277°-IVEONTE ELABORA UN PIANO PER BATTERE GLI ALIENI

Terminato il suo racconto, Tungo si preoccupò di esortare i suoi uditori a togliere subito le tende da quel luogo e di darsela a gambe levate, come avrebbe fatto lui, se non avesse temuto i pericoli della foresta. Altrimenti i Monki, dopo averli fatti loro prigionieri, li avrebbero sottoposti a sevizie molto crudeli. Iveonte, da parte sua, non si lasciò affatto intimorire dalle armi prodigiose che erano in possesso degli alieni. Per questo rispose al ragazzo con fermezza:

«Tungo, sulla terra non esiste un pericolo tanto grande, da costringermi a scappare davanti ad esso. Io non sono nato per aver paura di forze oscure e neppure di grossi rischi, siano essi ipotetici oppure reali. Invece vivo per sconfiggere le prime ed affrontare i secondi con determinazione, quando risultano concreti. Ciò vale, soprattutto quando la mia lotta è finalizzata a soccorrere le vittime della prepotenza e del sopruso! Perciò tienilo bene a mente, senza dimenticarlo mai!»

«Parli così, Iveonte, perché non ti sei ancora reso conto di come possono essere nocive le armi che i Monki hanno in dotazione. Esse, essendo magiche, sono in grado di colpirti perfino a grande distanza. Dopo che ti hanno raggiunto, ti rendono impotente a reagire oppure ti recano addirittura la morte, quando gli alieni decidono in tal senso!»

«Anche l’arco, ragazzo, colpisce a distanza.» gli fece presente il giovane «La pantera che ti inseguiva per sbranarti e divorarti dovrebbe testimoniartelo senza ombra di dubbio! Esse non l’hanno forse colpita ed uccisa, pur restando distanti da essa? Come vedi, non cambia nulla tra le une e le altre armi! Bisogna soltanto essere più rapidi ad intervenire contro l’avversario! Non sembra anche a te?»

«In un certo senso, è come dici tu, Iveonte; ma è indubbio che i Monki sono molto bravi a coglierti di sorpresa. Io ne so qualcosa, per averlo sperimentato di persona. Non sai come difenderti da loro, siccome essi riescono a sbucare all’improvviso da ogni parte!»

«I Monki avranno sorpreso senza difficoltà i guerrieri di tuo padre, Tungo. Invece con me sarebbe ben altra cosa, poiché sarei io a tendere loro le insidie più inimmaginabili! Parlo al condizionale, poiché non ci sarà bisogno che io li combatta nella foresta, dove gli agguati si prestano meglio che altrove. Se ci tieni a saperlo, ho stabilito di andare ad affrontarli direttamente nel loro covo, a viso aperto, senza necessità di ricorrere ad alcun sotterfugio! Perciò, ragazzo, se ci tieni a tua sorella, dovrai accompagnarmi in quel luogo e indicarmi il modo di entrare nella loro dimora ed uscirne.»

«Ma che dici, Iveonte! Vorresti che ritornassi nei pressi della dimora dei Monki, da dove mi sono fatto aiutare per uscirne? La mia risposta a tale riguardo è la seguente: Puoi scordartelo! Ti assicuro che gli atti di eroismo contro i Monki non servono; ma cagionano a chi intende farne sfoggio il massimo danno, ossia la morte! Stanne pur certo!»

«Tungo, non ti ho chiesto mica di venire con me fin sottoterra, dove sta la dimora degli extraterrestri! Dopo avermi fatto da guida fino al suo ingresso, potrai ritornartene indietro ed unirti a miei uomini, intanto che essi attendono in questo posto il mio ritorno. Adesso mi sono spiegato per bene, mio benedetto ragazzo, o non ti va l’idea che ti ho appena espressa?»

«Prima ti dico, Iveonte, che sei stato molto chiaro; dopo invece ti faccio presente che la mia paura è talmente grande, che mi riesce difficile darti retta, neppure nella maniera che mi hai prospettata. Il pensiero, che in me predomina in questo momento, è quello di scappare da questa zona senza perdere altro tempo, allontanandomene moltissime miglia! Tra pochi istanti, quindi, farò proprio come ho detto, con o senza di voi!»

«Allora come la mettiamo con tua sorella Kuanda, mio caro Tungo? Non ti interessa più vederla liberata e riaverla con te? Hai dimenticato che lo scopo, per cui intendo sopprimere la malvagità dei Monki, è quello di liberare lei e quanti sventurati risultano ancora vivi e loro prigionieri? Oppure avevi creduto che io avessi unicamente intenzione di fare la conoscenza dei crudeli alieni, senza che ci fossero altri obiettivi?»

«Sì, questo è vero, Iveonte. Quasi mi fai vergognare di me stesso, per essermi rifiutato di muovere anche un solo dito a favore di mia sorella, l’essere che venero anche più di mio padre! Senza di lei, non saprei neanche come vivere e quale significato attribuire alla mia esistenza. Specialmente ora che né mia madre né mio padre possono darmi quel minimo di sollievo, di cui avrò bisogno per tenermi in vita! Perciò, avendoci ripensato, sono disposto a farti da guida perfino nel rifugio dei Monki. Così, all'interno di esso, potrò esserti maggiormente utile!»

«Bravo, ragazzo! Cominci a comportarti da vero uomo, per aver stabilito di compiere un grande passo avanti, quello che pochi adulti sarebbero disposti a fare! Comunque, se ciò può esserti di consolazione, anche la mia spada è un’arma formidabile. All’occorrenza, essa può esprimersi con prodigi che neanche ti immagini! Così pure il mio anello non scherza affatto, nel dimostrarsi assai mirabolante. Paragonandole all’una e all’altro, le armi dei Monki sono da considerarsi roba da niente! Dopo queste mie notizie, ti sei tranquillizzato almeno un poco oppure non ci sono ancora riuscito come intendevo? Dimmelo chiaramente!»

«Grazie, Iveonte, per aver cercato di allontanare da me ogni timore; però devi sapere che non ho mai creduto alle favole e non comincio di certo a crederci adesso che sono diventato quasi grande! Ad ogni modo, tu mi ispiri molta fiducia, poiché scorgo in te una persona che sa il fatto suo. Questa tua sicurezza, perciò, mi spinge perfino a sperare nella tua indubbia vittoria sugli alieni Monki! Perciò non c’è bisogno che tu ti metta a raccontarmi fandonie, allo scopo di farmi apparire meno preoccupato!»

«Certo che debellerò i lucertoloni, caro Tungo, indipendentemente dai poteri straordinari che hanno la mia spada e il mio anello! Devi convincerti che oramai i Monki hanno i minuti contati e non potranno sfuggire alla mia giustizia. La quale ha deciso di punirli come si meritano, ad evitare che essi continuino ad arrecare del male a molte altre persone!»

Dopo anche Tionteo cercò di rassicurare Tungo, asserendogli:

«Fai bene, giudizioso ragazzo, a credere ad ogni parola del mio amico Iveonte! Devi fidarti di lui, perfino quando afferma che la sua spada e il suo anello sono portentosi, dal momento che la verità è sempre sulla sua bocca! Perciò sii certo di quanto ti ho detto per il tuo bene!»

«Tionteo, hai forse assistito a qualche loro prodigio, per asserirlo con sicurezza? Se sì, dimmi a quale di essi hai presenziato. Altrimenti pure tu vuoi burlarti di me con le tue asserzioni infondate!»

«Se devo esserti franco, Tungo, non mi è mai accaduto di verificarlo di persona, poiché Iveonte, in mia presenza, non ha mai avuto bisogno di ricorrere al loro potere miracoloso. Ma so con certezza che in passato non sono mancati episodi, nei quali egli è dovuto servirsi dei loro miracolosi interventi. Vi è ricorso, soltanto per averla vinta contro alcune forze soprannaturali oppure contro divinità malefiche!»

«Come vedo, Tionteo, anche tu cerchi di infondermi coraggio, riferendoti a dei prodigi immaginari, ai quali nemmeno hai assistito di persona! Per questo ringrazio pure te per il nobile intento! Comunque, posso assicurarvi che non mi serve più essere incoraggiato, dal momento che le parole di Iveonte sono riuscite a trasformarmi in un ragazzo coraggioso. Esse mi hanno inculcato il dovere che un uomo deve sentire verso gli altri, specialmente quando essi si rivelano bisognosi del nostro aiuto. Ora, pur di dare il mio modesto contributo alla liberazione di mia sorella, senz'altro sono disposto a sacrificarmi e a gettare alle ortiche questa mia vita, che considero inutile senza la compagnia di Kuanda. Essa, se non la vivrò accanto a lei, mi risulterà un peso morto; anzi, mi si dimostrerà tanto superflua, quanto insopportabile!»

«Non ti preoccupare, Tungo,» Iveonte volle rassicurarlo «tra poco tu e tua sorella tornerete a stare nuovamente insieme. Quanto alla prodigiosità del mio anello e della mia spada, comincio a farti presente che l’uno e l’altra accettano solo me, nel senso che nessun’altra persona può portare al dito il primo e maneggiare la seconda. Se ne vuoi una dimostrazione lampante, i ’invito a sollevare la mia spada, dopo che l'avrò deposta sull’erba. Ti garantisco che non riuscirai ad alzarla neppure di un millimetro. Oppure puoi toccare il mio anello per vedere che cosa ti succede nello sfiorarlo. Vedrai che, da entrambi gli esperimenti, riceverai delle sorprese che ti faranno meravigliare tantissimo! Allora hai intenzione di verificarlo con le tue mani e convincertene di persona?»

«Non credere che io ci caschi, Iveonte! Devi sapere che sono vaccinato contro gli scherzi, dopo che mia sorella si è divertita a farmene un sacco, fino a quando non ho superato la decina di anni! Dovete sapere che una volta ella mi ha fatto credere perfino di aver catturato la luna, per cui non si sarebbe vista nel cielo per l’intera nottata che stava per sopraggiungere. Come un grullo, vedendo calare le tenebre e non scorgendola in nessuna parte del firmamento, corsi subito da lei e la pregai di liberare la luminosa luna e di consentirle di illuminare la buia notte. Alla mia richiesta, mia sorella si mise a ridere a crepapelle e non la smetteva più, fino a sembrarmi un'anatra matta. Cessate poi le sue risate, Kuanda mi svelò il mistero della sua scomparsa: essendo quella una notte di novilunio, la luna non poteva essere vista nel cielo. Perciò ella non aveva niente a che fare con l’assenza del bell’astro splendente nel notturno spazio celeste; invece aveva voluto solo approfittarne per prendersi gioco di me. Da quel giorno, giurai a me stesso che mai più mi sarei fatto gabbare da qualcuno. Per questo ora non mi farò raggirare neanche da voi due!»

Al racconto dell’adolescente, i due amici non poterono fare a meno di sorridere a fior di labbra, pensando alla sua ingenuità puerile del passato. Un attimo dopo, Tionteo gli domandò:

«Possibile, Tungo, che da bambino eri così credulone? Eppure, da un ragazzo sveglio come te non me lo sarei mai aspettato! Come adesso mi rendo conto, a volte il tempo riesce a cambiare in modo profondo le persone, considerato come ti mostri attualmente!»

«Purtroppo, Tionteo, allora mi dimostravo davvero un sempliciotto! Ma oggi, avendo entrambi gli occhi aperti, nessuno più potrà farmi degli scherzi del tipo di quelli del tuo amico!»

Rivòltosi poi a chi secondo lui intendeva burlarlo, gli aggiunse:

«Perciò, Iveonte, neanche tu riuscirai a canzonarmi, facendomi bere le tue assurde panzane. Ma se desideri che io tenti di sollevare la tua spada da terra, dovrai accettare da me quanto sto per proporti. Ossia, se sarò in grado di staccarla dal suolo, essa diventerà di mia proprietà. Allora, accondiscendi alla mia proposta? Oppure, dopo che ti ho dettato la mia condizione, ti tiri indietro per la gran fifa, che già stai provando?»

«Certo che accetto, Tungo, anche se, nel caso che tu fallisca nell'impresa, nulla mi sarà dovuto da parte tua! Invece spetterebbe pure a te pagare una penale, se tu non ci riuscissi! Comunque, per me fa lo stesso, poiché è importante soltanto convincerti che in precedenza non stavo affatto celiando, come avevi creduto; ma parlavo sul serio sul conto della mia spada e del mio prezioso anello!»

Quando Iveonte ebbe finito di replicare, Tungo si tuffò sull’arma che era stata già deposta dal giovane ai suoi piedi, per brandirla e dimostrargli che le sue parole non potevano essere che il frutto di uno scherzo. Ma dopo che la ebbe impugnata, dovette constatare che ogni suo sforzo teso a sollevarla risultava infruttuoso, poiché l'arma non si faceva staccare dal suolo nemmeno di un millimetro. La qual cosa lasciava stupefatto anche Tionteo, il quale, come il ragazzo, giustamente non aveva preso sul serio le affermazioni dell’amico. Solo al termine dei suoi diversi tentativi, Tungo finì per rinunciarci. Poi, rivolgendosi al proprietario della spada, gli confermò:

«Allora davvero non scherzavi, Iveonte, quando hai affermato che nessun braccio, se non è il tuo, ce la farà mai a sollevarla! A questo punto, però, voglio anche vedere come reagirà il tuo anello al mio tocco. L’unica cosa, di cui sono certo, è che esso non mi farà morire. Altrimenti tu, in qualità di salvatore di tante vite umane, giammai mi proporresti di toccarlo! Sto ragionando bene adesso?»

«Te ne devo dare atto, Tungo: il tuo ragionamento non fa una grinza! Per l’età che hai, a mio parere, sei molto perspicace. Ora, siccome sei intenzionato a renderti conto di come reagirà il mio anello al tuo tocco, ti porgo la mia mano destra, perché soddisfi la tua grande curiosità di conoscere la sua risposta! Ma non volermene, se, quando lo sfiorerai, ti deriverà qualche fastidio. Ma ti assicuro che esso non ti farà morire!»

Davanti alla mano protesa di Iveonte, il ragazzo questa volta non si precipitò a toccare l’anello, come aveva fatto prima con la spada. Oramai si era convinto che il giovane non lo stava affatto prendendo in giro. Invece si soffermò a chiedersi cosa mai gli sarebbe potuto accadere, mentre si dava a sfiorarlo. Infine, dopo alcuni momenti di esitazione, egli si risolse a toccarlo. Nello stesso istante, però, ritrasse subito la mano, gridando forte: "Ahi, come scotta!" Subito dopo il ragazzo si espresse al suo possessore:

«Mi dici, Iveonte, come fa il tuo dito a non avvertire alcuna sensazione di scottatura? Mi sembra incredibile, ma è proprio vero ciò che dicevi, riguardo al tuo anello!»

«Non mi scotto, Tungo, per volere dell'anello stesso! A me esso non procura alcun fastidio e il mio dito lo sopporta come un qualunque altro oggetto. Inoltre, diventa taumaturgico nei confronti degli ammalati e dei sofferenti, ai quali non risulta rovente; invece arreca la guarigione e il sollievo. La qual cosa è già avvenuta più di una volta, risollevando l'animo dei poveretti! Te lo posso garantire!»

«Iveonte, mi dici cosa possono fare la tua spada e il tuo anello contro degli esseri come i Monki, i quali hanno armi assai sofisticate? Se l’una si lascia impugnare solo da te e l’altro scotta per tutti gli altri quando lo toccano, a mio avviso, tali fatti non potranno proteggerti dalle loro armi! Mi sbaglio forse a pensarla in questo modo?»

«Certo che sei in errore, ragazzo! Se questo è quello che erroneamente pensi tu, allora sappi che la mia spada e il mio anello hanno dei poteri eccezionali ed illimitati, per cui possono permettermi cose che nessuno immaginerebbe mai! Se non ricorro ai loro portenti, ciò non vuol dire che essi non esistono oppure che non posso fruirne quando mi occorrono. Adesso, solo per compiacerti, te ne do una dimostrazione concreta. Così dopo smetterai di crearti tanti problemi sulle mie possibilità di sconfiggere i Monki!»

In quel medesimo istante, Iveonte allungò il braccio destro in avanti, tenendo il pugno chiuso e mirando con esso un grosso albero, il quale gli stava davanti con la sua chioma immensa. Fatto ciò, egli esclamò: "Distruggilo!" Allora, all’ordine del giovane eroe, dal suo anello partì un raggio azzurrognolo, che raggiunse all'istante l’albero, senza però colpirlo direttamente. Esso prima formò intorno al suo gigantesco tronco una specie di campana energetica e poi si trasformò in una grande fiammata. Quest’ultima dopo si diede a disintegrarlo fino al suolo, impiegandoci pochissimo tempo. Quando infine lo straordinario fenomeno si esaurì, al posto del grande vegetale, rimasero sul terreno soltanto dei residui legnosi carbonizzati ancora fumiganti. Alla esibizione di Iveonte, oltre al ragazzo, si sbalordì anche Tionteo, il quale non aveva mai visto Iveonte dare una dimostrazione di quel genere con il suo anello. Egli, perciò, di fronte al prodigio che l'amico aveva operato servendosi di tale oggetto, rimase senza parole. Ma poi, dopo essersi riavuto dalla breve sorpresa, il Terdibano si rivolse a lui ed iniziò ad affermargli lietamente:

«Iveonte, offrendoci una dimostrazione della potenza distruttiva dell’anello, ci hai strabiliati e galvanizzati allo stesso tempo. Sì, essa, rendendoci euforici, ci ha pure convinti che con te siamo più che al sicuro. Lo so che il tuo valore, anche senza l’aiuto dei tuoi due preziosi talismani, già ti permette di affrontare e sconfiggere uno stuolo ingente di armati. Ma esso, se viene ad esprimersi sotto l’egida di entrambi, allora non esiste esercito che possa tenerti testa! Qualunque fosse la sua potenza militare, tu saresti in grado di sbaragliarlo e di stritolarlo senza un minimo di difficoltà. Nello stesso tempo, ad ogni modo, sono più che convinto che la tua clemenza si limiterebbe esclusivamente a metterlo in rotta, astenendoti dall’infierire con sadismo contro di esso!»

«Certo che è come dici, Tionteo! Per me la vita è sacra! Quando mi si dà l'opportunità dai loro possessori, sono contento di risparmiargliela, purché essa non traligni dalla religione e dalla morale. Altrimenti ci vale la pena estirparla alla radice, per cui passo a trattarla come gramigna, che è nociva alle altre piante fruttifere!»

«Allora, grandioso Iveonte,» Tungo si intromise di nuovo nella conversazione «poiché anche mio zio Trasco e il suo amico Onco sono delle erbacce dannose per l’umanità, dopo che avrai sterminato i Monki, farai lo stesso anche con loro? Io sarei felice, se tu decidessi di farli sparire dal consorzio umano ed intervenissi come giustiziere nel contesto delle rispettive tribù, salvando così pure mio padre!»

«Lo farò senz’altro, Tungo! In caso contrario, che senso avrebbe liberare te e tua sorella dagli alieni e non permettervi dopo di ricongiungervi al vostro giusto genitore? Logicamente, riavrete un padre che sarà ritornato ad amare la vita e a gustarsela in tutti i suoi vari aspetti. Per cui non la odierà e non la schiferà più, come sta facendo in questo momento, a causa delle sventure che sono piovute e continuano a piovere sulla sua persona, soltanto per colpa di esseri ignobili, come tuo zio Trasco e il suo degno amico Onco!»

«Grazie, Iveonte, per ciò che ti accingi a fare per mia sorella e per quanto ti sei proposto di fare dopo anche a favore del mio genitore! Ma quando ci muoveremo per raggiungere il covo dei rapitori della mia Kuanda? Ti manifesto che non vedo l’ora di strapparla alle grinfie dei Monki e di rivedermela accanto a deliziarmi l'esistenza!»

«Non avere fretta, Tungo, e abbi pazienza ancora per poco! Ogni azione contro gli aguzzini della specie umana dovrà essere vagliata e ponderata nei minimi particolari, prima di passare ad effettuarla. Ma ti anticipo che il nostro intervento in mezzo a loro ci sarà nella notte di domani, quando essi saranno impegnati nelle loro danze rituali. Allora approfitteremo di tale favorevole circostanza per sorprenderli nella loro eccitazione ed abbatterli!»

«Hai pensato proprio bene, Iveonte, se hai deciso di agire in questo modo! Perciò ti prego di scusare la mia impazienza del momento. Essa, come sai, è dovuta al fatto che sono ansioso di vedermi di nuovo insieme con la mia dolce sorella, libera come prima e totalmente intenta a rendermi giulivo come un tempo!»

«Non ti preoccupare, ragazzo, perché comprendo il tuo stato d’animo agitato, il quale è in preda all’ansia. Per questo è stato superfluo scusarti, da parte tua. Ma adesso lasciami soltanto con il mio amico Tionteo, siccome dobbiamo elaborare un piano sulla nostra incursione di domani notte. Nel frattempo, ti consiglio di raggiungere il gruppo dei Lutros, che circondano ancora assai basiti quanto è rimasto dell’albero distrutto dal mio anello. Sono certo che essi si staranno domandando come sia potuto succedere un tale fenomeno, senza che ci sia un temporale in atto con i lampi e i tuoni che lo contraddistinguono!»

Dopo che Tungo si fu allontanato da loro due, Iveonte e Tionteo ebbero il loro gran daffare, al fine di formulare e definire un progetto valido e sicuro. Esso, in pari tempo, doveva risultare una sorpresa massimamente lesiva nei confronti dei Monki; ma senza costituire un rischio per i loro prigionieri e per i suoi attuatori. Quando poi essi ebbero finito l’elaborazione del loro piano strategico, erano già calate le tenebre; anzi, era giunta anche l’ora di darsi a cenare. A quel punto, da parte di tutti, convenne darsi a consumare il frugale pasto serale, prima di consegnarsi all’abbraccio soporifero del dolce sonno. Il giorno seguente, però, fin dal primo mattino, Iveonte, Tionteo e Tungo si misero alla ricerca del rifugio dei Monki, considerato che adesso il ragazzo rammentava ben poco del tragitto che conduceva ad esso. Secondo Iveonte, ad occhio e croce, la dimora degli alieni doveva trovarsi nel raggio di due chilometri, per cui bastava soltanto individuare il sentiero battuto a colpi di spada dai guerrieri moianesi. Così dopo lo avrebbero seguito, per raggiungerla rapidamente e senza difficoltà.

Ci vollero un paio di ore di perlustrazione della zona, prima che essi riuscissero a trovarlo. Avvenuto il suo ritrovamento, gli risultò facile percorrerlo e pervenire nelle prossimità del luogo di accesso all’abitazione degli extraterrestri. Il resto lo fece la solita scimmietta rossa, la quale era sempre di permanenza nei paraggi, essendo suo compito attirare nella trappola dei Monki tutti coloro che si fossero trovati a transitare per le vicinanze dell’ingresso della loro dimora. Questa volta, però, il piccolo cebide non poté portare a termine la sua missione, poiché rimase stecchito da una freccia infallibile di Iveonte. Esso ne era rimasto colpito, proprio mentre si arrampicava al gigantesco albero per raggiungere la nicchia, dalla quale astutamente era abituato ad attrarre i suoi inseguitori nell’insidia dei suoi bravi ammaestratori. Avvenuta infine l’uccisione della scimmietta, Iveonte, Tionteo e Tungo si avvicinarono alla piattaforma circolare, che però nessuno si azzardò a calpestare, come aveva raccomandato il ragazzo moianese. Egli, invece, si mise ad ispezionare ogni suo centimetro quadrato situato a non più di mezzo metro dal bordo, allo scopo di cercarvi il pulsante che la faceva scendere di sotto. Quando infine lo ebbe rinvenuto nascosto tra l'erba, additandolo ai suoi due accompagnatori, senza perdere tempo si diede a spiegare ad entrambi:

«Vedete quel bottone, amici? Sarà proprio esso che stanotte ci permetterà di accedere al rifugio dei Monki! Ci basterà dargli una semplice pressione con un dito e la piattaforma si metterà a sprofondare nel terreno con noi sopra. Come vi ho detto, essa si arresta ad una ventina di metri dalla superficie, cioè dove si trova il rifugio degli odiosi lucertoloni. Quindi, adesso possiamo andarcene per ritornarvi dopo!»

Una volta che ebbe preso nota di ogni cosa, tenendoselo bene a mente, Iveonte se ne ritornò con l’amico e con il ragazzo nel loro accampamento. Dove essi prima pranzarono e poi avviarono i vari preparativi per l’incursione notturna, quella che avrebbero effettuato dopo la mezzanotte nella dimora dei Monki. Così, quando mancava poco tempo alle ventiquattro, il nostro eroe, Tionteo e Tungo raggiunsero la piattaforma circolare dei Monki, essendo impazienti di farsi portare da essa nel loro rifugio sotterraneo. I due giovani amici avevano deciso che ciò sarebbe avvenuto, non appena fosse giunto alle loro orecchie il sordo rullio dei numerosi tamburi. Esso li avrebbe avvisati che lì sotto le danze erano incominciate. Ma soltanto Iveonte e Tungo sarebbero pervenuti alla dimora dei Monki. Il Terdibano, invece, sarebbe rimasto ad attenderli all'esterno con una lunga corda, nel caso che dopo ce ne fosse stato bisogno, a causa dell'improvviso mancato funzionamento della piattaforma circolare. Perciò un suo capo era stato già legato all’albero più vicino; mentre l’altro della medesima sarebbe stato lanciato giù nel vuoto, se in seguito fosse stato necessario farlo.

Soltanto quando i raggi lunari divennero ortogonali alla superficie terrestre, i tamburi dei Monki iniziarono a rullare cupamente, per cui gli alieni si diedero a scatenarsi senza interruzione e con un ritmo frenetico, folle ed incalzante. Allora Iveonte e Tungo balzarono sulla piattaforma e si lasciarono trasportare da essa all’interno dell’abitazione dei Marziani. Poco dopo, una volta che si furono ritrovati giù, il giovane eroe si lanciò fuori del vano con la spada in pugno. Invece il ragazzo lo seguì, standogli appiccicato dietro e comportandosi alla stessa maniera che un cane fa con il proprio padrone.