283°-IVEONTE ALLE PRESE CON LO SCIAMANO TONK

Dopo che lo stregone surcosino ebbe invitato il loro capotribù a presentarsi davanti al Consiglio degli Assennati, il convocato non mostrò alcuna intenzione di dargli retta, facendo meravigliare moltissimo tutti quelli che erano presenti. Inoltre, fu visto togliersi la fascia che indossava attorno alla cintola e bendarsi poi con essa gli occhi con molta accuratezza, fermandola con un nodo dietro la nuca. In verità, simultaneamente, pure l’amico Trasco, mostrando altrettanta pacatezza, si era comportato allo stesso modo suo. Quando poi entrambi ebbero terminato di fasciarsi il capo nella maniera che è stata chiarita, lo sciamano Tonk, agitando al cielo la sua verga ossea, si mise ad urlare forte: "Che la notte sorprenda alla sprovvista tutti voi che siete presenti; inoltre, essa vi assalga con i raccapriccianti fantasmi delle forze occulte! Ciò dovrà avvenire, perché sono io ad ordinarlo!" Questa volta lo sciamano non aveva richiesto la sola presenza della notte; con essa egli aveva evocato anche gli spiriti maligni. Inoltre, non si era astenuto dall’invitarli a renderla orridamente spettrale e a farla rivivere con il massimo terrore a quanti si trovavano in quello spiazzo. Allora, in seguito ai comandi imperiosi del grande cultore di magia nera, Iveonte si ritrovò davanti ad un delirio di massa, dal quale risultavano immuni soltanto lui, Onco e Trasco. Questi ultimi, qualche minuto dopo che c’erano state le parole dello sciamano, si erano affrettati a privarsi della fascia che gli copriva entrambi gli occhi.

Adesso la moltitudine dei deliranti era intenta sia a strofinarsi gli occhi con le mani, sia ad agitare le braccia in ogni direzione; ma soprattutto vaneggiava ed appariva in preda ad un terrore folle. Invece i loro piedi continuavano a restare inchiodati nel medesimo posto, come se fossero rimasti incollati al suolo. Infatti, le vittime di quello strano fenomeno non riuscivano a staccarli da terra, allo scopo di spostarsi da quel luogo e di scappare via. Perciò esse non erano in grado di precipitarsi in una qualsiasi direzione, con l'obiettivo di sfuggire a ciò che stava accadendo a tutte loro in quel luogo, essendo esso divenuto praticamente invivibile. Quanto ai restanti movimenti, come le flessioni, i piegamenti, i dondolii, i rovesciamenti, le contorsioni, nonché le abduzioni e le adduzioni degli arti superiori, essi venivano regolarmente effettuati dalle persone presenti e si mostravano consoni all'agghiacciante circostanza. Durante la quale, i diversi atteggiamenti motori del corpo non erano i soli ad interessare le persone presenti sul piazzale, siccome anche i loro volti palesavano una serie di manifestazioni mimiche, che non erano affatto belle a vedersi. Esse davano l'esatta cognizione del sinistro e tragico dramma interiore, che i poveretti stavano vivendo con la massima angoscia. Anche le loro grida di panico collettivo contribuivano ad aggravare l'atmosfera infernale, che era venuta a crearsi nelle persone colpite dal maleficio di Tonk, dal momento che pure quelle si presentavano maledettamente conturbanti e scioccanti. Più o meno, esse erano similari alle seguenti: "Andate via da noi e lasciateci in pace, orridi esseri infernali! Permetteteci di fuggire da voi e di trasferirci in qualche altra parte, dove esiste la serenità! Qualcuno, per favore, ci aiuti a liberarci da questi mostri orribili, poiché non vogliamo soggiacere ai loro assalti!" Da parte sua, Iveonte non riusciva a captare o a concepire in qualche maniera ciò che realmente stava causando alle altre persone presenti, fatta eccezione di Onco e di Trasco, quegli strani atteggiamenti da terrore panico. Era possibile venire a conoscenza con quale tipo di esperienza negativa stavano avendo a che fare i numerosi succubi della magia nera, quella che lo sciamano triassino stava applicando nei loro confronti? Si poteva scommettere che essi ne stavano vivendo qualcuna diabolicamente drammatica, che tra poco cercheremo di comprendere alla meglio, quando ci addentreremo in essa e la seguiremo nella sua irreale esplicazione.

Prima, però, è giusto rammentare chi era Tonk, dato che in precedenza già lo abbiamo incontrato nel corso della nostra storia. Ebbene, egli era nato dallo sciamano Erkus e dalla moglie Safiad con un parto gemellare. Da grande, non andando d’accordo con il gemello Turpov, anch’egli potente sciamano come lui, aveva lasciato la casa paterna e se n’era venuto a vivere nel villaggio dei Triassi. Riguardo al suo gemello, di lui già ci siamo occupati nella vicenda relativa a Rindella, nella quale è dovuto intervenire ancora Iveonte. Costui, per salvarla dal suo tremendo maleficio, ha dovuto uccidere Turpov con l’ausilio del suo anello portentoso. Adesso che abbiamo fatto menzione del recente passato del nostro attuale personaggio di spicco, possiamo dedicarci all'orrido squarcio, che è venuto ad interessare la nostra storia, presentandola in un certo senso per niente godibile.

Le parole dello sciamano, dunque, avevano rappresentato per i presenti, ad eccezione delle persone summenzionate, l'input per una nuova esistenza, la quale non poteva essere che fittizia. Essa, però, lo stesso si rivelava capace di suscitare realmente in ognuno di loro impressioni e sensazioni gelide e rivoltanti, le quali andavano a colpire i loro destinatari. Ecco perché lo stato di agitazione e di costernazione, che si aveva nelle vittime, finiva per infliggere alle stesse dei danni psichici e spirituali abbastanza considerevoli, considerato che essi erano da stimarsi effettivi e non immaginari. All'improvviso, Tonk aveva fatto ritrovare tutti gli astanti in una differente realtà, la quale all'inizio era stata soggiogata solo da una semplice notte; ma che ora si stava manifestando lugubre sotto ogni aspetto. Erano sbucati fuori da qualsiasi angolo di essa degli spettri di diverse dimensioni e di varie forme, nonché vestiti di ogni tipo di orrore e mutevoli nella loro dovizia di colori. Perciò si presentavano cangianti nei loro assalti e nei loro subitanei indietreggiamenti. Ciascuno, volendo inquadrare ancora meglio la situazione, non era sempre uguale a sé stesso, per il fatto che di continuo andava assumendo forme, dimensioni e colori mai uguali. Agendo in quel modo, ossia con le sue orride trasformazioni nei tre aspetti specificati, lo spettro riusciva ad incutere lo spavento più insopportabile alla vittima che aveva prescelta. Così ne lesionava tanto il fisico quanto la psiche, oltre che straziarne lo spirito in maniera inconcepibile.

Nel momento attuale, quegli esseri mostruosi, i quali erano gli spiriti di creature immonde, in una sarabanda da raccapriccio, si davano a scombussolare la vita di tante persone. Per cui esse erano rimaste intrappolate in quel lembo di esistenza abnorme, il quale poteva durare soltanto per un certo tempo. In tutte loro, perciò, lo spavento era inimmaginabile, risultava uno sfascio per la loro coscienza, un frangente per la loro psiche ed uno schianto per il loro spirito. Per questo, nel loro intimo, le paure, i patemi e le fibrillazioni esistenziali si susseguivano ad ogni istante, si moltiplicavano e si intensificavano in un crescendo incredibile da cardiopalmo. Le fughe e gli inseguimenti si reiteravano senza sosta, mettendo in risalto il contrasto esistente tra le vittime-prede e gli spettri-cacciatori. Questi ultimi, ricercando parvenze e fogge sempre più orripilanti e conturbanti, riuscivano a trasmettere incubi da inferno in coloro che perseguitavano sinistramente.

Dinanzi a quel delirio collettivo, il quale vedeva coinvolti anche l'amico Tionteo e i due autorevoli Moian, Iveonte, in un primo momento, cercò di comprenderci qualcosa di più. Egli, però, si mostrava sempre più convinto che le cause di esso andavano ricercate nel misterioso sciamano. Costui, secondo lui, aveva voluto produrlo appositamente, anche se non se ne conosceva la vera ragione. Allora l'eroe, prima di appurare i meccanismi a cui Tonk ricorreva per produrre tale suggestione collettiva, intendeva rendersi conto a quale scopo il protettore di Onco e di Trasco aveva dato origine a quell'evento diabolico. Alla fine si convinse che, durante quell'arcana circostanza, di sicuro c’era da aspettarsi qualche fatto disonesto, da parte di chi ne era stato l'autore oppure di coloro che lo avevano assunto per farglielo attuare. Ma cosa sarebbe avvenuto a momenti? Quando e in quale maniera di preciso la loro nefanda azione sarebbe stata messa in atto?

Adesso, siccome Iveonte era interamente coperto dai corpi di Tionteo, di Gudra e di Bulius, sia lo sciamano che i suoi due assuntori non si erano accorti che gli effetti della magia nera non stavano avendo alcuno effetto su di lui. Per la quale ragione, tutti e tre continuarono a portare avanti il loro truce intento, senza preoccuparsi minimamente di qualcun altro che pure esisteva intorno a loro, senza venirne soggiogato. Poco dopo, quindi, Tonk invitò Onco e Trasco ad agire come convenuto, dal momento che essi non correvano più alcun rischio di venire lesi dalla sua magia. In pari tempo, li spronò a portare a termine celermente il loro progetto di sangue, ossia prima che i suoi effetti si esaurissero fino all'ultimo nelle altre persone. Allora i due ignobili amici, tenendo le loro spade bene sguainate, si diedero a raggiungere Gudra e la sua scorta con la malvagia intenzione di sorprenderli nel loro stato di trance e di trucidarli, senza che da parte dei suoi destinatari ci potesse essere neppure la minima reazione. Iveonte, da parte sua, avendo compreso i reali intenti dei tre farabutti, si adoperò senza indugio per prevenirli. Per questo, dopo aver tirato fuori il suo arco ed avervi collocato sopra una freccia, con un tono di voce abbastanza fiero, intimò ad entrambi con risolutezza:

«Fermi lì dove siete, esseri imbelli della peggiore specie! Vi avverto che, se fate un ulteriore passo in avanti, verrete all’istante spacciati da me! Né intendo ripetervelo una seconda volta!»

Onco e Trasco, nel rendersi conto con rammarico che l'influsso malefico della magia nera non aveva sortito alcun effetto proprio sulla persona che doveva risultare il loro principale obiettivo, in un primo momento rimasero di stucco e molto contrariati. Poco dopo essi rivolsero il loro sguardo deluso verso il luogo dove avevano lasciato lo sciamano. Infatti, volevano chiedergli con gli occhi come mai la sua stregoneria nera aveva risparmiato la persona che in quella circostanza sarebbe dovuta essere colpita più di tutte le altre. Ma Tonk, che era rimasto non meno sorpreso di loro, oltre che tremendamente furibondo, senza indugio fu tentato di scagliargli addosso un nuovo e più potente maleficio. Questa volta, però, esso non poteva essere messo in atto dalla sua magia nera, se prima non veniva a scemare ogni più piccola traccia di quello che attualmente era già in corso in quel posto e che egli controllava con molta cura. Nel frattempo, Iveonte, pur tenendo sotto tiro Trasco e Onco, andava cercando il modo di liberare tutti gli altri poveretti presenti che apparivano degli automi, totalmente vittime della sofferenza. Prima aveva anche tentato, con ripetuti scuotimenti, di fare ritornare in sé l'amico Tionteo; però aveva fatto cilecca, poiché egli aveva seguitato a restare assente dalla realtà.

Alla fine il giovane ipotizzò che, se avesse ucciso lo sciamano, di sicuro quella gente avrebbe smesso di venire influenzata dalla sua magia. Così, senza avere alcuno scrupolo, dopo aver mirato abbastanza bene con l'arco alla fronte dello stregone, fece partire il dardo micidiale, centrandola giusto nel mezzo. Allora, avendo accusato il colpo mortale, lo sciamano, mostrandosi con la freccia conficcata nella parte anatomica indicata sopra, subito fu visto piegarsi verso terra e piombare al suolo privato dell’essenza vitale, tra la grande delusione dell’uno e dell’altro infame nemico di Gudra. A quel punto, la morte dello sciamano riportò alla loro esistenza reale le molte persone, che prima venivano soggiogate dalla sua magia. Perciò le si videro ridestarsi da un lungo torpore, apparendo stanche nel fisico e fiaccate nello spirito, come se avessero sostenuto una spossante fatica. In pochi attimi, in verità, esse recuperarono le energie di prima e si poté anche ricominciare a ragionare con tutte loro. Le medesime persone, avendo riacquistato perfino la memoria dei fatti precedenti al maleficio, adesso si andavano domandando cosa mai fosse successo al terribile sciamano e perché Onco si mostrasse ancora restio a discolparsi. Ma ormai non era più necessario accertare la sua colpevolezza perché, dopo quanto era accaduto, essa era nota a tutti, tanto ai Surcos quanto ai Moian. Inoltre, ciascuno dei presenti aveva preso coscienza che anche Trasco, in quanto suo complice perverso, era indubbiamente colpevole.

Poco dopo, al posto del loro capo, fu invece Iveonte a presentarsi davanti al Consiglio degli Assennati. Così iniziò a rivelare ai suoi membri e a quanti erano presenti il marchingegno ideato dai due sciagurati amici ai danni della comitiva moianese, ovviamente con la correità dello sciamano. Per fortuna, la magia malefica di Tonk non aveva funzionato su di lui, la qual cosa gli aveva consentito di sventare il complotto di Onco e di Trasco, fermandoli ed uccidendo pure l'autore della magia. Era stata l'eliminazione fisica dello sciamano a far venir meno l’effetto del maligno incantesimo sulle persone presenti e a permettere il loro ritorno alla normalità. Quando poi ebbe finito di raccontare ciò che era accaduto, intanto che erano in preda alla magia, tutti i Surcos si rivoltarono contro Onco. Lo ritennero un essere abietto e indegno di essere il loro capo. Anche il Consiglio degli Assennati si espresse duramente nei suoi confronti, concludendo alla fine che non valeva neppure la pena giudicarlo con un regolare processo. Per questo decise di accogliere con favore la richiesta che era stata fatta dal nobile capo dei Moian, rappresentato dal saggio Gudra. Allora l'atteggiamento ostile della folla e l'esecrazione manifestata dall'autorevole consiglio con la forza sprezzante di un anatema, avevano trovato la loro giustificazione nel gruppo dei Moian e nei loro amici forestieri. Invece si opposero ad esse i loro destinatari, benché apparissero in quel momento confusi, pusillanimi e svergognati davanti all'opinione pubblica. Essi, se non potevano più riabilitarsi agli occhi della gente, speravano almeno di riuscire a cavarsela nel loro duello contro il rivale, salvando in quel modo la pelle.

Alla luce dei recenti eventi, il Consiglio degli Assennati fu costretto a consultarsi di nuovo, dovendo deliberare in merito allo scontro che era stato già approvato prima. Esso desiderava apportare una modifica alla delibera precedente, ma solo per ciò che riguardava il suo valore e il suo significato. Così, dopo una breve consultazione, lo stregone Scopius si presentò ancora al pubblico e chiarì, con le sue nuove parole, quale sarebbe stato adesso lo scopo dei due singoli duelli: "Che tutti i Surcos sappiano che il nostro consiglio, il quale già aveva fatto propria la volontà di Gudra di battersi a singolar tenzone con Onco e con Trasco per punirli dei torti da loro subiti, ritiene giusto che tali scontri non vengano più considerati delle prove ordaliche. Ciò significa che, qualunque sarà l'esito dei due cimenti, il giudizio su Onco e Trasco rimarrà lo stesso. Per tale motivo, anche se essi riuscissero a scampare alla vendetta del capo moianese e a sopravvivere allo scontro, continuerebbe a pesare la punizione su entrambe le teste. Sarà questo consiglio, in un secondo momento, a comminare per loro due la pena che riterrà più appropriata!" Allora la totalità degli astanti accolse con favore le nuove decisioni del Consiglio degli Assennati, considerandole giuste e sagge. Per cui essi si diedero ad applaudirle con soddisfazione e con fervida partecipazione, a causa dell’equanime provvedimento.


Nel frattempo che continuavano ad esserci i tanti applausi tra il numeroso pubblico presente, un episodio inconcepibile, che nessuno dei presenti si sarebbe mai aspettato, venne a raffreddare gli animi della gente e a gettarli in uno sbigottimento assai deprimente. All’improvviso, fu scorto lo sciamano, che tutti oramai giustamente davano per morto a causa del suo pessimo stato di salute, compiere delle cose che nessun’altra persona estinta avrebbe saputo fare. Egli fu visto prima alzarsi in piedi, poi afferrare con la mano destra la freccia, che in precedenza gli aveva penetrato l’osso coronale, ed infine sconficcarsela con uno strappo energico. Dopo essersi estratto il dardo dalla regione frontale, seguirono su di essa la sparizione del foro provocato dalla saetta e il totale rimarginamento della ferita. A quel prodigio inimmaginabile, i soli Onco e Trasco se ne rallegrarono un mondo; anzi, furono scorti andare letteralmente in visibilio. Non appena poi furono passati i momenti di gioia, il capo dei Surcos, rivolgendosi allo sciamano che era ritornato in vita da poco tempo, si diede a gridargli forte:

«Bravo, Tonk! Se sei stato capace di sconfiggere la morte, ciò vuol dire che sei una vera potenza! Perciò ti invito ad ammazzare come cani rognosi quanti assistono al processo promosso contro di me, allo scopo di condannarmi e di punirmi! Ma non dimenticarti che essi, nessuno eccettuato, sono dei nostri acerrimi nemici, per cui vanno tutti eliminati!»

«Onco, rammenterò quanto hai voluto farmi presente!» gli rispose lo sciamano «Per questo a tutti darò il benservito con un assaggio della mia potenza e della mia furia. Prima, però, è mio desiderio impartire una lezione coi fiocchi a colui che ha osato colpirmi con malaccortezza! In questo modo, egli si renderà conto di cosa sono capace e quali forze immani sono in grado di scatenare contro coloro che osano imprudentemente sfidarmi!»

Poco dopo, rivolgendo i suoi occhi rabbiosi nella direzione dove si trovava Iveonte ed assumendo in pari tempo una espressione diabolica, lo sciamano cominciò ad urlargli: “Che i quattro elementi della natura ti assalgano con la loro violenza più disastrosa e ti annientino come fuscello insignificante in balia della tormenta! Nell’assalirti, la terra, dopo essersi squarciata sotto i tuoi piedi, ti risucchi in una delle sue tetre voragini e ti rinchiuda poi nelle sue viscere tenebrose! Se essa non ci riuscirà, allora l'acqua diventi grandine spessa, ti sfracelli e ti scortichi! Oppure sia il fuoco a circondarti con il suo abbraccio divoratore e ti trasformi in cenere! Altrimenti sarà l'aria, dopo essersi trasformata in un soffio ciclonico, a sconvolgerti l'esistenza e ad inveire mortalmente nei tuoi confronti! Ecco casa io ordino ai Geni del Male, affinché ciò avvenga senza meno!"

Non appena il sadico Tonk ebbe terminato di minacciare e di imprecare contro di lui, Iveonte invitò i suoi amici e i membri del Consiglio degli Assennati a stare alla larga dalla sua persona, tenendosi a debita distanza. Altrimenti anche loro sarebbero stati coinvolti dagli effetti nocivi e malvagi dei Geni del Male. Essi, infatti, sarebbero provenuti dallo sciamano contro di lui, poiché sarebbero stati originati dalla sua pratica di attività stregonesche e di mediazioni diaboliche. Allora, senza farselo dire due volte, tali persone si fecero da parte nel minor tempo possibile, ad evitare di venirne implicate. Quando poi tutti i presenti si tennero ad una distanza ragionevole dai due straordinari contendenti, lo sciamano si diede a sparare per primo tutte le sue cartucce, cercando di demolire le difese dell’umano eroe mediante la malia, i sortilegi, gli incantesimi e i malefici. I quali sarebbero dovuti diventare reali attraverso i quattro elementi naturali, che erano la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria. Essi si sarebbero dovuti trasformare nelle piaghe più terribili ai danni del suo nemico. Iveonte oramai era considerato da lui non solo uno strenuo guerriero, ma anche un essere immunizzato in parte contro gli effetti letali della sua magia nera. In merito a ciò, egli non riusciva a spiegarsi da chi o da cosa gli derivasse una immunizzazione di quel tipo. La quale sfidava vittoriosamente perfino i Geni del Male!

Dall'elemento terra, Tonk pretese delle fortissime scosse sismiche. Perciò esse iniziarono a smuovere il suolo sotto i piedi del giovane eroe, facendolo traballare bruscamente in continuazione. Ma Iveonte sapeva destreggiarsi benissimo, mostrandosi agile nel saltare da una striscia di terra all'altra, evitando così di essere inghiottito da qualcuna delle crepe, che si andavano formando di continuo nella terra sotto i suoi piedi. Alla fine, dopo una stressante lotta contro quella sorta di magia, si vide lasciare in pace dal terremoto provocato dal suo terribile nemico. Subito dopo, però, sempre dietro le indicazioni dello sciamano, toccò all'elemento acqua dimostrare di saper fare di meglio contro il giovane. Perciò si videro cadere dei chicchi di grandine della grossezza di un'arancia da quella parte del cielo che era posizionata sopra il giovane, dopo essersi del tutto rabbruscata in un attimo. Nel frattempo, oltre ai pezzi di ghiaccio, gli si addensavano intorno fulmini e tuoni. I primi, con i loro bagliori quasi accecanti, abbacinavano gli occhi e rendevano la zona circostante veramente grottesca. Invece i secondi, con i loro boati fragorosi ed assordanti, la trasformavano in un teatro di scoppi rumorosi. Essi risultavano assai lesivi dell'udito di quanti erano presenti, se non si coprivano bene con le mani i padiglioni auricolari.

Si può sapere come si difendeva Iveonte da quella gragnola di enormi chicchi di ghiaccio, i quali si erano messi a tempestare sopra il suo capo con una intensità impossibile, oltre ad essere capaci di provocare gravi danni alle cose e alle persone? Ebbene, in quel flagello inconsueto, il giovane, una volta alzato il braccio in alto con la spada in pugno, si era dato ad agitare l'arma come un vortice. Allora, ad un certo punto, il suo movimento vorticoso era diventato così rapido, da rendere invisibili sia il proprio braccio che la sua spada. Quel roteare continuo dell'uno e dell'altra riusciva ad intercettare e a scagliare altrove la grandine, la quale era diretta incessantemente contro il suo corpo. Comportandosi in quel modo, esso faceva evitare al giovane di venire colpito da essa in quelle sue parti, che sarebbero potute risultare più nevralgiche a quella nuova sorta di offesa. Senza meno, con quel tipo di espediente che veniva a costargli una immane fatica, alla fine Iveonte riuscì ad arginare anche la seconda piaga del perfido sciamano. Se i suoi grandi sforzi si fossero dimostrati insufficienti a tener testa al cento per cento a quella diavoleria del rivale, di sicuro ci avrebbe pensato la sua spada, ossia Kronel, a portare avanti il lavoro per la restante percentuale mancante. Per sua fortuna, le ingenti scaglie nevose, dopo essere piombate al suolo, non avevano vita lunga, siccome si scioglievano in brevissimo tempo. Se non fosse stato così, esse avrebbero potuto seppellire il nostro eroe sotto un cumulo soverchiante di solido ghiaccio.

Mentre Iveonte si batteva da vittorioso contro le malvagie insidie dello sciamano triassino, tutti i presenti tifavano per lui e gioivano a non finire per il suo egregio modo di difendersi. In maniera diversa, invece, reagivano Onco, Trasco e Tonk, i quali si andavano rodendo il fegato. Essi, di fronte all'abilità e alle strategie a cui ricorreva il guerriero forestiero per sopravvivere, si vedevano frustrare le loro inique attese.

Avendo fallito il suo obiettivo anche con l'elemento acqua, lo sciamano credette di rifarsi con il fuoco. Secondo lui, esso si dimostrava qualcosa che offriva scarse possibilità di difesa a colui che ne veniva attaccato. Così sarebbe stato, anche quando a sperimentarlo fosse stata una persona in gamba quanto il suo attuale rivale. Repentinamente, perciò, egli fece ritrovare Iveonte circondato da una massa ignea, la quale lo rese all'istante invisibile agli occhi di tutti, a causa della quantità di fuoco che adesso lo avvolgeva da ogni parte. Infatti, ciascuna persona presente riusciva a scorgere soltanto un grande falò che bruciava intorno a lui, facendo partire da sé molte volubili lingue di colore arancione. A quello spettacolo terrificante, la maggior parte degli astanti credette che per l'intrepido guerriero fosse giunta la fine, per cui abbastanza presto il suo corpo sarebbe stato trasformato dalle fiamme in un mucchio di cenere. Perciò lo stregone Bulius non si esimette dall’esprimere il proprio rammarico ad alta voce, dicendo:

«Povero giovane! Egli non meritava affatto una morte così miseranda, avendo dato prova di essere il migliore dei guerrieri! Il guaio è che, dopo che avrà ucciso lui, Tonk deciderà di distruggere anche noi, pur di soddisfare la grande sete di vendetta di Onco e di Trasco. Scommetto che essi stanno aspettando con ansia proprio questo momento!»

In verità, neanche Tionteo riusciva a capacitarsi di quel fenomeno e si chiedeva cosa stesse succedendo in mezzo a quel blocco di fuoco fiammante. Ma pur trepidando in quel momento per l'amico, non disperava della sua salvezza, sapendo per certo che egli era protetto da entità divine potenti. Le quali certamente non si sarebbero lasciate impressionare da uno sciamano da strapazzo. Perciò, benché manifestasse un animo trepido, intervenne a rassicurare l'afflitto stregone moianese, parlandogli così:

«Non abbatterti come stai facendo, Bulius, poiché la cosa non è come ti appare! Vedrai che Iveonte non si farà sconfiggere dal fuoco, che presto si arrenderà e lo lascerà di nuovo libero. Sappi, inoltre, che il mio amico, se avesse voluto, già avrebbe disintegrato da tempo Tonk! E sai perché non lo ha ancora fatto? Esclusivamente per il gusto di divertirsi con lui, volendo vederlo armeggiare, senza mai raggiungere alcun risultato! Dopo che gli avrà dimostrato di essere lui il più forte e che le sue magie non possono prevalere sulla sua persona, ti garantisco che il nostro eroe eliminerà il suo prepotente avversario e i suoi Geni del Male!»

Alcuni attimi dopo, infatti, dando ragione al Terdibano, il fuoco iniziò a ritrarsi e a sparire; mentre Iveonte, tra la meraviglia di tutti, riappariva integro e trionfante. Egli si mostrava pronto ad affrontare altre diavolerie dello sciamano, almeno fino a quando avesse retto la sua pazienza! Invece Tonk, non essendo intenzionato ad arrendersi, si preparava già a ricorrere all'elemento aria per cercare di batterlo con esso in modo definitivo. Ma bisognava vedere se egli ci sarebbe riuscito, dopo aver sempre fallito!

Come aveva fatto Iveonte a difendersi dal fuoco? Come mai non ne era stato bruciato ed annientato? La risposta è molto semplice. Era stato l'anello a formare tutt'intorno a lui uno spazio refrigerante, il quale era risultato invalicabile da ogni elemento naturale e, quindi, anche dall'imbattibile fuoco. Per questo motivo, il giovane eroe, per l'intero tempo che era rimasto in quella specie di campana protettiva, aveva avvertito perfino un senso di dolce refrigerio, il quale gli era derivato da essa, senza mai venir meno!

L'elemento aria, che sembrava dovesse dimostrarsi il meno rischioso dei quattro, a causa della sua minore consistenza, venne a rivelarsi invece quello con maggiore pericolosità. Esso, con le sue burrasche e i suoi fortunali, riusciva a sommuovere le acque degli oceani; con le sue tormente e le sue bufere, faceva sollevare smisurate quantità di neve; con le sue tempeste e i suoi uragani, sconvolgeva e trasformava in una ridda furiosa vaste aree boschive e forestali; con i suoi cicloni e i suoi tifoni, si presentava una potenza distruttiva per tutti gli esseri, fossero essi animati o inanimati. Per questo lo sciamano era ricorso a tale elemento per ultimo, essendo sicuro che esso non avrebbe affatto fallito, se i precedenti tre elementi naturali lo avessero deluso. Pure Iveonte molto presto se ne sarebbe convinto, dato che i catastrofici effetti dell'aria divenuta rabbiosa lo avrebbero raggiunto e aggredito con la loro furia inusitata, pronta a spazzarlo via per sempre.

All'improvviso, il cielo si rabbuffò e parve che stesse esplodendo in una tempesta di insolita violenza. A quel cambiamento meteorologico, il giovane avvertì che Tonk era in procinto di caricarlo con un suo ennesimo intervento diabolico. Avendo egli già fatto riferimento ai quattro elementi, non fu difficile al nostro eroe prevedere quale sarebbe stato la natura del suo nuovo assalto. Perciò gli occorreva per necessità un sostegno a cui tenersi appigliato, dovendo egli resistere alle raffiche prepotenti del rapinoso vento in arrivo, allo scopo di non farsi portare via dalla loro violenza. Per ottenere qualcosa di simile, egli prese la sua spada e, con entrambe le mani, prima la sollevò più in alto possibile con la punta rivolta verso il basso e poi le impresse una spinta energica per conficcarla nel terreno. Allora l'arma, lasciando fuori di esso la sola elsa, sprofondò per l'intera sua lama nel suolo, dove rimase rigida ed inestirpabile per qualsiasi forza esistente.

Quando infine venne a scatenarsi l'irresistibile movimento d'aria intorno a lui, Iveonte, stando ginocchioni, si afferrò saldamente alla sua impugnatura. Da quell'istante, il giovane venne costretto a porre la massima resistenza alle scudisciate del nemboso vento. Esso, nelle sue vicinanze, aveva iniziato ad esprimersi con una forza sommamente distruttiva. L'accompagnavano un urlio ed un mugghio fortemente rumorosi ed assordanti, oltre che frastornante. I quali tendevano ad atterrirlo con il loro macabro rituale espresso dal binomio fragore-aeromoto. In verità, la sconvolgente massa di aria, sebbene gli si agitasse intorno con la massima prepotenza, non riusciva né a spaventarlo né a scardinarlo dalla sua stretta, allo scopo di trascinarselo via. Infatti, sia la spada che la presa del giovane si mostravano entrambe tenaci ed inoffensibili. Per questo nessun movimento aeriforme, anche il più gagliardo ed inarrestabile, poteva indebolire la loro tenuta ed averla vinta tanto con l'una quanto con l'altra. Così le varie correnti, sia quelle ascensionali che discensionali, dovettero desistere, fino a scemare del tutto intorno a lui. In pari tempo, vennero meno i frastuoni, quelli che prima erano originati dal tempestoso infuriare dei rabbiosi venti.

A quel punto, Iveonte finalmente poté riprendere fiato e scuotersi di dosso gli acciacchi che gli aveva provocato il veemente ciclone. Questa volta, a ogni modo, egli era intenzionato a farla finita con l'ignobile sciamano, non essendo più disposto a tollerare gli ingenti disagi che gli provenivano delle sue stregonerie. Perciò, mostrandosi molto sdegnato, gli si rivolse, gridando: "Che cessino qui per sempre i tuoi malefici poteri, sciamano Tonk! Adesso tocca a te saggiare la mia stizza, soccombere ad essa e venirne disintegrato sia nel corpo che nello spirito!" Dopo aver pronunciato tali parole sdegnose, il giovane eroe rivolse il suo anello contro di lui e, contemporaneamente, gli comandò: "Annientalo e fallo sparire dalla faccia della terra!" A quell’ordine perentorio, senza indugio alcuno, l'oggetto anulare passò ad ubbidirgli. Perciò lo si vide emettere un raggio bluastro, il quale raggiunse direttamente lo sciamano triassino e lo avvolse in una grande fiammata divoratrice. Quando infine l'ammasso di fiamme si fu dileguato, nessuno più poté scorgere Tonk in una qualsiasi parte e in una qualsiasi essenza. Oramai egli era sparito dalla circolazione e mai più lo si sarebbe visto in giro a fare del male alla gente con la sua demoniaca magia nera.