venuto da te per domandarti cosa si può fare a favore di quei Drucifi, che sono diventati Cavalieri Ombre e di quegli altri che abbiamo sepolti in passato, per non aver voluto lasciarli al sole e salvarli. Tu hai affermato che l’operato dei Cavalieri Ombre non può essere considerato reale. Mi dici allora in che modo, da parte nostra, possiamo far ritornare in vita quei miei sudditi, i quali un tempo furono prima trucidati da loro e poi seppelliti dai noi?»

«Ti assicuro che un modo ci sarà senza meno, capo Tillisan, per cui ti prometto che lo troverò. Ma sono convinto che ogni cosa si risolverà a suo tempo, non appena avrò eliminato e fatto sparire dalla circolazione Zegovut. Allora vedrai guariti anche i tuoi sudditi diventati Cavalieri Ombre; mentre susciteranno quelli che avete sepolto nei mesi trascorsi!»

«Questa tua bella notizia, Iveonte, mi ha affrancato da ogni triste preoccupazione! Sono certo che tutti i Drucifi l'apprenderanno con grande sollievo, compresi quelli che non sono diventati ancora Cavalieri Ombre. Ma sei certo che potrai distruggere il mago, senza correre alcun rischio? Possiamo contare sulla tua vittoria definitiva su di lui?»

«La sua distruzione, capo Tillisan, non potrà essere opera vostra, considerato che soltanto io potrò ottenerla. Per questo, al momento opportuno, mi adopererò, affinché ciò accada, senza andare incontro a nessun pericolo. Ma adesso dovete pensare ad attuare le sole cose che la tua gente già conosce, delle quali dovrà occuparsi la tua gente! Da me e dal mio amico Tionteo potrà pervenire ad essa il solo aiuto necessario per farle superare quegli ostacoli, che le provengono dall’impatto iniziale con la nuova realtà. Il popolo dovrà acquisirle in fretta e con il dovuto impegno, se non vuole restare vittima a vita dell’azione fallace del mago Zegovut. Quindi, a partire da oggi, dateci sotto e mettetevi subito all’opera!»

Fu a quel punto che ebbe termine la breve discussione tra Iveonte e il capo dei Drucifi. Quest’ultimo invitò poi i due giovani forestieri nella sua dimora, dove la moglie Liusa aveva preparato per loro un’abbondante colazione a base di latte, di miele e di focaccine. La cui consumazione avvenne poco dopo in un clima di brio e di ottimismo, che tutti in quel momento manifestarono, tenendo lontano ogni mestizia.

Eccettuata la pausa del pranzo, la parte restante della giornata fu impiegata dai due giovani amici ad istruire il popolo drucifino a saper fare uso della propria mente e a governarne i pensieri. Nella loro opera istruttiva, innanzitutto essi tesero a fare acquisire ai Drucifi la padronanza di quelli che erano in relazione con i propri stati emozionali. Così essi sarebbero stati in grado di adoperarli anche per opporsi ai pensieri altrui. In special modo, quando questi ultimi avessero tentato di sovrapporsi a quelli loro, allo scopo di plagiarne o di contraffarne subdolamente la sfera psichica e sentimentale! Assolto tale compito, che aveva fatto diventare i Drucifi capaci di difendersi dalle distorsioni della realtà, le quali gli provenivano dal mago, Iveonte si congedò da loro. Egli aveva bisogno di ponderare meglio la situazione, quella che rendeva Zegovut un essere esistente. Ormai aveva deciso di distruggerlo nella sua essenza e nella sua struttura, cioè in quelle componenti che lo facevano esistere unicamente con l'obiettivo di ingannare gli altri. Perciò si avviò, insieme con Tionteo, verso il loro accampamento, il quale non era lontano.

I due amici vi pervennero il giorno successivo, incalzati da un pessimo tempo. Il quale si era dato a diluviare a dirotto e a mostrare la sua tregenda di tuoni e di lampi, che non smettevano di colpire ogni cosa. Giunti infine tra i Lutros, Iveonte volle appartarsi nella sua tenda per darsi allo studio della nuova impresa, che si preparava ad affrontare. Ma un attimo dopo aver iniziato ad indagarla, comprese che l’attuale cimento con il mago si presentava alquanto complesso, rispetto a tutte le altre lotte che aveva affrontate in precedenza. In verità, poteva anche fare a meno di cimentarsi con il mago, facendo intervenire l’anello del divino Kron al posto suo. Agendo in quella maniera, avrebbe annientato in un attimo Zegovut e la sua fantomatica realtà, a cominciare dalla sua dimora. Nel qual caso, però, la sua azione non sarebbe stata degna di un eroe; ma poteva essere intesa come un’autentica fuga in battaglia davanti al suo baldanzoso nemico. Anzi, la si doveva considerare una vera capitolazione vergognosa di fronte a chi imponeva agli altri il suo sporco gioco, dopo averne adulterato la coscienza e confuso la mente. Al contrario, il nostro campione assolutamente non intendeva dare al mago una soddisfazione del genere oppure convincere gli altri che egli non era stato in grado di infliggergli la sconfitta con le sole sue forze. Inoltre, era suo desiderio misurarsi in quell'impresa del tutto diversa dalle altre, che non gli era mai capitato di affrontare prima di allora. Perciò essa La quale a richiedere da lui un differente tipo di bravura, il quale non era quello dell’uso delle armi e delle arti marziali.

Come si prevedeva, questa volta la tenzone, per conquistare la palma della vittoria, esigeva da lui delle doti che appartenevano al suo abito mentale. Perciò essa faceva prevedere che non sarebbero occorse né la forza fisica, né la temerarietà, né le speciali tecniche relative al combattimento con armi oppure a mani nude. All'inverso, sarebbero state utili unicamente le qualità proprie della mente, come l’astuzia, l’intraprendenza e la determinazione. Ma queste potevano dimostrarsi efficaci, soltanto se dirette da un pensiero inarrendevole ed esercitato a contrapporsi validamente alle manovre mistificatrici dell’attività di una mente concorrente. A dire il vero, il giovane, pur avendo la consapevolezza di quelle peculiarità mentali, era dell’idea che l’umano cervello non nasceva disciplinato in tal senso, poiché una disciplina di quel genere veniva da esso acquisita soltanto in seguito ad un allenamento dell'intelletto continuo e scrupoloso. Perciò bisognava prima esercitare la propria mente a considerarla come facente parte del proprio abito, rendendola così una delle sue abituali attività. D'altro canto, sarebbe stato impossibile farle assimilare tale disciplina, se essa non l'avesse prima vissuta in sé, quasi fosse il suo naturale prodotto e il frutto di sé stessa. Ossia, la medesima doveva risultarle un proprio parto oppure qualcosa che era stato enucleato dal suo stesso essere recondito nell'atto di azionarsi realmente.

Se il problema veniva considerato in questi termini, occorrevano anni di duro esercizio mentale, al fine di conseguire una forma mentis con una padronanza assoluta sui propri pensieri. La quale, da parte sua, doveva comprendere anche la facoltà di bloccarli o di sbloccarli parzialmente oppure in toto, a seconda delle necessità del momento. Nel suo caso specifico, Iveonte aveva bisogno di ricorrere ad un corso accelerato, se voleva scontrarsi con il mago prima possibile, avendo a disposizione un tempo abbastanza limitato. Per raggiungere un obiettivo del genere, egli era costretto a calarsi con il pensiero nella propria mente, immedesimarsi con essa, viverla e plasmarla nello stesso tempo, secondo quegli attributi che egli stesso intendeva assegnarle, mentre la indagava in sé. Per cui l'eroe stabilì di conseguirlo, dopo che la notte si fosse calata sul loro campo e tutti si fossero ritirati nelle loro tende per prendervi un profondo sonno.

Così, non appena si fece notte fonda, Iveonte, favorito dal silenzio notturno, assunse la posizione yoga al centro della sua tenda e si dedicò ad una concentrazione intensa. Essa doveva permettergli di accedere agli arcani meandri della mente. Innanzitutto egli badò a spegnervi il ritmo frenetico della sua esistenza fattiva, attivandovi, poco alla volta, la passiva contemplazione del suo essere in stato di quiete. In tal modo, i suoi muscoli si rilassarono, il suo sistema nervoso cessò di erogare sensazioni di ogni specie, la sua coscienza andò incontro all’oblio di sé stessa. In quella maniera, il solo suo spirito rimase a vivere la propria catarsi, in un tuffo senza fine in un’autentica comunione con il mistero della vita. In seguito, pure la sua mente vide allargarsi davanti a sé l’orizzonte della conoscenza; mentre quello dell’ottusa ignoranza vi si andava comprimendo, fino a scomparire totalmente. Una volta che il giovane ebbe raggiunto tale traguardo, i suoi pensieri divennero materiale duttile ed acquiescente, nonché disponibile a mettersi a sua completa disposizione a trecentosessanta gradi. Stando così le cose, egli volle approfittarne ed entrò attivamente nel loro meccanismo. Il quale, a quel punto, gli svelò il grande segreto, quello che gli consentiva di renderli assoggettabili e cavalcabili, allo scopo di guidarli nella direzione da lui desiderata, che era quella considerata la più giusta dalla sua coscienza. Fu come stare insieme con loro, conversare con loro, viaggiare con loro, predisporli secondo i propri fini e i propri gusti, dirigerli nel verso più confacente alla situazione, ricavarne le soluzioni più idonee alla salvaguardia della propria realtà, usarli come roccaforti sicure contro taluni assedi scorretti da parte di qualche intelletto allogeno. Alla fine Iveonte riuscì a guardare in faccia i suoi pensieri, a scrutarli nel loro formarsi ed esplicarsi, a seguirli nel loro sbizzarrirsi in qualsiasi direzione, ad accompagnarli nel loro concedersi a divagazioni di ogni specie, a diventarne l’inseparabile amico, ad aiutarli a protendersi nel regno della vivida immaginazione, a promuoverne il sano sviluppo nelle ampie regioni dell’inconscio. Con grande fatica, inoltre, li avviò perfino alla padronanza di sé e alla guida dei propri impulsi speculativi. I quali si susseguivano come guerrieri, che anelavano a campi di battaglia e di lotta.

Dopo che Iveonte ebbe finito il suo lavoro, che era stato essenzialmente mentale, i suoi pensieri erano divenuti oramai qualcosa di attivo e di dinamico, di stabile e di inattaccabile, oltre che desideri di un volere cosciente. Per questo avrebbero dato degli eccellenti risultati, anche dopo che la bufera delle contraddizioni oppure delle pseudopercezioni, messe in campo dall'opera altrui, li avesse assaliti all'improvviso, facendoli ritrovare in assurde circostanze e in discordanze inimmaginabili. Avvenuta la qual cosa, il giovane imparò a dominare i suoi pensieri, per cui si sentì forte di asservirli al suo potere, di volgerli a sua difesa nei momenti critici, di renderli strali offensivi durante gli stati precari della mente, di ricavarne le armi necessarie per combattere le situazioni anormali dell’intera sfera psichica ed intellettuale, essendo esse dovute a nocivi fattori provenienti dall'esterno. Insomma, li allenò a trasformarsi in baluardi incrollabili di fronte alle insidie più temibili, quelle che sarebbero potute originarsi da eventi di magia invasiva e rivolta a distruggere la sua personalità. Come possiamo renderci conto, quello del nostro eroe era stato un corso straordinariamente accelerato, il quale era durato una nottata intera e gli aveva fatto conoscere la totalità dei misteri della sua mente. Questi, a loro volta, mostrandosi a lui particolarmente generosi, gli avevano svelato le leggi che la regolavano e i segreti per assoggettarla al proprio dominio.

Quando tutto il suo lavorio mentale ebbe termine, si era ai primi chiarori dell’alba. Per questo Iveonte cascava dal sonno e non riusciva più a reggersi in piedi; anzi, non poté fare a meno di tuffarsi sul proprio letto ed addormentarsi in esso profondamente. Quella mattina, per fortuna, anche l'amico Tionteo fu preso da un sonno profondo, per cui riuscì a svegliarsi soltanto verso mezzogiorno. La qual cosa non gli consentì di andare a disturbare il compagno, che aveva appena iniziato a dormire. Non si erano azzardati a destarlo nella sua tenda neppure i timorosi Lutros, non essendoci stato un motivo plausibile a spingerli a farlo. Qualcuno potrebbe insinuare che, a procurare tale beneficio al suo protetto, fosse stata la diva Kronel. Il cui scopo sarebbe stato quello di consentirgli di riposare per il tempo necessario, facendo recuperare le energie al suo fisico depauperato e alla sua mente stremata. Agendo in quella maniera, ammesso che ciò fosse stato vero, ella aveva fatto in modo che, per il resto di quella giornata, il suo eroe non avrebbe accusato nessuna stanchezza ed avrebbe anche evitato di avere le idee confuse.


Una volta che si fu alzato, Tionteo si accorse che era già mezzogiorno. Allora all’istante si precipitò da Iveonte, intenzionato a scusarsi con lui della sua dormita fuori del comune. Ma raggiunta la sua tenda, egli scoprì che anche l'amico era stato preso da un pesante sonno, visto che se la dormiva ancora sul suo giaciglio come un ghiro. La qual cosa lo confortò parecchio, poiché non era stato il solo a destarsi così tardi; ma considerata la tarda ora, il Terdibano non si astenne dallo svegliarlo. Scorgendolo poi che non la smetteva di darsi a continui sbadigli, egli incominciò a fargli presente:

«Lo sai, Iveonte, che anch’io ho aperto gli occhi poco fa e sono corso a scusarmi con te? Ma qui ti ho trovato ancora più addormentato di me, come non ti era mai accaduto prima. Mi dici, amico mio, che cosa è successo a entrambi questa notte? Vorrei proprio saperlo da te, considerato che hai sempre una risposta pronta ad ogni domanda!»

«Probabilmente, Tionteo, a te non sarà successo proprio niente, anche se hai dormito più del solito. Invece io, essendo rimasto sveglio fino all’alba, non ho potuto comportarmi diversamente! Quindi, il dormiglione sei stato soltanto tu, a quanto pare!»

«Dici davvero, Iveonte?! Eppure ignoravo che tu soffrivi di insonnia, siccome non ti ho mai sentito lamentarti di essa con me! Oppure qui la insonnia non c'entra per niente?»

«Ti ho forse riferito che non riuscivo a dormire, amico mio? No, di certo! Ho solo dedicato l’intera nottata ad allenare la mia mente, poiché avevo bisogno di imparare a pilotarne i pensieri. Come ben sai, lo scontro, che presto avrò con il mago Zegovut, sarà diverso dagli altri. Perciò, prima di scontrarmi con lui, ho dovuto affilare quelle armi che fanno parte del mio armamentario mentale. Hai compreso adesso, Tionteo?»

«Allora il tuo compito, Iveonte, non sarà stato affatto facile. Ma non so spiegarmi perché mai anch’io, sebbene stanotte non abbia perduto neppure una goccia di sonno, mi sono ritrovato a dormire come te, fino a metà giornata! Oppure ne conosci il motivo, come al solito? Su, riferiscimelo, se è vero che esso c'è stato nei miei confronti!»

«Credo di saperlo, Tionteo. Si vede che qualcuno, che voleva evitare che tu venissi a destarmi di buon mattino, come fai ogni giorno, per il mio bene ha ritenuto giusto tenere pure te addormentato fino a mezzogiorno! Questa è l’unica risposta plausibile che posso darti, non potendo essercene altre, amico mio! Adesso ti sono stato abbastanza chiaro?»

«Di sicuro sarà stato proprio come hai detto, amico mio. I tuoi protettori anche questa volta hanno avuto cura di te. Perciò non mi hanno permesso di venire a destarti, per il fatto che stamattina avevi un gran bisogno di dormire. Adesso che ci penso, poteva sempre venire Speon a disturbarti il sonno: non sembra anche a te?»

«Ma chi ti dice, Tionteo, che egli sarebbe riuscito ad arrivare fino alla mia tenda, senza che nessuno gli avesse causato qualche accidente qualsiasi, ovviamente lieve?»

«Forse hai ragione, amico mio. A questo punto, però, dal momento che l’ora è quella giusta, ci conviene andare a consumare il pranzo insieme con il nostro amico borchiese e i nostri Lutros. I quali avranno tutti una fame da lupo ed attendono che si cominci a pranzare!»

«Condivido la tua ottima idea, Tionteo, poiché in questo istante sto avvertendo anch'io un mordente languore di stomaco, che desidero mettere a tacere alla svelta! Quindi, sbrighiamoci a raggiungere tutti gli altri e non facciamoli aspettare oltre!»

Una volta presso il gruppo dei Lutros, i quali non vedevano l'ora di mettersi a pranzare, essi furono festosamente salutati da Speon. Egli poi, intanto che consumava il proprio pasto di mezzogiorno con evidenti morsi voraci, fece presente al giovane eroe:

«Lo sai, Iveonte, che stamattina ero intenzionato a venire a trovarti? Comunque, senza una particolare ragione; ma solo per farti una visita di cortesia, essendo desideroso di scambiare due chiacchiere con te, siccome non ne facevamo da tempo.»

«Come mai dopo ci hai ripensato, Speon? Qualcosa forse te lo ha impedito all'ultimo momento? Se non ti dispiace, mi andrebbe di conoscerne il motivo, amico mio! Allora me ne parli?»

«Esatto, Iveonte: è stato precisamente come hai supposto! Mentre uscivo dalla mia tenda alquanto precipitoso, ho avuto un improvviso attacco di gonalgia. Così, bloccandomi il ginocchio destro, essa mi ha fatto cambiare subito idea. Vuol dire che sarà per un'altra volta, amico mio, dal momento che non mancherà l’occasione di farlo!»

«Scommetto, caro Speon,» Tionteo intervenne ad affermargli, esternando un sorrisetto «che l’infiammazione al ginocchio ti è passata a mezzogiorno in punto: né un secondo prima né un secondo dopo! Se mi sono sbagliato, puoi anche correggermi!»

«È stato proprio così, Tionteo! Ma mi dici come fai ad esserne a conoscenza? Non ti sarai mica dato alla magia, dopo che sei stato coinvolto nella realtà di Zegovut!»

«Ma no, Speon, ho solo tirato ad indovinare. Ma ti garantisco che a tale riguardo ne sa di più Iveonte! Puoi fartelo spiegare da lui, se proprio desideri saperlo a tutti i costi!»

«Tionteo, cosa c’entra il nostro amico con il mio dolore e la sua durata? Non vorrai mica prenderti gioco di me? Sappi invece che non ci casco, non essendo uno sciocco!»

«La risposta sarebbe lunga, Speon.» Iveonte lo rassicurò «Perciò la cosa migliore, per il momento, è soprassedere e darci invece al pranzo; altrimenti non ci capiresti nulla!»

La conversazione fra i tre amici terminò lì, per cui in seguito si badò soltanto a consumare il pranzo. Esso, in quel giorno, fu a base di pesce, essendone stato pescato in grande quantità nel vicino lago, il quale si trovava a non più di un miglio dal luogo in cui essi si trovavano accampati. Ma il giorno dopo, accompagnato dall’amico Tionteo, Iveonte ripartì alla volta del villaggio dei Drucifi, poiché desiderava annunciare al popolo drucifino di essere pronto per sfidare Zegovut e per eliminarlo per sempre. Durante il cammino, furono molte le domande che il giovane terdibano volle rivolgergli sul suo imminente scontro con il mago. Da parte sua, Iveonte si limitò a rispondere solo a quelle che ammettevano una risposta rapida. Alle altre, a cui non sapeva rispondere neppure lui, poté solamente far seguire un comprensibile "Non lo so". Per la verità, Tionteo non sapeva quali congetture fare sull’argomento, al fine di prefigurarsi meglio lo scontro, che sarebbe avvenuto a livello mentale fra i due contendenti. Durante il quale, secondo quanto aveva inteso, i pensieri si sarebbero scontrati e combattuti non sempre realmente. Certe volte essi avrebbero condotto una battaglia, che poteva essere germinata soltanto nel fittizio e nel subdolo.

Giunti al villaggio drucifino, Iveonte e Tionteo si diressero all’abitazione del capo. Ma lungo il percorso, capitò ai due giovani di imbattersi in molta gente del luogo, la quale li salutava con gioia e con rispetto, senza esserci alcuna pausa. Il loro capo, invece, non appena li vide entrambi apparire nella sua casa, gli esclamò:

«Ecco delle persone che rivedo volentieri! Specialmente l'apparizione di Iveonte per me uguaglia quella del sole, quando si affaccia ai primi albori del mattino! Vi assicuro che, con le mie sincere parole, non ho inteso incensare nessuno; ma ho voluto soltanto essere grato a colui che, per il mio popolo, ha fatto il massimo che poteva fare e continua a farne altro per liberarci dal mago Zegovut definitivamente. Ve lo giuro!»

Rivolgendosi poi al loro benefattore, con rispetto aggiunse:

«Adesso, Iveonte, mi dici quali nuove rechi a noi Drucifi?»

«Sono qui, Tillisan, per dare a te e al tuo popolo la bella notizia che ho deciso di affrontare Zegovut nel suo castello. Lo combatterò con le sue stesse armi e lo costringerò a porre termine a quelle che per voi rappresentano delle vere diavolerie! Vedrai che vi libererò da lui per sempre, avendo stabilito di affrontarlo e di batterlo!»

«Grazie, Iveonte, per la tua decisione! Ma come farai ad arrivare alla sua dimora, la quale si trova sopra il cocuzzolo di una montagna, i cui fianchi si presentano scoscesi ed impervi? Non trovi anche tu l’ascesa alla sua cima assai complicata, come noi tutti?»

«Vi perverrò allo stesso modo che egli arriva fino a voi, Tillisan. La nostra sarà una guerra condotta sull’onda della mente lungimirante, nella quale i pensieri che ci appartengono saranno i nostri cavalli di battaglia e le nostre armi. Per offenderci, ci scaglieremo contro quelli che più ottundono la mente; per difenderci, ricorreremo a quelli che sanno smascherare di più le ingannevoli concertazioni della stessa. È in questo modo che intendo combatterlo, capo dei Drucifi! Mi ti sono spiegato abbastanza oppure no? Comunque, ne dubito, trattandosi di un argomento arduo!»

«Ad esserti sincero, Iveonte, non ci ho capito un bel niente di quello che hai affermato; ma per me la cosa importante è che tu sappia quello che dici! Invece, da parte mia, posso solo augurarti di avere la fortuna dalla tua parte. I Drucifi non aspettano altro che la disfatta definitiva di Zegovut, dal cui maleficio dipendono ancora molte vite di parenti, di amici e di conoscenti. Mi è permesso chiederti quando lo affronterai esattamente?»

«Competerò con lui questa notte stessa, Tillisan. Di preciso, dopo che egli avrà fatto dare l'ennesimo assalto dai suoi sette Cavalieri della Vendetta. Viaggerò con uno di loro, quando faranno ritorno alla dimora del loro padrone, per essere stati obbligati dal girotondo dei bambini a ritirarsi dalla vostra valle con la coda fra le gambe!»

«Ma se essi e i loro cavalli sono ombre, Iveonte, mi dici come farai a cavalcare una delle sette bestie? In verità, trovo completamente assurdo quanto hai appena asserito! Oppure c’è qualcos'altro che mi sarebbe sfuggito, mentre poc'anzi ti ascoltavo?»

«Non ti avevo detto, Tillisan, che sarà una guerra tra astrazioni mentali? Quindi, farò concentrare la mia mente in tal senso, fino a permettere ad essa di raggiungere il castello del mago e di affrontarlo. Lo so che queste mie rivelazioni non saranno comprese da te, non avendo la cultura adatta per interpretarle. Ad ogni modo, le cose andranno esattamente come ti ho spiegato. Perciò non devi stupirtene.»

«In verità, Iveonte,» gli obiettò Tionteo «anche se ho seguito con attenzione ciò che hai detto, ne ho compreso appena una parte. Perciò ugualmente non sono stato in grado di immedesimarmi con il meccanismo mentale, di cui intendi usufruire per farti trasportare sul castello. Perciò vuoi spiegarti meglio in merito, se non ti chiedo troppo? Anch'io vorrei comprendere bene come desideri affrontare il mago Zegovut.»

«Il tuo errore, come pure quello di Tillisan, caro Tionteo, è quello di ritenere il castello del mago una costruzione concreta e non una fantastica illusione, che egli ha inserito artificiosamente nella vostra mente come reale. Fino a quando esso persisterà in voi, ogni mio linguaggio a tale riguardo vi risulterà ostico ed incomprensibile! Dopo la nuova spiegazione, questa volta il mio discorso vi risulta accessibile oppure fa ancora fatica ad entrarvi nel cervello?»

«Forse hai ragione, Iveonte, amico mio. In noi si è radicata una concezione di Zegovut e dei suoi prodotti molto diversa da quella tua. Per questo potremmo stare qui a discutere per mesi interi, ma lo stesso non ci capaciteremmo dei tuoi ragionamenti. I quali non potrebbero mai collimare con i nostri, i quali sono inadatti a comprendere i tuoi, per la minore preparazione culturale che è dentro di noi. Visto che le cose stanno così, conviene sorvolare su questo argomento ed attendere che il guazzabuglio di stratagemmi fittizi e tendenti all’inganno cessi con la disfatta del mago da parte della tua mente allenata!»

«In un certo senso, Tionteo, è come hai affermato or ora. Non essendo le vostre menti adatte ad immedesimarsi con la mia, che si presenta più esercitata rispetto alla vostra, sarà utile per noi tre troncare qui il discorso e smettere di discuterne ancora per molto!»

La conversazione, fra le tre persone che vi stavano partecipando, si concluse alla fine nel modo che abbiamo visto, naturalmente senza che nessuna di loro ci restasse male nemmeno un poco. Anche perché fra le stesse persone non c’erano stati dei validi motivi che, pur senza volerlo in qualche maniera, avrebbero potuto indirizzarle per assurdo verso l’aperto contrasto oppure verso la gratuita offesa reciproca.