278°-IVEONTE SCONFIGGE I MONKI E LIBERA KUANDA

Iveonte fu colto da una grande stupefazione, non appena venne a contatto con l’alta tecnologia monkiana. Provò perfino a pronosticare quando essa sarebbe stata raggiunta dai Terrestri, ma fu obbligato a ricorrere a frazioni di tempo dell’ordine dei millenni. Ad ogni modo, lo stupore non poté restare a lungo in lui, poiché era sceso lì sotto con lo scopo preciso di liberare Kuanda e gli altri prigionieri che avesse trovato ancora vivi. Perciò evitò di rimanere a meravigliarsi a lungo del progresso scientifico e tecnologico dei loro carnefici, dal momento che si era ripromesso di cancellarli dalla faccia della terra. Innanzitutto il nostro eroe si affrettò a farsi accompagnare da Tungo alla cella dei guerrieri del padre. In quel luogo, il ragazzo, prima di ogni cosa, recuperò un congegno elettronico da una nicchia murale di forma circolare, la quale era aperta solamente nella sua metà superiore. Dopo, servendosi di esso, fece spalancare la grata della cella. A quel punto, intanto che Iveonte teneva sotto controllo la situazione all’esterno di essa, egli vi entrò e svegliò i guerrieri che vi si trovavano ancora e li esortò a seguirli senza fare domande. Allontanandosi da quel luogo, essi incontrarono lungo il medesimo corridoio altre due celle gremite di persone catturate, il cui numero complessivo poteva aggirarsi intorno alle cinquanta unità. Allora, servendosi dello stesso aggeggio, Iveonte e il ragazzo non trovarono difficoltà a fare spalancare le loro celle e a liberare coloro che vi erano tenuti prigionieri. Con grande sorpresa del nostro eroe, tra quelli che avevano appena liberati, si trovavano anche Iapuo e Vantua, i due smilzi Lutros che qualche giorno prima erano spariti dal loro campo.

Alla fine, tutti insieme, pervennero alla piattaforma circolare, dove Iveonte ordinò al ragazzo di far risalire in superficie quanti erano stati liberati e di restarci pure lui, fino a quando non vi fosse ritornato con la sorella Kuanda. L’adolescente moianese, però, dopo essersi fatto legare alla vita con l’altro capo della corda, ridiscese con la piattaforma. Quando infine il piano mobile si adagiò sulla superficie dell’interrato, egli, lasciandolo in quella posizione, si lasciò tirare su con il canapo che lo teneva legato. Tungo aveva agito in quella maniera, unicamente perché voleva che la piattaforma circolare venisse lasciata a disposizione del valoroso Iveonte e della germana Kuanda, nel caso che loro due venissero costretti ad una fuga precipitosa. Invece per Tionteo, quella dell'adolescente era stata una precauzione che non poteva avere alcun senso, in quanto il suo amico giammai si sarebbe trovato nella situazione da lui assurdamente ipotizzata, non essendo abituato a scappare davanti a niente e a nessuno.

Dopo che si fu ritrovato solo lì sotto, Iveonte si diede a vagare per i vari corridoi, avendo come meta la sala delle trasfusioni. Per raggiungerla, egli si lasciava guidare dalle sfrenate percussioni operate dai Monki sui loro surriscaldati tamburi, imboccando ogni volta quelli che gliele facevano avvertire più forti. Anche in tale circostanza, quando svoltava l’angolo per immettersi in un nuovo corridoio, il giovane eroe non dimenticava di riprodurre con la sua spada una specie di freccia direzionale sopra una delle pareti di quello che aveva appena abbandonato. Essa avrebbe dovuto indicargli la direzione da cui era venuto, ossia quella che lo avrebbe riportato all’uscita del dedalo di ramificazioni, che stava percorrendo nella dimora degli alieni. Nel frattempo l’intensità acustica del frastuono prodotto dagli assordanti tamburi si andava incrementando sempre di più. Anzi, ad un certo punto, essa si trasformò in un rumore così fragoroso, che quasi spaccava i timpani degli ascoltatori. Allora il giovane comprese che si trovava ormai a pochi passi dalla sala dei tre troni, dalla quale proveniva il cancan delle frementi danze degli alieni. Perciò si preparò ad irrompere in mezzo a loro con la furia di un tornado e con la fierezza di un leone. Oramai era intenzionato a seminarvi il terrore e la morte, senza che essi avessero neppure il tempo di rendersene conto, considerato che quella gente risultava abbastanza pericolosa per gli abitanti dei villaggi circostanti.

L’imbattibile eroe decise di non fare uso dei poteri dell’anello e della spada, almeno nella lotta contro i verdognoli extraterrestri. Egli era convinto che le sue eccezionali prerogative che aveva nella scherma e nelle arti marziali, da sole, gli avrebbero già permesso di neutralizzare le loro armi e di sgominarli facilmente. Tale convinzione gli proveniva soprattutto dal fatto che egli stava avendo a che fare con avversari interamente a digiuno nella pratica di combattimento sia corpo a corpo che all’arma bianca. Per questo non gli serviva ricorrere all’uno e all’altra. Ma poco prima che Iveonte irrompesse nella sala ovale, gli animi dei Monki erano in piena frenesia, che eccitava i loro corpi e li incitava ad una indiavolata ridda di movimenti esuberanti e scoordinati al massimo. Perciò ben presto l'apparizione del giovane avrebbe scatenato in mezzo alla loro tregenda tumultuosa un vero cataclisma. Il quale, com'era facile prefigurarsi, si sarebbe estrinsecato in una esplosione sincrona delle forze della natura, intese queste nella loro gagliarda attività sommamente violentatrice e distruttrice. Difatti, quando irruppe in mezzo a loro, Iveonte risultò come un baleno agli occhi degli alieni, i quali non se lo aspettavano così repentino, sconvolgente e micidiale. Nessuno dei presenti riuscì a distinguere bene la sua irruzione, intanto che si effettuava all'interno di squarci spaziali poco nitidi. Anzi, non fu neppure in grado di coglierla tra una frazione temporale e l’altra, anche se minime, essendosi queste ultime dimostrate in quel momento né percettibili né intercettabili in qualche modo. Un fatto del genere si ebbe, specialmente quando i risultati della sua furia incominciarono a dimostrarsi reali e tangibili in quel loro tramenio scatenato! Saltando qua e là con movimenti, che gli occhi dei nemici facevano fatica a seguire e ad inquadrare, il giovane eroe improvvisava in ogni spazio comparse ed incursioni incredibili. Per questo, intorno alla sua persona, esse continuavano a produrre a decine sia mutilazioni che morti. Comportandosi in quella maniera, egli provocava un grande sbaraglio e un enorme sbandamento tra gli attoniti Monki. Costoro non avevano nemmeno la possibilità di prendere di mira l’indomito avversario con le loro micidiali armi laser. Ma i pochi che riuscivano a fare fuoco finivano ogni volta per colpire ed uccidere gli appartenenti alla loro stessa razza.

Mentre ciò avveniva, le femmine degli alieni e i più giovani che non si davano a combattere, dopo essersi rifugiati in prossimità dei troni, adesso assistevano esterrefatti ai prodigi dell’impavido guerriero. Il quale andava innescando nella sala delle trasfusioni carneficine inverosimili tra i loro combattenti maschi. Questi, nonostante fossero dotati di armi sofisticate, erano costretti a capitolare di fronte alle gesta inimitabili dello strenuo guerriero umano. Esse si mostravano capaci di rendere vane perfino le loro armi prestigiose, impedendogli di esprimersi con il loro effetto lesivo. Infatti, grazie alla sua conoscenza delle arti marziali, Iveonte attuava tra gli attoniti Monki acrobazie straordinarie, le quali gli permettevano di spostarsi da un punto all’altro della sala con una velocità impressionante, la quale lo faceva apparire come se volasse. Quando poi rimetteva i piedi a terra, egli tornava a ritrasformarsi in un giustiziere impietoso nel gruppo dei suoi avversari, dove avveniva la sua improvvisa e punitiva presenza. Così si dava a sterminarli e a smembrarli con colpi di spada, che venivano assestati con inesorabilità in ogni direzione e a trecentosessanta gradi, oltre che essere inferti con uno sdegno tremendo. Ciò, perché l'intera sua persona vi prendeva parte con il corpo e con la mente, portando a compimento azioni temerarie di alto livello. Esse giammai si sarebbero potute immaginare possibili da parte di un guerriero valoroso, per quanto in gamba egli potesse dimostrarsi! La loro tecnica risultava tanto perfetta, quanto efficiente, anche se agli aggrediti Monki risultava più forzatamente subita che non intercettata nei suoi scombussolanti dettagli. Nessun tempo era concesso loro, allo scopo di rendersene conto e di valutarla nella sua messa in opera. Insomma, si stava di fronte a reali atti schermistici e di lotta che, nella loro concreta espressione, apparivano ombre di loro medesimi. Come tali, dunque, essi non si dimostravano individuabili e valutabili, almeno se venivano giudicati con taluni criteri ammessi dalla pura razionalità.

La più stupefatta di tutti i presenti appariva la giovanissima Kuanda, la quale sedeva sul trono mediano praticamente nuda, visto che ella indossava un copripudende ridotto al minimo. La ragazza non aveva mai assistito a qualcosa di simile nei vari tornei, che spesso si erano avuti tra i guerrieri del suo villaggio e quelli delle altre tribù viciniori. A dire il vero, non c’era assolutamente da fare alcun paragone, considerata la potenza devastante dell'invincibile guerriero, che ella adesso si trovava ad ammirare. Egli si spostava come un fulmine da una parte all'altra della sala e travolgeva come un ciclone i suoi nemici, seminando ovunque delle autentiche mattanze a scapito dei Monki assalitori. Perciò, a suo parere, poteva soltanto impersonare la morte, la quale era la falciatrice di tanti esseri umani. Davanti ai suoi colpi catastrofici ed impossibili, nessuno dei suoi avversari poteva resistergli. Per tale ragione, gli alieni che ci stavano provando finivano per alimentare ulteriormente il bagno di sangue, che da qualche tempo era in corso scioccante in mezzo a loro. La ragazza, inoltre, si andava chiedendo da dove fosse sbucato quel giovane misterioso, il quale si batteva e puniva gli alieni, quasi fosse stato una vera divinità. Combattendo in quella maniera incredibile, egli non permetteva alle prodigiose armi dei nemici di esprimersi con la loro deleteria magia; ma, in un certo senso, le rendeva inutilizzabili.

Adesso Iveonte si affrettava a far fuori il manipolo di extraterrestri che non erano stati ancora uccisi. Essi, anziché tentare di colpire il giovane con le loro armi, cercavano di sottrarsi ai suoi assalti repentini e travolgenti. Ma egli li andava assalendo con un impeto sempre più fiero; soprattutto manifestava l’attitudine ad improvvisare mosse acrobatiche ed ostilità abbattitrici fuori del comune, le quali gli consentivano una capacità difensiva ed offensiva tanto inattesa, quanto martellante e tragica. I suoi colpi di spada non facevano sconto a nessuno e dappertutto si creavano varchi mediante affondi magistrali. Essi, operando contro i nemici, in continuazione ne demolivano le membra e ne mutilavano i corpi. Un fatto del genere faceva anche accrescere le pozze di sangue sul pavimento della sala ovale e i forti gemiti delle loro vittime, che non smettevano in ogni angolo. Pugnando nella maniera appena esposta, molto presto l’indomito eroe si ritrovò ad essere senza più né ostacoli né difficoltà da sormontare, siccome la totalità dei combattenti suoi rivali giacevano per terra privi di vita; anzi si scorgevano straziati e mutilati orribilmente oppure deturpati e trasfigurati. Perciò quella sala, che poco prima ribolliva di corpi tremendamente esagitati, dopo un tempo neppure lungo, era diventata una specie di camera mortuaria, nella quale regnava l’immobilità più assoluta. Lo confermavano i tanti corpi inanimati, che in quel momento erano sparsi ovunque sull’insanguinato impiantito della sala.

Quanto al gruppo dei Monki, che non avevano preso parte al combattimento, esso non osava fiatare per niente. Mentre erano interamente raccolti intorno al trono di mezzo, sembrava che essi si aspettassero da Kuanda sia la loro difesa che la loro protezione, essendo davvero convinti che ella era la loro dea Luna. Allora Iveonte, dopo aver fatto piazza pulita dei suoi nemici, si avvicinò alla cinquantina di Monki che non avevano partecipato al combattimento, ma erano presso il trono centrale disarmati, spaventati e tremanti. Egli non se la sentì di infierire anche contro di loro, poiché essi se ne restavano fermi e come inebetiti dallo spavento. Per questo, essendosi lasciato impietosire dal loro atteggiamento remissivo, il giovane gli si rivolse con le seguenti parole:

«Vorrei sapere se tra di voi c'è qualcuno che sappia interpretare il mio linguaggio. In caso affermativo, venga immediatamente avanti, poiché è mia volontà trasmettervi ciò che intendo fare di voialtri, che siete rimasti impuniti, grazie alla mia pietà.»

Alla richiesta del generoso giovane, si staccò dal gruppo l’unico Monko maschio, ossia Luppon. Siccome egli si mise a sua disposizione, il nostro eroe incominciò a parlargli in questo modo:

«Ebbene, anche voi meritereste di fare la stessa fine di tutti gli altri da me uccisi, avendo preso parte ogni volta con la vostra gente agli innumerevoli misfatti e ai delitti perpetrati a danno dei Terrestri. Anzi, alla faccia dell’incredibile civiltà da voi raggiunta e rappresentata, avete approfittato del vostro superiore armamento per condannare migliaia di innocenti a sofferenze inaudite, prima di farli crepare del tutto. Invece, al contrario di voi, io non sono un barbaro del vostro stampo, proclive alla violenza e alla vendetta. Perciò ho deciso di risparmiarvi, ma soltanto dopo aver distrutto le vostre armi, la vostra dimora e il veicolo spaziale che vi ha trasportati sul nostro pianeta. Vi lascerò liberi in questa foresta, alla mercé delle belve e dei disagi che vi verrete a patire!»

«Grande guerriero,» gli obiettò il Monko «ma ciò equivale a condannarci lo stesso a morte certa! In tal caso, per noi sarebbe meglio che tu ci uccidessi adesso, senza perdere un minuto di tempo. Così facendo, non ci costringeresti a soffrire il timore della morte chissà quante volte con la mente, prima di venirne accoppati realmente! Ma ci sarà un altro modo di trattarci, senza farci trovare nei disagi ai quali mi sono riferito adesso!»

«Non siete forse voi degli esseri molto più evoluti di noi? Allora vi invito ad usare la vostra intelligenza superiore per sconfiggere le bestie feroci e per superare le numerose insidie della foresta! Unicamente così sopravvivrete nel suo ambiente, alla stessa maniera dei tanti trogloditi sparsi nelle varie parti del nostro globo. Al massimo, possiamo darvi un po’ delle nostre armi rudimentali, al fine di permettervi di difendervi dai feroci felini e cacciare la selvaggina che dovrà servire a sfamarvi!»

«Prode guerriero, hai detto che distruggerai tutto ciò che è frutto della nostra avanzata tecnologia. Ma non credo nel modo più assoluto che tu abbia la facoltà di farlo. Perciò, se non sono indiscreto, vuoi dirmi come ci riuscirai? Di certo non sarà la tua spada a permettertelo, essendo essa un arnese rudimentale! Ne sono certissimo!»

«Se l’ho affermato, Luppon, è perché sono in grado di farlo! Altrimenti, me ne sarei ben guardato dall'asserirlo con la massima sicurezza. Comunque, quando giungerà il tempo di agire a tale proposito, vedrai anche in quale maniera riuscirò a farcela!»

«Come fai a conoscere il mio nome, accorto giovane, se è la prima volta che ci capita di stare l’uno di fronte all’altro? Sono sicuro che in nessun’altra circostanza è accaduto un fatto del genere! Allora vuoi spiegarmi chi ti ha parlato di me, ancor prima di conoscermi? Qualcuno sarà stato senz'altro a farlo, al posto mio! Né può essere diversamente! Ma forse posso anche immaginare da chi lo hai appreso, il quale ti ha anche parlato di noi, permettendoti di venire a distruggerci!»

«Te lo confermo anch'io, Luppon, che noi due non ci siamo mai incontrati. Anche se oggi è la prima volta che ci capita di trovarci l'uno di fronte all'altro, conosco il tuo nome e so pure che quella bella fanciulla seduta sul trono si chiama Kuanda. Non sei forse l’unico della tua razza a conoscere la nostra lingua? Mi ha riferito ogni cosa Tungo, il fratello della ragazza. Adesso vi ordino di evacuare questa sala e di incamminarvi tutti verso l’uscita del vostro rifugio; invece io vi seguirò con colei che avete innalzato agli onori divini. Che nessuno tenti di impadronirsi delle armi dei caduti, se non vuole fare la loro stessa fine! Mi dispiacerebbe essere costretto ad ucciderlo contro la mia volontà!»

Intanto che si avanzava tutti insieme verso la piattaforma che doveva ricondurli in superficie, Iveonte informò Kuanda che il fratello minore la stava aspettando di sopra ed era ansioso di riabbracciarla con il suo affetto fraterno. A quella bella notizia, la ragazza, liberando il proprio volto dall’erubescenza che lo pervadeva, lo fece divenire raggiante di sola gioia. Quando poi raggiunsero l’esterno e furono a contatto con la foresta, il giovane, dopo aver impartito a Tionteo alcune disposizioni, scese di nuovo nel rifugio alieno con Luppon. Lì sotto costrinse il Monko a farsi dire l’ubicazione esatta della loro astronave. Per prima cosa, però, egli preferì distruggere la sala dei troni, disintegrando tutto ciò che vi era dentro, comprese le armi e le salme dei numerosi Monki. Ma per cambiare integralmente l’aspetto alla sala, bastò un unico guizzo azzurrognolo dell’anello. Esso, producendovi una grande fiammata, la fece sparire all’istante, sostituendola con un normale scavo grezzo ottenuto nel terreno. Ad un tratto, infatti, in essa era scomparsa in poco tempo ogni cosa appartenente al progresso e all'alta tecnologia. Per cui adesso vi si potevano scorgere solamente le scarne pareti costituite da materiale terroso. La stessa cosa avvenne con il veicolo spaziale, che si disintegrò in un attimo, dopo essere stato circondato dalla fiammata possente del nuovo raggio emanato dall’anello. Un evento di quel tipo lasciò di stucco Luppon, il quale prima si era preoccupato, avendo temuto che l'azione del giovane avrebbe potuto provocare una esplosione nucleare. Invece egli vide sparire nel nulla l’astronave e il rimanente arsenale atomico situato a bordo, senza esserci stato alcun pericolo.

Portate a termine le prime due missioni distruttive, rimaneva da ultimare la terza, la quale riguardava la distruzione del rifugio degli alieni. In verità, non si poteva intervenire contro di esso, se prima lui e Luppon non ne fossero usciti. Perciò, dopo che essi furono risaliti in superficie, Iveonte prese di mira con il braccio destro la piattaforma circolare e gridò: "Adesso distruggi dentro di esso tutto quanto vi risulta artificiale!" All’ordine dell’eroico giovane, partì dall’anello un raggio disintegratore. Esso prima attraversò la piattaforma, come se niente fosse, e poi invase l’intero labirinto di corridoi sotterranei. Infine si trasformò nella solita fiammata lungo tutto il suo percorso. Quest’ultima si spense, dopo che ogni cosa dentro il rifugio monkiano andò incontro alla totale disintegrazione, terminando così di essere esistente. Di fronte a quella potenza distruttrice che aveva già operato altri due prodigi, Luppon impallidì e domandò ad Iveonte:

«Ma perché, invincibile guerriero, non hai usato contro di noi la tua arma, a paragone della quale, come ho potuto notare, le nostre armi potevano solo considerarsi obsolete? Inoltre, come hai fatto ad averla, se la civiltà del vostro pianeta è arretrata di millenni, rispetto a quella che avevamo raggiunto sul nostro pianeta Marte? Non sei mica provenuto da un altro sistema stellare, dal momento che attualmente in quello solare c’è rimasta la sola vostra Terra ad essere abitata? Mi spieghi ogni cosa, per favore, essendo io ansioso di apprenderlo?»

«Il mio anello, Luppon, non rappresenta il prodotto di alcuna tecnologia infinitamente evoluta; ma è un dono divino. Perciò viene ad essere superiore a quelle costruite da un essere pensante dell’universo. Ti stai chiedendo perché proprio a me esso è stato donato? Probabilmente, perché da sempre mi sono votato alla giustizia e alla difesa degli oppressi. E questa mia nobile missione seguirò, fino a quando la mia vita non si sarà congedata per sempre da questa madre Terra, che mi ha generato! A questo punto, dobbiamo affrettarci a raggiungere gli altri, ossia quelli della tua specie e quelli della mia razza, i quali sono già in cammino verso il nostro accampamento, che si trova non molto lontano da questo luogo.»


Un paio di ore dopo la mezzanotte, tutti quanti avevano raggiunto il campo dei Lutros, compresi Iveonte e Luppon; però, essendo quella un’ora tardissima, da parte di ognuno non si poté fare altro che darsi al sonno ristoratore. Perciò si rimandarono a più tardi, cioè a metà mattinata, i diversi provvedimenti da prendersi, compresa la gestione dei compiti da affidarsi, alla luce delle ultime novità. Infatti, alcune di esse tendevano a creare, in qualche modo, delle reali disfunzioni in seno alla compagine organizzativa del campo. Ma a distanza di alcune ore, l’alba era prossima a presentarsi nel firmamento, allorquando Purlo, un Lutros appartenente al gruppo nove, fu sorpreso da intensi dolori addominali. A dire il vero, non era la prima volta che gli succedeva una cosa del genere, poiché il poveretto da una settimana era affetto senza saperlo da una colite amebica. La quale, nell’arco della giornata, lo costringeva più volte ad improvvise scariche diarroiche. Allora, a tali sintomi molto significativi per lui, il Lutros si affrettò ad allontanarsi dal suo gruppo, volendo raggiungere un luogo appartato e soddisfarvi il suo urgente stimolo fisiologico. Perciò la sua penosa evacuazione lo tenne lontano dai suoi compagni per circa venti minuti, cioè fino a quando i primi albori non iniziarono a far capolino nel bruno cielo mattutino. Quando poi ritornò presso il suo gruppo, egli fu sorpreso dal fatto che gli altri Lutros che ne facevano parte erano spariti nel nulla; mentre alcuni minuti prima li aveva lasciati che se la dormivano beati e se la russavano fortemente.

In un primo momento, egli si domandò se anche tutti gli altri avessero avuto il suo medesimo inconveniente fisiologico, sebbene si trattasse di una eventualità poco probabile. Poco dopo, però, avendo notato che erano sparite anche tutte le loro armi, comprese le sue, si mise in forte sospetto. Allora, rinunciando a capirci qualcosa con il proprio intuito, in gran fretta decise di avvisare Iveonte, prima che fosse troppo tardi. Ma poi evitò di rivolgersi al Grande Eroe per riferirgli della strana circostanza, poiché ritenne più giusto metterne al corrente Tionteo, per far stabilire a lui se era il caso di svegliare l’amico. Il Terdibano apprese la notizia con molta preoccupazione. Anche lui non volò subito da Iveonte per raccontargli ogni cosa; invece fu dell'idea che fosse meglio andare a controllare il gruppo dei Monki dove erano stati confinati. In quel luogo, però, alla prima sorpresa se ne aggiunse una seconda. Infatti, Tionteo e Purlo si resero conto che essi si erano tutti volatilizzati. La qual cosa li spinse ad operare anche una rapida ricognizione nei dintorni del loro accampamento, durante la quale presero atto della loro totale scomparsa. Solo a quel punto Tionteo si decise a correre dall’amico per metterlo a conoscenza del misterioso evento.

Iveonte, appresa la sparizione simultanea dei nove Lutros e della totalità dei Monki, si amareggiò moltissimo. Nel medesimo tempo, manifestò sul volto un turbamento che non sfuggì a Tionteo. Allora costui, stupendosi della reazione esagerata che c'era stata sul volto dell'amico, gli chiese:

«Perché, Iveonte, la scomparsa simultanea di nove dei nostri uomini e dei Monki ti ha tanto turbato, se neppure sappiamo cos’è accaduto realmente agli scomparsi Lutros? Vorrei avere spiegato da te questo particolare, siccome non riesco a comprenderlo per niente!»

«Ho paura, Tionteo, che per colpa mia nove Lutros innocenti ci abbiano rimesso la vita! Forse non mi sarei dovuto mostrare troppo indulgente con esseri che, a quanto pare, non lo meritavano affatto! Comunque, adesso non serve a niente stare qui a recriminare. Voglio solo sperare che io mi sia sbagliato su questa vicenda!»

«Non ti seguo, Iveonte! Vuoi dirmi a chi o a cosa ti riferisci? Me lo dici chiaramente, perché anch’io capisca per bene questo problema?»

«Tionteo, mi sto riferendo precisamente ai traditori Monki! Comincio a credere che io abbia commesso un grande errore, quando gli ho concesso la mia pietà, dal momento che non se la meritavano!»

«Perché questo tuo pentimento improvviso, Iveonte? Immagini che la scomparsa dei nostri uomini debba essere imputata agli alieni? E come avrebbero fatto essi a farli sparire? Nel modo più assoluto, non credo che il Monko Luppon, dopo avere constatato di cosa è capace il tuo anello, abbia voluto sfidare l’incommensurabile potere che hai dimostrato di avere nelle tue mani! Non lo pensi pure tu?»

«Anch’io, fino a poco fa, ero portato a credere la stessa cosa, Tionteo. Invece, dopo quanto è accaduto, inizio a ricredermi del concetto positivo che mi ero fatto di lui. Ma adesso conviene non indugiare oltre e metterci immediatamente sulle tracce degli extraterrestri. Bisogna raggiungerli al più presto, se vogliamo essere di aiuto ai nostri nove uomini. Ammesso che il tempo sia ancora dalla nostra parte! Perciò corri a dare la sveglia nel campo, considerato che dobbiamo darci all’istante all’inseguimento dei loro ingrati rapitori! Anzi, affréttati a farlo, se non vogliamo perderli!»

Non appena tutti gli uomini del campo furono svegli ed anche in assetto di guerra, si diede inizio alla battuta voluta da Iveonte, al quale premeva aver quanto prima tra le mani i Monki scomparsi dal loro accampamento. Ma dopo che se ne furono allontanati appena un miglio, essi si imbatterono nel corpo agonizzante di Luppon. Egli, prima di spirare in pace, ci tenne a precisare al prodigioso eroe terrestre:

«Io non ho tradito la tua fiducia, nobile e valoroso Iveonte! È stata la mia gente che, dimostrandosi irriconoscente verso di voi, ha voluto rimeritarvi con la massima ingratitudine, ossia con l’uccisione di un buon numero dei vostri uomini. Ti giuro che io non ero stato avvisato preventivamente da essa di quanto stavano cospirando a vostro danno; invece sono stato posto di fronte al fatto compiuto. All’istante allora li ho rampognati con la massima stizza e gli ho fatto presente che me ne sarei ritornato da chi era stato molto generoso con me. Di risposta, essi mi hanno trafitto mortalmente. Dopo, volendo sfuggirvi, hanno continuato la loro strada verso la nostra ex dimora. Perciò dovete proseguire in quella direzione, se volete acciuffarli e punirli nel modo giusto!»

«Luppon, se hai detto che la tua gente ha ucciso alcuni miei uomini, come mai non si sono trovati i loro cadaveri in nessuna parte del campo? Per favore, vuoi spiegarmi anche questo particolare, visto che personalmente lo trovo davvero inesplicabile?»

«Essi li hanno portati via, con il solo scopo di divorarseli, Iveonte!»

Quelle furono le estreme parole del Monko, poiché un attimo dopo lo si vide emettere l’ultimo respiro, riscuotendo la pietà dei due giovani. Dopo la morte di Luppon, il giovane eroe diede ordine di seppellirlo. Subito dopo esclamò al suo amico:

«Come abbiamo constatato, Tionteo, almeno su di lui non mi ero sbagliato! Per cui posso stare in pace con la mia coscienza! Ma adesso andiamo a vendicare i nostri Lutros uccisi!»

Qualche attimo più tardi, Iveonte ordinò a suoi uomini che non erano impegnati a seppellire il Monko di riprendere l’inseguimento degli alieni fuggiaschi, poiché intendeva punirli come era giusto fare, ossia con la dovuta severità. Inoltre, intendeva evitare che gli stessi profanassero i cadaveri delle loro vittime. Così, dopo una ventina di minuti di marcia forzata, gli alieni ribelli furono intercettati in una piccola radura, dove si preparavano a consumare i corpi dei Lutros, che essi avevano ammazzato durante la nottata. Alla vista di tale ignominia, Iveonte fu preso da uno sdegno terribile; perciò, senza alcuna esitazione, comandò ai suoi uomini di ucciderli tutti con i loro archi. Essi, come egli ebbe a chiarire, avrebbero dovuto colpirli senza pietà, fino a quando non fosse caduto anche l’ultimo dei Marziani antropofagi. Una volta che fu ultimata la carneficina dei Monki da parte dei Lutros, per prima cosa Iveonte fece seppellire le salme lutrosine dai compagni e poi si ritornò tutti insieme al loro accampamento. Quando si fu ritrovato nella sua tenda con Tionteo, Iveonte si mise a predisporre un piano per il prossimo intervento da effettuarsi contro Trasco e contro il suo amico Onco. Ma il mattino seguente, dopo aver rimandato a casa loro gli altri prigionieri dei Monki, Iveonte diede ordine di riprendere il loro cammino, essendo intenzionato a liberare Gudra, il padre di Tungo e di Kuanda.