287-LA VENDETTA DI ZEGOVUT CONTRO I DRUCIFI
Non si poteva affermare che la restante nottata era trascorsa all'insegna della serenità. Oramai una certa inquietudine si era impossessata di ogni Drucifo, senza fare sconti a nessuno, finendo per scombussolargli l'animo fino al mattino seguente. Il loro capo Tillisan non l'aveva trascorsa in modo differente dagli altri suoi conterranei. Perciò egli aveva provveduto a convocare subito una nuova assemblea del popolo, prima di mezzogiorno. Durante la seconda riunione popolare, la quale si era occupata dello stesso argomento, l'unico problema di interesse comune era risultato ancora il mago Zegovut. Per cui i Drucifi si erano domandati se dovevano accondiscendere passivamente alle sue due richieste oppure era giusto rifiutarsi energicamente di accettarle entrambe. Allora, come era stato previsto, in essa erano venute ancora a scontrarsi le opposte tesi dei due Drucifi più saggi del villaggio. Come si era espresso nella precedente assemblea, Leviod aveva cercato di mettere in guardia i suoi conterranei dallo sfidare i poteri magici di Zegovut. Secondo lui, essi avrebbero potuto causare ingenti danni al loro popolo. La voce di Verlom, al contrario, nell'assemblea in svolgimento aveva ripreso a tuonare vibrante e forte contro il sedicente mago. Perciò, con tono grave e con decisa determinazione, egli aveva inteso mettere in chiaro a tutti i Drucifi presenti quanto segue:
«Se non vogliamo rimetterci la nostra libertà e la nostra dignità, occorre reagire con la massima fermezza alle folli pretese di Zegovut, il quale rappresenta per noi Drucifi un mago di ignota indole. Per questo non possiamo cedere al ricatto di un mistificatore della realtà, il quale mira ad annientarci come persone dotate di libero arbitrio e come popolo capace di autodeterminarsi. Al contrario, dobbiamo prendere ogni provvedimento possibile per essere noi stessi e non gli esseri che egli vorrebbe che diventassimo, cioè delle autentiche marionette in sua balia.»
Allora il capo Tillisan, udite le sue parole, gli aveva chiesto:
«Quindi, Verlom, a tuo parere non dovremmo temere nulla da parte del mago? Ma se poi ti sbagliassi nel valutare le sue potenzialità effettive? In quel caso ci andrebbe di mezzo il nostro popolo. Non sei d'accordo?»
«Non essendo una divinità, amico mio, al massimo egli potrebbe farci percepire la nostra realtà in modo falsato, fino a contraffarla; giammai, però, sarebbe in grado di trasformarcela realmente e per lungo tempo. Potrebbe anche darsi che egli alla fine riuscirebbe a mistificare la nostra percezione, facendoci avvertire il dolore al posto della gioia, il maltempo al posto del sereno, la morte al posto della vita, il non essere al posto dell'essere, con le annesse sensazioni spiacevoli e sgradevoli. Ma sono convinto che in simili diavolerie, presto o tardi, il suo potere avrebbe termine. Di conseguenza, anche i suoi diabolici marchingegni verrebbero a mancare, per cui lui stesso si darebbe per vinto, lasciandoci finalmente in pace!»
Tillisan, da parte sua, fino all'ultimo si era mostrato ondeggiante tra le opposte tesi perorate dai due illustri personaggi, i quali nel villaggio drucifino erano stimati i luminari della saggezza. Ma poi, poco prima della fine dell'assemblea, nella sua autorevole veste di capo, aveva decretato l'opposizione a oltranza dei Drucifi all'intruso mago. Ciò stava a significare che non bisognava dargliela per vinta; anzi, occorreva che ci fosse una strenua resistenza nei confronti di colui che intendeva privarli della libera volontà di esistere e di agire. A quella sua decisione finale, la vendetta di Zegovut, la quale era già in agguato e pronta a farsi sentire, non si era fatta attendere molto. All'inizio, comunque, essa aveva interessato soltanto la loro sfera percettiva, nel senso che egli aveva messo i Drucifi davanti a tutta una serie di fenomeni incredibili. Questi, pur non accadendo effettivamente, lo stesso venivano percepiti da loro come se essi stessero succedendo per davvero nella loro realtà. Infatti, erano soltanto i loro cinque sensi a percepirli come fatti reali che accadevano intorno a loro e li coinvolgevano, complicando così la loro esistenza. Comunque, fin dall'inizio, i Drucifi si erano resi conto che tale fenomenologia apparente si mostrava inefficace nei confronti dei bambini, che avevano una età inferiore agli otto anni. Perciò, quelli che non avevano ancora superato i sette anni non la rilevavano e continuavano a scorgere la realtà identica a sé stessa. Solamente loro conducevano una esistenza non intaccata da qualche problema o handicap proveniente dagli ingegnosi artifici del mago Zegovut.
La pioggia battente aveva costituito il primo fenomeno visivo e tattile, che era venuto ad investire gli abitanti della valle. Esso si era presentato già il giorno successivo alla loro seconda assemblea popolare. La caduta dell'acqua si era data a protrarsi per lunghi giorni ed era parso alla parte dei Drucifi interessati che essa non volesse più smettere. Per la qual cosa, tali abitanti erano stati obbligati ad astenersi da ogni lavoro campestre. Si era trattato di una pioggia a dirotto, la quale sembrava che riuscisse perfino a bagnarli, quando gli stessi non si trovavano al coperto. Dal canto loro, i bambini, che non superavano i sette anni ed erano in grado di parlare, asserivano ai loro genitori e ai loro fratelli che non stava affatto piovendo. Inoltre, cercavano di convincerli in ogni maniera possibile che non c'era alcuna pioggia in atto, per cui essa né diluviava dal cielo né cadeva sul loro villaggio. Ma anche insistevano a dire che il firmamento era azzurro e che in esso non c'era neppure una nuvola di passaggio; al contrario, vi brillava un sole splendido e radioso. A dire il vero, anche se essi lo affermavano con sicurezza, per i grandi non cambiava proprio niente, poiché ugualmente i loro genitori seguitavano a vedere la pioggia scendere fitta e copiosa giù dall'alto. Essa li faceva sentire bagnati, tutte le volte che si esponevamo alla sua abbondante e scrosciante acqua che veniva giù dal cielo. Trascorsi dieci giorni assillanti di fittizia ed ininterrotta pioggia, alla fine il piovoso fenomeno era cessato nel villaggio drucifino. Soltanto a quel punto era ritornato ad esserci ovunque l'auspicato bel tempo per la totalità dei suoi abitanti. E non solo per i bambini aventi meno di otto anni!
Disgraziatamente, però, con la fine delle posticce piogge torrenziali, le tribolazioni non erano venute meno in tutti i Drucifi. Esse erano continuate a restarci, a causa delle frequenti e disastrose alluvioni. Ai poveretti era sembrato che i loro numerosi ruscelli si fossero prima ingrossati a mo' di torrenti in piena e dopo avessero debordato, dilagando per l'intera valle. I Drucifi erano convinti che ne era responsabile l'abbondante pioggia dei giorni scorsi, sebbene essa fosse stata senza dubbio irreale. Le ripetute ondate di acqua si erano rivelate peggiori della trascorsa piovosità, siccome li avevano messi a dura prova. I poveretti si erano scorti annegare, avevano avvertito i sintomi prodotti dall'affogamento, fino a sentire la stessa morte insinuarsi in loro tra agghiaccianti sensazioni di soffocamento. Invece dopo si ritrovavano ad essere ancora vivi; ma unicamente per ridiventare vittime del loro nemico, cioè intenti a lottare di nuovo contro le invaditrici acque tracimate. Esse irrompevano in ogni luogo con la loro furia devastatrice, la quale non concedeva tregua alcuna. Quanto alle inondazioni, che potevano unicamente apparire distruttive, le si erano viste protrarsi per un tempo imprecisato. Ad ogni modo, le medesime avevano avuto una durata ridotta, rispetto a quella della pioggia.
Il fenomeno del fuoco era stato quello che maggiormente aveva messo i Drucifi a dura prova. La preoccupazione di salvare le loro case, operazione che li aveva fatti prendere per matti dai loro bambini; nonché le continue scottature, che le finte fiamme provocavano a tutti loro, arrecavano agli stessi una sofferenza non di poco conto e lancinante al massimo. Per gli sventurati, la situazione peggiorava ulteriormente, quando ne venivano bruciati, siccome la dissoluzione del loro corpo operata dalle fiamme avveniva nel terrore più spasmodico, tra urla disperate e fra atroci tormenti. Anche la loro psiche, tra mille sensazioni dolorose, si sentiva sopraffatta dalle lingue di fuoco, poiché era parso che le medesime volessero procurare ad essa lo sfascio di tutte le sue facoltà percettive e subcoscienti. Per loro fortuna, la spaventosa esperienza del fuoco aveva avuto una durata breve; ma era già pronta a subentrare ad essa la furia del vento. La quale si sarebbe dimostrata altrettanto rovinosa, ma sempre alle persone adulte e ai ragazzi che avevano una età superiore ai sette anni.
In relazione alla massa d'aria, la quale si era data ad investire i Drucifi poco dopo la prova del fuoco, essa si era rivelata di una violenza insostenibile, essendo somigliata a quella di una tromba d'aria, che colpiva con reiterazione il loro villaggio. Da parte dei suoi abitanti, perciò, non c'era stata alcuna possibilità di tenersi appigliati a qualche sostegno di fortuna, dal momento che essi ne erano stati strappati dalle raffiche ventose, quasi fossero stati dei fili d'erba. Quando ciò non si era verificato, gli stessi erano stati sbatacchiati da esse con violenza e senza riguardo. A volte era capitato ai disgraziati di venire trascinati via con il loro sostegno, il quale era stato trattato alla medesima stregua. In altre circostanze, invece, il vento si era trasformato in un vortice imbutiforme verticale. In quel caso, però, esso aveva risucchiato le proprie vittime attraverso il suo stretto canale. Giunte poi alla sua cima, esse avevano avuto l'impressione che il loro corpo subisse un totale smembramento. Per il quale fatto, avevano avuto la sensazione che le loro varie parti organiche venissero disseminate nei posti più disparati della loro vasta regione.
Dopo che si era esaurita anche quella arrivata per quarta, erano cessate le orride esperienze fenomeniche del mago. Costui aveva voluto somministrarle ai derelitti Drucifi, allo scopo di rendere la loro esistenza il più insopportabile possibile. Ma era da veri ingenui, da parte loro, illudersi che il proprio nemico avesse rinunciato a maltrattarli ulteriormente, poiché Zegovut già andava meditando per loro qualcos'altro di peggio. La loro nuova punizione, oltre ad apparire alla categoria interessata stupefacente e assai raccapricciante, avrebbe dovuto avere una durata molto più lunga. Si era trattato dell'apparizione dei Cavalieri Ombre, i quali continuavano ancora a dilagare per la Valle Maledetta. Il cui fenomeno strabiliante si era dato ad impressionare i Drucifi in maniera assai sconfortante.
Erano trascorsi soltanto tre giorni dalla fine delle esperienze sensitive contraffatte dal mago e vissute dai Drucifi come se fossero state reali, allorché durante la quarta notte nel loro villaggio si era verificato qualcosa di diverso. Questa volta, però, il suo intervento non aveva più fatto presa sulla loro componente sensoriale; invece esso, senza che i disavventurati se ne avvedessero, si era dato ad operare capziosamente sul loro inconscio. Ad essere più esplicito, il mago Zegovut aveva pensato di impegnarli in una lotta infinita contro degli autentici mulini a vento, anche se le loro perdite, almeno in apparenza, si dimostravano ai loro occhi praticamente effettive. Così, in quella macabra notte, egli aveva scatenato contro il loro villaggio i suoi sette Cavalieri Ombre, da lui denominati Cavalieri della Vendetta. Costoro, che avevano iniziato a seminare dappertutto un terrore da fine del mondo, a parte le orrende figure che essi rappresentavano, producevano tutt'intorno a loro una fenomenologia psichedelica terrificante. Essa, senza nessuna difficoltà, avrebbe anche potuto provocare un infarto in qualche persona, che fosse risultata sofferente di cuore.
Tale rappresentazione fenomenologica, la quale già si rivelava causa di enorme spavento nelle persone adulte, riusciva a provocare il massimo terrore nei bambini, poiché essa questa volta coinvolgeva pure tali innocenti creature. Difatti ne straziava l'animo, ne dilaniava lo spirito, ne agghiacciava il cuore, ne conturbava la mente, li dava in pasto a preoccupanti esplosioni di pianto e di intenso delirio. I Drucifi, da parte loro, spiavano gli intrusi portaguai dall'interno delle loro abitazioni, attraverso spiragli occasionali; ma non si azzardavano a mettere la testa all'esterno di esse. Per loro fortuna, i Cavalieri della Vendetta non osavano entrarvi, al fine di renderli vittime della loro incursione notturna. All'alba, le loro tremebonde scorribande, che avevano mirato a suscitare tra gli abitanti del villaggio un timor panico, finalmente avevano smesso di esistere. Allora, in preda all'apprensione, i Drucifi si erano riversati fuori, intenzionati ad assistere agli effetti catastrofici che erano stati provocati dall'ipotetico finimondo creato da loro. Invece essi avevano constatato che nel loro villaggio ogni cosa era rimasta intatta al suo posto e nessun oggetto ne era stato rimosso.
Trascorsa una mezzora, il drucifino Porun era andato a riferire ai suoi conterranei che, poco distante dal villaggio, aveva trovato sette corpi dei loro uomini che si presentavano decapitati e con il tronco tranciato a metà con un taglio netto. Mentre osservava esterrefatto i loro corpi smembrati, essi erano stati raggiunti dai raggi solari. A quel punto, li aveva visti ricomporsi dopo qualche istante e ritornare così ad essere le stesse persone intere di prima. Quando poi i sette Drucifi resuscitati si erano ripresentati nel villaggio, tutti i conterranei non avevano perso tempo ad accalcarsi intorno a loro per farsi raccontare l'incredibile esperienza negativa che avevano vissuto. Allora essi gli chiarirono tutto ciò che avevano provato, dopo che c'era stato l'impatto spiacevole con i loro sette sterminatori.
Dalla notte successiva, i sette cavalieri del mago avevano iniziato ad aumentare di numero; ogni notte se ne aggiungevano altri, senza che nessuno sapesse spiegarsene il motivo. Si conosceva solo che alcune donne del villaggio, facendosi delle confidenze tra di loro, si erano confessate le medesime cose. Una volta era capitato ad alcune di svegliarsi dopo la mezzanotte; ma erano rimaste sorprese dal fatto che i propri mariti non dormivano nel letto coniugale, accanto a loro. Ma poi li avevano visti rientrare dopo il sorgere del sole. Le mogli allora avevano giustificato la loro assenza, ritenendoli impegnati nelle ore notturne a combattere contro i tremendi Cavalieri Ombre inviate dal mago Zegovut. In seguito, un'altra donna drucifina aveva anche scoperto per caso che il consorte, con l'arrivo della mezzanotte, si trasformava in Cavaliere Ombra. Veniva perfino a prelevarlo fuori casa un rampante destriero nero, il quale doveva servirgli per compiere le sue incursioni nel loro stesso villaggio. Quando quest'ultima notizia era trapelata dall'ambito familiare, il fantasioso Farinuz, il quale aveva sempre avuto il pallino dei numeri, non ci aveva messo molto a trarre le conclusioni. Egli, però, aveva dovuto documentarsi presso le varie famiglie del villaggio, prima di dare per certa la sua teoria. Ebbene, secondo quanto era riuscito ad appurare, il numero dei Cavalieri Ombre, partito da sette unità, i quali erano quelli originali, in seguito era andato progressivamente raddoppiando da una notte all'altra, facendolo diventare più numeroso.
Per sventura dei Drucifi, successivamente i fantomatici cavalieri avevano iniziato anche a fare irruzione nelle abitazioni drucifine, dove assalivano i soli uomini che avevano una età compresa tra i venti e i quarant'anni. Ma i loro familiari, al mattino, avevano l'accortezza di esporre i loro corpi sezionati ai raggi solari, facendoli ritornare di nuovo vivi e vegeti come lo erano prima. A tale proposito, era stato ancora Farinuz ad avanzare l'ipotesi che era permesso entrare nelle abitazioni soltanto a quei Drucifi che erano divenuti Cavalieri Ombre con il solito rituale. Quindi, l'ingresso era consentito a tutti loro, tranne che ai sette Cavalieri della Vendetta. Allora il fratello Remsus, avendo studiato bene il caso, infine era riuscito a trovare un espediente per non farli entrare più nelle abitazioni. Secondo lui, per tenere i Cavalieri Ombre lontani da esse, bastava appendere alla porta di casa una ciocca di crini di cavallo. Così la sua teoria, essendosi dimostrata esatta, era stata messa in pratica da ogni famiglia.
Dopo la decima notte di invasione da parte dei Cavalieri Ombre, secondo i calcoli dello stesso Farinuz, il loro numero era salito a tremilacinquecentottantaquattro unità. Tale notizia aveva allarmato il capo dei Drucifi, cioè Tillisan. Allora egli, dopo aver armato un esercito di diecimila soldati, aveva deciso di affrontare i loro nemici nottivaghi nella piana, che era situata a qualche miglio dal villaggio. Anzi, volendo sgominarli prima che essi diventassero più numerosi ed incontrollabili, già prima della mezzanotte aveva spiegato il suo esercito su un fronte che era lungo pressoché un chilometro. Quando poi era giunta l'ora fatale, non si era presentato ai suoi soldati il previsto squadrone di cavalleria. Invece, distanziati più di cento metri l'uno dall'altro, erano apparsi di fronte a loro i soli sette Cavalieri della Vendetta, ciascuno dei quali aveva alle proprie spalle una fila di cinquecentoundici cavalli. Quando poi i cavalieri capifila avevano impartito l'ordine, le bardate bestie, facendo udire il loro nitrito, erano avanzate in direzione dell'esercito drucifino. Alla fine, le medesime si erano arrestate, allineandosi davanti ad esso. All'inizio, i soldati drucifini non avevano compreso il significato della presenza nella valle di quei numerosi cavalli senza cavalieri. Poco dopo, però, quando dalle proprie file si erano staccati altrettanti loro commilitoni per andare a raggiungerli e a cavalcarli, la cosa gli era apparsa lampante come la luce del sole. Anche perché i soldati disertori, a mano a mano che salivano in groppa ai rispettivi cavalli, divenivano automaticamente dei perfetti Cavalieri Ombre. Comunque, anche dopo le massicce defezioni, i Drucifi erano risultati il doppio dei nemici che avevano di fronte, per cui potevano ancora sperare in una loro vittoria.
Lo scontro era avvenuto sotto il luminoso chiarore di una splendida luna piena. Allora sul luogo della battaglia si era assistito a qualcosa di così sinistro e spaventevole, da non essere descrivibile in qualche modo, non potendo esserci termini appropriati per farlo. Le acrobazie belliche dei Cavalieri Ombre si mostravano ingenti ed impressionanti, poiché esse venivano accompagnate anche da fragori reboanti e da luci spettrali. I soldati drucifini, nonostante si battessero strenuamente, nulla potevano contro simili nemici, che non potevano essere colpiti. Tutti i colpi, che essi spedivano ad ognuno di loro, risultavano come dati a delle sagome di fumo prive di un proprio corpo, siccome non si facevano né trafiggere né abbattere. Invece i colpi dei Cavalieri Ombre si rivelavano efficaci contro di loro e non smettevano di mietere molte vittime fra i nemici!
Ad un certo momento, i numerosi cavalieri della notte avevano abbandonato il campo di battaglia ed erano scomparsi nel nulla, poiché ciascuno aveva già dato il proprio contributo al suo signore Zegovut. Infatti, ad ogni Cavaliere Ombra era consentito di far fuori un solo avversario per notte. La qual cosa spiegava anche il motivo per cui il loro numero finiva per raddoppiare in continuazione durante ciascuna nottata. Alla fine, l'esercito drucifino, dopo aver subito tremilacinquecentosettantasette defezioni ed avere avuto tremilacinquecentottantaquattro caduti sul campo di battaglia, era calato a duemilanovecentotrentanove soldati, tra la disperazione dei loro commilitoni. Di fronte a tale massacro di guerrieri, il capo Tillisan, volendo evitare che il sole li riportasse nuovamente in vita, facendoli diventare altri Cavalieri Ombre, aveva deliberato che essi venissero seppelliti prima del suo sorgere all'orizzonte, negando così a tutti loro la possibilità di ritornare a vivere, anche se con una esistenza notturna da Cavaliere Ombra. A tale proposito, bisogna far presente che la sua decisione non era stata condivisa da molti suoi soldati. Costoro avevano giustificato la loro presa di posizione contraria al fatto che, anche se di notte diventavano Cavalieri Ombre, almeno durante il giorno i soldati uccisi erano in grado di condurre una vita normale, senza essere di nocumento a nessuno: né ai loro consanguinei né ai loro conterranei. Inoltre, vivendo accanto ai loro familiari, essi restavano all'oscuro della loro esistenza notturna, la quale era quella che li costringeva ad agire di notte contro la propria gente nella loro più piena incoscienza.
Dopo quel caso, il quale era stato aperto dal capo del villaggio in persona, i Drucifi si erano divisi in due correnti, quella dei sepoltisti e quella dei soleisti. I primi, capeggiati dal saggio Verlom, sostenevano che la sepoltura delle persone uccise dai Cavalieri Ombre le metteva in condizione di non diventare loro simili e di non ingrossare le loro file. I soleisti, dal canto loro, volevano che i corpi mutilati di tali persone venissero esposti al sole e fatti ritornare in vita. Così facendo, se un domani Zegovut non fosse stato più in grado di far fronte alla propria magia per un qualsiasi motivo, si sarebbe potuto sperare in un loro ritorno ad una vita normale. Al contrario, non la medesima cosa si sarebbe potuto avere a vantaggio di coloro che fossero stati lasciati ad imputridire sottoterra, facendoli in quella maniera morire realmente, anziché in modo fittizio, come avveniva. Quanto a Tillisan, essendo stata sua l'idea di fare seppellire i soldati uccisi dai Cavalieri Ombre, egli si era schierato dalla parte dei sepoltisti. Perciò, facendo pesare la sua autorevolezza di capo, aveva imposto nel villaggio l'obbligo rigoroso di dare sepoltura ai malcapitati che diventavano Cavalieri Ombre. Ovviamente, alcune vittime dei cavalieri notturni sfuggivano al controllo dei sepoltisti, in quanto i raggi del sole le raggiungevano, prima che esse venissero scoperte dai loro parenti o da amici e conoscenti. In quel caso, ritornati ad essere di nuovo le persone che erano in precedenza, grazie all'irraggiamento solare, rientravano nelle loro case, come se nulla fosse successo ai loro corpi. Comunque, i loro familiari non potevano accorgersi in qualche modo di quanto era accaduto agli sventurati loro parenti stretti, non essendo stato ancora trovato nessun espediente che potesse far scoprire in ognuno di loro la già avvenuta trasformazione in Cavaliere Ombra.
Era trascorso quasi un anno di incursioni notturne da parte dei cavalieri del mago, i quali adesso riuscivano a fare soltanto rare vittime, allorché i Drucifi erano pervenuti ad una nuova scoperta sul loro conto. Essi, se di notte incontravano all'aperto donne o maschi di età non compresa tra i venti e i quarant'anni, non li facevano oggetto di un loro assalto. Anzi, si comportavano nei loro confronti come se neppure li vedessero. Il popolo drucifino non era mai riuscito a comprendere quel loro differente atteggiamento nei riguardi di tali abitanti del villaggio. Gli stessi Verlom e Leviod si erano chiesti se si trattasse di un gesto di generosità da parte di Zegovut verso quella categoria di persone oppure c'era qualcosa in loro che rendeva il mago impotente ad agire.
I soleisti, che erano capitanati dal saggio Leviod, dopo aver perso la loro prima battaglia circa la destinazione da assegnare alle vittime dei Cavalieri Ombre, conservando il medesimo nome, in seguito si erano dati anche a propugnare la resa del popolo drucifino a Zegovut. A loro parere, se i Drucifi avessero accettato le condizioni del potente mago, costui, come riconoscimento di tale loro presa di posizione, si sarebbe potuto mostrare clemente verso di loro. Così non ci sarebbero stati più i Cavalieri Ombre e le notti avrebbero ripreso ad essere tranquille come un tempo, permettendo al loro sonno un andamento fisiologico sereno e senza più alcun disturbo. Anche nella loro nuova lotta, i soleisti trovavano negli ex sepoltisti degli oppositori per niente malleabili. Costoro, infatti, non smettevano di difendere le loro idee libertarie, impegnandosi a non arrendersi mai al nemico, fino alla morte.
Un giorno i soleisti, pur rappresentando la minoranza, avevano deciso di ignorare il verdetto della maggioranza e scavalcare così la stessa autorità del loro capo. Perciò, dopo essersi recati nella sede che in precedenza era stata indicata da Zegovut, vi avevano edificato l'altare sacrificale, proprio come da lui richiesto nella sua seconda apparizione. A quella loro provocazione, dopo che essi lo avevano costruito, gli ex sepoltisti lo avevano demolito all'istante. Per fortuna, tra i fautori di entrambe le correnti, non era scoppiata alcuna lite e non si era venuti alle mani. Almeno in questo le due opposte fazioni dei Drucifi si erano dimostrate d'accordo. Esse, ispirandosi alla ragionevolezza, si erano rese conto che avevano già abbastanza guai per conto loro, per permettersi anche il lusso di fare a botte tra di loro, con l'immensa felicità dello scaltro mago.
Zegovut, naturalmente, non l'aveva pensata allo stesso modo loro, poiché egli avrebbe desiderato il confronto fisico tra i due opposti schieramenti drucifini. Allora aveva deliberato di risolvere la questione alla sua maniera e vendicarsi così in altro modo di quel mancato tafferuglio tra le due fazioni contrapposte. Perciò era intervenuto a confondere le loro menti e ad alterarne profondamente i contenuti. Da quel momento, quindi, ogni Drucifo non doveva più rammentare chi fosse, dove si trovasse e che cosa facesse in quel luogo. Subito dopo, infatti, ad ognuno di loro sembrava di essere in un paese ignoto e di muoversi tra gente sconosciuta, proprio come se fosse un estraneo in mezzo a tante persone ignote. Tutti si rivolgevano domande che non avevano alcun senso; come pure si davano risposte campate in aria. Inoltre, correvano e si rincorrevano senza uno scopo ben preciso. Insomma, li si scorgevano andare alla deriva nel mare della pura follia, tra le onde del quale i controsensi più assurdi la facevano da veri padroni. Soltanto con il ritorno del tramonto, essi avevano recuperato le loro facoltà mentali ed avevano potuto finalmente rendersi conto di nuovo della loro realtà. Per questo si erano affrettati a far ritorno al loro villaggio, accomunati ancora dal senso patriottico. Infatti, in quella delicata e spinosa vicenda, esso si faceva avvertire da loro abbastanza forte ed irrinunciabile, come non lo era mai stato nel tempo passato.
Dopo quella circostanza, nessuno dei Drucifi presenti era riuscito a spiegarsi come fosse potuto accadere in loro un fatto del genere, il quale aveva finito per sconquassare la loro mente fino a farli sragionare. Quanto ai soleisti, da quel momento in poi, essi avevano deciso di allinearsi al pensiero dominante della maggioranza. Per questo nel villaggio tutti gli abitanti avevano iniziato a vederla alla stessa maniera, manifestando un atteggiamento irriducibile ed inarrendevole nei confronti delle pretese del mago. Tale decisione aveva riportato tra la popolazione l'armonia e la concordia, di cui essa avvertiva un gran bisogno, essendo venute meno ad opera del mago. Le quali cose le occorrevano per sopravvivere nel ciclone perturbatore, a cui aveva dato origine il loro nemico comune, ossia il mago Zegovut.
Da quel lontano giorno, erano trascorsi più di due decenni; ma le cose non erano cambiate nel villaggio drucifino. Le notti avevano seguitato ad essere le medesime per i suoi abitanti. Esse erano restate quelle che il mago aveva voluto che fossero, pur di intossicare l'esistenza dei Drucifi e di vendicarsi del loro rifiuto opposto alla sua proposta. La quale intendeva farli diventare dei suoi adoratori devoti e degli autentici fantocci nelle sue mani, sempre pronti ad ubbidire a tutti gli ordini da lui emanati.